Dettagli Recensione
Un grande libro, un grande Gatsby
Leggendo il Grande Gatsby si passa dalla fascinazione per l'atmosfera colorata frizzante alcolica degli anni Venti, i ruggenti, i variopinti, quelli delle feste della buona società fino all'alba in cui i ricchi, i parvenu, si festeggiano l'un l'altro intessendo un gioco di relazioni luccicanti ( ma che, alla fine, si riveleranno per quello che sono, cioè puro intrattenimento senza alcuna solidità), alla curiosità per la statura di questo personaggio che domina con la sua grandezza la scena. Anche lui un parvenu, un Trimalcione, come il personaggio del Satyricon ( e come in effetti Fitzgerald aveva pensato di intitolare il romanzo). Veniamo introdotti nelle sue molte sale sfavillanti ma rimaniamo per molto, come gli ospiti delle sue feste, all'oscuro dei suoi segreti, del suo passato, e ci lambicchiamo il cervello come loro in supposizioni sinistre sul suo conto. Ma mentre il mito di quest'uomo si ipertrofizza, il grande Jay Gatzby rivela il suo lato più umano, quello di un uomo che si trova ingigantito da un sogno di riscatto sociale, circondato da molti ma senza avere vicino uno (o meglio, uno solo), innamorato di una ragazza "di buona famiglia", autenticamente ricca e che sembra ricambiare. E quando sembra che il traguardo sia raggiunto, che il sogno, il benedetto "sogno americano" sia realtà ecco che gli eventi respingono Gatsby indietro, alla partenza. Al passato vorace dei suoi umili natali, un passato ricco solo di sogni. Ed è il passato a concludere il libro " Così navighiamo di bolina, barche contro la corrente, riportati senza posa nel passato". Gatsby è convinto che il passato si possa cambiare, si possa riscrivere,che si possa prendere una nuova identità. E invece no. Il finale ha il gusto di una malinconia elegiaca ed erosiva. Una sorta di mito dell'ostrica americano, come quello caro al nostro Verga. Solo, dimenticate lo stile verboso di Verga e immaginate uno stile sobrio, elegante, che brilla di compostezza, ironico e piacevole. Dimenticate la coralità verghiana perché in Fitzgerald c'è un solo sogno, un solo grande uomo, un solo grande Gatsby.