Dettagli Recensione
A metà strada tra un buon romanzo e un feuilleton
Ecco un libro che sta esattamente a metà strada tra un buon romanzo e un feuilleton.
E' lodevole aver raccontato al mondo la tragedia della popolazione afgana, passata dall'invasione comunista alla morsa dei Talebani. Poetico è il ricordo dell'Afghanistan in tempo di pace, gli alberi da frutta, la gara degli aquiloni che colora il cielo, il sorriso dei bambini, Kabul imbiancata dalla neve e non ancora sporca di sangue. E profondo - si sente - è l'amore dell'autore per il suo paese d'origine.
Il problema sta nella trama, fin troppo prevedibile, nel continuo rimpianto dei bei tempi andati e degli errori commessi, che alla lunga stanca, e in certi episodi un po' stiracchiati. Il protagonista, di fatto un rammollito, imparerà ad esserlo meno alle soglie dei quarant'anni, in un arco di tempo che va dagli anni Settanta al 2001, anno della caduta delle Torri Gemelle. Dopo poco più di duecento pagine, le prime avvisaglie di noia: ci si chiede che altro ci sia da dire e come si arriverà a quasi quattrocento. Si arriva, allungando il brodo con piccoli prevedibili colpi di scena, ma il finale, per quanto ben scritto e tra le parti più ispirate del romanzo, non è in sostanza molto diverso da quello che ci si aspettava.
Indicazioni utili
- sì
- no