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Some of these days/Yuoll’ll miss me honey
Bisogna munirsi di molta pazienza e di non poca determinazione per arrivare alla fine de La nausea senza farsi venire… la nausea. Se poi si è in un periodo particolarmente difficile, di depressione o, per così dire, di crisi esistenziale, meglio lasciare perdere sin dall’inizio. A meno che non si accetti un testo, tutt’altro di facile comprensione, come messaggio catartico in grado di portare oltre “la vacuità dell’esistere” grazie ad un’approfondita panoramica “dell’inferno del quotidiano”. Quasi come mostrare ad un fumatore accanito gli effetti della sigaretta: lo vedi a cosa porta il tabacco? Ebbene, tu cerca di esserne consapevole, di accettarlo e dopo di che, smetti prima che puoi.
Ma andiamo per gradi.
Se ci si vuole imbarcare nel pensiero sottile (e di sicuro contorto) del Sartre de La Nausea, può essere d’aiuto sapere che lo stile è discretamente semplice ed il linguaggio per nulla complesso.
L’opera era stata originariamente intitolata Melancholia, termine che a sua volta trae origine dal greco melancholía, composto di mélas, mélanos (nero), e cholé (bile), quindi bile nera, uno dei quattro umori dalle cui combinazioni dipendono, secondo la medicina greca e romana, il carattere e gli stati d'animo delle persone. Di per sé quindi ciascuno dei quattro umori non costituisce una malattia ma un loro squilibrio può però esserne la causa fino a degenerare nella morte. Altro indizio per comprendere i temi trattati dall’autore che ha comunque il merito d’essere riuscito a preconizzare disturbi di cui la società odierna pullula e che uniscono la sfera psichica a quella esplicitamente somatica.
In seguito, nell’ultima edizione del 1938, il testo assume il titolo definitivo ed attuale; si presume perché più appropriato, e verrebbe da farci una battutina ma è meglio proseguire spediti.
Eccolo qui il nostro protagonista: Antoine Roquetin, un intellettuale che, per completare le sue ricerche storico biografiche sul libertino Marchese di Rollebon, si trasferisce a Bouville dove sperimenterà per la prima volta la Nausea, riportando tutto minuziosamente in una sorta di diario.
Ciò che salta agli occhi è l’odio di Antoine nei confronti dell’ambiente convenzionale ed ermeticamente chiuso della piccola borghesia di provincia, “questi imbecilli” che escono con aria sicura dagli uffici,“dopo la giornata di lavoro, e guardano le case e le piazze con aria soddisfatta, pensano che é la loro città, una bella città borghese e non hanno paura, si sentono a casa propria…”. (Non se ne voglia chi uscendo ogni giorno dall’ufficio fa la stessa identica cosa! Oppure se la prenda con Sartre e faccia un approfondimento sul concetto borghese dell’epoca.)
Da questo senso di assoluta estraneità e di profonda solitidine, scaturisce uno strano e vacuo sentore del mondo circostante, oggetti inclusi. E Antoine scrive: “M’è accaduto qualcosa, non posso più dubitarne. È sorta in me come una malattia, non come una certezza ordinaria, non come un’evidenza. Si è insinuata subdolamente, a poco a poco (…). Una volta installata non s’è più mossa. (Ed) ecco che ora si espande”. È la Nausea, nient’ altro che lo stato fisico ed il sentimento derivante dalla scoperta dell'essenziale assurdità e contingenza della realtà.
Il mondo non ha un senso, così come non ha un senso l'esistenza, e questo provoca la nausea, un disgusto di tutto: oltre che degli uomini, buffi manichini inautentici, anche delle cose che sono gratuite e ingiustificabili.
Insomma, è inutile perdersi e vagare per le strade, analizzare ogni singolo oggetto, sfogarsi sessualmente con la proprietaria della locanda, osservare i movimenti ed ascoltare i discorsi altrui: il mondo straripa di nullità e tale nullità è insita nelle cose stesse e non nel sentire dell’uomo. Per fare un esercizio alla Roquetin, basterebbe ad esempio stringere in mano un bicchiere ed accorgersi che quel bicchiere abita semplicemente la mano, non ha un suo reale senso o una necessità d’esistere, non possiede di natura tutta l’importanza che le persone gli attribuiscono, non crea un collegamento tra il segno ed il significato.
A questo punto della storia, molti abbandonano (e sono perdonati!). Altri (io almeno ci ho provato) si aggrappano alla speranza che la salvezza risieda in Anny, l’amata del protagonista dedita ai “momenti perfetti”, ovvero alla costruzione di quegli istanti che danno un senso alla vita.
I due si incontrano dopo ben quattro anni di assenza in una camera d’albergo, ma vana è la fiducia che Antoine ed il lettore riponevano nella donna per la “guarigione” dalla “malattia”. Sfortunatamente, in quanto Dio li fa e poi li accoppia, pure Anny ha infine scoperto la vacuità e la Nausea, non c’è più nulla da dire né da prendere.
E allora?
Allora, il vero segreto sta forse in quella canzone che Antoine ascolta ancora una volta in una delle sue ultime serate a Bouvelle, una canzone che lo fa “soffrire a tempo” (finalmente!), una canzone che gli si rivela come la salvezza di colei che la canta.
Ecco la via d’uscita, dunque: vivere la vita, piuttosto che raccontarsela, senza sperperarla in vani ricordi e ponendosi un progetto che può essere una canzone o qualsiasi altro fine.
Abbiamo sudato sette camicie ma alla fine ce l’abbiamo fatta: il messaggio che lasci, Roquetin, non è per nulla nauseante. E la lettura, nel complesso, è un vero concentrato di spunti per interessanti riflessioni ed una vasta gamma di approfondimenti che mai nessuna recensione o commento potranno in qualche modo sostituire.
Io fondo, non diceva così la canzone?
“… Some of these days
Yuoll’ll miss me honey…”
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Commenti
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brava!
@Faye, meglio non troppo avanti con l'età: almeno lo metabolizzi e non ti causa rimpianti o rimorsi.Fidati! ;)
comunque grazie :))))
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