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Violini all'inferno
Daniel è:
un uomo,
un liutaio,
un ebreo,
un prigioniero dei nazisti.
Chiuso nel campo gli verrà ordinato di costruire un violino dal suono perfetto.
Dentro uno sgabuzzino,sotto l’occhio vigile di una guardia,riscoprirà i gesti quotidiani della sua vita:la fragilità dello strumento,le venature del legno,la colla che raggiunge la giusta temperatura,il dovere di precisione millimetrica.
Il lavoro svolgerà cosi la sua funzione primaria:ricordargli che è un essere umano.
Questa consapevolezza ritrovata garantirà la voglia di sopravvivere.
“Oggi viveva con una speranza molto ben fondata:lo avrebbero lasciato vivere,sicuramente,fino a quando avesse finito lo strumento.”
Senti uno stridio durante la lettura,come unghie che graffiano la lavagna,come una nota stonata che urta l’udito.
Perchè mentre coinvolto nel suo lavoro il liutaio si estranea dall’inferno del campo ne è al contempo perfettamente integrato. Vive in una sorta di luogo limbico all’interno dell’orrore in cui gli sono concessi attimi di amnesia.Ma solo attimi.
Ad aumentare questa sensazione di contrasto la scelta dell’autrice di inserire all’inizio di ogni capitolo statistiche fredde,asettiche,sui delitti perpetrati dalle ss(rifiuto categoricamente l’uso della maiuscola):quantità di oro cavate dalla bocca,chilogrammi di vestiti,esperimenti sui prigionieri.
Questi dettagli non si integrano nel racconto specie in considerazione dello stile poetico e delicato usato dall’autrice. Hanno però il pregio e il dovere di farci da memento,di ribadirci che non stiamo leggendo “solo una storia”ma un pezzo di Storia.
Romanzo brevissimo e molto intenso per gli interessati alla follia dell'Olocausto.
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;)