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Esiste la donna giusta?
Una storia, quattro voci narranti, lunghi monologhi per raccontarla da diversi punti di vista. Marai ci narra la vicenda e tu sei lì a leggere, ma ti senti come se fossi seduto in un elegante caffè di Budapest, o anni dopo, in un altro caffè di Budapest, o a Roma, in un albergo e dalla finestra si vede sorgere il sole, o molti anni dopo a New York, per sentire l’epilogo della storia. Stai lì incantato e incatenato pagina dopo pagina, ad ascoltare la donna che racconta del suo amore, di suo marito, che ha perso perché un giorno ha trovato per caso nel portafogli un pezzo di nastro viola. Così intuisce che nella sua vita c’è un’altra donna. Ma nonostante tutto continuerà ad amarlo, perché crede che “tutto nella vita passi, tranne che l’amore”. Nel secondo monologo è il marito della donna che parla e narra del suo matrimonio finito, perché amava un’altra donna che per lui era diventata “come un veleno mortale”. E questa donna, che racconta la sua versione nel terzo monologo, ci fa capire come l’amore possa trasformarsi in ferocia, avidità, desiderio di vendetta, contro tutti o forse solo contro noi stessi. Il quarto monologo è forse il meno appassionato, ma non per questo il meno bello. A raccontare è l’amante della seconda donna, un esule ungherese trasferitosi a New York in cerca di fortuna. Lui conosce la versione della seconda donna, la freddezza con cui l’ha raccontata ma anche la tenerezza con cui lo ha amato. E assiste, per caso, all’epilogo della storia.
Marai parla dei sentimenti, del matrimonio, dell’amicizia,(bellissimo il personaggio di Lazar, l’amico scrittore, anch’esso testimone silenzioso e bizzarro di tutta questa vicenda), come se essi nonostante la necessità, quasi la bramosia di provarli, sfuggissero e lasciassero solo un guscio vuoto nell’anima. E prendendo a pretesto il lungo evolversi della storia ci racconta anche vicende politiche e sociali, gli orrori della guerra,la bellezza della sua città, con leggerezza e realismo.
“Welcome, gentlemen. You are served, Sir.”
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