Cent'anni di solitudine Cent'anni di solitudine Hot

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saby Opinione inserita da saby    11 Giugno, 2022
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Realmente Surreale

“Le stirpi condannate a cent’anni di solitudine non avevano una seconda opportunità sulla terra.”

Nel Caribe colombiano si respira un’atmosfera soprannaturale, un mondo impregnato di tradizioni, creato da leggende e reso magico da accadimenti miracolosi raccontati attraverso la chiaroveggenza.

In Cent’anni di solitudine le vicende di sette generazioni di una famiglia i Buendìa, dal capostipite Jòse Arcadio che fonda il villaggio di Macondo, sua moglie Ursula Iguaràn nonché sua cugina di primo grado, ossessionata dal mettere al mondo un figlio con la coda di maiale, si intrecciano con la storia della Colombia, dal periodo colombiano 1830 alla depressione economica post bandiera 1930.

Gabriel García Márquez riesce magistralmente a raccontare tutti gli aspetti della vera storia della Colombia, creando un’opera d’arte, un quadro variopinto dal folclore dei personaggi con sventurati amori e passioni maledette al limite del grottesco, superstizioni alimentate dall’ignoranza, ma profondamente radicate nella cultura, dove il mondo dei vivi si intreccia con il regno dei morti, in un connubio surreale, la solitudine che si instaura inevitabile in ognuno dei componenti della stirpe, e l’arretratezza che suscita stupore nel scoprire cose nuove come il ghiaccio. Con una prosa intricata molto elaborata e ricca, fa letteralmente cadere in questo mondo grazie anche a quel realismo con un pizzico di fiabesco e stravaganza, anticipando gli eventi senza comportare disturbo, ma ingolosendo il lettore, e la sconfinata immaginazione dell’autore rendono questo romanzo un capolavoro.

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resme94 Opinione inserita da resme94    08 Novembre, 2020
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Buendia

Se non avete mai letto "Cent'anni di solitudine", smettete di leggere questa recensione.
Il libro di Gabriel García Márquez richiede di essere letto senza alcuna anticipazione o aspettativa.
È la storia familiare dei Buendia che attraverso varie generazioni rivela le loro virtù e le loro debolezze.
È anche una storia di tradizione con le sue superstizioni e credenze.
Márquez riporta il lettore ad un epoca lontana che dà la sensazione di essere seduti accanto ad un vecchio che racconta favole.
Quest'atmosfera è incrementata dalla nota di soprannaturale che alleggia attorno tutte le vicende dei Buendia.
In più,  la similitudine dei nomi dei personaggi richiede ulteriore attenzione alla storia.
Infatti, l'edizione che possiedo riporta alla fine l'albero genealogico dei Buendia che mi ha aiutata quando per un giorno non potevo proseguire la lettura.
Questo dettaglio ha infastidito molti lettori e ha portato a molti giudizi negativi.
Personalmente, non ho riscontrato questo "fastidio", perché ho finito in libro in breve tempo e mi ha dato modo di non confondermi facilmente.
Un aspetto che ho particolarmente apprezzato e che ha reso più reali i personaggi, è stata "l'onestà" dello scrittore.
Racconta le loro storie, non per farli piacere al lettore o con una morale, ma semplicemente per ciò che sono, senza fronzoli.
Márquez mi ha definitivamente conquistata e non vedo l'ora di leggere altre sue opere.
Se amate le storie familiari con velo di mistero, questo è il libro adatto a voi.



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selena penzo Opinione inserita da selena penzo    14 Settembre, 2020
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"IL TEMPO NON PASSAVA, MA CONTINUAVA A GIRARE INTO

“Non provò né paura, né nostalgia, ma una rabbia viscerale al pensiero che quella morte artificiosa non gli avrebbe permesso di conoscere la fine di tante cose che lasciava incompiute.”
Se dovessi riassumere in una riga il contenuto di questo romanzo direi che è la semplice storia di sette generazioni di una sola famiglia, i Buendia. Ma questa è solo la superficie di un racconto che è stato come un colpo d’aria che mi è arrivato dritto allo stomaco: sono finita per entrare così tanto in sintonia con i personaggi, con le loro vicende e le loro disgrazie, che alla fine della lettura mi sono sentita completamente destabilizzata. Se chiudo gli occhi, riesco ad immaginare il profumo e l’aspetto di Macondo nella semplicità del suo brulicare di abitanti, dello studio del colonnello Aureliano, della bananiera, dei mandorli e delle farfalle gialle di Meme.

Allora, da dove partire per descrivere le emozioni che questa storia ha suscitato in me?
Innanzitutto, il romanzo straborda di personaggi con personalità, caratteristiche e aspirazioni diverse le une dalle altre e il cui unico denominatore comune è la solitudine: la solitudine da cui sembra impossibile scappare e dalla quale non possono nascondersi. Nella visione della vita di Marquez, sembra non esserci via d’uscita dal dolore, dalle sofferenze e dalle disgrazie, se non l’accettazione del destino e l’attesa della morte, che fa scivolare inevitabilmente qualsiasi cosa nell’oblio. Marquez riesce a racchiudere in quest’opera svariati temi, come l’isolamento, la scienza, la magia, i miti, il tempo e la resurrezione adottando uno stile tutto suo. La storia, infatti, è narrata con uno stile elaborato e personale, ricco di prolessi che anticipano drammaticamente gli avvenimenti ancora da narrare. Così, nonostante tu sappia già in che modo si concluderà la vita di ogni singolo personaggio, non sai quali siano le cause e le circostanze che lo guidano a tale destino: perché forse, talvolta, l’importante non è la meta, ma è il viaggio che ti riporta a giungere tale meta.

Devo dire, però, che le sensazioni che mi hanno portato a scriverne un commento, non sono sempre state così, anzi: per le prime cento pagine non riuscivo a cogliere l’importanza e la portata del messaggio che Marquez voleva trasmettere. Non riuscivo a leggere quell’imperscrutabile disegno che solo nell’ultima riga del romanzo mi è sembrato finalmente chiaro, profondo e inaspettato. La storia di questa famiglia così variegata ci viene presentata come un processo ciclico e, come tale, si ripete infinitamente e meccanicamente. Non c’è felicità e possibilità di riscatto per la famiglia Buendia, condannata a girare intorno per l’eternità, in un processo ciclico la cui la sola via d’uscita sembra essere, appunto, la morte.

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Beatricenevolo Opinione inserita da Beatricenevolo    05 Marzo, 2020
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IL LABIRINTO

Marquez, per chi probabilmente non è abituato ad uno stile ricco,spesso caratterizzato da lunghi e complessi periodi ,può apparire come una sfida insuperabile. L'esempio portante di ciò è a mio avviso "Cent'anni di solitudine".
Tante sono le vicende narrate che si incrociano tra loro andando a creare molti filoni narrativi che spesso disorientano il lettore,portando coloro che non sono completamenti attratti dall'opera a un bivio:scegliere se continuare la lettura o abbandonare, soccombere alle scelte stilistiche e allo stile narrativo e compositivo dello scrittore che però proprio grazie a quest' opera nel 1967 ha ricevuto il Premio Nobel.
Tanti gli eventi di natura completamente fantastica,ma anche amori osceni,epidemie,guerre,scoperte per portare il progresso a Macondo che fanno dell'opera una delle più ricche e caratteristiche della sua epoca.

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cristiano75 Opinione inserita da cristiano75    27 Settembre, 2019
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Montagne russe e poi lei: Remedios la Bella

Questo capolavoro, ha tre parti a mio avviso.
La prima, credo la più geniale mai scritta, in cui vi è un turbine di vicende incredibili, uniche, esaltanti con un a infinità di personaggi che sono uno più interessante e caratteristico dell'altro. Insomma in questa prima parte del romanzo, si toccano vette altissime dell'arte dello scrivere.
Poi sopraggiunge una parte, piatta, ripetitiva e inconcludente, che è il nocciolo del racconto.
Credo sia questo normale, poichè sarebbe stato assurdo e irreale che l'autore avesse potuto proseguire a inventare personaggi e situazioni al limite di ogni possibile struttura immaginifica.
Quindi si arriva per forza di inerzia alla terza parte, quella finale che secondo me tocca delle vette di scrittura che sono degne dei classici russi.
Il finale poi è qualcosa di talemente sublime, atroce, irripetibile e grandioso che per il mio umile parere può essere annoverato tra i primi tre finali più belli della storia della letteratura mondiale.
Quando penso a questo finale, ho la pelle d'oca poichè in poche righe il genio dello scrittore, traccia il destino poi di ogniuno di noi.

Vorrei fare una digressione, su un termine spesso usato durante la lettura "vento perenne", che qui assume dei significati quasi biblici. Una definizione unica e meravigliosa che si staglia come una lama nei destini di molti personaggi che troverete durante la lettura.

E poi tra i tanti indimenticabili personaggi uno che più di tutti mi ha colpito è quello della bella, meravigliosa Remedios. Talmente sublime nella sua figura, che tutti coloro che hanno la fortuna-sventura di osservarla, sono quasi presi da un senso di disperazione per l'enorme desiderio che suscita in tutte le persone che la guardano. Perchè come diceva o scriveva il buon Gabriel Garcia: "Remedios la bella emanava un alito di conturbamento e una raffica di angoscia: gli uomini affermavano di non aver mai sofferto un’ansietà simile a quella che produceva l’odore naturale di Remedios".

