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Vite in bilico nella città delle Torri gemelle
Il libro si articola in un prologo e quattro “libri”, i primi tre dei quali divisi in dieci capitoli.
Il prologo e i due capitoli finali del primo e del secondo libro sono dedicati alla storia romanzata, ma basata su episodi e fatti reali, dell’impresa dell’equilibrista Philippe Petit che, il mattino del 7 agosto 1974, camminò e fece diverse evoluzioni su un cavo teso tra le cime delle Torri Gemelle del World Trade Center, ancora non del tutto terminate.
Negli altri capitoli nascono, si dipanano e si intrecciano tra di loro, alcune più strettamente, altre appena sfiorandosi, le storie dei molteplici personaggi di invenzione - più complessa ed elaborata per alcuni, più sommaria per altri - che concorrono alla composizione del romanzo, rapportandosi variamente all’evento reale del funambolo.
Il tempo in cui si colloca la gran parte del romanzo è l’inizio degli anni ’70, gli anni della guerra del Vietnam, di Nixon, di Kissinger; il libro conclusivo opera un salto temporale, collocandosi quasi ai giorni nostri, nel 2006, quando oramai le Torri sono state cancellate dallo skyline di Manhattan.
I luoghi sono quelli del Bronx degradato, del Village, di Lower Manhattan, dei quartieri alti di Park Avenue. Altrettanto differenziata è la varietà dei personaggi: i due fratelli immigrati dall’Irlanda, uno dei quali affiliato ad un ordine monastico, prostitute che si tramandano il mestiere di madre in figlia, l’immigrata latino-americana, la nera Gloria proveniente dal Missouri e dalle battaglie per i diritti civili, esponenti pienamente integrati della borghesia medio-alta, come il giudice Soderberg e la moglie Claire, il pittore di graffiti, informatici alle prese con le prime fondamenta di quella che sarebbe poi divenuta la rete Internet.
Una particolarità anch’essa assai efficace nella caratterizzazione dei personaggi – e direi non solo di quelli principali – sta in una narrazione che riesce a sorprendere mettendone in evidenza aspetti, o cambiamenti, inattesi o, comunque, fuori degli schemi che pur potevano sembrare plausibili. E anche per i personaggi più sgradevoli, almeno al primo impatto, o comunque più distanti da chi legge – per scelte di vita, temperamento, gusti, valori – ci si può sorprendere a provare comprensione ed empatia. Il pulsare e il vorticare di questo mondo si riflette efficacemente nella diversità delle voci narrative e dei punti di vista che l’autore mette in campo, spesso con variazioni repentine, quasi da equilibrista, come a riflettere, anche sotto il profilo formale, il funambolismo della traversata a mezz’aria tra le Torri.
L’incipit è estremamente efficace nel creare un’atmosfera eterea, irreale, quasi magica, cui si contrappone l’ansia della folla sottostante, polarizzandosi in forme tra loro contrapposte, di angosciosa pulsione di rimozione e di morte o, al contrario, di appassionato sostegno e speranza nella riuscita dell’impresa impossibile. Contro tale atmosfera si staglia ancor più concreta ed evidente la corporeità sofferente e sofferta delle vite vissute dai personaggi: vite sempre in bilico tra le spinte verso la ricerca di gratificazioni, il nutrimento e il coronamento di aspirazioni talvolta indistinte, o che, talora, possono virare rapidamente in direzioni inattese, da un lato, la strettezza cogente della necessità o, più semplicemente e rudemente, del caso, da un altro lato e, ancora, i vincoli di un passato non superato, della faticosa elaborazione di perdite e lutti. Vite, in certo modo, cioè, da funamboli, che non di rado si manifesta in termini letterali nei modi in cui taluni dei personaggi si aggirano lungo le strade della metropoli.
Quella della traversata aerea tra le Torri diventa così un motivo unificante della narrazione anche in senso metaforico e simbolico, oltre che sotto il profilo dell’interazione dell’evento di apertura, più o meno diretta e casuale, con le vicende dei diversi personaggi. Del resto l’Autore è assolutamente esplicito, in proposito, nella nota posta alla fine del volume. Diventa perciò davvero arduo capire e giustificare la scelta dell’editore italiano nel dare il titolo al romanzo di McCann sostituendo al verso di Tennyson – che pure è lo stesso che dà il titolo al quarto capitolo del “Libro primo”, sebbene tradotto con qualche enfasi “Lascia che il mondo giri in vortici infiniti” – un verso tratto dall’”Inno alla gioia” di Schiller.