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Gridare MOBBING! senza vergogna
Ci sono libri che, lungo il nostro cammino, diventano pietre miliari. Libri che si incuneano nel nostro essere e che, a prescindere da quale ne sia la motivazione, teniamo sempre bene in vista come un baluardo. Si tratta degli stessi libri che regaliamo, quei libri che ci precipitiamo a comprare non appena qualcuno intorno a noi manifesta i sintomi allarmanti di necessitarne. Quegli stessi libri che poi stiamo lì a somministrare quasi si trattasse di una medicina: Leggilo eh! mi raccomando, leggilo che vedrai che ti cambia la vita!
Ecco, "Le ore sotterranee" è per me uno di quei libri, e se l’ho riletto per l’ennesima volta è stato solo perché negli ultimi tempi l’ho regalato alla mia amica R.
R. l’ho conosciuta una anno fa, lungo i tragitti infiniti a cui siamo costretti quotidianamente noi pendolari; e come una folgorazione mi ha irrimediabilmente ricordato Mathilde, la protagonista del romanzo di Delphine De Vigan.
R., come Mathilde, è rimasta vedova quando i suoi tre figli erano piccoli e, come Mathilde, è riuscita a tirarli su con dignità e determinazione, consacrandosi anima e corpo alla grande azienda che l’ha assunta. Dieci anni di dedizione assoluta, dieci anni di “servitù” instancabile al suo capo che l’aveva scelta e a cui doveva la salvezza, dieci anni di sacrificio a di rinunce a se stessa pur di sentirsi realizzata a lavoro e di portare a casa lo stipendio. Poi un giorno qualcosa si è rotto. Un evento banale, un dissenso appena accennato rispetto ad un progetto da avviare, e quel capo, un capo come se ne possono incontrare tanti, noti per essere esigenti, diretti, aspri e che godono nel mettere in soggezione chiunque debba rivolgere loro la parola, l’emblema dell’azienda moderna, insomma, dove quasi sempre ai vertici se ne stanno appollaiati questi galli competenti ma completamenti privi del senso umano del resto del mondo, dunque quel capo, ha deciso che R./Mathilde doveva “morire”, di una “morte” lenta e invisibile che non avrebbe fatto scalpore ma che avrebbe finito per alienarla e “sconfiggerla”.
E così è stato: sono bastati pochi mesi, una serie di piccole cose insidiose e ridicole, appuntamenti annullati senza informarla, i sospiri esasperati, le battute pungenti, il rifiuto a comunicare, e poi la privazione graduale delle mansioni che ha costretto i colleghi a non dover rivolgersi a lei per la normale collaborazione, l’assegnazione di pratiche illeggibili, i continui richiami per errori commessi da altri, l’analisi attenta dei suoi orari di entrata e di uscita. R./Mathilde, stupita ed incredula, non si è ribellata, piuttosto ha incominciato a comportarsi da colpevole, lavorando il doppio, evitando le ferie, abituandosi al nuovo stato di cose, sempre più stanca, più sfinita, chiedendosi come un’azienda potesse tollerare un violenza simile per quanto silenziosa, e come i colleghi potessero far finta di nulla davanti alla distruzione di un essere umano. A niente sono servite le avvisaglie di cedimento del fisico, la preoccupazione dei figli al suo stato di salute, quelle strane fantasie di ammalarsi gravemente pur di non dover lavorare più, il senso di solitudine nel recarsi al lavoro, spingendo e sgomitando sui mezzi pubblici e guardando finalmente in faccia anche la solitudine degli altri: R./Mathilde ha maturato la convinzione di non farcela e dopo un tempo indefinito è giunta ad una consapevolezza: sa cosa le sta succedendo, sa che quello che le stanno facendo ha un nome, ma non riesce a pronunciarlo, si VERGOGNA TROPPO.
Quale speranza?
Per la protagonista del romanzo, la speranza risiede in un giorno: il 20 Maggio. Una data buttati lì da una veggente a cui si è rivolta per ritrovare un barlume di luce, lei che non ha mai creduto ai ciarlatani. La stessa data in cui, allo stesso modo, Thibault vaga per le strade di Parigi con la muta preghiera che esista una donna in grado di amarlo nonostante la fatica di vivere che si porta dietro. Mathilde e Thibault si incroceranno diverse volte in quel giorno, ma riusciranno veramente a Vedersi?
Perché credimi, R., la speranza aleggia sempre intorno a noi, tocca solo aguzzare lo sguardo e non chiudere il cuore. Tocca non soccombere, lottare ed avanzare a testa alta, per non perdere magari quell’amore che stiamo cercando e che ci scruta casualmente da lontano. Soprattutto tocca gridare, gridare forte ai soprusi, indignati e consapevoli dei propri diritti, perché sarà pur vero che nel mondo c’è ancora chi muore di stenti e di sfruttamento, sarà pur vero che c’è chi perde la vita nelle fabbriche annientato dalla mancanza delle più banali norme di sicurezza, ma è anche vero che non si può morire dietro ad una scrivania. Tocca gridare MOBBING senza vergogna, amica mia, e ricordarsi sempre che si lavora per vivere e che il Lavoro dovrebbe essere un Diritto di Tutti e non una concessione a pochi eletti.
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Commenti
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questo libro senza camminare anche con me!!!
grande Eva!!! anzi Grandiosa!!!
Grazie.
Amalia
gente dobbiamo urlare, ribellarci, protestare!!! è ora di finirla!!!
Stupenda!!!
ciao eva :-))))
La proiezione/fusione del romanzo con una storia vera che hai toccato con mano permette di sentire ancora di più il tema trattato, un sopruso viscido, non eclatante, sotterraneo ma grave e devastante.
R. è fortunata ad avere un'amica come te.
Mi associo ovviamente con Granny e Giovanna (sapeste le mie continue battaglie a riguardo! :)))
E grazie a Stefano che mi ritiene una buona amica :))..Ci provo! ;)
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