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Vivere per raccontarla
Una volta che la quarta di copertina di "Vivere per raccontarla" si presenta agli occhi...il primo istinto è di ricercare la foto di Gabriel da piccolo e ricominciare da capo...la sensazione è quella di essersi persi qualcosa, di non riuscire a credere di aver concluso quella finestra sul mondo misterioso e fantastico. Rimane la voglia di concludere immediatamente la sua bibliografia e ritrovare tutti gli articoli che lui ha scritto, ricercare le oltre quattrocento "La Giraffa" che ha firmato, partire per la Colombia e non tornare più. Per chi ama Gabriel Garcia Marquez, questa sua autobiografia è un atto d'amore, un regalo che Gabriel ci ha fatto. L'atmosfera che ci ha regalato in ogni romanzo è qualcosa di magico, come magici ha reso i luoghi di cui parla, ma questa sua ultima fatica è qualcosa di più, è rendere reale la magia, rendere vero ciò che sembrava finzione, ci regala insomma la speranza e la voglia di vivere, che lo ha accompagnato per tutta la sua esistenza. "Vivere per raccontarla" non è esattamente un'autobiografia, almeno non lo è nel senso che normalmente si attribuisce a questo termine, non inizia con la nascita del suo autore per arrivare al momento in cui egli scrive in un succedersi d'eventi, bensì un magistrale flusso di pensieri che raccoglie istantanee ambrate di un'esistenza che non è stata facile, che non ha regalato nulla....Si riesce a sentire l'odore dei luoghi descritti e quello stesso odore si mischia per confondersi con l'atmosfera rarefatta degli scenari dei suoi racconti...fino a rendere un unico incanto la favola di "Cent'anni di solitudine" e la vecchia Colombia degli anni '50...
La vita di Gabito attraversa gli stessi percorsi che tutti noi abbiamo intrapreso, la scuola, il liceo, l'università, i genitori che vogliono in ogni modo un figlio dottore, senza che il diretto interessato sia d'accordo, quello che cambia è il genio insito in lui e la bussola nascosta nel suo spirito nell'orientarsi in situazioni e luoghi in cui poteva trovare amici veri che lo avrebbero accompagnato, istruito, consigliato nel migliore dei modi. La sua caparbietà nel voler imparare a scrivere, quell'ansia da prestazione che lo ha accompagnato per tutta la vita, quell'insicurezza grammaticale che conferma la grandezza del suo genio. Il continuo fluire degli eventi personali finisce per intrecciarsi in un sinodo inscindibile con gli avvenimenti politici dell'epoca per sfociare come un fiume in piena nel sanguinoso 9 aprile 1958 di Bogotà, raccontato attraverso gli occhi di un "giornalista felice e sconosciuto", con particolare attenzione ai particolari, alla folla impazzita e al lato umano del presidente Gaitan accasciato a terra morto ucciso in un attentato. In sottofondo Mercedes lo accompagna per tutta la vita, come una presenza inarrivabile, come il sogno troppo sognato, come un desiderio troppo grande che si realizza...
Si potrebbe continuare a parlare ed a scrivere migliaia di parole su un libro che descrive alla perfezione quello che Marquez rappresenta: un incantesimo.
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Commenti
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una su mille ce la faaa :)
comunque brava
paola
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Grazie,
Amalia