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Perchè non bisogna leggere la letteratura
Questo post è l'introduzione alla recensione di un libro che pubblico integralmente in quanto la sua lettura mi ha spinto ad acquistare il libro, a condividerne il giudizio di fondo e darmi la possibilità di aggiungere qualche mia modesta considerazione da bibliomane che, come gli affezionati cinque (!?) lettori di questa guida sanno, risulta essere la somma di queste entità: lettore+scrittore+bibliofilo=bibliomane. Questo libro è il classico perfetto esempio del male che può fare la letteratura ad un povero cristo che nasce lettore, cerca di diventare scrittore, una volta deluso del tentativo, diventa bibliofilo e si illude di sopravvivere collezionando maniacalmente tutti i libri che egli pensa gli possano dare una cultura. Salvo poi scoprire, a seguito delle tante sbandate prese durante la lettura, che la bibliomania è un pianeta senza vie di uscita che porta inevitabilmente alla follia della quale non se ne può fare a meno ...
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"Che razza di libro è mai questo che ho appena finito di leggere? Il mal di Montano, autore Enrique Vila-Matas dimostra che la letteratura è veramente uno strano fenomeno, se non un fenomeno complesso. È infatti qualcosa che si può leggere con trasporto, curiosità, partecipazione, divertimento, profitto e passione anche se non si riesce a capire precisamente di che si tratta. Villa-Matas del resto è uno specialista dell’ambiguità.
Il suo linguaggio inventa sotto i nostri occhi, tra verità e bugie, la propria credibile realtà. È una finzione che suona vera, una serie di paradossi del tutto plausibili, la farneticazione di un virtuoso attore in scena che ci parla nel modo più convincente di cose che non avevamo il coraggio di dire. Si tratta di un finto romanzo in forma di diario. O forse di un diario vero che a forza di prodursi cercando la propria forma si mette a inventare se stesso diventando narrazione di idee. Le idee si mescolano al racconto di eventi per lo più inventati, ma forse non del tutto.
Essendo un libro sulla letteratura, o meglio il diario di uno scrittore che parla in prima persona dicendo di essere malato di letteratura, potrebbe essere anche letto come critica letteraria travestita da romanzo. E in effetti nella prima delle cinque parti (la cui ampiezza è decrescente) l’autore dice di essere un critico letterario il cui il figlio, di nome Montano, dopo aver pubblicato un romanzo sugli scrittori che rinunciano a scrivere, è rimasto “intrappolato nelle maglie della sua stessa finzione e, malgrado la sua compulsiva propensione alla scrittura, finì per essere uno scrittore totalmente bloccato, paralizzato, agrafo tragico”. Il racconto, per così dire, si svolge tra la fine di un millennio e l’inizio del successivo.
Siamo cioè in un momento di trapasso, o almeno (come ci è appena capitato) in un momento nel quale i numeri con cui contiamo gli anni ci comunicano che possono verificarsi trapassi e mutamenti repentini e sensazionali: prima simbolici e poi reali. Ad un certo punto, senza nessuna insistenza o enfasi, così en passant, viene citato l’11 settembre 2001, a dimostrazione che il messaggio trasmesso in astratto dai puri numeri si è “incarnato” in un’azione eccezionale di svolta. La mutazione in realtà era stata annunciata da tempo, da qualche decennio: un fenomeno graduale che avrebbe tuttavia presentato delle periodiche accelerazioni di vario tipo, tecnologiche, politiche, spettacolari, psicologiche, sostanziali e nello stesso tempo di pura superficie.
Ma l’allarme da cui è assillato il narratore riguarda la letteratura, i suoi nemici, le malefiche talpe che lavorano a suo danno, i suoi insidiosi e onnipresenti demolitori e assassini: manager editoriali, falsi autori, solerti organizzatori di festival letterari. Vila-Matas scrive perciò il suo finto diario per registrare la vita e soprattutto i pensieri di un scrittore vero, cioè veramente ammalato di letteratura. Uno scrittore che non riesce a pensare e a scrivere se non ricordando e immaginando altri scrittori, citando le loro opere e soprattutto, nel suo diario, i loro diari. Il diario infatti sembra allo scrittore Vila- Matas e al suo fittizio e verisimile alterego la forma primaria, originaria, germinale e comprensiva di ogni altra forma letteraria.
Convinzione alla quale è indotto non solo dal suo amore maniacale per gli altri scrittori, che pensano per lui e a cui lui pensa, vivendo una vita vicaria e parassita. Fondamentale per la sua fede nei diari si rivela il fatto che la madre dell’autore, una madre malata di radicale malinconia, di inimicizia alla vita, nonché intossicata di barbiturici, non amava suo marito, aveva compassione di suo figlio, il futuro scrittore malato di letteratura, sognava un’altra vita e, soprattutto, scrisse segretamente un diario in cui era facile constatare che la forma del diario è la madre di tutte le altre forme letterarie, perché può contenere narrazioni, poesie, saggi completi o appena abbozzati, pagine autobiografiche. A questa donna, madre reale e madre simbolica, l’autore (nel senso di Vila-Matas o nel senso di colui che scrive questo fittizio diario, che diventa romanzo vero) dedica le pagine più belle del libro. Per questa donna l’atto di scrivere era e doveva restare un atto rigorosamente privato e segreto: al punto che rimase del tutto indifferente all’attività letterariamente pubblica di suo figlio.
