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La musica delle parole
 
La musica delle parole 2012-07-28 19:49:13 Deborah Epifani
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
Deborah Epifani Opinione inserita da Deborah Epifani    28 Luglio, 2012
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Emozioni a fotogrammi

Bello. E sicuramente non frivolo né troppo leggero.
Più che onirico lo definirei delirante. "La musica delle parole", nell'originale inglese "Last night in Montreal", di Emily Mandel, è una piccola perla, un malinconico libricino in grado di lasciare un'impronta nella memoria del lettore desideroso di farsi trasportare più dalle parole e dai sentimenti, che dalla mera trama.
Questa, infatti, resta sullo sfondo, costruita su continui flashback, sulle memorie ossessive di pochi ma essenziali personaggi, sui cocci della loro vita che si incastrano magistralmente come pezzi di un puzzle, fino a giungere al disegno unitario che li comprende tutti.
"La musica delle parole" non è dunque la storia di Lilia, o almeno non solo, ma è proprio la sua storia a tirare i fili della trama, a far emergere le persone che lei incontra come protagoniste assolute, oppure a ridurle a confuse meteore; tutto ruota intorno al suo rapimento, alla sua fuga col padre a bordo di auto vecchie sempre diverse, assolutamente anonime. Lilia non è altro che il pretesto, l'esasperazione dei vincoli familiari, delle relazioni umane, del loro evolversi come del loro affievolimento o del loro brutale logorio.
Il viaggio come metafora della vita e soprattutto dei suoi misteri non è certo originale ma se ne resta in ogni caso affascinati per lo stile.
La narrazione, infatti, scorre con una musicalità impeccabile, scenografica, e un punto di vista onniscente che prende le parti dei vari personaggi in gioco, donando ritmo e una leggera suspance alla lettura. Splendide, sempre accattivanti le descrizioni ricche di vividi particolari, immortalate sulle pagine come istantanee pregne di emozioni, quasi fossero le fotografie che Lilia scatta al mondo nel suo continuo peregrinare, cogliendo l'essenza di un momento senza tuttavia riuscire a viverlo fino in fondo. Dopo aver passato anni a fuggire da una città a un'altra, da un motel a un altro, Lilia è costantemente (e aggiungerei dolorosamente) spinta al viaggio, è incapace di restare, così dice lei stessa alle persone a cui tiene, allo stesso modo in cui è incapace di instaurare un rapporto duraturo. Anche quando vorrebbe il contrario.
Fino alla rivelazione che darà un senso alla sua vita di chilometri, tavole calde e nomi inventati.
Da quel punto del suo passato finora rotto, disperso, Lilia riparte, lasciando al lettore un gusto forse un po' amaro in bocca, ma tinto di vaga speranza.

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