Grazie Gabriel per averci donato bellezza e fantasia.

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La Lettrice Raffinata Opinione inserita da La Lettrice Raffinata    03 Giugno, 2017
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Alla ricerca della solitudine

Folli, instancabili, passionali, coraggiosi, geniali. E soprattutto intimamente soli. Questa è la famiglia dei Buendía, protagonista indiscussa del capolavoro di García Márquez. Una famiglia in grado di creare e poi distruggere un intero villaggio, Macondo, l'intrigante scenario delle vicende verso il quale anche coloro che viaggiano lontano non possono fare a meno di essere attratti e fare ritorno.
Le vicende sembrano un ciclo continuo, un eterno ripresentarsi degli stessi oggetti, delle stesse situazioni e anche degli stessi personaggi. Creando non poca confusione nel lettore infatti, l'autore assegna a più personaggi lo stesso nome, nonché un simile carattere o la propensione a compiere determinate azioni. Difatti, una delle maggiori abilità di García Márquez sta nel non dimenticarsi mai di nessun elemento presente nella narrazione, ma anzi facendolo ricomparire nel momento più inatteso; l'unica eccezione è data dal San Giuseppe di gesso, destinato a non tornare al suo vecchio proprietario.
Risulta arduo collocare la vicenda in un determinato arco temporale, specie a causa del totale isolamento del villaggio nei primi anni della sua fondazione, quando solo le carovane degli zingari osavano affrontare i pericoli della foresta per portare a Macondo le loro futuristiche conoscenze.
Alternando descrizioni dal lessico raffinato ad una estrema semplicità nei dialoghi, in perfetto accordo con il carattere dei personaggi, García Márquez ci trasporta al centro delle vicende dei Buendía, partendo dai capostipiti José Arcadio e Ursula, per poi proseguire con molti Aureliano e altri José Arcadio: un cosmo di personaggi in continua ricerca della solitudine o che, più frequentemente, si abbandonano ad essa come alla solo certezza nelle loro vite.
Se i Buendía, bevitori di caffè senza zucchero, sono i protagonisti, è parecchio ostico individuare un chiaro antagonista: infatti anche i personaggi che presentano dei comportamenti maggiormente denigrabili si riscattano agli occhi del lettore e vengono perdonati; un'eccezione potrebbe essere presentata dalla compagnia bananiera, ma anche in questo caso non si innesca nessuna vendetta o ritorsione di sorta.
L'universo in cui si muovono i personaggi presenta poi un'altra affascinante caratteristica, il cosiddetto "realismo magico": la semplice gente di Macondo non esita a credere ad ogni sorta di magia o superstizione, e l'elemento fantastico non rimane una mera illusione, diventando reale e tangibile in più occasioni. Sembra anzi che con l'avanzare del romanzo, la magia si palesi in forme sempre più forti e concrete. Va però precisato che certi segni, come pure gli spettri frequentatori della magione dei Buendía, non sempre sono visti e percepiti da tutti, come se scegliessero a chi vogliono rivelarsi. Magia e spiritismo sono comunque vincolati a delle leggi, e ciò contribuisce a renderli anche più reali e realistici.
Altro espediente utilizzato dall'autore con grande maestria è l'anticipazione di un determinato evento; alcuni fatti, anche fondamentali per la trama, vengono preannunciati già prima che si gettino le basi per la loro attuazione, ma ciò non diminuisce la suspense e invoglia anzi a proseguire nella lettura per scoprire cosa porterà lì la trama.
Interessante notare come l'autore e alcuni suoi colleghi abbiamo un piccolo cameo nel libro, come gli unici amici di Aureliano (Babilonia) Buendía.

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the boy who read Opinione inserita da the boy who read    26 Agosto, 2016
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Macondo e la famiglia Buendìa, due storie un final

Oggi vado a recensire in assoluto il mio libro preferito. Scritto dal premio nobel Gabriel garcia marquez questo romanzo narra delle vicissitudini della famiglia Buendìa, raccontando le loro vicende tramite molteplici generazioni.
Il libro è intriso di realismo magico ed è un romanzo che ha rilanciato la letteratura latino americana in tutto il mondo.
Lo stile è assolutamente sublime, a tratti ci sono dei periodi abbastanza lunghi ma nel complesso il libro si lascia leggere. Non è però uno di quei libri che ti divori,perchè questo romanzo va assaporato parla per parola, capitoli per capitolo fino ad arrivare all' epilogo. Su quest'ultimo mi vorrei soffermare perché é qui che viene rappresentata la solitudine della famiglia Buendìa e di come ogni generazione alla fine torni all'inizio della precedente. Insomma è una sorta di cerchio che si ripete ogni volta e l'elemento fondamentale che lo contraddistingue è la solitudine.
Figure centrali nel racconto di Marquez sono le donne che sono le uniche persone, nel libro, che hanno una forza tale da tenere in piedi la baracca fino all'amaro epilogo.
L'universo creato da Marquez rappresenta i popoli latino americani ed infatti gli stessi popoli hanno eletto tale romanzo come romanzo che in 300 e più pagine delinea tutte le cartatteristiche del popolo sud americano.
La cosa che, dopo tutto ciò che ho detto, mi ha colpito di più sono i momenti in cui cè l'unione tra il surreale ed il reale, come quanda nella morte del capostipite dei Buendìa piovono fiori dal cielo come se fosse una cosa del tutto normale.... assolutamente incredibile. Non cé una netta distinzione tra fantasia e realtà qui è un tutt'uno dove i 2 elementi vengono miscelati alla perfezione.
P.s. Nel libro vengono trattati eventi realmente accaduti, non a caso il libro riprende molte delle caratteristiche del romanzo storico, di cui il maestro indiscusso è Manzoni

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Aureliano Di Tommaso Opinione inserita da Aureliano Di Tommaso    29 Dicembre, 2015
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Magnifico incantesimo, un sortilegio tutto umano

"Cent'anni di solitudine" è la storia della famiglia Buendia, dai tempi della fondazione della mitica Macondo alla sua evoluzione. Da Melquiades con le sue profetiche pergamene fino al piccolo Aureliano che va a scoprire il ghiaccio, passando per Pilar Ternera, meretrice piena d'amore logoro, Marquez ci dipinge splendidi personaggi che illuminano precariamente come stelle il cielo di una solitudine atavica e quasi divina. Un secolo di vita della stirpe dei Buendia viene raccontato tramite singoli avvenimenti che, sebbene svoltisi in un lungo periodo di tempo sembrano coesistere in un solo attimo, in una Macondo in cui il tempo sembra girare in tondo senza portare alcuna novità o miglioria.
L'intera storia è intessuta di eventi magici e portentosi legati ad un destino infallibile in un'atmosfera che sembra satura di un greve sentimento di solitudine che accompagna i personaggi dall'inizio alla fine, in un crescendo che culmina nella follia o in amori velenosi. Anche i morti tornano sulla terra, divorati dal peso della solitudine, per trarre compagnia dai loro stessi boia. Il lettore viene condotto in un universo a sè, in un'opera tutta umana e raffigurante come un dipinto la condizione dell'essere su una terra aspra che sembra respingere ogni vita. Se il lettore resta amareggiato dalla lettura di un romanzo colmo di malinconia, resta anche completamente irretito e affascinato dalle stupende immagini di un universo magico: dalla bufera di minuscoli fiori gialli che si depositano come neve fresca a farfalle color del sole che circondano i personaggi in un'aura di mistero e magnifico incantesimo, in un sortilegio tutto umano. Straordinaria la capacità di Marquez di fare della linea temporale un filo di lana da arrotolare e srotolare sulle dita, da tagliare e da ricomporre a proprio piacimento. Tramite una lettura ricca di splendide e musicali espressioni possiamo immergerci nella cisterna del "realismo magico" rimanendo folgorati da uno stile portentoso e lirico. Dopo aver letto "Cent'anni di solitudine" è inevitabile sentirsi cittadini della magica Macondo sperduta nella palude e paradigma dell'esistenza umana e percepire un legame, nel profondo, con la stirpe dei Buendia.

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letterata curiosa Opinione inserita da letterata curiosa    03 Agosto, 2015
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Affascinante

Libro indubbiamente originale sulla famiglia dei Buendia, raccontata nel susseguirsi delle generazioni.
Il lettore viene catapultato in uno strano universo, composto da un piccolo villaggio sperduto abitato da personaggi molto strambi che funge da contesto ideale per riflettere sul tema della solitudine umana.
A tratti potrebbe risultare ripetitivo in quanto di generazione in generazione si ripropongono nomi e vicende simili, ma a ben vedere Marquez non narra nulla di superfluo. Ogni particolare, ogni dettaglio descritto è in realtà fondamentale ed indispensabile per ritrarre la cultura di un popolo, per restituire un'idea completa della famiglia Buendia, con i suoi soli e le sue ombre.
Sicuramente non è una lettura da spiaggia, è un testo impegnativo, ma il finale è una trovata davvero geniale e leggerlo ha premiato tutta la mia fatica.

