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Gaiman, tra mito e fantasia
C’era una volta Neil Gaiman, uno scrittore che scriveva da dio e che aveva deciso di scrivere un libro sugli dei. C’è riuscito, e il risultato del lungo lavoro è “American Gods”.
Prendete un uomo comune, un po’ incolto, detenuto da tre anni in carcere per amore (la moglie lo convinse a partecipare ad una rapina), senza sogni nel cassetto e con poca voglia di vivere. Fatelo uscire dal carcere per fine della pena e dategli due brutte notizie: la moglie in sua assenza l’ha tradito felicemente con il migliore amico di lui, Robbie, e i due (moglie e amico infedele) sono morti in un incidente stradale. Fate incontrare Shadow – questo è il suo nome, questo è il suo stile di vita, un’ombra ("Uno è soprattutto ciò che gli altri pensano che sia")– sull’aereo di ritorno con Wednesday, un tipo strano che gli offre un lavoro altrettanto strano e misterioso. Infilatevi nella mente di Shadow e vivete con lui gli strani e quanto mai vari incontri con gli amici sgangherati di Wednesday, tutti provenienti dall’Europa, che continuano a ripetergli che “la tempesta sta per arrivare”. E la tempesta non è niente meno che la lotta tra gli antichi dei (primi tra tutti Wednesday, oops, Odino) e i nuovi dei: internet, televisione, carta di credito e via dicendo. Non aggiungo altro alla trama, sia mai vi venisse in mente di leggerlo.
La storia avrebbe potuto evolversi in un milione di modi, dalla lotta fino all’ultimo sangue tra gli dei all’approfondimento psicologico del processo sociale di cambiamento degli dei da venerare, fino ad una connotazione più ‘gothic’, visto che il libro stesso si presenta come una ‘gothic novel’. Ciò su cui Gaiman si concentra, a sorpresa, è invece il viaggio itinerante di Shadow e di Wednesday in un’America provinciale intelligentemente dissacrata e sconsacrata, quasi come fosse dimenticata (apparentemente) dagli dei; un viaggio che serve a Wednesday per reclutare tutti i vecchi dei in attesa della battaglia. Ed è proprio questa attesa che rende la lettura concitata e permette a Gaiman di non esaminare troppo le dinamiche tra gli dei.
La storia è geniale e lo sviluppo particolare che ne consegue mi è piaciuto, ma se dovessi trovare un difetto a questo libro indicherei l’approfondimento psicologico presente ma che basta in parte al lettore, non solo della moglie defunta o degli dei (a volte stereotipati, ma spesso descritti con un’abilità introspettiva travolgente) ma anche dello stesso Shadow.
In ogni caso, il libro risulta piacevole alla lettura ed è pregno di significati velati narrati in una ‘novel’ con le caratteristiche di una favola ma con un ritmo surreale e onirico.
Ancora una volta Gaiman ha codificato un nuovo genere, e ancora una volta gliene sono grata.
C’era una volta Neil Gaiman.
Errata corrige: c’è Neil Gaiman, e da lui mi aspetto ancora tanti, tantissimi libri!
"La narrativa ci permette di entrare in altre menti, in altri luoghi, di guardare con altri occhi. E poi nel racconto ci fermiamo, prima di morire, op-pure un sostituto muore per noi, che restiamo in buona salute, e nel mondo di là della storia voltiamo pagina o chiudiamo il libro, tornando alla nostra esistenza.
Una vita che come ogni vita è uguale e diversa da qualsiasi altra"