Dettagli Recensione
Tutto scorre...
Vasilij Semenovic Grossman ( Iosif Solomonovic) nacque nel 1905 a Berdicev cittadina ucraina a maggioranza ebrea (come denota il nome originale). Allineato al regime, durante la seconda guerra mondiale diviene corrispondente di guerra al seguito dell'Armata rossa. Nel lungo viaggio verso Berlino al seguito dell'esercito sovietico scoprì gli orrori perpetrati dai nazisti a danni degli ebrei, vedendo in prima persona il campo di Treblinka. Questa drammatica esperienza lo spinse a realizzare a guerra finita Il libro nero - Il genocidio nazista nei territori sovietici 1941-1945 assieme a Il'ja Erenburg ( quello del Disgelo). Nel piano originale l'opera avrebbe dovuto venir pubblicata dal Comitato Antifascista Ebraico, ma la violenta svolta data da Stalin alla politica interna fece chiudere lo stesso Comitato e facendo scomparire lo stesso Libro nero ( versioni incomplete riuscirono ad uscire lo stesso dall'U.R.R.S., per la prima versione in lingua russa bisognerà aspettare il 1980 a Gerusalemme e il 1991 a Kiev).
Questa svolta ebbe profondo ripercussioni sullo stesso Grossman. Da fido servitore del regime, ideologicamente allineato, la violenta campagna antiebraica (che sostanzialmente non ha avuto il tempo per svilupparsi come quella nazista) fu una profonda scossa alla sua fiducia nel sistema sovietico.
Gli anni che vennero furono cupi per gli ebrei sovietici, ma come un fulmine a ciel sereno Stalin morì e con lui i suoi piani per un'ennesima grande purga della società sovietica.
Per gli intellettuali si apriva ora un periodo nuovo, quello che Erenburg definì come Disgelo. In questo contesto viene scritto Tutto scorre... capolavoro letterario, storico e sociologico.
Si tratta di un libro crudo, che lascia pochi spazi a descrizioni leggere, romantiche. Così come è la realtà viene riscritta nel libro. Grossman analizza col suo modo, frutto di anni di giornalismo, la storia russa degli ultimi vent'anni, dalla collettivizzazione fino alla morte di Stalin. I commenti sono caustici, non lascia speranze al regime: "Lo Stato si fece padrone" scrive.
Si inizia col la liberazione di molti prigionieri dei lager voluta da Berija nel 1953. Ecco che il nostro protagonista, incarcerato per aver chiesto la libertà, ritorna dai lager, ritorna alla vita. Ma son passati ben tre decenni e tutto è cambiato. Ci son state le purghe del '36-'38, c'è stata la guerra. Le persone, le strade, le case che conosceva un tempo non ci sono più. E anche quelle che son rimaste, fanno ormai finta di nulla: lo scopo del lager è far dimenticare il condannato e il suo scopo lo ottiene sempre. E qui vien fuori l'angosciante realtà: chi si è salvato non vuole affrontare chi invece è stato condannato. Due Russie si incontrano, quella condannata e quella che è vissuta "libera", la società è fratturata e la frattura non si può più ricomporre. "Non resta che parlare a frasi fatte" commenta Grossman, un commento che dice più di interi libri.
Ma l'autore affronta anche un altro tema. Quello della collettivizzazione e della grande carestia in Ucraina, l'Holodomor. Anche qui il suo stile colpisce nel profondo. Sono forse le pagine più toccanti della sua opera, quelle che fai fatica a leggere. Riporto due frasi che da sole descrivono quella terribile catastrofe meglio di qualunque altra parola:
"Le donne si dimostravano più forti degli uomini, si attaccavano alla vita con più rabbia. Eppure toccava loro il peggio: è alle madri che i bambini domandano da mangiare."
"Hai mai visto sui giornali i bambini nei lager tedeschi? Identici: teste pesanti come palle di cannone, colli sottili come quelli delle cicogne, nelle mani e nei piedi potevi vedere il movimento di ogni ossicino, sotto la pelle, come son congiunti quelli doppi; lo scheletro era tutto fasciato dalla palle, tesa come una garza gialla. [...] Non erano più visi umani."
Infine, l'ultimo argomento toccato da Grossman è il tentativo di capire perché in Russia ebbe modo di svilupparsi una simile dittatura, e anche qui, come nel resto del libro, non c'è speranza; anche qui il suo commento è disarmante: "lo sviluppo russo ha mostrato una sua strana essenza: si trasforma in sviluppo della non-libertà". Purtroppo solo i veri rivoluzionari tentano di cambiare questo sviluppo, ma tutti han fallito, Rykov, Bucharin, Trockij, Zinov'ev, Kamenev, forse proprio per questo loro essere rivoluzionari.
Il libro finisce poi, con un ulteriore riflessione: "Che razza di storia è quella dell'uomo, se la sua bontà non può crescere?". Se anche qua di speranza non c'è ne, questa domanda è pur sempre una spinta ad analizzarsi a fondo, a scoprire l'uomo e a migliorare. Qui vuole arrivare Grossman col suo libro, descrivere la durezza degli avvenimenti come monito, perché essi non si ripetano più.