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Opinione inserita da Maria Concetta    17 Settembre, 2014

Al di là di ogni strettoia razionale, nell’abisso

“Cent'anni di solitudine” 1967 del Premio Nobel colombiano Gabriel Garcia Marquez, rappresenta una tappa significativa nella storia evolutiva del romanzo moderno.
Il primo vero romanzo (è chiaro, in sede, d'"Alta letteratura"), inteso come azioni vissute da
personaggi, raccontate in prosa da una voce narrante, nasce come romanzo storico: "Ivanhoe"
dello scozzese Walter Scott, dove però la storia funge ancora da sfondo, mentre il primo "vero"
romanzo storico nasce in Italia con A. Manzoni: "I Promessi Sposi", dove la storia è
protagonista. Nonostante la lontananza sia geografica che cronologica, mi sento di evidenziare
una certa affinità fra quest'ultimo e il romanzo di Marquez. Ambedue le opere sono un misto di
storia e invenzione. Ne “I promessi sposi” la storia è realisticamente vera e influenza la vita dei
personaggi al punto tale da far affermare al grande critico Luigi Russo che "vero protagonista
dell'opera è il seicento", in "Cent'anni di solitudine" la storia come metafora o allegoria viene
trasferita in un'altra dimensione, dove domina il "surreale".
Cosi la fondazione di Macondo da parte del capostipite della famiglia, Jose Arcadio Buendìa,
e gli eventi successivi (l'arrivo degli zingari, della chiesa e del "correggitore" governativo
conservatore) sono la metafora della fondazione della Colombia moderna (intorno al 1830) dopo la dissoluzione della grande Colombia di Simon Bolivar; la guerra dei mille giorni (1899-1901) ovvero la guerra del colonnello Aureliano Buendìa, conclusa con la pace di Neerlandia, è l'allegoria della capitolazione dei liberali nella "piantagione banani di Neerlandia", mentre
l'episodio del ghiaccio è la metafora dell'arrivo della tecnologia, ma anche dei nord-americani
della multinazionale "United Fruit Company". L' "invenzione" ne "I Promessi Sposi" è
il "verosimile" cioè un' invenzione scaturita dalla ragione, in "Cent'anni di solitudine" si tratta
invece di un' invenzione partorita dalla fantasia irrazionale, che corre incontrastata tra i meandri
dell'inconsapevolezza, sconfinando nel surreale. La novità quindi del romanzo di Marquez va
ricercata nel rapporto col mondo, che avviene attraverso la fantasia dell'inconscio.
In effetti è proprio il modo di filtrare la realtà che ha differenziato e caratterizzato la produzione
letteraria in genere, romanzo compreso, nel corso della storia della letteratura.
Cosi si passa da "I Promessi Sposi", in cui il rapporto col mondo avviene attraverso ragione
e sentimento, ai romanzi naturalisti e veristi in cui l'autore si limita, secondo i canoni di quel
periodo letterario, a fotografare la realtà: "Impersonalità dell'arte", a "Il ritratto di Dorian Gray"
di Oscar Wilde o a "Il piacere" di D'Annunzio, dove il rapporto con la realtà avviene attraverso
i sensi, o ancora, in seguito alla scoperta della psicanalisi, ai romanzi di Pirandello, Svevo,
Joyce, dove il rapporto col mondo viene gestito dalla psiche o, meglio, dall'inconscio.
Ecco perchè, come già detto, il romanzo di Marquez rappresenta una tappa interessante
nell'evoluzione di questo genere letterario, in quanto cambia il rapporto col mondo: esso
avviene attraverso la fantasia, che si muove nel labirinto dell'inconscio per cui diventa surreale
e necessiterebbe pure di nuove tecniche espressive.
Come si potrebbe definire la tecnica espressiva mediante la quale l'autore, entrando nel
profondo del personaggio "Ursula", esprime l'intuizione o la telepatia della disgrazia nel
momento in cui muore il figlio Josè Arcadio? Tale presentimento viene allegoricamente
materializzato da un rigagnolo di sangue che, dalla casa di Josè Arcadio, scorre fino a
raggiungere la madre Ursula, che si trova nella cucina della propria casa. La vista del sangue
rappresenta il presentimento della sciagura da parte di Ursula, ed il rigagnolo dello stesso,
che la guida verso il luogo della disgrazia, rappresenta quel "sesto senso", inconsapevolmente
nascosto nel profondo dell'inconscio.
Ma, come si potrebbe definire tale tecnica espressiva? Forse "flusso dell'inconsapevolezza"?
o "allegoria dell'inconscio"?
A chi di dovere l'"arduo compito".

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LoveLiga Opinione inserita da LoveLiga    11 Settembre, 2014
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Storia di solitudine e passione.

Non amo soffermarmi sulla trama, poiché già ben condensata nel titolo, e voler aggiungere ad esso altre precisazioni dilungherebbe eccessivamente il discorso a riguardo, essendo essa molto fitta e intricata. Devo dire che precedentemente non lessi altre opere dello scrittore, dunque questo è il mio primo, eccellente, incontro con Gabriel Garcia Marquez. Scrittore dallo stile superbo: scorrevole e fluido ma allo stesso tempo ricercato e accurato tramite l'uso di un linguaggio elevato e incredibilmente poetico. Fin dalle prime righe l'autore sfodera una grande maestria, con efficace uso di parole e periodi, incanta e stupisce con concetti espressi in modo così suggestivo da lasciare sempre il segno e la voglia di appuntare e rileggere determinati stralci. Racconto che non lascia mai vuoti o punti statici, ma si svolge in un continuo dinamismo, una perenne evoluzione, una narrazione che fa scorrere davanti personaggi e vicende in modo veloce e instancabile. Uno scritto decisamente particolare, che inizialmente suscita emozioni di straniamento, perplessità, non riuscendo a carpire quale sia il senso, quale il filo logico di questa storia, non intuendo subito dove esso, con la sua molteplicità di avvenimenti e situazioni, voglia condurre. Nonostante tutto però, si prosegue con la lettura, sempre più perplessi, sempre più affascinati e ci si cala in un turbine di emozioni fino a ritrovarsi nella meravigliosa e leggendaria città di Macondo. Proseguendo la lettura, è inevitabile un certo senso di disagio, causato dall'inesauribile intreccio di parentele, concatenazioni e legami tra i vari membri della famiglia, fino a confondersi e a non avere più molto chiaro l'albero genealogico della famiglia protagonista di tante sventure, ma riconoscendo solo alcune caratteristiche e particolarità sempre presenti. Allo stesso tempo, però,ci si accorge della cosa più importante, il vero filo conduttore della vicenda: la solitudine inesorabile, invincibile, imprescindibile che accompagna diligentemente tutti i membri della famiglia verso il loro ineluttabile destino, un destino di sventura e sofferenze, di abbandono totale a se stessi, poiché pur intrecciando legami si è fondamentalmente sempre soli. Il mio consiglio più grande per chi voglia iniziare la scoperta di questo formidabile libro, narrato con toni simili a quelli di una favola, ma a tratti pesante per l'elevato stile, è che non bisogna assolutamente abbandonarne la lettura. Non bisogna lasciarsi intimorire dalle iniziali perplessità e dall'iniziale disagio, poiché il libro potrà essere compreso nella sua completezza, apprezzato in tutta la sua grandezza, riuscendo a lasciare un segno veramente indelebile, solamente dopo averlo portato a suo compimento. Solo dopo aver letto l'ultima parola, dopo aver percorso tutto il sorprendente percorso, ci si risveglia a poco a poco dalla favola, si esce da quel mondo così meraviglioso e allo stesso tempo crudele e ci si sente davvero soddisfatti e orgogliosi di averne, anche solo per un po', fatto parte.

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pupa Opinione inserita da pupa    17 Agosto, 2014
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Il ripetersi del tempo

Mi appresto a scrivere di Márquez solo dopo la sua morte per consacrare una delle opere più efficaci della letteratura del Novecento. È un libro fantastico che senza aver letto la biografia dell’autore non può essere compreso nei dettagli della sua complessità. È la storia della famiglia Buendìa, sei generazioni narrate in un arco temporale di cent’anni in un paese di nome Macondo, fantastico e irreale, immerso nella foresta colombiana. Scorrendo le pagine ci s’immerge in un mondo nel quale vi è di tutto: animali, colori, fantasmi che lanciano imprecazioni o presagi, piante leguminacee, amori e guerra, manoscritti, lingue dialettali amazzoniche ed altro ancora. Passo dopo passo è vera emozione incontrare i vari personaggi sin dai capostipiti fondatori. È proprio Josè Arcadio Buendìa che, sposatosi con Ursula Iguaràn, dà inconsapevolmente inizio ad un vortice di eventi destinati a ripetersi nel corso del tempo. Scaturisce così una ripetizione di vicende e avvenimenti che oltre ad essere la caratteristica principale di quest’opera, la circolarità del tempo che, lungi dallo scorrere in maniera lineare seguendo un ordine cronologico, infonde al lettore una sensazione di labirintica prigionia e arrendevolezza di fronte all’imprevedibile succedersi degli eventi, altro non è che un’allegoria della storia dell’umanità, arricchita da suggestioni bibliche. Se da una parte, è possibile riscontrare degli elementi ricorrenti in tutto il racconto, dall’altra vi è una innumerevole quantità di eventi totalmente inaspettati e inverosimili. È il cosiddetto “realismo magico”, consacrato così per il perpetuo intreccio tra realtà e finzione, grazie al quale le apparizioni dei fantasmi, l’ascesa al cielo miracolosa di un membro della famiglia, un diluvio ininterrotto di quattro anni (sento ancora la pioggia cadermi vicino in quest'estate particolare) e altri numerosissimi fenomeni soprannaturali, si integrano perfettamente con la quotidianità della realtà famigliare. Tra un evento fantasioso e uno reale, sullo sfondo cangiante di guerre devastatrici, momenti di pacifica stabilità e calamità naturali che affliggono Macondo, l’autore Gabriel García Márquez descrive la vita, la personalità e le sfortunate vicende di personaggi che si ritrovano imprigionati in una solitudine profonda e inesorabile. Macondo strabilia e conquista, i suoi personaggi lasciano ciascuno un segno indelebile e Márquez disfa e ricompone i suoi protagonisti nel susseguirsi delle generazioni, nate da una coppia che teme una discendenza con la coda da porcellino, creandone una altrettanto assurda! Non è un libro semplice, richiede attenzione e impegno. Sembra dirci che la solitudine è la condizione dell’uomo: un uomo che combatte, si agita per non arrivare da nessuna parte, per ritrovarsi sempre nello stesso punto. Il tempo si ripete, i fatti si ripetono sviluppando interminabili cicli uguali a se stessi in cui oppressione e desolazione, nonché solitudine sono i sentimenti più comuni. Sembra contenere cento storie diverse, accumunate dal sangue e dal filo conduttore: la solitudine e i presagi. Occorre disegnare l'albero genealogico della famiglia Buendìa per non perdere il filo. La velocità della narrazione, l’inconfondibile stile semplice e fantastico allo stesso tempo, l’indiscussa originalità della trama e la misteriosa profondità con la quale è tratteggiato il profilo di ogni singolo personaggio rendono l’opera tra i migliori componimenti letterari del Novecento.

