Dettagli Recensione
Un deja-vu dalle tinte noir
Pre-Scriptum:Onde evitare spiacevoli anticipazioni,sconsiglio a chiunque non abbia letto il libro di seguire il commento.
Di Nemirovsky non ho letto nulla,all'infuori di questo libro la cui curiosità mi è stata suggerita proprio dalle lodi qui tessute.
Conscio di non aver adeguati strumenti di paragone mi limiterò all'impressione che mi ha dato questa lettura.
Ho letto il libro con annoiato interesse,più per la speranza di trovare un piacevole risvolto che per il gusto di finirlo.
La storia non spicca d'originalità e lo stile pare ne voglia fare tristemente il verso.
Tutto gravita attorno al tema della giovinezza e d'una donna che graziata (o meglio dannata) da un'eterea bellezza ne sconta l'inevitabile declino. L'eterna giovinezza...argomento già trattato,magistralmente purtroppo, precludento così ogni futura rivisitazione;cosa che l'autrice ha avuto il coraggio di fare ma senza la maestria che ci si aspettava nel perseguire un simile tema. Il risultato è un'insipida emulazione,priva sia di spessore che di stile. Gladys Eysenach viene dipinta cosi, unicamente come una donna fatua,fragile,smaliziata e patetica. Il racconto segue ossequiosamente l'inevitabile patologia di una donna attaccata morbosamente alla sua giovinezza ma senza svelare le intime pieghe di una personalità che altrimenti appare frivola e scontata. Come scontata si rivela tutta la linea narrativa nel corteggiare una scrittura ripetitiva e frugale.Nemirovsky si limita a fare la cronista di una psicopatologia rubando in tal modo ogni sfumatura poetica;sfumatura tanto auspicata quanto necessaria nel dare un valore più profondo ad una storia dalle tinte falsamente introspettive.Persino nel momento più tragico della storia,alla morte cioè della figlia,la scrittura non si distacca da una indifferenza espressiva tale da contagiare persino la protagonista che appare in quel momento d'una disumanità imbarazzante. Qualcuno mi obbietterà ,giustamente, che proprio quello era l'intento.Certo, ma non posso fare a meno di notare più che un preciso fine,una certa povertà descrittiva nel tratteggiare le sfumate sottigliezze emotive del personaggio-e mi fa sorridere che qualcuno poco sotto suggerisce un accostamento con Dostoevskij,vero maestro nel descrivere le "pieghe" dell'anima.
Neppure la rivelazione finale,del misterioso ragazzo,conferisce sapore al racconto,rendendolo,al contrario,ancora più prevedibile.
Insomma,sono rimasto molto deluso. Ora,a me dispiace molto scrivere una cosi impietosa critica,sia perchè non è mia abitudine (preferisco vedere il lato buono più che il cattivo) sia perchè sò di non avere l'adeguata competenza per giudicare un lavoro letterario.Eppure non posso fare a meno di mostrare la mia contrarietà nel leggere un libro che,forse indebitamente,mi pare segua la falsariga di quello di Wilde.Credetimi che il paragone mi sorge spontaneo.
Detto questo non sconsiglio categoricamente la lettura dato che sicuramente Jezabel può essere un piacevole svago serale ma da prendere unicamente per ciò che offre,senza false promesse e forzate speranze.
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Commenti
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Ciao
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In poche parole, a mio parere il tema non era affatto scontato e consiglierei di cuore la lettura di Jazabel se non altro come bagaglio culturale e come strumento per difendersi da quegli stati struggenti, che specie nell'animo femminile, a volte causa l'inesorabile avanzare del tempo.
Ti ringrazio per questo confronto e ti suggerisco di leggere anche Suite francese: ti assicuro che Irene Nemirovsky è sul serio una scrittrice di talento.