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"La signora Harris" di Paul Gallico
Un romanzo che ha il sapore di una fiaba. Di una in particolare: Cenerentola, “mutatis mutandis”. La signora Harris, collaboratrice familiare inglese, conduce la sua umile vita trastullandosi tra le faccende domestiche presso svariati datori di lavoro. E proprio attendendo a questa modesta occupazione - che la segna nel fisico e nel modo di presentarsi al punto che la gente, vedendola, comprende a colpo d’occhio di aver di fronte un’inserviente – coltiva un sogno.
Come Cenerentola, la minuscola signora Harris ha dunque “il suo sogno, un sogno tanto squisitamente femminile: quello di un vestito prezioso, da fiaba, uno solo in tutta una vita di squallore”. In sostanza, Ada Harris sogna di recarsi a Parigi, alla maison di Christian Dior, e acquistare uno strepitoso abito (designato con il nome di ‘Tentazione’!) dello stilista più raffinato dell’epoca. Per realizzare questo progetto, la donna tenta una scorciatoia: quella della vincita alla lotteria, prima, e alle corse, dopo; ma invano. Il ritrovamento fortuito di un gioiello potrebbe regalarle una facile realizzazione del sogno nel cassetto: ma Ada ha un’etica ferrea e preferisce restituire il prezioso pur di non abiurare alle sue convinzioni morali. Anche se questo gesto significa fare sacrifici per accumulare i risparmi necessari.
Finalmente, dopo anni di duro lavoro, Ada riesce a raggranellare la somma necessaria per il viaggio e per l’acquisto. La sua avventura parigina é davvero una favola, che si prolunga oltre il previsto. Durante il suo soggiorno nella ville lumière, con la sua semplicità e la sua immediatezza, la piccola donna conquista e rende felici (a questo punto Cenerentola si è già trasformata nella fata!) nell’ordine: Madame Colbert, dirigente della maison, monsieur Fauvel, giovanotto di belle speranze e amministratore dell’atelier, Natascia, la bella modella con un sogno di vita ‘normale’. E anche un gentiluomo molto potente, al cui fianco “la donnetta … intabarrata in un misero e consunto cappottino, con i guanti del colore sbagliato, le scarpe visibilmente da quattro soldi, l’atroce borsetta di finta pelle e quel cappello con la rosa ballonzolante” assiste alla sfilate delle stole di zibellino e di abiti in preziose stoffe nell’odore della ricchezza che é “una fragranza mista di profumo, di pelliccia e di rasi, di sete e di cuoio, di gioielli e di cipria”.
Paul Gallico, l’autore, secondo me, dipinge in modo convincente e accattivante almeno due idee.
Innanzitutto la dinamica del desiderio, che alberga in ogni essere umano. Eccone alcune tappe:
“Quando si è desiderato qualcosa con l’intensità con cui la signora Harris aveva desiderato il modello di Parigi, e altrettanto a lungo, e quando finalmente l’ansia spasmodica del desiderio femminile sta per assaporare la dolcezza dell’appagamento, ogni istante che precede la sua realizzazione assume un’importanza che lo rende davvero memorabile”.
Nel convincimento che: “Quando si vuole sul serio qualcosa, c’è sempre modo di arrivarci.”
E con la paura che è “il dramma di tutti coloro che, sul punto di veder realizzato un sogno lungamente vagheggiato, si vedono ricacciare nelle tenebre della disperazione”.
La seconda idea, forse un po’ deamicisiana, è il trionfo della semplicità. E la scoperta che un oggetto, per quanto rappresenti dal punto di vista materiale un tesoro, è tale soltanto se rappresenta “un prezioso ricordo di amicizia, di solidarietà, di calore umano”.
Altrimenti, che favola sarebbe?
Questa, come fiaba, è davvero gradevole, a tratti spassosa, anche dal punto di vista grafico, con i disegni di cappelli piumati, specchi e cornici che, intercalati come elementi separatori dei capitoli, mi hanno ricordato i siparietti infilati dalla Wertmuller nel suo “Gianburrasca”, che ha divertito e fatto sognare anche …
… Bruno Elpis