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Più western di John Ford
Una sera, di una dozzina di anni fa, alla tv (credo che la trasmissione di chiamasse “Tandem”, ma non vorrei sbagliarmi) ascoltavo Alessandro Baricco leggere un brano tratto dal romanzo “Oltre il Confine” di un autore americano: Cormack McCarthy. Parlava di una lupa legata ad un palo che fissava negli occhi l’uomo che le stava dando la caccia. Mi piacque così tanto quella breve lettura (e l’entusiasmo di Baricco) che il giorno dopo comprai il libro e per non sbagliare ne presi anche un altro dello stesso autore: “Cavalli Selvaggi”. Lessi il primo che già mi piacque tantissimo, ma soprattutto lessi, subito dopo e per mia fortuna, il secondo: che meraviglia !!! Assolutamente uno dei libri più belli che abbia mai letto, in vita mia. Romanzo che è scritto con un linguaggio talmente asciutto da prescindere da segni di punteggiatura, non vi si trovano, infatti, le virgolette per i dialoghi, e fortuna che i personaggi parlano poco, anzi pochissimo! E’ ambientato nell’immediato dopoguerra (1949) ma sembra di trovarsi in un’epopea ottocentesca dei miti del western, dove regnano i grandi spazi e gli infiniti silenzi, con il giovanissimo protagonista, John Grady Cole, che fugge da un mondo che non sente più suo e, per inseguire un sogno, si reca in Messico dove viene a contatto con l’amore e la morte. Deve rinunciare all’amore per la bella Alejandra e deve soffrire per l’assurda morte di chi gli sta accanto. Come in ogni western che si rispetti l’eroe resta solo a cavalcare nel sole che tramonta, ma forse il nostro John Grady sta cercando ancora un mondo che ormai non esiste più. Davvero splendido ed anche gli altri due romanzi della trilogia, il già citato “Oltre il confine” e l’altro “Città della pianura” sono molto belli.
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Ciao, faye