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Un libro unico
Fernando Pessoa attribuisce questi scritti alla penna di uno dei suoi svariati eteronimi, Bernardo Soares, che in una lettera definisce un semi-eteronimo: “perché pur non essendo la sua personalità la mia, dalla mia non è diversa, ma ne è una semplice mutilazione: sono io senza il raziocinio e l’affettività”.
"Il Libro dell’Inquietudine" non è un romanzo, ma una sorta di diario, una raccolta di pensieri intimi e profondi, che copre l’arco di un ventennio; è arrivato a noi scritto su supporti diversi, a fogli sparsi, privo di un ordinamento stabilito dall’autore.
Come un diario è comodo da leggere: un brano alla volta, spesso appena poche parole, talvolta un paio di pagine o poco più.
Del resto leggerlo come fosse un romanzo sarebbe impossibile per la mancanza di una trama e impedirebbe di goderne appieno.
Pessoa è prima di tutto – prima che poeta, prima che romanziere, prima che drammaturgo – un pensatore: leggerlo è piacere intellettuale, è navigare nella poesia, è immedesimarsi in qualcuno che si descrive come nessuno, è astrarsi da una realtà che pure viene indagata in modo ossessivo ed analitico, è fargli compagnia nella solitudine.
Se un limite devo trovare in questo libro è la mancanza di un pensiero trascendente, una permanenza - certo voluta, ma alla lunga quasi soffocante - in una realtà senza via d’uscita.
Accostarsi a Pessoa è un’esperienza da provare almeno una volta: potrà piacere oppure no, ma è difficile restare indifferenti.
“Come esiste chi lavora per noia, io a volte scrivo perché non ho niente da dire. Le divagazioni inevitabili nelle quali si smarrisce chi non pensa, in quelle divagazioni io mi perdo scrivendo poiché so sognare in prosa”
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Commenti
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Grazie,
Amalia