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Non dire notte
NON DIRE NOTTE di AMOS OZ
Il deserto, come luogo dell’anima, anima i confini senza limite dei sentimenti umani.
Una cittadina israeliana Tel Kedar, di 8-9 mila abitanti, prostrata dal vento del deserto del Negev che manda frustate di polvere, fa da sfondo alla vicenda umana e sentimentale dei due protagonisti del romanzo: Noa e Theo. Il loro rapporto, dopo sette anni, comincia a mostrare segni di incomprensioni e insofferenze. Theo è un sessantenne, architetto di fama riconosciuta, vive in uno stato di attesa, ha ormai fatto quel che poteva fare, ora che si trova alla fine del mondo, Noa, professoressa di lettere in un liceo, più giovane di 15 anni, al contrario, è piena di entusiasmo e voglia di cambiamenti. La storia si snoda attraverso il racconto dei due protagonisti, in prima persona, lui osserva e ascolta lei, lei che guarda e giudica lui; è un rimando di pensieri e azioni che s’incrociano e si allontanano. Lei frenetica, rincorre il tempo, il suo daffare va tutto a spese della solitudine e della lenta discesa dal dolore verso la tristezza di lui. Il paesaggio desertico contorna e dà la dimensione e la scansione del ritmo della vita degli abitanti di Tel Kedar: il vento che alita come una falciata fredda e acuta, l’aggressività della luce e della polvere, la calce bianca che assorbe le sfumature del deserto, gli spazi aperti strisce di deserto macchiettato. Si respira e s’immagina questa immensa distesa di sabbia su cui il sole brucia con i suoi artigli di vetro acuminato ed è, per noi lettori, come essere novelli beduini che inseguono miraggi lontani e irraggiungibili. E’ la scrittura mirabile di Oz che ci ammalia e ci rapisce come musica dell’anima; lo stile lieve ed elevato solleva la mente in qualche altrove. Nel giorno che muore, si domanda Theo cosa promette l’ultima luce, che cosa ha in serbo; la notte, ma non il nero del buio. Come il chiaro di luna dà luce alla notte che cala, così l’incanto della natura bagliore ai nostri occhi illumina i momenti bui del vivere. Non dire notte.