Dettagli Recensione
Ancora un capolavoro!
Josè Saramago: ma non ha scritto niente di banale quest'uomo?
Questa volta non è una storia semplice. Questa volta affondiamo nell'orrore dell'homo homini lupus.
A causa di una improvvisa epidemia di cecità (forse infettiva?) l'umanità affonda nell'orrore del male la cui radice conserva dentro di sé e che dilaga all'esterno senza più barriere, né quelle della morale, né quelle dell'educazione e della convenienza.
E l'orrore non è, come siamo abituati a immaginarlo, una caduta nel nero profondo, ma un morbido affondare nel bianco lattiginoso: una nebbiolina lattea che appanna la vista e priva i nostri personaggi, uno alla volta all'inizio e poi man mano in gruppi sempre più corposi, non solo della capacità di controllare il mondo intorno, ma anche e soprattutto di mantenere la propria umanità.
Se nessuno ti vede, e tu non vedi nessuno, chi ti impedirà di rubare, di uccidere, di violentare, di prevaricare? Chi potrà ergersi a giudice di chi?
Solo in pochi saranno capaci di mantenere un contatto con la propria coscienza, con il desiderio di giustizia, con l'orgoglio di definirsi uomini.
Saramago questa volta ci va giù pesante: spella vivo il lettore, sparge sale sulla carne viva, disorienta la nostra fantasia con scene di violenza morale e fisica inattese e indimenticabili interrotte, all'improvviso, da brevi momenti di umanità preservata, di tenerezza, di amore capace di sacrificio e di altruismo.
E mentre tutto accade, si scivola in una catastrofe di proporzioni incontenibili ed irrimediabili, oppressi da un tempo ed uno spazio claustrofobico e privo di speranza.
Ma poi... poi il buon Josè ha pietà del suo lettore e dei suoi personaggi e apre uno spiraglio verso il ritorno alla “normalità”. Ma quel che si è fatto, quel che si è vissuto, subìto e pensato, chi potrà cancellarlo? Come si potrà tornare alla vita di prima?
Come sempre la trama è stupefacente, ma è l'aspetto meno importante del romanzo: Saramago con le parole dilania e accarezza, traveste la realtà con scintillante fantasia e ci obbliga a pensare, a guardarci dentro.
[…]
Ecco come sono le parole, nascondono molto, si uniscono pian piano fra di loro, sembra non sappiano dove vogliono andare, e all'improvviso, per via di due o di tre, o di quattro che all'improvviso escono, parole semplici, un pronome personale, un avverbio, un verbo, un aggettivo, ecco lì che ci ritroviamo la commozione che sale irresistibilmente alla superficie della pelle e degli occhi, che incrina la compostezza dei sentimenti, a volte sono i nervi a non riuscire a reggere, sopportano molto, sopportano tutto, come se indossassero un'armatura, si dice, La moglie del medico ha i nervi d'acciaio e poi, in definitiva, la moglie del medico si scioglie in lacrime per via di un pronome personale, di un avverbio, di un verbo, di un aggettivo, mere categorie grammaticali, mere designazioni
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Commenti
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La moglie del medico é una di quelle figure che non si dimenticano piú, come non si dimentica questo libro.
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Sono d'accordo, sia il libro che l'autore sono esclusivi.
Ricordo con piacere di questo libro la figura della donna.
Meravigliosa e caparbia.
Che libro.