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Firmino, il topo troppo umano.
“Quando le persone compravano i suoi libri, si scusava del fatto che prendeva da loro dei soldi e diceva che i libri sarebbero stati gratuiti dopo la rivoluzione, un servizio pubblico come i lampioni delle strade”.
Questo passaggio, che si conclude anche con un “Gesù era comunista”, credo sia uno dei pochi apprezzabili di questo libretto.
Non fraintendetemi, non intendo bocciare Firmino, non in toto almeno, ma devo ammettere che in parte capisco le tante recensioni negative, e se poi aggiungiamo il fatto che è stato fortemente sospettato di plagio di un libro italiano allora la situazione peggiora.
Ma andamo per ordine: Firmino è un ratto ( esatto, è un ratto, non un semplice topo, sapete, quegli orribili animali che spesso infestano le fogne cittadine e che suscitano di tutto tranne che simpatia ), nato nello scantinato di una vecchia libreria da una madre che lui stesso definisce “una ragazzaccia”, spesso ubriaca e dedita ai bagordi. La nidiata è formata da tredici cuccioli, ma la madre possiede solo dodici mammelle e Firmino è troppo lento e gracile per raggiungerne una prima dei suoi fratelli; devastato dai morsi della fame inizia quindi, quasi per caso, a mangiare la carta dei libri che trova in abbondanza nelle vicinanze. Ben presto si accorge che quei libri di cui si nutre lo hanno reso anche molto intelligente e colto. Pian piano poi smette di nutrire il corpo di carta, ma continua ovviamente a “nutrire” la sua mente. Essere troppo intelligente però non lo rende felice, anzi, lo rende fin troppo “umano”, depresso, malinconico, nevrotico, solitario, emarginato, “uno scherzo della natura” alquanto pervertito. Eh si, Firmino spasima più volte, durante il suo racconto, per le belle donne - le belle topine non gli interessano - arriva anche a dire che ne stuprerebbe una, se potesse ( e qui mi sono detta “Savage, perché una frase simile? Avresti potuto risparmiartela” ). Questa propensione di Firmino sinceramente mi ha dato molto fastidio, sembra quasi che l’autore associ l’essere solitari all’essere automaticamente pervertiti, mah.. Il topastro cerca inoltre disperatamente di comunicare con gli uomini, di entrare in contatto col mondo che conosce solo attraverso i libri che ha letto, ma ovviamente sa che non può farlo, e questo lo rende ancora più triste e alienato.
Lo stile è molto “filosofeggiante”, concedetemi il termine, ma nel complesso risulta piuttosto pesante e il pessimismo cosmico di Firmino certo non aiuta ( ha fatto storcere il naso anche a me che ottimista non sono ), ma non mi sento di stroncarlo completamente, si tratta comunque di una storia che celebra l’amore per i libri e solo per questo meriterebbe una seconda chance, ma se volete leggerlo non aspettatevi un capolavoro, ma solo una favola malinconica per adulti.
Indicazioni utili
- sì
- no