Dettagli Recensione
Bella costruzione ma poco evoluta
Abbiamo letto “ Nel caffè della gioventù perduta “ scritto da Patrick Modiano.
Finalmente un romanzo originale, senza tempo e senza punti fermi ( è raccontato da tre persone differenti, in tempi differenti e sfuggenti ) dalla prosa semplice e imprevedibile; dallo psicologismo solido ed essenziale, privo di dettagli che appesantiscono la storia e di barocchismi inutili come ci siamo abituati dagli anni della fine dl romanzo ( per certi versi ci ricorda cinematograficamente l’ultimo Antonioni, quello di “ Al di là delle nuvole “, ma c’è anche la malattia dei sentimenti tipico dell’Antonioni prima maniera, e letterariamente anche di Cesare Pavese ). Non è tuttavia nemmeno un capolavoro, l’idea della storia è forte ed enigmatica, la struttura spiazzante e intrigante ma Modiano non sembra riuscire a mantenere quello che si era prefisso e a volte cade in un certo romanticismo esistenziale. Potremmo dire che i protagonisti sono delle isole nella corrente che si possono vedere ma non toccare veramente, isole circondate dalla nebbia dei sentimenti e dai trascorsi duri e infantilmente devastati. Uomini e donne soli che vivono come possono, così estranei al mondo da preferire risiedere in albergo o in case spoglie; ossessionati chi dalla teoria nietzsciana dell’eterno ritorno chi dall’ossessione di dimenticare visi e fatti - che una volta segnati su un’agendina diventano spesso dati senza colore ed emozione – chi dal bisogno di vivere in zone neutre per vivere al confine di tutto, chi, invece, pur cercando verità attraverso il lavoro di investigatore preferisce non terminare quello che può, chi fugge dalle angosce dell’infanzia e dai sentimenti più profondi che non potrà allontanare; e ancora giovani studenti che non sanno essere studenti, giovani scrittori che forse lo diventeranno e un’umanità di persone che si incontrano tutte le sere al caffè Condé o a La Pergola, dalle parti del carrefour dell’Odeon: in piena zona San Germain, in piena zona Cave esistenziali. E infatti, non notati, i nostri protagonisti potrebbero sfiorare Sartre o la Greco o la Yourcenar.
La storia, scritta con elisioni che rasentano la svagatezza, ma con una puntigliosità quasi maniacale di strade, luoghi e indirizzi, è soprattutto quella di Jacqueline detta anche Louki nella sua vita parallela, una giovane donna di poco più di vent’anni, dall’esistenza misteriosa e davvero se stessa nell’indefinitezza dell’essere e quando vive in quel momento della fuga in cui chi ha lasciato non sa dove si trova e chi l’incontra non sa nulla di lei ( per l’appunto quando si vive nelle zone neutre, semmai in penombra ). La breve vita di Louki è raccontata in quattro blocchi, da quattro “ voci narranti “, da un suo amante ( da giovane e poi da uomo adulto, stanco e sconfitto dai ricordi perduti ), da un investigatore privato, da lei stessa e in minima parte e trasversalmente dal giovane marito che la perde senza sapere perché e per come. Ma il racconto degli uomini è più un’elaborazione del proprio punto di vista che non di un ricordo oggettivo ( tasselli che servono anche se non razionalmente a ricostruire la vita di Louki – con delle implicazioni da noir ), tutti in qualche modo sono innamorati di lei ma nessuno l’ha mai ‘ avuta ‘ veramente per sé. E tutto ciò che succede gravita in un modo o nell’altro con il caffè Condè e si muove in un luogo concentrato ma anche lontano che si estende tra le due rive della Senna come se fossero luoghi a sè stanti; tra San-Germain-des-Pres, Le Luxembourg da un lato e Place Blanche e Place Des Abbesses dall’altro.