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Ulisse da Baghdad
 
Ulisse da Baghdad 2012-06-08 20:08:22 Argento
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Argento Opinione inserita da Argento    08 Giugno, 2012
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Io mi chiamo nessuno

Così rispondeva Ulisse al gigante Polifemo, quando gli veniva chiesto il suo nome. E così si sente il protagonista di questo libro, moderno Ulisse. Saad Saad, il cui nome ha un diverso significato a seconda della lingua in cui si legge, “Speranza Speranza” in arabo, “Triste Triste, in inglese, è un giovane uomo come tanti. Ha una casa, una famiglia, una fidanzata e tanti sogni. Ma ha anche sbagliato a nascere in un paese che è in guerra: l’Iraq. Certo la nascita è un caso, ma di sicuro è un gran caso. E lui non ha la sorte giusta di nascere in un qualsiasi altro paese che gli avrebbe potuto concedere le possibilità che ognuno di noi merita. Nasce a Baghdad il novello Ulisse, e, come l’eroe di Omero, inizia un viaggio che lo vedrá protagonista di mille peripezie. Al contrario di Ulisse, Saad non torna a casa, ma scappa proprio da li. Rifugge tutto quello che per lui era importante, la sua patria, le sue radici, la sua cultura. E nel viaggio è accompagnato dal fantasma del padre, morto poco prima che lui prendesse la decisione di lasciare l’Iraq.
Con uno stile semplice ma efficace Eric-Emmanuel Schmitt, descrive inizialmente la vita durante gli ultimi anni del regime di Saddam, l’embargo degli americani, la caduta della dittatura e il difficile cammino verso la democrazia, in quella che una volta era la città delle “mille e una notte” , per proseguire con le mille difficoltá che il protagonista incontra durante il viaggio che intraprende per raggiungere la meta prefissata: Londra. E’ quella per lui la terra promessa, la sua Itaca, la sua salvezza. A volte con ironia, a volte con amarezza, ma sempre con leggerezza, l’autore descrive le vicessitudini che Saad affronta nel suo viaggio, le cui tappe tanto assomigliano a quelle dell’Ulisse di Omero. E lentamente, a ogni tappa, Saad clandestino, perde la dignità, la connotazione di uomo, diventa un niente. Ma nessuno è un niente, e tutti dovrebbero avere quello che è sancito per diritto di nascita: una vita, un futuro, ma sopratutto la dignità di essere umano. È chiaro l’intento dell’autore nel ribadire questi concetti, con semplicità ma anche con fermezza, sopratutto attraverso i dialoghi che Saad intrattiene con il padre morto, che potremmo define il suo alter ego, la sua buona coscenza, il suo "grillo parlante". Definito attuale l’argomento dei clandestini, viste le note vicende, di nuovo l’autore sottolinea quanto sia attuale da sempre, perché i popoli migrano da quando è nato l’uomo. Cosa c’è quindi di nuovo? Probabilmente il fatto che noi occidentali abbiamo dimenticato che un tempo i clandestini eravamo noi, ma anche e sopratutto la nostra piu grande colpa, quella di aver dimenticato il significato di una parola fondamentale: speranza.

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