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Giovannino Opinione inserita da Giovannino    09 Mag, 2014
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La dinastia dei Buendia.

Ero andato in libreria per prendere altro, ma come ben sapete spesso le offerte fanno la differenza, e così vista la recente scomparsa del grande Garcia Marquez ho trovato negli scaffali alla cassa diverse opere dello scrittore colombiano e, visto che (lo ammetto, ahimè) non avevo mai letto nulla di Marquez, ho approfittato dell'offerta per prendere la sua opera più famosa, "Cent'anni di solitudine" appunto. Ammetto che poi ho fatto spesa doppia, in quanto non sono riuscito a lasciare Lansdale in libreria, però la curiosità per Marquez era così grande che tra i due romanzi ho iniziato prima quest'ultimo. Diciamo innanzitutto che ci troviamo di fronte ad un "librone", in quanto anche se le pagine (370) non sono tantissime, posso assicurarvi che ogni pagina vale almeno 5 pagine di un altro romanzo, la storia infatti è complessa e intricata, ricca di avvenimenti e diverse volte mi sono perso nei meandri di questa spettacolare storia. Come saprete Marquez è il massimo esponente di quello che viene definito "realismo magico", ed infatti l'elemento magico (sotto forma di fantasmi, presenze e superstizioni) è fortemente presente nel romanzo in questione ed è ciò che poi caratterizza tutti gli avvenimenti. Il libro racconta della storia della famiglia Buendia nel corso di cento anni di vita, iniziando dal primo membro della famiglia nonché fondatore della fantastica città di Macondo, il vecchio Josè Arcadio, fino alla tragica fine della dinastia un secolo dopo. Premetto che dopo 50 pagine di questo libro sono andato su internet a cerare delucidazioni, in quanto avevo le idee abbastanza confuse e fortunatamente su wikipedia ho trovato un grafico con l'albero genealogico che mi ha facilitato di molto la comprensione (che su alcuni passaggi è veramente ostica), infatti la caratteristica del famiglia Buendia è che tutti i figli maschi nel corso del libro si chiamano Josè Arcadio o Aureliano, e le femmine Remedios. Capite da voi che già alla seconda o terza generazione (soprattutto dopo il ritorno di 17 figli sparsi per il mondo di nome Aureliano...) la confusione comincia ad essere tanta... Fortunatamente, a lungo andare ho iniziato anche a capire un'altra cosa, che poi è un po' la chiave del libro, cioè di non concentrare la mia attenzione sui vari nomi di figli e parenti, quanto di notare i vari caratteri e comportamenti dei personaggi. Ed è così che ho trovato la giusta chiave di lettura (a mio avviso). Infatti, anche se gli anni passano, gli Aureliano saranno tutti introversi, forti fisicamente e spocchiosi, i Josè Arcadio saranno tutti intelligenti, minuti ed estroversi e le Remedios saranno tutte belle e svampite. Perché poi in realtà è proprio questo il succo della storia: la ciclicità. Gli eventi anche a distanza di tempo si ripetono sempre, e le tragedie si susseguono, confermando così l'oscuro presagio (la fine della dinastia Buendia e del villaggio di Macondo) che lo zingaro Melquiades aveva predetto ad inizio libro. La scrittura non è semplice, è ricca di artifizi letterari (soprattutto prolessi e analessi), la storia è intricata e i personaggi sono tantissimi, ma probabilmente non sarebbe potuto essere altrimenti visto l'opera ambiziosa. Un ultimo appunto va fatto su Ursula, moglie del primo Josè Arcadio, donna intelligente, madre attenta, nonna premurosa, l'unica ad aver capito il pericolo a cui incorrevano i suoi pronipoti, e non è un caso infatti se la dinastia finisce proprio qualche anno dopo la sua morte. Un capolavoro moderno.

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Pia Sgarbossa Opinione inserita da Pia Sgarbossa    02 Mag, 2014
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DA SOLI O INSIEME ... COMUNQUE SOLI .

Gabriel Garcia Marquez, detto Gabo, ha due amori immensi e questo libro trasuda di essi in ogni riga : il suo mondo , l'America latina e la figura femminile.
La lettura di "Cent'anni di solitudine" mi ha dato le risposte ai dubbi che mi erano rimasti dai raccconti di quest'autore letti precedentemente, come per esempio "Non c'è posta per il colonnello" e "I funerali della mamà grade".
Con un'immaginazione fervida e senza limiti , decide di far fondare ai primi due protagonisti della narrazione, un paese a lui tanto caro : "Macondo" .
Sarà il luogo dove potersi divertire e nel contempo soffrire per parlarci del suo caro mondo, della realtà che fa parte del suo vissuto: la boscaglia della sierra, le zone paludose, la presenza di un numero elevato e variopinto di vegetazione , di flora e fauna tropicali, i periodi ciclici e infiniti delle piogge.
E a quel mondo è legato un modo di vivere con sieste afose, tanta miseria , sporcizia e una superstizione dilagante; una realtà che vive il continuo confronto con le nuove tecnologie, prime tra tutte il telegrafo e la ferrovia...e sempre pronto ad accogliere strumenti nuovi che giungono da tutte le parti del mondo anche grazie agli zingari e dove giungono le compagnie dei bananieri con un'invasione uraganica.
E' in quest'ambiente che si svolge il racconto di una famiglia patriarcale, che io amerò però ricordare matriarcale, perchè lo ricorderò attraverso la vita e gli occhi di Ursula, donna forte e determinata, prima donna protagonista, moglie incestuosa, madre,nonna, fino ad arrivare a diventare trisnonna.
Nella storia del suo matrimonio e della sua famiglia si snoda un intrico di storie legate alle figure appartenenti ad essa, in un tempo che gira e rigira , come un circolo vizioso, dove tutto si fa e si disfa, con uno sguardo di stupore ma sempre anche di solitudine.
Amori ai limiti o propriamente incestuosi e assurdi; morti che ritornano come spettri o come frutto dello sforzo immane dell'immaginazione. Il tutto mentre avvengono fucilazioni come morti naturali,guerre e guerriglie, nella terra dei gringos.
La decisione di chiamare con gli stessi nomi i figli e i figli dei figli, mi ha reso confusionaria la lettura del libro, fino a che in me è avvenuta una sorta di illuminazione. Ad un certo momento la mia attenzione si è spostata dal personaggio della storia, alla sua caratterizzaione personale e psicologica.
Allora ho iniziato a seguire quello che a mio avviso era l'intento dell'autore : spiegarci come la solitudine possa assumere varie sembianze: a partire dalla solitudine che fa parte dell'indole dei personaggi, alle solitudini molteplici che troviamo...e che appaiono ora fonte di tristezza, ora fonte di gran felicità...come la solitudine paradisiaca a due...fino ad arrivare alla solitudine che porta nel cuore ogni familiare, tanto che nessuno riuscirà ad allontanarsi in modo definitivo dalla propria famiglia e da Macondo.
Questo diventa il loro mondo, che amano, che odiano, ma del quale non possono fare a meno...Una storia familiare d'intrighi e pasiìsioni lunga cent'anni...
L'autore scrive con abilità, ma con un dualismo che lo porta ad avere un solenne rispetto di ciò che va raccontando e nel contempo di un'irriverenza pettegola...tipico di un uomo che è vissuto attorniato da molte donne...ed è questa una delle ultime immagini che ricorderò di Gabo, viste al telegiornale...lui che esce dalla porta di casa, accompagnato da donne...
Mi reputo contenta d' aver portato a termine questa lettura, con tutti i pregi e i difetti che ho fatto presente.
Una lettura che richiede pazienza, ma che ripaga sicuramente.
Pia

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Un tuffo nella realtà dell'America Latina.
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Mariiik Opinione inserita da Mariiik    14 Marzo, 2014
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Pesante e leggero

