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Eros e Thanatos
In un castello ai piedi dei Carpazi, circondato da boschi e dal silenzio, il tempo si è fermato. Da quarantuno anni nulla vi accade più e la vita resta sospesa tra ricordi e l’attesa. Un giorno una lettera sembra spezzare l’incantesimo; il contenuto, che non viene subito svelato, lascia presagire che qualcosa accadrà e il tempo riprenderà a scorrere. Non sarà così.
Tutta la prima parte del romanzo si svolge all’interno della rievocazione: il tempo è congelato e si può parlare soltanto del passato. La giovinezza del generale che abita il castello torna in primo piano, così come acquista spessore la giovinezza malinconica della madre e la figura mai chiamata per nome del padre. Di entrambi il generale ripeterà inesorabilmente il destino, vivendo diviso per anni da una moglie delusa che morirà prematuramente come già la madre, mentre lui, come il padre, si rinchiuderà nel casino di caccia del castello. Tuttavia c’è un’attesa: la lettera annuncia l’arrivo, dopo quarantuno anni, dell’amico d’infanzia, di gioventù, di vita, la cui scomparsa aveva fermato la vita stessa del generale. A quell’amico il generale deve chiedere qualcosa.
Il generale chiama a sé la vecchia governante e le ordina di far riaprire la sala chiusa del castello e di rimettere, con scrupolosa meticolosità, fin nei minimi dettagli, le stanze come si trovavano quarantuno anni prima. Anche la cena e i vini devono essere gli stessi, persino le candele di color azzurro. Tutto deve essere uguale, perché il tempo non è trascorso, tranne un dettaglio: un certo quadro non dovrà essere riposizionato al suo posto.
Nel corso della cena con l’amico di un tempo, molto sarà rievocato delle loro vite, senza alcun accenno al presente. Rievocazioni ossessive, colme di dettagli, perché, come il generale afferma, i particolari hanno importanza. L’amico è stato ai tropici per quarantuno anni, in un inferno d’umido e d’acqua dove la cosa più augurabile è morire: perché? Il generale se ne è rimasto chiuso nella sospensione e nell’attesa del momento, che finalmente è arrivato, in cui avrà forse risposta alle sue domande.
Gli chiederà, dopo tortuose ricostruzioni, asfissianti rievocazioni, deludenti lungaggini, descrizioni a volte perfino estenuanti, quello che è già chiaro dalle prime righe; gli chiederà infatti conferma e ragione di un tradimento. All’apparenza banale, l’amore per la stessa donna, moglie del generale, morta trent’anni prima e presente soltanto nel suo piccolo diario che finirà nel fuoco. Non si risponde a domande di questo tipo; è evidente che l’amico l’ha tradito con la moglie, che la moglie l’ha tradito con l’amico, che l’amicizia sacra è stata violata, come è evidente che l’amico e la moglie avevano progettato di uccidere il generale, ma di questo non ci sarà conferma. Sarebbe inutile: altra è la conferma necessaria.
Troppo diversi quegli uomini per essere davvero amici; divisi inesorabilmente dalla musica, dall’arte, dalla ribellione, dalla ricerca di libertà che l’amico condivideva con la moglie del generale, come con la madre di quest’ultimo, prigioniera in quel castello di un marito militare, come il figlio. Il padre del generale lo sapeva e mise sull’avviso il figlio adolescente; ma come il generale afferma nella notte del colloquio, gli opposti si attirano, non possono fare a meno l’uno dell’altro. Questa la prima risposta a una domanda non espressa, questo il vincolo di un’amicizia che non era tale.
La seconda risposta verrà data alla fine, mentre l’ospite prende congedo, dopo essersi rifiutato di confermare quel progetto di omicidio che forse il diario della moglie conteneva. Non era quella la risposta importante, dato che, dopo la caccia e l’omicidio non compiuto, era stato conferma del progetto lo stupore della moglie nel vedere il generale rientrare in casa. La domanda vera viene espressa con la mano sulla maniglia della porta: «“E a questo punto mi chiedo: la passione è veramente così profonda, così malvagia, così grandiosa, così inumana? Non può essere che non si rivolga affatto a una persona precisa, ma soltanto al desiderio in sé?”. “Perché me lo domandi?” replica tranquillamente l’ospite. “Sai bene che è così”.»
Le braci non sono quelle del fuoco in cui il diario della moglie brucierà; sono quelle dell’anima, di una passione che coverà per quarantuno anni. Sono le braci di un Eros inestinguibile che tende inesorabilmente al suo contrario e finché brucia desidera, anela, chiede anche quello che già sa, perché anche una domanda priva di risposta è un desiderio. Il generale sa benissimo che è la passione che ha tenuto vivi lui e il suo ospite per tutti quegli anni e che, dopo quel colloquio, non resterà nulla da desiderare. Eros si fonderà inevitabilmente con il suo contrario, Thanatos, che ha atteso quarantuno anni nel silenzio di un desiderio sospeso. Nel momento in cui non c’è più nulla da domandare, la tensione si spegne e il desiderio trova compimento nella propria morte. Non erano le risposte ad avere importanza, era la possibilità di chiedere; realizzata, nell’attimo conclusivo di una passione morta, non resta più nulla da vivere.
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