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Betty
 
Betty 2010-08-29 07:30:05 ferrarideandre
Voto medio 
 
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Stile 
 
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Contenuto 
 
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ferrarideandre Opinione inserita da ferrarideandre    29 Agosto, 2010
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un perfetto romanzo psicanalitico

Recensione a”Betty” (1961) di George Simenon, Adelphi, Milano 1992-2008.
di Alberto Ferrari

Poche parole fra un uomo e una donna al tavolo di un locale fumoso a Versailles, che scopriremo essere la tana degli svitati, come Mario, il proprietario, chiama affettuosamente la clientela alludendo ai vizi da cui è afflitta, che sono poi quelli di chi vive di notte: l’alcol, il sesso e la droga ad alleviare un’esistenza difficile.
Poche parole e chi è lei comincia a uscir fuori insieme ad alcuni dettagli: il corpo minuto, il viso grazioso, gli abiti eleganti che indossa ormai da più giorni, da quando vaga senza meta per Parigi. Chi è lui, il dottore, un drogato all’ultimo stadio, distinto nei modi e nel vestire, non avrà sviluppi ulteriori, perché Simenon, in questo primo romanzo pubblicato in Italia da Adelphi, di quelli che il grande scrittore francese ha scritto senza le inchieste di Maigret, vuole parlare di lei soltanto, Betty, appunto.
Betty è una donna che non ha più argini contro il bicchiere e le avances degli uomini. Il marito l’ha colta in flagrante. Il classico imprevisto e lui e la suocera fanno ritorno a casa anzi tempo trovando Betty completamente nuda sul divano del salotto tra le braccia del giovane amante, mentre le figlie dormivano nella stanza accanto. Ma non è di tradimento che si sostanzia il dramma di Betty. Anche se dopo il fatto il marito la costringe a firmare un’ammissione di colpa con la rinuncia alla potestà sulle figlie. Il vero dramma è che Betty è una ninfomane. E nel raccontarci la vicenda di Betty Simenon ci propone la storia dell’iniziazione sessuale di una donna nella società borghese del dopoguerra. Scopriamo che Betty, a soli otto anni, viene mandata a vivere dalla zia quando la Francia viene invasa dalla Germania, perché i suoi genitori la credono più al sicuro nella campagna della Vandea che non a Parigi. A undici anni Betty scopre che il marito della zia è solito abusare sessualmente della docile ragazza di quindici anni che presta servizio come cameriera. La zia, scoprirà Betty, sa tutto ma preferisce far finta di niente. Quando lo zio si accorge che Betty li ha visti, minaccia di farle lo stesso trattamento nel caso in cui avesse spifferato qualcosa. E’ questo l’antefatto traumatico che fissa nella mente di Betty l’idea che diventare donna equivale all’accettazione rassegnata di un patimento fisico, di un sopruso da parte di un uomo-padrone. Donna è colei che risulta irrimediabilmente sporca e ferita per la perdita della verginità.
L’idea di sporcizia e sudiciume nel caso di Betty è una variante dello “sporco” rapporto col padre. Prima che la guerra separasse per sempre padre e figlia, Betty era una bimba felice. Suo padre sapeva farla divertire e, a suo dire, la trattava già da donna, avendo intuito la sua precoce femminilità. Evidentemente la bambina vagheggiava congiunzioni simboliche con il padre non proprio pudiche. Ecco perché Betty, nemmeno troppo nascostamente, proverà invidia per Thérèse, la cameriera che doveva soddisfare le voglie degli uomini, a cominciare dallo zio burbero. Ma dalla sublimazione del rapporto con il padre, probabilmente Betty avrebbe tratto la sicurezza necessaria per affrontare gli altri uomini senza il senso di sporcizia e peccato, che invece si fissa nella sua psiche come una cisti a causa della prematura e irrimediabile perdita: il padre verrà giustiziato dai tedeschi per rappresaglia a guerra ormai finita. Inoltre, in quella fase in cui il rapporto con il padre era in divenire, la madre, da terzo incomodo, non lesinava le proprie critiche. Per il suo lavoro di chimico-droghiere il padre di Betty indossava un grembiule molto sporco che la moglie gli rimproverava di frequente. In senso traslato lo sporco, nella precoce psiche di Betty, diventa il giudizio morale della madre verso il rapporto esclusivo fra padre e figlia. Crescendo Betty si sentirà sempre quello sporco addosso, fino ad andarselo a cercare nei momenti di “pulizia”, quando cioè diventerà la moglie di uno stimato borghese e la madre di due tenere bambine, ricorrendo al tradimento coniugale fino all’impudicizia di portarsi l’amante a casa.
Ma nel locale di Mario, dove le anime ammaccate di Parigi sembrano rotolare verso una buca sicura, anche Betty scoprirà una nuova sensazione di calma, incontrando un uomo in grado di capirla nell’incomprensibile mutevolezza dei suoi stati d’animo.
Per una donna che sembra rinascere a nuova vita, una di sicuro muore volontariamente: colei a cui Betty sottrarrà l’uomo, perché se l’adagio vuole che le belle donne bisogna sempre portarle via qualcuno, probabilmente gli uomini interessanti anche. Ma questo della donna non più giovane che si toglie la vita per amore sarebbe un'altra storia, che Simenon lambisce soltanto, proprio per non rovinare la pregevolissima confezione del dramma psicoanalitico fatto su misura per Betty.

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Pregevole recensione!
Un saluto, faye
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22 Giugno, 2014
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...a parte che Simenon era belga e non francese! (Liegi 1903)
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