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io, clone triste
Ho letto in fretta i giorni scorsi questo romanzo - che avevo acquistato tempo addietro e lasciato li alla polvere - in modo da riuscire a terminarlo e poter vedere nei cinema l'omonima trasposizione cinematografica prima che la affrettata distribuzione italiana lo faccia scomparire dagli schermi.
Capita raramente che un film superi l'opera originale da cui e' tratto. Al momento ricordo solo Blade runner e I ponti di Madison Square, entrambi nettamente superiori al testo da cui sono stati tratti, ma ne esisteranno probabilmente ancora altri.
Certamente la regola vuole che l'adattamento cinematografico sbiadisca in parte le emozioni della pagina scritta, arricchita dalla personale percezione e immaginazione che ogni lettore riesce a dare del testo, diventando ognuno un regista di un proprio adattamento personale ed interiore.
In questo caso tuttavia la convincente trasposizione di Marc Romanek contribuisce a chiarire e comunicare indizi che Ishiguro, scrittore pudico e delicato, omette o tarda a chiarire nel romanzo, concentrandosi fin troppo nei sentimenti dei singoli protagonisti.
Si perche' dopo le prime 50 pagine al lettore interessa soprattutto sapere cosa ci sta sotto a tutta questa organizzazione che alleva giovani e sani virgulti isolandoli dalla vita e dal caos cittadino; che complotti sono stati orditi e come sono stati concepiti questi ragazzi, e se essi siano davvero la carne da macello che si intuisce (solo e vagamente) siano.
Il fatto poi che l'opera sia un romanzo/film di fantascenza ambientato in un passato recente, e' certamente un'aspetto originale, che rende certamente piu' agli occhi che sulla carta.
In entrambi i casi se ne esce con una grande tristezza (al cinema qualche spettatrice si asciugava imbarazzata liquidi lacrimoni).
E il bel volto triste e dolente di Carey Mulligan (giovane e lanciatissima star molto dotata ed espressiva), che alla fine del film si rassegna ad una fine sacrificale ormai vicina, e' davvero straziante e giustifica episodi di sentita commozione da parte del pubblico. Per il lettore (per me lettore), un senso di disorientata, infinita tristezza.