Dettagli Recensione
Quando conosci i Malaussène, non li lasci più
“La fata carabina” è il secondo episodio della serie di romanzi dedicati alla curiosa e sovraffollata famiglia Malaussène. Quando si tratta di serie, penso che sia sempre opportuno cominciare dal primo (in questo caso il capostipite è “Il paradiso degli orchi”) per potersi godere a pieno l’evoluzione dei personaggi, entrare in sintonia con loro. Ma veniamo a noi!Io sono innamorata di questo libro, o forse dovrei dire ossessionata visto che ad occhio e croce lo avrò letto una decina di volte e ad ogni singola lettura continua a sorprendermi e a farmi ridere.
Belleville, quartiere di Parigi. La storia inizia con un omicidio, o meglio, visto attraverso gli occhiali rosa de Il Piccolo, con la trasformazione di un tizio in fiore. A morire è un giovane ispettore di polizia, di quelli un tantino razzisti e un tantino violenti; a farlo fuori è una simpatica ed innocua vecchietta..Beh tanto innocua forse no, visto che gli ha sparato un colpo dritto in testa. Questo è solo il principio di una intricata vicenda, che si snoda e ruota tutta intorno a lui, il Capro Espiatorio, Benjamin Malaussène. Il povero Benjamin si trova infatti, con la sua strampalata famiglia, a prendersi cura di alcuni vecchietti diventati tossici in veneranda età, mentre si tormenta di preoccupazione perché Julia, la SUA Julia, la giornalista più tosta che si possa immaginare, è sparita da un po’ durante la sua indagine sulla droga della terza età. E proprio lei, l’inaffondabile reporter verrà trovata in fin di vita su una chiatta lungo la Senna! Chi sta facendo questo?Chi vuole uccidere i vecchietti di Belleville? E soprattutto perché?
Una possibile pista si apre quando uno dei nonnetti rivela a Benjamin di essere stato avvicinato da una bella infermiera che gli ha lasciato un sacchetto pieno zeppo di pillole colorate. Da dove spunta questa ragazza, che si rivela non essere affatto un’infermiera?
In questo scenario non proprio rassicurante, serpeggia un’altra paura, quella di un misterioso assassino di vecchiette. Ma il vecchio zio Stojil ha messo in atto un piano non tanto ortodosso per tentare di proteggerle …
Tutte queste storie convergono poi nelle indagini di polizia, condotte da due commissari, da una parte il duro un po’ cow-boy Cercaire, che vuole a tutti i costi trovare l’assassino di Vannini (“il tizio trasformato in fiore”) e lo cerca, guarda caso anche lui è un tantino razzista e un tantino violento, tra gli arabi di Belleville amici di Malaussène, i quali sì, fanno qualche affaruccio poco pulito nascosti dai vapori del cus cus, ma assassini non sono di certo. Dall’altra parte c’è il placido, imperiale commissario Rabdomant, che come suggerisce il suo nome si lascia più guidare come se avesse un bastoncino, dal suo fiuto,dalla sua pacatezza e che cerca di trovare il responsabile nascosto dietro la faccenda della droga ai vecchietti.
Al suo fianco, gli ispettori Pastor e Van Thian. Il primo, giovane, pieno di riccioli in testa, con morbidi maglioni fatti a mano e un infallibile quanto misterioso metodo per far confessare tutti i malviventi, anche i più ostici, che cerca da anni la verità sul suo triste passato. Il secondo, sulla sessantina, vietnamita, piccolo piccolo, consumatore accanito di antidepressivi e continuamente in lotta con i suoi demoni.
Tutto questo complicato intreccio, convergerà con rocambolesche virate, verso di lui, il capro per eccellenza, innocente fino al midollo, ma sempre e comunque Super Sospettato n. 1: Benjamin Malaussène. Come?Beh, bisogna assolutamente leggere il libro.
Che rimane impresso dentro, perché fa ridere, perché la trama è degna di un giallo magistralmente orchestrato, ma soprattutto perché è pieno di una galleria di personaggi unici, curiosi, che fanno letteralmente innamorare di sé. Quello che resta, è un senso di familiarità, di “casa”, un senso di “calore” che perdura nel tempo, che per chi conosce il sig. Adamsberg, avrà potuto trovare nei romanzi di Fred Vargas.
L’unico rischio nell’affondare il naso negli affari di Malaussène, è che poi uno se li porta dietro a vita, un po’ come è successo a me! :)