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Un biglietto per Istanbul
Quando ho finito di leggere la Bastarda di Istanbul di Elif Shafak edito da Rizzoli, ho provato la sensazione così ben descritta da Salinger nel suo “Il Giovane Holden”. Avrei voluto alzare il telefono e chiamare l’autrice per commentare con lei la storia.
La storia è narrata con grande maestria, sia dal punto di vista dello stile che da quello della trama e ha un’ottima traduzione di Laura Prandino.
Due famiglie, lontane migliaia di chilometri sono legate con un filo invisibile che all’improvviso si colora e prende vita determinando così una nuova svolta nella loro vita. E questo filo comincia a colorarsi quando Armanoush, una giovane armena appartenente alla famiglia americana, decide di andare a Istanbul alla ricerca delle sue radici.
Due famiglie, quindi, a confronto: una è moderna e americana, l’altra tradizionalista e turca. Ma quante similitudini ci sono tra di loro, quanti eventi in comune, anche se a loro insaputa, hanno determinato i destini di ognuno dei componenti, seppur distanti l’una dall’altra. Questo mondo tutto al femminile dove non c’è una protagonista vera e propria, se non la Bastarda, che fa un po’ da portavoce, è ricco di odori, di colori e di superstizione, e mi ha riportato indietro nel tempo, alla mia infanzia, agli odori e ai colori della Sicilia matriarcale, dove gli scongiuri, i lunghi pranzi, l’ospitalità, il vociare costante dei mercati hanno un che di arabo; abitudini e tradizioni vagamente simili a quelli descritti nel romanzo. Inoltre, con grande sorpresa, la Bastarda, termine usato sempre in un’accezione negativa, qui ha una valenza diversa, di un personaggio sopra le righe, ma sicuramente positivo.
Con uno stile asciutto, Elif Shafak dipinge le protagoniste rendendole personaggi a tutto tondo, ciascuna con una caratteristica diversa dall’altra, descrivendo con parole “perfette” ognuna di loro.
Anche i personaggi che fanno da corollario sono ben descritti e hanno e danno spessore alla narrazione.
Non mi dilungo sulla trama, che tutti conoscono, né sull’eccidio degli Armeni e sul fatto che a tutt’oggi è una questione irrisolta. Fa da sfondo alla storia Istanbul, sonnolenta, ricca di rumori, di odori e mollemente adagiata sul mare.
La sensazione provata leggendo il libro è da subito quella di un viaggio che vorresti non finisse.
E, per concludere, prendo in prestito le parole del poeta turco Nazim Hikmet “durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me e del viaggio non mi resta nulla se non quella nostalgia”.
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Di questa autrice ho letto Il palazzo delle pulci, ma non mi catturò per nulla....... penso proprio che le darò una seconda possibilità!!!!