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Cecità
Il titolo e alcuni passaggi del romanzo rendono la metafora narrata da José Saramago di un’evidenza disarmante. Forse sotto questo aspetto Cecità è un libro estremamente accessibile per chiunque. La trama, del resto, per quanto assurda, ha una sua logica che afferra il lettore dalla prima pagina e lo trascina fino all’ultima, in un crescendo di tensione e di piacevolezza per una lettura che raramente capita di avere tra le mani (sempre che per una storia così tremenda e dura “piacevolezza” sia il termine più adatto).
Nel romanzo la cecità è una malattia contagiosa che affligge pian piano l’intera umanità. Viene meno tutto, dignità, rispetto, regole, facendo diventare l’anarchia l’unica forma possibile di vita. I primi colpiti dalla cecità vengono rinchiusi in un ex manicomio. La loro malattia li porterà a vivere come bestie, in un mondo confinato in cui crudeltà, brutalità e ferocia sono le uniche possibili sfaccettature concesse. Ci saranno lotte con bande di ciechi malvagi, anche loro internati, ma non mancheranno momenti in cui si risveglieranno sentimenti veri e piccoli gesti di umanità.
La sintesi è estrema, ma… C’è qualcosa che non quadra. Troppo elementare la metafora, dicevo, come se lo scrittore con questo trucco della semplicità ti facesse scivolare in altro.
In cosa? Non saprei, posso solo dire ciò che ho provato io.
In altro… Be’, la prima cosa che mi ha colpito è stato l’aspetto esteriore, grafico delle pagine (come ha notato Crisk poco qui sotto). Non ci sono dialoghi messi in evidenza con segni di rimando a capo. Strana scelta, questa di Saramago, perché di dialoghi, invece, ce ne sono parecchi. Crisk ha definito “l’intonazione della lettura” difficile. E allora mi chiedo se non sia stato proprio questo l’intento dello scrittore, effetto puramente esteriore delle pagine, con l'obiettivo di sottrarre leggerezza agli occhi e rendere tutto, anche la lettura, difficilmente sopportabile.
Ma la lettura scorre.
Non si sa dove si è, non vengono nominati luoghi, né nomi di persone (il medico, la moglie del medico, la ragazza con gli occhiali scuri, il vecchio con la benda nera, ecc.). Che lingua parlino, e in quale luogo si trovino i personaggi non è dato a sapersi. Anche qui, ci si sente indotti a chiedersi Dove siamo? E allora, magari, si scopre che il territorio raccontato non è, ovviamente, reale, né immaginario, ma un “non luogo”, un territorio della coscienza, se non proprio dell’anima.
Difficile, però, parlare di anima per Saramago, lontano com’è stato, per tutta la sua vita, dalla Chiesa e da ogni fede (l’Osservatore Romano in un articolo pubblicato il giorno dopo la sua morte, per le parole usate “contro” Saramago sembrò tirare un sospiro di sollievo per la sua morte: che incredibile cecità!)
Ma la cecità dei personaggi, appunto, non è quella che si può pensare – buia, nera –, ma bianca. È possibile, allora, che ci possa essere una qualche attinenza tra questa luce data alla cecità e il destino di coloro che si abbandono a una fede senza se e senza ma. Una fede che acceca.
Mano a mano che si va avanti nella lettura ci si interroga per capire verso che cosa siamo ciechi e a causa di cosa ci ammaliamo di cecità. In questo il romanzo è grandioso: non dà indicazioni esplicite (così come nella metafora dell’intero libro), non offre punti di riferimento. In cambio, però, disegna un’infinità di gesti e sottolinea con cruda delicatezza così tante riflessioni che il lettore è portato a rallentare la lettura fino a fermarsi, per poi inevitabilmente chiedersi “Fino a che punto sono cieco anch’io?”
Ma che speranza dare a questa umanità non più capace di vedere? Cosa o chi può salvarla?
La speranza, per Saramago, è come il genere del sostantivo, femminile. Sarà una donna, l’unica finta cieca, ad aiutare ognuno, come infermiera di un inferno; sarà la stessa donna ad essere in grado di guidare ovunque i sopravvissuti; sarà una ragazza “facile” a fare da mamma per un ragazzo e, nello stesso tempo, a concedere minuti di piacere a chi è sul baratro della solitudine. Saranno tutte le donne a salvare gli uomini da una banda di malvagi, prima col loro sesso e poi con la loro astuzia.
Amore, maternità, aiuto, sesso, astuzia, tutte qualità che Saramago riserva unicamente alla donna, che reggerà come un peso, ma soprattutto come doni per una possibile redenzione umana, senz’altro non divina.
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Ciao,Katia.