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recensione di Alberto Ferrari
Quando lessi per la prima volta un libro di Murakami ne ricavai, fra gli altri stimoli, un netto impulso a scrivere in proprio, a cimentarmi con la narrativa, quasi che la sua maestria nel raccontare fosse contagiosa. Cosa esattamente mi affascinava della sua scrittura da avere un riverbero così diretto sulla psiche? La capacità di tradurre in esperienza estetica la normalità. Se Murakami riesce a dare forma e dignità di rappresentazione al vivere quotidiano anche quando è fatto di gesti e incontri all’apparenza normali se non banali, vuol dire che anche la mia esistenza, del tutto “normale”, può ragionevolmente sperare di essere rappresentata, essendo pur sempre l’esperienza di un testimone dei nostri tempi. E’ l’atteggiamento mentale che i libri di Murakami vanno a stimolare. In altre parole, la sua scrittura fa venir voglia di scrivere.
Quando mi sono imbattuto in questo libro, in cui Murakami racconta della sua passione per la corsa podistica e per lo sport in generale, ero certo che avrebbe rafforzato la mia voglia di scrivere e, per osmosi, corroborato quella di fare jogging. L’argomento rientrava appieno nella categoria per cui lo scrittore esercita l’ascendente di modello letterario. Infatti, cosa c’è di meno eroico che parlare della propria passione per la corsa se la si pratica come esercizio fisico fine a se stesso? Il rischio di essere banale a ogni rigo sembra molto alto, eppure lui, avendo questo dono di dare un tocco epico ai gesti semplici della vita quotidiana, ero certo che avrebbe trovato quel significato in più per giustificare il titolo, per guidarci alla fonte di una nuova esperienza estetica del personaggio che dice io, che in questo libro è perfettamente sovrapponibile con l’autore. Scopriamo così che la passione di Murakami per la corsa va di pari passo con quella per la scrittura.
Quando, nel 1981, dopo i primi incoraggianti esordi letterari, chiude il locale notturno a Tokio e decide di concedersi un anno sabbatico per cimentarsi a tempo pieno nella scrittura, Murakami sente il bisogno di cambiare stile di vita. Niente più sigarette, un deciso ridimensionamento nel bere e la pratica della corsa per tenere a freno la pinguedine che la sedentarietà del nuovo lavoro sembrava stimolare, insieme all’età che avanza. A poco più che trent’anni Murakami rispolvera le scarpette ginniche dei tempi dell’università e affianca la corsa alla scrittura. In breve tempo si accorge che lo sport è disciplina che stimola a darsi degli obbiettivi nella sfida contro se stessi e i propri limiti fisici e psichici, dopo aver capito che correre è fatica fisica ma anche mentale. Pur essendo una pratica individuale, la corsa per Murakami è anche condivisione con gli altri, da cui la sua partecipazione a un’infinità di competizioni in diversi paesi, nei quali la professione di scrittore talora ne giustifica la presenza. Sappiamo che ha corso tante maratone, tra cui parecchie edizioni della maratona di New York.
A un certo punto, dopo i cinquant’anni, decide di mitigare l’asprezza della preparazione del maratoneta con un allenamento più consono all’età, così opta per il Triahtlon. Corsa, nuoto e bicicletta a spezzare la ripetitività di un gesto unico praticato a lungo, cui vanno aggiunte la conseguente usura di muscoli e articolazioni e la comprensibile stanchezza mentale. Così assistiamo al Nostro che, spronato da nuovi e più ragionevoli obiettivi, sta mettendo in pratica i consigli degli specialisti a cui si è rivolto per migliorare le prestazioni nelle due nuove discipline, nelle quali, quando vi si accinge, ha necessità di affinare la tecnica. Corsa o Triahtlon, gli influssi benefici dello sport sulla sua professione di scrittore non cambiano. Ogni giorno è cadenzato sia dal tempo per la scrittura sia da quello per l’attività fisica, dove una pratica è ormai diventata consustanziale all’altra, al punto che non gli è più chiaro se è lo sport a fare da metronomo alla scrittura, oppure la scrittura a farlo alla pratica sportiva, scoprendo così che corpo e mente sono indissolubilmente legati, nel bene e nel male, nella disciplina, nel piacere, nella sofferenza e nella scoperta e nell’accettazione dei propri limiti, che poi sono quelli della condizione umana.
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E tu sei riuscito a darne una sentita espressione con questa bellissima recensione.
Grazie!