Mi sento importante ed allo stesso tempo insignificante ad aggiungere la mia opinione alle trentuno precedenti. Indubbiamente questo romanzo ha fatto scalpore, ha colpito menti e cuori in bene ed in male.
Ho impiegato un tempo lunghissimo per terminarlo perché la moltitudine di avvenimenti anziché invogliare alla lunga disturba quasi. Si sa, il troppo stroppia.
Brevemente, questa è la storia di una famiglia composta da personaggi particolari, ognuno con caratteristiche differenti ma sempre uguali, cicliche che si ripresentano nel tempo. La stirpe parte con Josè Arcadio Buendia e sua moglie Ursula che, alla ricerca di un luogo nuovo dove stabilirsi, fondano Macondo. Avranno figli, i quali avranno altri figli sempre sotto l'occhio vigile di Ursula che ricorda che le fornicazioni fra parenti portano irrimediabilmente alla nascita di bambini con la coda da maiale. Fra guerre, zingari che portano oggetti interessanti e sconosciuti, un paese che cerca di vivere nella tranquillità fuori dal mondo, amori poco ortodossi, pesciolini d'oro e le scritture indecifrabili di Melquiades, zingaro molto vicino alla famiglia, si dipana tutta la storia.
Solo ora mi accorgo che se dovessi descrivere ogni singolo avvenimento forse ci riuscirei e questo è sicuramente merito della penna e dell'arguzia dell'autore.
E' stato un libro pesante (come possono esserlo cent'anni) ma al contempo leggero nella sua drammaticità e particolarità. Il personaggio che mi ha ispirato più empatia è stata certamente Ursula: una donna che con l'età sembra trovare più energia di quanto ne avesse all'inizio. La vediamo crescere e diventare vecchia ma sempre nello stesso modo, con le convinzioni che ha sempre avuto, con un'arguzia stupefacente e, soprattutto, con una solitudine che non è pari a nessuno degli altri personaggi. Perché di questo si parla: i Buendia sono destinati alla solitudine dall'inizio alla fine e nel libro la avverti sempre.
Se fino alle trecento pagine ho arrancato, le ultime quaranta, in cui il cerchio si chiude, mi sono piaciute davvero molto.
Mi ha insegnato una cosa questo libro e forse per questo diventerà caro anche a me, sebbene tutte le emozioni contrastanti che mi abbia provocato: mentre leggevo continuavo a giudicare questo o quel personaggio, non vedendoli come persone ma come mero inchiostro scritto. Sono i personaggi più simili alla realtà che io abbia mai incontrato nella lettura sebbene siano così stravaganti.
Penso di aver detto tutto. E' pesante perché non si può non riconoscerlo, ma è doveroso leggerlo perché credo che abbia le potenzialità per lasciare dentro di ognuno un piccolo segreto.

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Elisabetta.N Opinione inserita da Elisabetta.N    13 Febbraio, 2014
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La solitudine

Josè Arcadio Buendia e Ursula Iguaràn hanno avuto 3 figli: Josè Arcadio Buendia, Aureliano Buendia e Amaranta Buendia.
Josè Arcadio Buendia ha avuto un figlio con Pilar Ternera (una donna dai facili costumi, tanto per usare un eufemismo) di nome (Josè) Arcadio Buendia in quanto adottato dalla famiglia per evitare lo scandalo.
In seguitò Josè Arcadio Buendia (figlio), dopo essere fuggito con gli zingari e aver sparso figli un po’ in tutto il mondo, ritorna e sposa Rebecca Buendia, lontana parente “adottata” anch’essa dalla famiglia Buendia.
Aureliano Buendia prima fa un figlio con Pilar Ternera (come il fratello) dandogli il nome di Aureliano Josè Buendia, poi sposa Remedios Moscate che però muore giovane.

… questa è la genealogia della famiglia Buendia solamente nei primi capitoli di “Cent’anni di solitudine”, mi si perdonerà quindi la confusione che tutti questi nomi similari mi hanno causato.

Se inoltre aggiungiamo il fatto che questi personaggi sembrano eterni (solo per fare un esempio, Pilar Ternera conserva bellezza tale da tentare anche dopo anni e anni) e che vivono per periodi lunghissimi, in uno stesso momento si possono trovare, anche se con età differenti, più Aureliano e più Arcadio.
Eh sì, la confusione è tanta, ma la magia che si crea intorno al villaggio di Macondo è qualcosa di così surreale e mistico che non può lasciare indifferente.
A Macondo i morti non sono mai realmente morti. Ad esempio, Melquiades, il capo degli zingari, è una figura sempre presente, in una forma o in un'altra, compagna dal primo all’ultimo Buendia.

La famiglia che si delinea dalle parole di Marquez è molto particolare. I caratteri e le particolarità si ripetono in ogni generazione tanto che non solo i figli assomigliano ai padri, ma anche i nipoti assomigliano ai nonni o a altri parenti, generando un filo conduttore invisibile che crea inevitabilmente una certa confusione…

Una famiglia denotata da un unico sentimento che li accomuna tutti: la solitudine.
Una solitudine intesa sia come completa assenza di contatti con altre persone, ma anche come quel senso di malinconia che ti assale nonostante la compagnia e i divertimenti.

Una famiglia molto sfortunata e triste. La felicità li tocca solo per un attimo e, così come è arrivata, se ne va.
Una storia familiare che dura un secolo, cent’anni, cent’anni di solitudine.

Un libro sicuramente da leggere almeno una volta nella vita.

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Opinione inserita da Davide Piana    10 Aprile, 2013

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G.G.Marquez, non ha voluto solo raccontare il Sudamerica visto dal punto di vista di un piccolo villaggio, ha voluto raccontare come un popolo senza le giuste motivazioni ritorna ad essere in una situazione peggiore dell'iniziale, pur facendo innumerevoli sforzi. Vuole anche denunciare il potere che dall'alto decide senza accettare intralci calpestando il popolo che si oppone. Il punto di vista della famiglia Buendìa poi è ammirevole.
Consigliato a tutti

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gianni1978 Opinione inserita da gianni1978    10 Febbraio, 2013
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SudAmerica

Leggere questo libro è un viaggio nelle viscere della cultura sudamericana. La respiri ad ogni pagina, in tutte le sue forme e colori. I personaggi sono plasmati di tutte le passioni, le pulsioni e le contraddizioni che infiammano una terra in continuo mutamento.
Nessun altro autore, come Garcia Marquèz, riesce ad accompagnarti nella sua terra e a fartela vivere.

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A chi vuol conoscere la cultura sudamericana
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Maso Opinione inserita da Maso    29 Dicembre, 2012
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Gabriel Garcia Marquez: cent'anni di gratitudine

Uno dei miei più grandi successi in ambito di ripescaggio di libri abbandonati. A remare contro la buona riuscita del mio primo approccio a questo libro furono probabilmente la tenera età e conseguentemente una coscienza letteraria ancora troppo poco matura per poter affrontare un’opera dal carattere così eclettico come “Cent’anni di solitudine”. Questo romanzo, ingiustamente dimenticato e abbandonato alle polveri della libreria, ha ripreso immediato fulgore in un pomeriggio di astinenza, combinata ad assenza di libri in cui seppellirmi. Inutile dire che con un capolavoro di tale portata nelle mani e una decina di anni di più sulle spalle, con le conseguenti, formative e non, letture, il successo è stato strepitoso. Non mi capitava da tempo di leggere un libro del genere, il quale più spontaneo appellativo con cui definirlo non è altro se non “bello”. Bello veramente, poiché ricchissimo di immagini belle, visive, quasi pittoriche. Un romanzo che lusinga gli occhi della mente, quelli che oltre alla trama, ai personaggi e ai rudimenti strutturali che sostengono la narrazione, apprezzano anche un’estetica inusuale e sublime. Un viaggio nell’immaginario surreale e tremendamente ricco di poesia di un grandissimo scrittore, considerato il più grande ancora in vita. Il capolavoro di Marquez è un romanzo che il più delle volte non prevede giudizi intermedi. O lo si detesta profondamente, e con esso tutto l’importante corpus delle opere dell’autore e di una conseguente generazione di scrittori sudamericani, o lo si ama alla follia e si porta per sempre in se stessi una parte di quei mondi così reali e irreali allo stesso tempo che solo la penna di Marquez può evocare.
Una trama assolutamente indescrivibile. Delineabile solamente con l’affermazione: una saga familiare. La storia intricatissima dei Buendìa, famiglia assolutamente fuori dal comune, con discendenti ancora più stravaganti che conducono, in una narrazione che sorvola numerosi decenni, sebbene in un’epoca non precisamente circostanziata, vite bizzarre. Incontreranno successo, gloria, degrado, gioia, disperazione, rinascita, estinzione. Una dinastia prolifica di personaggi con lo stesso nome, ereditato dai visionari capostipiti, che si differenziano per le proprie scelte, per i propri caratteri, per le proprie ambizioni, così diverse e inconciliabili. Personaggi che vanno, che vengono, che tornano nella casa che sempre può accoglierli. In quell’ameno paesino, Macondo, fondato dai loro stessi avi. Una interminabile saga familiare che vede come unico centro di gravità, granitico, irremovibile, a tratti contemporaneamente rassicurante e inquietante, la figura della matrona Ursula, che col tempo diventerà la centenaria anima di questa famiglia ormai decaduta ed estinta, l’unica depositaria di quelle fondamentali memorie in cui sempre vivranno tutti i componenti della famiglia Buendìa.
Una storia lunga un secolo, in cui gli ambienti si mantengono sempre uguali a se stessi. In cui Macondo, un assolato villaggio contornato di paludi, nel bel mezzo di qualche imprecisato territorio del sudamerica, racchiude un piccolo universo incommensurabilmente poetico, opulento di colori e di visioni. Un piccolo mondo, umido e colorato, tracciato con immortale maestria della mente di Marquez, che ci regala delle atmosfere esotiche e assolutamente indimenticabili.
Non ci si scorda, infatti, dei personaggi descritti in questo libro. Sono troppo ben congegnati, troppo peculiari, troppo irreali e umani, pieni di volontà e di forza per potersene scordare appena chiuso “Cent’anni di solitudine”. Il lettore legge delle loro vicende e li vede svolgere la propria vita come un filo, li vede fare i conti con le conseguenze delle proprie decisioni, li vede trasformati dagli anni. E dopo averli conosciuti così bene, dopo averli seguiti per un secolo tra miserie e ricchezze si sente parte di loro. Ci si sente parte di quella grande casa nel bel mezzo di Macondo, ci si sente parte della luce calda delle ultime ore del giorno trascorse sotto quel portico, respirando gli odori della sera, a fianco di Remedios che lavora al telaio e di Ursula che scopa il pavimento con cipiglio severo. Si vede passare quel garzone tremendamente innamorato di una delle ragazze Buendìa, con il suo immancabile seguito di farfalle gialle al suo passaggio, e ci si chiede, con una nota di gratitudine, quale altro autore avrebbe potuto donare al suo pubblico qualcosa di così commovente come questo romanzo.

