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La strada
 
La strada 2010-07-21 18:00:51 ferrarideandre
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ferrarideandre Opinione inserita da ferrarideandre    21 Luglio, 2010
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un libro etico

Recensione a “La strada”, Cormac Mc Carthy, Einaudi, Torino 2007
di Alberto Ferrari
Un uomo e un bambino, un padre e suo figlio vagano tra le lande caliginose di un mondo che fu. Un disastro nucleare, o qualcosa di strettamente imparentabile, ha distrutto praticamente tutto. Tutto è bruciato e poi riarso, fuso e raffreddato, assumendo in alcuni casi forme bizzarre. Come i palazzi superstiti, sbilenchi a causa del calore infuocato, con le finestre panciute come se fossero guarnite dal pasticciere a completamento di una torta a più piani. La natura stessa altro non è che un ammasso di rottami bruciati. Nei boschi le piante si schiantano a terra come in domino spettrale. Fra questa immane desolazione c’è ancora qualche essere umano condannato a vivere. Sarebbe stato cento mille volte meglio morire anziché dover scontare un’agonia tanto atroce. Ma il gioco della sorte fra chi muore e chi sopravvive a una disgrazia è imperscrutabile. I vivi si rassegnano cercando di adattarsi meglio che possono, oppure si ribellano ponendo fine a una vita inaccettabile. Così farà la donna, moglie e madre di quell’uomo e di quel bimbo per sottrarsi alla violenza carnale e al cannibalismo delle bande di predoni che vagano come indemoniati. Lei vorrebbe uccidersi insieme al figlio che ha da poco partorito, per sottrarre entrambi alla furia inaudita di chi verrà un giorno a stanarli da dove sono nascosti. Ma il marito glielo impedisce, così come impedisce a se stesso di seguirla nel bosco con un’arma in pugno da rivolgere, alla fine, contro se stesso. Quell’uomo sente che se mai un giorno il mondo dovesse offrire una chance all’umanità, vuole che quella chance sia per suo figlio. E così loro due, padre e figlio, si mettono in cammino. Dopo anni sono ancora lì sulla strada a spingere un carrello del supermercato con dentro le poche scorte, lesti a scansare tutti i tipi di incontri. La direzione è verso sud, dove da sempre ogni uomo crede di trovare un clima più mite. Nel caso loro, più mite rispetto al freddo polare che non gli sta dando tregua insieme alla pioggia, a tratti battente, e alla cenere, che ricopre ogni cosa di grigio. Oltre insegnare al figlio a difendersi e a procacciarsi il cibo – alla ricerca degli alimenti rimasti dalla società che fu – il padre deve trasmettergli l’etica della sopravvivenza. E così scopriamo, nel linguaggio basico del figlio, che loro sono i buoni, e lo sono perché hanno il fuoco dentro; inoltre loro non mangeranno mai la gente, neppure se dovessero morire di fame, come per altro spesso sembra stia per accadere. Mangiar la gente è cosa da cattivi. E i cattivi vanno evitati perché pericolosi; se non è possibile evitarli, vanno affrontati e uccisi. In ogni caso, loro non devono cadere vivi nelle mani dei cattivi, per nessuna ragione. Nel corso della narrazione il bambino ripete più volte questi insegnamenti a voce alta insieme al padre, e intanto acquista fiducia in essi, al punto che il padre vedrà nel figlio la personificazione del Bene.
Mc Carthy ci consegna un romanzo che si regge su un rapporto umano rappresentato in un contesto esistenziale estremo. Quello che colpisce è che l’eccezionalità della situazione non muta l’etica dell’esistenza. Questo è il messaggio di questo splendido romanzo di formazione. Non è la sopravvivenza che detta le leggi dell’etica, bensì l’etica è una legge innata che trascende la contingenza, per quanto estrema quest’ultima possa diventare. Infatti gli antropofagi, che sopravvivono nel modo più primitivo e bestiale, hanno fatto una scelta si pone al di fuori dell’etica. Per loro vivere non ha nessun senso al di fuori della sopravvivenza. Viceversa il padre e il figlio vivono perché hanno un obiettivo etico. Anche il suicidio della madre è una scelta etica. La donna rifiuta l’abiezione di un esistenza moralmente indegna con il suicidio. Il marito non ha argomenti da obiettare alla scelta della moglie. Non la biasima. Semplicemente lui si mette al servizio del figlio, secondo un disegno etico che prevede sì la remotissima ipotesi di un domani normalizzato, ma soprattutto che prevede la concreta ipotesi di un oggi da vivere eticamente, non importa quanto difficoltoso ciò possa diventare. E così l’unico bene che vale davvero la pena di salvaguardare per la posterità è il Bene inteso come legge morale. E nessuno meglio di un bambino è in grado di tramandare questo bene, dopo che un padre gli ha insegnato a custodirlo.

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