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Un bestseller
Mi succede spesso: se un libro viene osannato, strapremiato, se non si parla d’altro… io non riesco a leggerlo subito. Magari lo compro, ma lo tengo a distanza fino a quando il clamore non si placa. In questo caso non l’ho neppure comprato: me l’ha prestato un’amica che me l’ha molto raccomandato.
Si tratta della “solita storia”: ex nazisti ormai in disfacimento che si sono impiantati con successo nell’attuale tessuto sociale, che non hanno abbandonato le proprie convinzioni, che si circondano di cloni di loro stessi, che sono sfuggiti ad ogni castigo per le atrocità compiute in passato e godono nel presente di ricchezze rubate alle loro vittime.
E poi il Simon Wiesenthal di turno che li scova, li costringe ad uscire allo scoperto e si impegna perché il castigo arrivi anche per loro.
Dico “solita storia” perché non è il primo libro che leggo incentrato su una storia di questo tipo, che ha sempre il suo fascino e … vende! Anche se i personaggi non hanno profondità, anche se non c'è una vera storia, anche se non aggiunge nulla al già detto.
Il libro è ambientato nel momento attuale e ormai i fatti sono talmente lontani nel tempo che sia i cacciatori di nazisti che i nazisti stessi sono decrepiti, e per creare un minimo di azione e movimento l'autrice affianca al nostro eroe una giovane donna che sarà la sua infiltrata all’interno della corte dei macilenti ex macellai e correrà per questo qualche rischio.
Il libro nel complesso mi lascia molto tiepida: non presenta sufficiente azione per catturare la fantasia, né ha il pregio di scavare a fondo nella psicopatologia del male o perlomeno nelle motivazioni della barbarie nazista.
I terribili gerarchi, intorno a cui il protagonista più che ottuagenario vuole stringere il cerchio, non sono che arroganti ex signori della morte, che vivono in un mondo molto chiuso che sembra un club per anziani e che proteggono con alti muri e qualche guardia del corpo un presente popolato di riti e festini a base di simboli che ormai hanno un significato solo per loro.
Finiscono col fare più pena che paura, contrariamente a quel che forse si prefiggeva l’autrice.
Il personaggio meglio riuscito è comunque il vecchio “cacciatore”, trascinato in questa storia quasi suo malgrado e sempre simpaticamente conscio delle limitazioni fisiche dovute all’età, cui supplisce con una discreta dose di ingegno e fantasia.
Vecchi nazisti dementi infelici e moribondi, vittime in attesa di giustizia ed anch’esse ormai prossime alla fine, un periodo storico orribile, ingiustificabile ed indimenticabile: su tutto questo il tempo che scorre ed elimina i protagonisti.
Mi viene in mente “La livella” di Totò: la storia si occuperà dei fatti e dei giudizi, degli uomini si occupa la morte.
[...]
E forse in quel momento, dentro un paio di jeans, un giubbotto col cappuccio e un logoro cappello da marinaio, il Macellaio di Mauthausen camminava con passo ostinato davanti a me, come se volesse aggrapparsi alla vita più che poteva.
In quel luogo che puzzava di carne bruciata e in cui esseri come Heim erano i signori della vita e della morte, smisi di credere in Dio, o almeno smise di piacermi.
Se il Dio dei campi verdi, di fiumi come il Danubio, delle stelle e delle persone che ti riempiono la vita di gioia era anche il Dio di Heim, delle camere a gas e di quelli che godono nel far soffrire gli altri, allora quel Dio non mi interessava, comunque venisse chiamato nelle mille religioni del mondo. Un Dio dalla cui energia provenivano sia il bene che il male non mi ispirava fiducia, così iniziai a vivere senza di lui questa vita che non avevo chiesto io. Neppure nei momenti peggiori l’ho mai invocato nei miei pensieri, e consiglierei a chiunque di cercare di passare più inosservato che può davanti a lui.
[...]
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Ciao,
Giò***