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Bepps Opinione inserita da Bepps    02 Dicembre, 2012
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Consigli per non perdersi

Il libro è bellissimo, mi sono promesso di rileggerlo quando avrò più tempo perchè penso che la seconda volta si possono cogliere molti aspetti e sfumature che inevitabilmente sfuggono la prima volta. Comunque consiglio a tutti di appuntarsi su un foglio l'albero genealogico della famiglia, così da evitare di trovarsi in confusione, cosa che certamente a chi prima e a chi poi capiterà

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Opinione inserita da Gaia    28 Novembre, 2012

Meraviglioso ed intenso

Adoro questo libro, e lo dico da 14enne (perdonate il lessico poco ampio). Ho finito di leggerlo in meno di una settimana, nonostante sia un romanzo molto intenso e profondo. Profondo, appunto: uno spaccato della società che delinea (e sottolinea) gli aspetti dei rapporti umani familiari e sociali in generale. Il tema ricorrente è quello che contraddistingue Garcia Màrquez, la solitudine dell'uomo nonostante la presenza costante della famiglia, e l'ipocrisia che stronca qualsiasi forma di ideale. Lo consiglio a tutti, ma sono cosciente che non è un libro adatto a qualsiasi tipo di lettore: ma è un libro che lascia un'impronta, che tocca l'animo del lettore e lo fa riflettere sul rapporto tra l'uomo e la comunita )l'uomo e l'uomo stesso, in fin dai conti). Il mio preferito, in assoluto.
N.B: somiglianza esagerata tra Macondo e l'Italia in generale.

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Opinione inserita da Mirko    22 Agosto, 2012

Denso ma da leggere.

Non avendolo mai letto prima, decido di prendere in mano questo riconosciuto capolavoro della letteratura, nonostante le oltre 400 pagine (ritenendo personalmente assai rari i libri che abbiano la capacità di mantenere intatte passione e interesse oltre le 250/300).
E' una lettura allo stesso tempo facile e difficile. Facile perché scritto obbiettivamente molto bene, scorrevole e con taluni passaggi splendidi di poesia pura. Difficile perché è un romanzo denso di eventi, di personaggi, che per giunta portano nomi simili, e dei quali, alla lunga rinunci ad avere il filo chiaro delle rispettive storie.
Nel complesso comunque lettura piacevole e consigliata, anche se per quel che mi riguarda, verso pagina 300, il calo di attenzione e interesse è puntualmente arrivato.

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zarko87 Opinione inserita da zarko87    01 Luglio, 2012
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Il capolavoro

Libro meraviglioso, che ti fa affezionare ai personaggi, che ti porta a vivere nella realtà del libro per quanto è coinvolgente, per quanto ti prende.
L'ho amato non da subito, come in moltissime storie d'amore l'ho prima iniziato a scrutare, a conoscere, ma dopo aver iniziato a leggere pagina dopo pagina, l'amore per questo libro non può non scoccare. Ti prende come pochi, e lo divori voglioso di conoscere ogni aspetto di quel meraviglioso posto. Lo vorrei consigliare a tutti per quanto ti lascia, per le riflessioni che ti porta e per la grandezza e per quanto è meravigliosa la scrittura :D

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annamariabalzano43 Opinione inserita da annamariabalzano43    31 Mag, 2012
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Cento anni di solitudine - da T.S.Eliot a Marquez

Ho appena finito di leggere Cent’anni di solitudine. Bellissimo. Ma prima di unirmi al coro unanime di entusiastici commenti che si alza intorno a questo capolavoro, mi sono chiesta perché mi sia piaciuto, dal momento che è molto diverso dai romanzi che mi hanno sempre affascinato.
Prima di tutto la concezione bergsoniana del tempo in un fluire continuo che sovrappone gli istanti gli uni sugli altri, in cui ogni convenzionale frammentazione diviene inutile, dove i giorni, i mesi e gli anni non hanno ragione di essere perché la vita si svolge in un unico lungo giorno con il solo succedersi di luce e di buio che coincidono con la luce e il buio dell’animo umano.
Ed è in questo tempo senza tempo che si colloca Macondo, un luogo non luogo, ideale e maledetto al tempo stesso, dove si svolge la vita dei personaggi.
E qui il susseguirsi quasi confuso di Arcadi e Aureliani accentua il voluto senso del caos che domina l’esistenza, dove gli uomini diventano l’uomo in assoluto con le sue debolezze e prepotenze, mentre la caratterizzazione più precisa e differenziata dei personaggi femminili conferisce loro solidità e concretezza.
In questo mondo dove tutto è il contrario di tutto in un continuo gioco di affermazione e negazione, l’amore si realizza solo attraverso la passione più irrazionale e penetrante fino a rasentare l’incesto, senza rispetto per le convenzioni, per l’età infantile o senile, dove l’amore coniugale coesiste con quello adultero e mercenario, mentre i sentimenti delicati sono destinati a soccombere. E contemporaneamente all’amore si afferma l’odio che cresce nel cuore con altrettanta forza e si alimenta in silenzio come nel caso di Amaranta che passerà l’ultima parte della sua vita a tessere e ricamare il suo sudario e affronterà con calma e serenità il momento della fine annunciatale dalla morte stessa apparsale in una visione, come nella più classica delle tradizioni mitologiche.
E in questo caotico succedersi di avvenimenti di cui solo Ursula è testimone costante, in questo mondo sconvolto talora da guerre ed eccidi, l’unica scoperta rimane quella del ghiaccio che è essa stessa una scoperta-non scoperta per l’inconsistenza della materia che si scioglie e si dissolve, e l’unico bagliore rimane quello del pesciolino d’oro di Aureliano Buendia.
Solo al compimento della profezia, annunciata con il matrimonio di Ursula e manifestatasi con la nascita del figlio con la coda di maiale di Aureliano e Ursula Amaranta, l’unico generato da autentico atto d’amore, le tormentate vicende dei Buendia potranno aver fine.
Il mito e l’immaginario si fondono e si confondono con la realtà senza possibilità di distinguere l’uno dall’altra. Perché in fondo è questa la vita, un confuso procedere verso l’ignoto in un fluire continuo del tempo fatto di alternarsi di luce e buio, come negli occhi di Ursula.
È stata proprio la centralità della tragica condizione umana, che è in fondo il tema di questo romanzo, che mi hanno fatto riscontrare alcune analogie con The waste land, il poema di T.S.Eliot,. Vi ho trovato la stessa rappresentazione del caos che domina in un tempo dove il presente coincide con il passato e si sovrappone al futuro, dove i personaggi si muovono in una ricerca spasmodica della verità rappresentata ora dal Sacro Graal, ora dalla pietra filosofale, dove la profezia è in entrambe le opere di rilevante importanza ed è spesso affidata alla lettura dei tarocchi o delle carte, dove il tema della cecità non è incapacità di vedere, ma anzi è capacità di sentire e presagire, dove il sesso si afferma nella sua primordiale forza ed energia, dove il tema dell’acqua che è fondamentale in Eliot, perché rigenera la vita così temuta dagli abitanti della terra desolata da far loro considerare Aprile il mese più crudele dell’anno, in Marquez è portatrice di distruzione, fango e deterioramento di cose e sentimenti.
Tutti questi elementi fanno di Cent’anni di solitudine un capolavoro che indaga nell’animo umano, cercando di portarne alla luce gli incubi, le paure, i desideri e le aspirazioni più recondite con uno studio filosofico approfondito

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leggere libri Opinione inserita da leggere libri    21 Marzo, 2012
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Centi'anni di solitudine


Un libro fiabesco che trasuda passione, un intreccio di vite che coinvolge e commuove. Una saga familiare che racconta il destino di ogni suo componente, ma anche la vita di un paese, Macondo, dove c’è sempre il sole oppure non smette mai di piovere, con i suoi colori , i suoi odori, i suoi strani abitanti . La famiglia “Buendia”, che vive nella grande casa che profuma di caffè, e questo susseguirsi e ripetersi di nomi. Insomma… ti senti trasportare in un universo che si trova tra realtà e fantasia … bellissimo!!

