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Il piccolo Adolf non aveva le ciglia
 
Il piccolo Adolf non aveva le ciglia 2008-06-18 20:14:29 Maristella
Voto medio 
 
4.3
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
5.0
Piacevolezza 
 
4.0
Maristella Opinione inserita da Maristella    18 Giugno, 2008
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Passato personale e collettivo

Helga Schneider nata in Polonia, vissuta in Germania ed in Austria, si trasferisce nel 1963 in Italia, a Bologna, dove si sposa ed assume la cittadinanza italiana. La sua infanzia trascorsa a Berlino negli anno oscuri del Nazismo le trasmette ferite indelebili che possiamo conoscere e condividere con lei attraverso la lettura dei suoi libri, tutti scritti in lingua italiana. Segnata dall’abbandono della madre che lascia lei ed il fratello, piccolissimi, per seguire un ideale di morte ( diventerà infatti una feroce aguzzina delle SS nei più tristemente famosi campi di sterminio), Helga con grande consapevolezza rende partecipi i lettori delle sue intime afflizioni rivangando in un passato personale e collettivo e affermando il bisogno di una memoria da conoscere e mantenere viva per dar voce ad una parte di Storia spesso banalizzata e giustificata, se non addirittura negata. Nel “ Il piccolo Adolf non aveva le ciglia”, l’autrice riporta alla luce il doloroso ricordo di una di quelle tragedie che sono state sepolte nella memoria: il muto olocausto dei deboli, di tutti quelli che l’ideologia nazista riteneva non degni di vivere perché considerati “pesi morti”, pesi che gravavano sull’economia germanica e sull’utopica perfezione e purezza della razza ariana. E così, se da una parte Darwin aveva teorizzato una selezione naturale della specie, il nazismo, con un’operazione denominata T4, aveva avviato un programma di selezione artificiale destinata a dare una “dolce morte” che si prefiggeva come fine l’eliminazione di bambini ed adulti portatori di handicap, di anziani, di invalidi e persino di soldati, che dopo essere stati decorati al valore con la croce di ferro, erano tornati dal fronte riportando gravi e inabilitanti ferite. L’angosciante storia raccontata in questo libro non fa parte della storia privata dell’autrice ma è stata ricavata da un’intervista rilasciatale da una donna, molti anni dopo la fine del conflitto. La Schneider, in un continuo e tormentato ritorno fra passato e presente, ci racconta così la storia di Greta. Siamo nel 1997 e Greta, attorniata dall’affetto dei suoi cari, si appresta a festeggiare il suo ottantesimo compleanno. Ma, complice un album fotografico che prende a sfogliare nell’attesa dell’arrivo dei suoi amici, Greta rivive tutta la sua vita facendosi pian piano trasportare dall’onda dei ricordi. Così la rivediamo, ancora bambina, in una Germania che lentamente si riprende dalla Prima Guerra Mondiale, in un’atmosfera che appare lieve e quasi poetica se non fosse che lo spettro della follia hitleriana lentamente si insinua nell’animo della gente contagiandolo di assurde visioni. La ritroviamo ragazza, cresciuta all’ombra del nazionalismo convinto del padre, lavorare per gli uffici della Gestapo, fino all’incontro ed al matrimonio con Gregor Von Witting, bello, affascinante e ricco SS, con incarichi importanti sulla “questione ebraica”. Cieca d’amore, la vediamo sottoporsi ad esami medici prenatali per assicurare al futuro marito la sua perfetta idoneità a fattrice di bambini di pura razza ariana. Riviviamo con lei la nascita del piccolo Adolf, così chiamato in onore del Fuhrer, strappato all’abbraccio materno perché nato imperfetto e portato lontano per essere “curato” al meglio. Ma una madre non può credere alle bugie, perché a parlare dentro di lei è la voce del cuore, una voce che non mente mai. E l’amore per lui la porterà, dopo averla coinvolta in uno straziante percorso di orrore e morte, alla presa di coscienza dell’aberrazione ideologica entro la quale aveva sempre vissuto. Greta ricostruirà la sua esistenza contornandola di affetti veri e duraturi, ma mai potrà dimenticare il piccolo Adolf, nato senza ciglia , vittima di una follia lucida e criminale, una follia che pur incomprensibile deve essere resa nota perché non possa essere ripetuta. Helga Schneider fa della sua scrittura una missione che, annullando la distanza temporale dagli eventi accaduti, dia ancora voce agli ultimi testimoni diretti per dissolvere un revisionismo benevolo che potrebbe spianare la via ad un ingiusto quanto irresponsabile “negazionismo”.

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