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Cento anni di solitudine - da T.S.Eliot a Marquez
Ho appena finito di leggere Cent’anni di solitudine. Bellissimo. Ma prima di unirmi al coro unanime di entusiastici commenti che si alza intorno a questo capolavoro, mi sono chiesta perché mi sia piaciuto, dal momento che è molto diverso dai romanzi che mi hanno sempre affascinato.
Prima di tutto la concezione bergsoniana del tempo in un fluire continuo che sovrappone gli istanti gli uni sugli altri, in cui ogni convenzionale frammentazione diviene inutile, dove i giorni, i mesi e gli anni non hanno ragione di essere perché la vita si svolge in un unico lungo giorno con il solo succedersi di luce e di buio che coincidono con la luce e il buio dell’animo umano.
Ed è in questo tempo senza tempo che si colloca Macondo, un luogo non luogo, ideale e maledetto al tempo stesso, dove si svolge la vita dei personaggi.
E qui il susseguirsi quasi confuso di Arcadi e Aureliani accentua il voluto senso del caos che domina l’esistenza, dove gli uomini diventano l’uomo in assoluto con le sue debolezze e prepotenze, mentre la caratterizzazione più precisa e differenziata dei personaggi femminili conferisce loro solidità e concretezza.
In questo mondo dove tutto è il contrario di tutto in un continuo gioco di affermazione e negazione, l’amore si realizza solo attraverso la passione più irrazionale e penetrante fino a rasentare l’incesto, senza rispetto per le convenzioni, per l’età infantile o senile, dove l’amore coniugale coesiste con quello adultero e mercenario, mentre i sentimenti delicati sono destinati a soccombere. E contemporaneamente all’amore si afferma l’odio che cresce nel cuore con altrettanta forza e si alimenta in silenzio come nel caso di Amaranta che passerà l’ultima parte della sua vita a tessere e ricamare il suo sudario e affronterà con calma e serenità il momento della fine annunciatale dalla morte stessa apparsale in una visione, come nella più classica delle tradizioni mitologiche.
E in questo caotico succedersi di avvenimenti di cui solo Ursula è testimone costante, in questo mondo sconvolto talora da guerre ed eccidi, l’unica scoperta rimane quella del ghiaccio che è essa stessa una scoperta-non scoperta per l’inconsistenza della materia che si scioglie e si dissolve, e l’unico bagliore rimane quello del pesciolino d’oro di Aureliano Buendia.
Solo al compimento della profezia, annunciata con il matrimonio di Ursula e manifestatasi con la nascita del figlio con la coda di maiale di Aureliano e Ursula Amaranta, l’unico generato da autentico atto d’amore, le tormentate vicende dei Buendia potranno aver fine.
Il mito e l’immaginario si fondono e si confondono con la realtà senza possibilità di distinguere l’uno dall’altra. Perché in fondo è questa la vita, un confuso procedere verso l’ignoto in un fluire continuo del tempo fatto di alternarsi di luce e buio, come negli occhi di Ursula.
È stata proprio la centralità della tragica condizione umana, che è in fondo il tema di questo romanzo, che mi hanno fatto riscontrare alcune analogie con The waste land, il poema di T.S.Eliot,. Vi ho trovato la stessa rappresentazione del caos che domina in un tempo dove il presente coincide con il passato e si sovrappone al futuro, dove i personaggi si muovono in una ricerca spasmodica della verità rappresentata ora dal Sacro Graal, ora dalla pietra filosofale, dove la profezia è in entrambe le opere di rilevante importanza ed è spesso affidata alla lettura dei tarocchi o delle carte, dove il tema della cecità non è incapacità di vedere, ma anzi è capacità di sentire e presagire, dove il sesso si afferma nella sua primordiale forza ed energia, dove il tema dell’acqua che è fondamentale in Eliot, perché rigenera la vita così temuta dagli abitanti della terra desolata da far loro considerare Aprile il mese più crudele dell’anno, in Marquez è portatrice di distruzione, fango e deterioramento di cose e sentimenti.
Tutti questi elementi fanno di Cent’anni di solitudine un capolavoro che indaga nell’animo umano, cercando di portarne alla luce gli incubi, le paure, i desideri e le aspirazioni più recondite con uno studio filosofico approfondito
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