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Sancara Opinione inserita da Sancara    17 Gennaio, 2012
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Un Opera

Commento questa Opera, sebbene vi siano già molte recensioni, perchè si tratta di una vera e propria opera d'arte. Un libro che tutti dovrebbero leggere, un insegnamento di stile e di scrittura. Scritto nel 1967 (credo di averlo letto la prima volta nel 1980)rappresenta una delle maggiori opere mai scritte in lingua spagnola. Si legge di un solo fiato sebbene sia tutt'altro che un romanzo breve! L'epopea di Macondo e le sue vicende vi accompagneranno per tutta la vita.

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Mephixto Opinione inserita da Mephixto    02 Novembre, 2011
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Astratto come un Dalì

Cent'anni di solitudine, che dire ?!
Difficile, sicuramente un testo originale nel suo insieme, al limite del astratto; ecco per farvi capire la sensazione che mi ha dato durante la lettura, posso dirvi di averlo paragonato a un quadro di Salvador Dalì vicende reali in un universo astratto o un universo reale con al suo interno delle vicende astratte questo è Cent'anni di solitudine.
Letto lentamente come una poesia, ti farà sognare ti trasporterà ma allo stesso tempo sarà capace di farti perdere tra le sue piccole case, i banani e i pesciolini d'oro e tante rivoluzioni!
E se anche in alcuni istanti vi porterà sul punto di dire Basta ... avrete sempre il tarlo " ma come andrà a finire..." e allora Macondo tornerà a perseguitarvi nel suo susseguirsi di picoli e grandi avvenimenti .

"Figlio del capostipite José Arcadio, Aureliano Buendía è famoso per essere diventato comandante generale delle forze rivoluzionarie, per aver preso parte a 32 rivoluzioni armate e per averle perse tutte e 32.
Ebbe 17 figli maschi da 17 donne diverse, sfuggì a 14 attentati, a 73 imboscate e a un plotone di esecuzione, sopravvisse a una dose di stricnina nel caffè che sarebbe bastata a ammazzare un cavallo. L'unica ferita che subì fu procurata da lui stesso dopo aver firmato la capitolazione di Neerlandia che mise fine a quasi 20 anni di guerra civile. Passò la vecchiaia facendo e disfacendo pesciolini d'oro."

Buona Lettura

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Sara S. Opinione inserita da Sara S.    07 Luglio, 2011
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il titolo riflette molto la "pesantezza" del libro

Scritto molto bene, non lo metto in dubbio! Un gran lavoro di fantasia da parte dell'autore, non metto in dubbio neanche questo!! Però che fatica riuscire a finirlo...!!! In realtà non sarebbe un libro lungo, è "soltanto" di 400 pagine e ne ho letti di molto più consistenti... però è talmente ricco di avvenimenti e di informazioni che leggere una pagina è come leggerne 5 compresse di un altro libro!! Nelle parti centrali poi è stato un po' noioso, soprattutto quando parlava delle guerre del colonello Aureliano Buendìa è stato difficile mantenere la concentrazione!!! Mi sono davvero sentita sollevata quando verso il finale i personaggi hanno iniziato a diventare meno numerosi... è stato un po' come godermi una stanza appena messa in ordine... e finalmente sono riuscita ad assaporare meglio gli ultimi capitoli, che a mio avviso sono stati i migliori! Inoltre il finale mi è piaciuto molto, l'ho trovato azzeccatissimo!!! Non c'è che dire, questo romanzo è "diverso" rispetto agli altri in commercio e mi sento di consigliarlo come uno dei libri che vanno letti almeno una volta nella vita, anche se ammetto che personalmente non sono riuscita ad amarlo come molti lo amano... però è stata una soddisfazione riuscire a finirlo e ne conserverò un buon ricordo!!!

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la casa degli spiriti
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Opinione inserita da Melquiades    25 Aprile, 2011

Meraviglioso

Prima ancora di finirlo, sapevo che sarebbe stato il mio libro preferito. Io adoro i libri in cui si raccontano storie di famiglie, in cui passato e futuro si mescolano, con una moltitudine di personaggi. Però proprio questa grande quantità di protagonisti è la causa di una leggera pesantezza di fondo. A volte è difficile andare avanti, ma superati quei piccoli scogli si scopre un mondo sempre più bello, triste e solo. Garcia Marquez già dalle prime pagine fa intendere che il libro sarà ciclico, con il ripetersi di alcuni episodi, e lascia una sensazione di angoscia alla fine. Consigliatissimo a chi piace leggere e ha una certa esperienza nell'approcciarsi ai classici, se invece volete iniziare da zero allora vi consiglio qualcosa di meno impegnato.

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aittam Opinione inserita da aittam    28 Gennaio, 2011
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realtà fantastica

Trama_ Il romanzo parla di una famiglia, i Buendía, e ne segue le vicende per sei generazioni, in uno sperduto villaggio tra le paludi, Macondo.
Partendo dal fondatore del villaggio e capostipite José Arcadio Buendía, si vengono raccontati eventi e personaggi che sembrano seguire un percorso comune, nel quale si intrecciano migliaia di vicende ma tutto rimane invariato.
Dopo tutta una serie di fatti, nascite, morti, amori e battaglie si arriva all’ultimo della stirpe, Aureliano, che riuscirà a capire, ripensando alla storia della sua famiglia, l’incapacità di evolversi, di cambiare, nonostante l’impegno, le guerre e le conquiste affrontate per questo.


Personaggi_ Colonnello Aureliano Buendía: figlio del capostipite José Arcadio, è famoso per essere diventato comandante delle forze rivoluzionarie, prendendo parte a 32 battaglie (tutte perse). Ha avuto "17 figli da 17 mogli diverse, è sfuggito a 14 attentati, a 73 imboscate e a un plotone d’esecuzione, sopravvissuto a una dose di stricnina nel caffè". Durante la vecchiaia si è ritirato a Macondo e l’ha passata facendo e disfacendo pesciolini d’oro. E’, dei tantissimi, forse il personaggio chiave del libro, perché più degli altri dimostra l’impossibilità di cambiare degli uomini. E’ una persona estremamente riservata, pensierosa, seria, ma molto ribelle.

Luogo e tempo_ Tutta la vicenda si svolge a Macondo, un immaginario e fantastico paese immerso nella foresta colombiana. La storia si svolge in un tempo “fuori dal tempo”, dove passano gli anni, arrivano delle scoperte scientifiche dall’Europa, ma tutto sembra restare invariato e sembra essere un ciclo infinito.

Analisi_ Il tempo della storia è maggiore del tempo del racconto, e ci sono continui e grandi flashback e riferimenti al futuro tramite delle frasi che sembrano buttate lì, che raccontano delle analogie con quello che sta succedendo e quello che è successo o deve succedere. Il narratore è esterno e onnisciente, focalizzazione zero. Non ci sono lunghi dialoghi.

Questo libro mi è piaciuto molto, sia per lo stile dell’autore, sempre scorrevole e piacevole, anche se abbastanza complesso, sia per la storia raccontata, che non conta molto in sé, ma che ha un significato forte sotto la vicenda narrata. Inoltre è bello per il continuo passaggio tra realtà e fantasia, tra serietà e divertimento, e per “l’amara” ironia che è continuamente presente nel libro.


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GabriCremo Opinione inserita da GabriCremo    24 Gennaio, 2011
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Gran libro

Quando ho aperto per la prima volta questo libro, lo ammetto, ci ho messo un po' ad abituarmi all'ambientazione così distante dalla nostre e in un certo senso un po' surreale; ma man mano che procedeva il libro sono riuscito ad affezionarmi ad ogni singolo personaggio di questa famiglia al limite del leggendario, ciascuno con la sua piccola tragedia personale (su tutti il colonnello Aureliano). Ho trovato molto piacevole anche l'intreccio della storia che si basa sulla discendenza dei Buendia, con la presenza della quasi eterna Ursula che lega il tutto, e con diversi personaggi che si ripresentano più volte nel corso del libro. Proprio un bel libro, lo consiglio vivamente!!

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exeter64 Opinione inserita da exeter64    18 Settembre, 2010
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Un libro mitico, ma.......

Mi sono accostato a questo libro mitico,con il rispetto che si deve ad una persona importante che dovrebbe avere molto da insegnarti. Il titolo già da solo è un miracolo di eleganza e quindi ho iniziato la lettura con notevole entusiasmo, ma......é ovvio che non spetta a me giudicare il valore letterario di un'opera così apprezzata di un autore altrettanto famoso. Però devo dire che la saga della famiglia Buendia, sullo sfondo di questa mitica città di Macondo, risulta difficile da seguire a causa di una moltitudine di personaggi che hanno quasi tutti lo stesso nome e dall'incalzante incedere degli avvenimenti che si susseguono incessanti dall'inizio alla fine. E' chiaro che lo stile narrativo così fitto e senza pause è una chiara scelta stilistica dell'autore. Questo però rende il romanzo di non facilissima lettura ed a volte si stenta a ricollegare gli avvenimenti ed i personaggi, che scompaiono per poi riapparire a centinaia di pagine di distanza. Insomma un libro con uno stile sicuramente non convenzionale e dalla complicatissima struttura narrativa, ma a volte non piacevolissimo da leggere.

