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A un cerbiatto somiglia il mio amore
 
A un cerbiatto somiglia il mio amore 2011-12-25 08:00:45 Aldo Torrisi
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Stile 
 
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Piacevolezza 
 
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Opinione inserita da Aldo Torrisi    25 Dicembre, 2011

La vita umana e la guerra.

Il libro racconta il dramma di una donna che scopre di aver sprecato la sua vita nel tentativo di darle una completezza e una normalità che la condizione esterna in cui l'ha vissuta, la guerra tra israeliani e palestinesi, le ha perennemente insidiato e negato. Posta di fronte alla minaccia di perdere il suo secondo figlio, avuto nel tentativo richiamare alla vita il suo amico/amante Avraam, vittima anche lui della guerra che lo ha mutilato di ogni speranza e fiducia come risultato delle torture subite durante la guerra del Kippur (e della scelta di Orah, che lo ha spedito al fronte, con un "sorteggio", di cui conserva il rimorso), separata dal marito Ilan da cui ha avuto il primo figlio, per divergenze incolmabili sul modo di comportarsi con gli arabi, si rivolge ad Avraam per ricostruire con lui e per lui, con le parole, come Avraam le ha insegnato a fare nel tempo in cui si frequentavano, la vita di Ofer. Spera così di salvarlo da un destino di morte che aleggia su di lui e di ripartorirlo ancora una volta per il padre, che è, nell'animo, l'unico vero compagno che abbia avuto.
La narrazione accompagna una gita che Orah e Avraam fanno lungo i sentieri campestri di Israele, fuori dal mondo di cui Orah nobn vuole avere notizie, ma si svolge in realtà come rievocazione di un passato complesso e irrisolto, il cui tema principale apparente è la vita "normale" che Ilan e Orah hanno vissuto e la crescita dei due figli, Adam e Ofer, e quello reale l'irrisolta vicenda d'amore/amicizia tra Avram, Ilan e la stessa Orah. Nessuna delle due storie si compie realmente: la vita normale di Orah e Ilan rivela tutta la sua precarietà; la storia di amicizia/amore svela i conflitti e la crudeltà, di cui Avraam è stata la vittima fondamentale, ad essa sottesa. L'emersione di questo sottofondo è lenta e contraddittoria, come sempre nelle ricostruzione grossmaniane dell'animo umano; ma la conclusione non potrebbe essere più spietata: né le parole, né il ricordo, né il tentativo di riaprire la storia con Avraam possono sanare il passato e garantire il futuro; non c'è salvezza, né autenticità per nessuno in un mondo in cui l'incombere della guerra può devastare in ogni momento la vita di ciascuno; non c'è vita fuori dalle parole neanche per Ofer. Colpiscono la straordinaria capacità dell'autore di fare emergere gli strati profondi della psiche con una tecnica narrativa che appare erede e perfezionatrice dei migliori esempi del Novecento (mi viene in mente Virginia Woolf) e la forza dello stile, che sa addolcire con immagini delicate e variopinte e con la lentezza di progressione che l'affiorare di un così ingombrante rimosso richiedono. Uno dei migliori libri degli ultimi vent'anni.

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