Dettagli Recensione
Di insostenibile, qua, c'è solo il libro
Tutto qui?
Il tanto decantato “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, libro-culto degli anni ’80 con tanto di quarta di copertina - nell’edizione Adelphi - di Italo Calvino, è davvero solo questo?
Modesto nella trama (che si può ridurre al quadrilatero Tereza ama Tomas, Tomas ama Sabina, Sabina è amata da Franz ma non sa cosa vuole dalla vita), sempliciotto nello stile: ho letto di gente che l’ha trovato ostico. Dove, di grazia? Sembra scritto da un bambino! Si procede per coordinazioni, la sintassi è poco sviluppata e la frase più lunga che ho letto è di due righe e mezzo (il mezzo è importante, eh). Per non parlare del lessico; ma quello può essere ‘colpa’ della traduzione: ho attivato l’opzione ‘beneficio del dubbio’, se ve lo stavate chiedendo.
Non so, mi ha delusa. Tutta la bellezza promessa dalla fama che lo precede si ferma al titolo. Il resto è solo un presunto e spicciolo pistolotto filosofico di stampo esistenzialista che sostanzialmente gira a vuoto. Il libro si basa sul motto tedesco “Einmal ist Keinmal”, e cioè ciò che si verifica una sola volta è come se non fosse mai accaduto. Spunto interessante sviluppato nel peggiore dei modi: secondo Kundera – che ce lo fa sapere in mezzo capitoletto – ognuno di noi compie delle scelte nella propria vita che non servono a modificare il corso dell’esistenza, in quanto sono leggere.
Perché, mi chiedo, fermarsi alla teoria e non approfondire?
Perché Kundera è pigro, o forse non sa scrivere. O forse è talmente bravo che sa come si fanno i soldi. Perché Kundera è il papà di Coelho, abile nel vendere a peso d’oro banalità disarmanti.
Ho trovato classici dell’Ottocento molto - molto! - più moderni di questo libro scritto un ventennio fa. Per cui parliamoci chiaro e non diciamo che all’epoca le idee erano geniali, e che adesso chi lo legge lo può giustamente trovare ‘passato’. L’epoca in questione è vent’anni fa, svegliamoci.
Leggete piuttosto Hugo o Tolstoij, loro sì che scrivevano in un’epoca diversa dalla nostra e, guarda un po’, sembra di leggere qualcuno che abbia scritto ai giorni nostri.
Non sprecherò altre parole su questo libro.
Concedetemi solo un ultimo aggettivo: sopravvalutato.
Se ne avete sentito parlare (e molto bene, suppongo) non fatevi cogliere dalla curiosità insaziabile e fatene a meno. Mi ringrazierete.
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