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MissAbu Opinione inserita da MissAbu    29 Luglio, 2010
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Se...

Se non siete disincantati della vita, se ancora siete capaci di stupirvi, se ancora credete nella magia, allora leggete di Macondo, dove il tempo non scorre, dove può piover per cent'anni senza smettere, dove la vita spesso non si distingue dalla morte; leggete di José Arcadio Buendia, che perse la ragione dietro esperimenti deliranti e fu legato a un castagno; leggete del colonnello Aureliano, che condusse 32 insurrezioni senza vincerne nessuna; leggete di Rebeca, che mangiava la terra e che portava con sé un sacco con le ossa dei suoi avi; leggete di Remedios la bella, che si dissolse nell'aria in un giorno di primavera; leggete di Melquiades, lo zingaro che portò a conoscere il ghiaccio. Se volete conoscere una delle cose più belle che l'arte dell'uomo sia stata capace di creare, leggete Cent'anni di solitudine.

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GiorgiaC Opinione inserita da GiorgiaC    23 Luglio, 2010
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Una pietra miliare

Una lettura impegnativa che che ripaga la sforzo ad ogni pagina. E' un libro che regala momenti di intensità profonda . Impossibile non partire da qui per capire ed amare la letteratura moderna

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ed amato la letteratura sudamericana
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Indigowitch Opinione inserita da Indigowitch    19 Luglio, 2010
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Un romanzo fantasioso ma alquanto prolisso.

Per chi si vuole avvicinare alla letteratura sudamericana del '900, sicuramente Marquez è un pilastro importante, e questo romanzo lo è in particolar modo perché racchiude in sé una serie di caratteristiche che, personalmente, ho ritrovato nell'autore brasiliano Jorge Amado: la grande fantasia, gli ambienti microcosmici in cui si muovono i personaggi, la religione come un di più rispetto alla più accreditata magia e saggezza popolare.
Macondo è un microcosmo pacifico, un po' arido, scosso ogni tanto dalle allegre incursioni delle carovane di zingari, che portano stupore, magia e un pizzico di progresso in quel luogo abbandonato.
La storia della famiglia Buendìa, come nota l'indistruttibile matriarca Ursula, è un continuo ripetersi, a spirale, delle stesse vicende, degli stessi errori,si direbbe quasi delle stesse persone, vista l'interminabile sfilza di figli, nipoti e pronipoti che si chiamano tutti José Arcadio, Aureliano o Arcadio (e, se sono donne, Ursula, Amaranta o Remedios).
In parallelo, Macondo si evolve assieme ai Buendìa, conoscendo il progresso, la guerra, l'avvento dei gringos e della compagnia bananiera, per poi ritornare a un punto di partenza in cui l'oblio e la solitudine fanno da padrona.
E' un romanzo ad ampio respiro, ricco di drammaticità ma mai lacrimoso, ironico ma non divertente.
Personalmente ho trovato deliziosa la fantasia dell'autore, ma estenuante la sfilza di nipoti, pronipoti, figli illegittimi tutti con lo stesso nome che la matriarca di ferro Ursula, assieme a nipoti, nuore e figlie adottive alleva senza batter ciglio, instancabile e saggia.
La lotta di Ursula è, a mio parere il simbolo principale della storia: finché si proteggono le vite future, c'è speranza. Ursula resiste alla guerra e le si oppone, a modo suo, resiste all'anaffettività e all'inflessibilità del figlio Aureliano, e cerca di predicare, invano, contro la tendenza endogamica che flagella la loro stirpe.
Se da un lato si resta sedotti dall'incredibile inventiva dell'autore, d'altro canto la trama del romanzo è incredibilmente spessa e appesantita da sequele di nomi che richiedono al lettore uno sforzo titanico per riprendere le fila della storia di ognuno di loro.
Succede così che certe parti memorabili, come certe citazioni del savio catalano, rischiano di passare inosservate e di perdersi nel mucchio di eventi e personaggi contingenti che non sempre sono interessanti.
I corsi e ricorsi della storia sono il filo conduttore principale del romanzo, ma a volte questa ripetitività stanca, e il lettore si ritrova a boccheggiare dinanzi all'ennesimo figlio illegittimo, l'ennesimo amore frustrato/proibito, l'ennesima figura femminile tormentata che raramente spicca per doti interiori o vivacità intellettuale (con l'eccezione, probabilmente di Ursula stessa e di un paio di sue pronipoti).
Lo consiglio solo a chi ama immergersi in letture fluviali e a chi vuole avvicinarsi alla letteratura sudamericana.

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alexandros Opinione inserita da alexandros    18 Giugno, 2010
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Una saga famigliare piena di magia....

Un libro che ho letto molti anni fa' , ma di cui conservo un bellissimo ricordo. Sicuramente l'opera più importante di Garcia Marquez, impossibile dimenticare il paese di Macondo, i suoi abitanti, la saga della famiglia. In questo capolavoro si susseguono senza interruzioni e con una notevole fantasia immagini e invenzioni magiche che fanno da sfondo alle storie spesso tragico-comiche dei protagonisti. Mi ha affascinato scoprire tramite Marquez la cultura sudamericana cosi' immersa nella natura e nelle sue forze, spesso vissute anche in modo superstizioso, ma estremamente vitale. Sicuramente il "nuovo mondo" e' molto diverso dalla vecchia Europa dove la cultura ha raggiunto vette di pensiero altissime ma dove spesso manca la forza innovativa per liberare nuove idee. Un mondo fantastico ma estremamente umano dove vengono inseriti personaggi in straordinari come lo zingaro Melquiades e il "savio Catalano", simboli del desiderio insopprimibile dell'uomo di apprendere, di studiare, ma anch'essi destinati alla sconfitta ed all'oblio. "Cent'anni di solitudine" è una parabola sul destino dell'uomo , delle sue opere , dei suoi amori e passioni...tutto viene tragicamente e inesorabilmente travolto dallo scorrere del tempo, cosi' alla fine la casa simbolo del romanzo viene invasa e demolita dal proliferare incontrollato della vegetazione e da stuoli di formiche rosse.

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A chi ama il sudamerica e le saghe famigliari, propongo di confrontarlo con i Buddenbrook di T. Mann ambientato nell' Europa piu' borghese e concreta....vite completamente diverse ma stesso destino finale .
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pinucciobello Opinione inserita da pinucciobello    14 Giugno, 2010
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Sognando Macondo

Primo romanzo della letteratura sudamericana ad arrivare ad un successo esplosivo e planetario. Romanzo cult degli anni settanta che ha codificato un vero e proprio genere letterario dove si mischiano realtà e fantasia. Personaggi come Aureliano Buendìa si stagliano possenti ed inarrivabili come modelli per generazioni di scrittori. Letto, all'epoca, tutto d'un fiato in una notte perchè mi era impossibile smetterne la lettura prima di arrivare all'ultima pagina. Da rileggere, come ho fatto, una decina di anni dopo, per apprezzarne ancora di più la bellezza poetica di alcuni passaggi. Capolavoro

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A tutti, ma soprattutto per coloro che riescono a non si perdersi tra i nomi, spesso uguali nelle varie generazioni, dei vari personaggi ! Si suggerisce di crearsi un piccolo schema dell'albero genealogico (ma forse ci avranno pensato gli editori nelle edizioni più recenti ...)
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gio gio 2 Opinione inserita da gio gio 2    09 Mag, 2010
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grande marquez

magnifico...un libro che restera' nella vostra memoria per sempre,davvero sublime la fantasia di Marquez,nomi che si tramandano in continuazione da li' un po' di confusione...ma e' incatevole la sua immaginazione e la reala' dei sentimenti...cent'anni di solitudine....Capolavoro di Marquez

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e' un libro che non si puo' non aver letto
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silvia71 Opinione inserita da silvia71    10 Agosto, 2009
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CENT'ANNI DI SOLITUDINE

Il romanzo è ambientato in un villaggio surreale del sud America. I personaggi che lo animano sono anch'essi una commistione tra realtà e fantasia;vivono per numerose generazioni in un mondo creato ad hoc dall'autore,dove si alternano vicende di vita quotidiana reale ad eventi favolistici. Nota curiosa:visto che nella numerosa famiglia Buendia si utilizzano solo due nomi,questo fa perdere fluidità alla trama,poichè diventa difficile individuare i personaggi e seguirne le vicende.

Considerata la nomea del titolo,mi aspettavo un opera di maggior spessore.

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Orwell e Bradbury
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gracy Opinione inserita da gracy    09 Agosto, 2009
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Macondo capolinea del mondo

Che capolavoro letterario mi sarei persa se non l'avessi letto!

Da Josè Arcadio ad Aureliano Babilonia una stirpe lunga cento anni, inizia e termina come una favola dominata dalla magia e dai fantasmi del passato, sullo sfondo una sfilza di personaggi emblematici che si somigliano tra loro, non solo perchè portano lo stesso nome ma anche per il destino alienabile che li accomuna, crudele e senza possibilità di redenzione: la solitudine.

"Il primo della stirpe è legato a un albero e l'ultimo se lo stanno mangiando le formiche".

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Marquez ed altri capolavori letterari
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