Essere scrittori per gli altri voleva dire, secondo lei, non essere più essenzialmente scrittori: uscire dalla realtà dello scrivere per sé avendo in cambio l’irrealtà di chi lo fa alle dipendenze di un pubblico. La fama letteraria sarebbe dunque la massima, più pericolosa e falsificante alienazione, perché spinge uno scrittore a credere che quello che è coincide con quello che il pubblico crede che sia. Un libro sulla vita vera, su quella falsa e sulla continuamente annunciata morte della letteratura non potrebbe che essere abitato da questi pensieri. Vila-Matas è uno scrittore “al quadrato” che del tutto seriamente, con il massimo di orgogliosa e donchisciottesca vocazione al martirio, dichiara di essere privo di qualunque passione che non sia letteraria. E dal momento che, secondo certi studi critici, i diari degli scrittori del Novecento ruoterebbero intorno alla descrizione clinica di una qualche malattia in corso, ecco che descrivere in un diario la malattia di chi riesce a pensare il mondo solo per via letteraria, può produrre il diario dei diari, il diario perfetto.
La seconda parte del libro è scritta in forma di dizionario commentato dei più amati diaristi che il nostro autore ha scelto come propri mediatori, veicoli, suggeritori, fratelli e maestri nell’arte di scrivere un diario sulla malsana arte di scrivere: o meglio su quel malato particolare che è lo scrittore visto nella sua triste figura e vita quotidiana. Tra i maestri del diario, i più citati da Vila-Matas sono Gide, Kafka, Gombrowicz, Musil. Ma non mancano Renard, Pessoa, Mansfield, Woolf, Michaux, Pavese. Ma che cosa sono i diari, a che cosa servono? “Non conoscersi mai. E’ quello che Musil credeva succedesse con i diari intimi. Lui pensava che la diaristica sarebbe stata l’ultima forma narrativa del futuro, perché contiene in sé tutte le possibili forme del discorso. Ora, questo non lo diceva precisamente con entusiasmo, anzi credeva che fosse una perdita di tempo (…) Lo stesso diario che lui teneva illustra tale sfiducia verso il diario intimo (…) Nella versione di Musil il diario era il genere senza qualità per eccellenza”.
Ma quando si arriva a definire o costruire la propria identità, ecco che cosa dice l’autore: “Così come altri diaristi, non scrivo per sapere chi sono, ma per sapere in che cosa mi sto trasformando, qual è la direzione imprevedibile – scomparire sarebbe quella ideale, anche se forse no – verso cui mi sta trascinando la catastrofe. Non è, quindi, la rivelazione di alcuna verità ciò che il mio diario va cercando, ma la descrizione cruda, clinica, di un cambiamento”. La letteratura sono gli scrittori. E’ il loro modo di prendere il contagio, di ammalarsene, di “incarnarla” per l’ennesima volta dopo Don Chisciotte. Per sapere che cos’è lo scrivere e che cos’è la letteratura si deve quindi scrivere il diario di come uno scrittore vive e si trasforma. Su cosa vuole e non vuole, cosa desidera e teme. In quali circostanze di tempo e di luogo pensa quello che pensa scoprendo idee nuove. Che cosa è capace di inventare pur di riuscire a dire la verità mascherandone una parte. Perché, come ha detto Antonio Machado, anche la verità si inventa. E se la si cerca giorno per giorno, lo strumento letterario migliore è il diario: referto clinico minuzioso che ha bisogno di una certa immaginazione ben dosata per essere sia preciso che credibile. Non sempre, mi sembra, l’invenzione della verità è ben dosata in Vila-Matas.
Credo che il difetto di questo intelligente e insolito libro sia nell’impossibilità di trasferire al romanzo i poteri letterari del diario. Un romanzo scritto nella forma di un diario fittizio perde molta della sua forza di convinzione. Resta il fatto che i veri diari, come le vere biografie, sono incomparabilmente più interessanti dei diari fittizi e delle biografie romanzate. Non ci sono né formule infallibili né teorie o tendenze letterarie migliori di altre. Il realismo non è la soluzione. Ma il formalismo nemmeno. Personalmente mi atterrei alla più semplice, disarmata e pratica delle definizioni possibili di letteratura, una definizione che poteva andare bene nel Settecento e potrebbe tornare buona oggi: Letteratura è dire nel modo più interessante qualcosa di interessante, non importa a nessuno se inventando o no."
"Il Foglio" , 26/01/2006
Alfonso Berardinelli , "Qualcuno ha assassinato la letteratura e Vila-Matas cerca il colpevole"