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L'alidilà di una quattordicenne uccisa
Si sa, certi libri piacciono perché si leggono nel momento ‘adatto’.
Ora, io non so quale momento sto vivendo, so soltanto che questo libro mi ha spiazzata.
Devo dire che ha creato dentro me sentimenti ambivalenti: infatti ho dovuto aspettare un paio di giorni di decompressione per poterlo recensire.
La storia, se si vuole, è semplice: Suzanne – Susie per gli amici, e quindi anche per il lettore – ha 14 anni quando viene violentata e uccisa. La sua famiglia e gli amici ne resteranno sconvolti e dovranno affrontare la vita con la sensazione di vuoto creata dall’assenza della ragazzina.
Le fasi del lutto però non vengono affrontate in maniera classica, né tantomeno si legge da un punto di vista canonico. A parlare è la stessa Susie, costretta a condividere con il lettore la sua metabolizzazione della morte e quella dei suoi cari.
Di per sé neanche questo può sembrare a prima vista un elemento ‘straordinario’, eppure se ci si riflette su vengono i brividi a fior di pelle. Una ragazzina vede la sua vita finire per colpa di un maniaco sessuale ed è obbligata a guardare sulla Terra come si comportano le persone che ha amato. A me è venuta l’ansia, parlando francamente.
Ho proprio vissuto quel che viene definito ‘Turbamento’: a letto prima di addormentarmi ho addirittura dovuto leggere altro, chè gli incubi sennò erano dietro l’angolo.
Perché quando sfogli le pagine hai la sensazione che non siano i tuoi occhi a leggere le parole ma che accanto a te ci sia Susie a raccontarti la sua storia sussurrandotela nelle orecchie. Perché il racconto procede disincantato e l’amarezza sale ad ogni pagina. Perché il libro ha un che di maledettamente poetico e di delicato, ma allo stesso tempo è aspro e psicologicamente violento.
Forse l’aggettivo migliore per descriverlo è ‘crudo’, una crudezza non delle parole ma delle intenzioni delle parole.
Particolarmente interessante mi è sembrata anche l’idea della Sebold del Paradiso: ognuno ha il suo, creato a immagine e somiglianza dei nostri desideri terreni. Mi è sembrato un particolare così tenue e dolce da farmici abituare all’idea. Niente nuvole bianche né musica celestiale come sottofondo: d’oggi in poi mi immaginerò il Paradiso come uno spazio dedicato totalmente a me. Come quello di Susie, del resto: il gazebo, il cane, il nonno. Un Paradiso più ‘a portata di mano’ e meno colorato e new age del film di Jackson, che tanto mi era piaciuto.
In definitiva ‘Amabili resti’ è entrato nella rosa dei libri preferiti. Ma non so se mai avrò il coraggio di riprenderlo in mano. La lettura mi è sembrata così emotivamente stancante (l’ultima frase ad esempio è talmente semplice che mi ha tolto il fiato e regalato un fiume di lacrime) che probabilmente farò prendere un bel po’ di polvere al tomo prima di sfogliarlo di nuovo.