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Una sublime elucubrazione
Juan Pablo Castel è un artista a trecentosessanta gradi: arte è il suo lavoro, arte è il suo modo di vedere e criticare la società, arte è il suo modo di amare Maria Iribarne. A tratti indolente a tratti frenetico, Castel incarna una sorta di lente sul mondo: con lucida franchezza esprime la propria critica sulla società a lui contemporanea, isolandosi sempre più da chi lo circonda.
Il tunnel è la sua vita, quella che lui stesso ama costruirsi: non si sente mai veramente emarginato dal mondo, è proprio lui a volersi creare uno spazio d'azione al di là di tutto ciò che è il comune vivere degli altri uomini, un tunnel appunto, che però lo conduce lentamente all'autodistruzione. Castel cammina per strada incontrando solo ombre, come se vivesse lui solo al mondo. In questa sua misantropia si apre una breccia quando i suoi occhi s'infiammano allo sguardo di Maria che osserva un suo dipinto; in quel momento un'epifania: al mondo esiste qualcuno che comprende la sua arte e in particolare il simbolismo della finestra raffigurata sul dipinto; da qui, la frenetica rincorsa per fare in modo di rivederla, l'ossessiva preparazione al primo incontro, i suoi monologhi interiori turbati, pieni di apprensione, maniacali. Castel trova in Maria non solo l'amore spirituale e carnale, trova l'unica persona che egli reputa in grado di entrare in empatia con lui e con il suo mondo, l'unica persona che ha dimostrato spontanee qualità e perciò è degna del suo rispetto e del suo amore. Quando però comincia a vedere con lucidità che Maria non è la creatura ideale che egli aveva costruito ad arte, il suo mondo inizia a sgretolarsi e altra via non gli resta che quella dell'omicidio.
L'aspetto meraviglioso, a mio parere, di quest'opera di Sabato, è che il rapporto di reciproca empatia che Castel crede di provare con Maria, viene invece spontaneamente instaurato con i lettori: allora la finestra assume per noi un significato ancor più profondo: è quello spiraglio da cui Castel ci permette di partecipare della sua vita in una condizione di estrema fiducia, perciò non ci sogneremmo mai di giudicare l'esposizione dei suoi pensieri come sterili elucubrazioni e nemmeno la sua critica sociale come gelido cinismo; Castel ci cattura e, per quanto possibile, ci avvicina e ci fa sentire parte del suo avulso mondo. Personalmente ho condiviso stati d'animo con lui, ma anche con Maria, straordinaria quanto normalissima figura femminile. Lo stile dell'autore passa come in secondo piano: è talmente efficace e vivida la confessione di Castel che la affrontiamo come se fosse una storia vera, raccontata dal protagonista in prima persona, in modo allucinato, psicotico, ma sempre terribilmente realistico: l'autore diventa Castel.
E' un romanzo breve ma difficile da rendere in una recensione; voglio perciò ringraziare Giovanna che, con la sua, mi ha fatto scoprire questo autore e questo splendido libro.
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Recensione superba!
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