Cecità
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Quale cecità?
L’inizio di una pandemia, una cecità ingravescente, alcune persone messe in quarantena, una malattia che investe tutti indistintamente, inaspettata, paradossale, molte domande, nessuna risposta, se non cercare riparo e conforto nel buio più estremo.
Ma quando, progressivamente, la cecità riguarda ogni dove e si trasforma in pandemia, tutto cambia e inizia una nuova era.
Una massa indistinta attende che … “ il sogno abbia compassione della propria tristezza “…, nella speranza che questa cecità sia provvisoria, come è venuta potrebbe andarsene, certi che solo voce e udito siano di una qualche utilità e che il mondo che conta sia totalmente interiore.
E allora occorre adattarsi a un nuovo equilibrio mondiale, laddove subentrano altre priorità perché nessuno vedrà più le persone e le cose saranno realmente come sono.
A che scopo l’ estetica, l’ igiene, cinema, teatri, musei, la paura accieca, forse si insinua il sospetto di essere già stati ciechi nel momento in cui lo si è diventati, una paura che manterrà per sempre una condizione siffatta, Eppure la cecità, quando si trasforma in reale obbligato, non renderà migliori ne’ peggiori, sarà un semplice cambiamento di status.
Il mondo ,,,’ caritatevole e pittoresco “… dei poveri ciechi è finito e si va trasformando nel regno duro, implacabile, crudele, dei ciechi, buoni contro cattivi, un modus operandi nel quale ragioni e non ragioni umane non fanno che ripetersi, è noto l’ egoismo che permea l’ essere umano.
E’ un reale trasformato e senza speranza nel quale il camminare o lo stare fermi saranno indistinti, un reale allegorico e crudelmente esposto nel quale neppure le lacrime hanno più senso perché ogni senso è perduto, ciechi e già morti, già morti in quanti ciechi, i sentimenti cambieranno e cosa diventeranno? Un governo di ciechi che pretende di governare i ciechi, senza futuro, ed è come se il presente non esistesse.
In un tale stato di ‘ normalità ‘ chi ancora ha la fortuna di vedere è costretto ad assistere all’ orrore che gli altri sentono in una condizione imperante e definitiva, si fanno anche dei voti, si pensa che si guarderanno gli occhi altrui credendoli anima o spirito mentre l’ unico sopravvissuto alla pandemia si farà ogni giorno sempre più cieco perché non avrà nessuno che lo possa vedere.
Questa la neo rappresentazione del mondo di “ Cecità’“, un microcosmo indistinto che si dibatte tra vero e presunto, realtà e distopia, una massa di individui senza nome con tratti e caratteri peculiari, visione estrema ed estremizzata di un incubo che si stenta a razionalizzare, situazione reale e paradossale rivestita di quotidianità presto soppiantata da una capacità di adattamento e di sovversione e dalla crudeltà propria dell’ umana specie.
C’è una cecità vera in una limpidezza di sguardi, una condizione di cecità spirituale e sentimentale ricoperta di finzione, egoismo, nichilismo, sterilità. Individualismo, feralita’, di tutti i vizi imperanti, la presunta malattia non è che l’ estremizzazione di un sentimento indistinto.
L’ incubo è visibile, reale, tra noi, la cecità palese, indigesta, molesta, esposta a una vita che pare inevitabilmente segnata…
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L'orrore
“ (…) voi non sapete, non potete saperlo, cosa significhi avere occhi in un mondo di ciechi, non sono regina, no, sono soltanto colei che è nata per vedere l’orrore, voi lo sentite, io lo sento e lo vedo.”
L’orrore. L’orrore.
Quello di cui parlava il personaggio di una celebre pellicola di fine anni ‘70, fantasma onnipresente che prendeva sembianze e volto (quello di Marlon Brando) solo nei minuti finali del film. Pronunciando quella parola nella penombra, quasi nel buio, una sola parola per infiniti sottintesi: “l’orrore”.
Lì – nel film – l’orrore era la guerra, negazione di ogni residuo d’umanità.
Qui – nel romanzo di Saramago – l’orrore è il crollo dell’organizzazione sociale: vengono giù, insieme, le fondamenta materiali e morali della società. E l’istinto di sopravvivenza non serve a conservarla, ad affermarla, ma, capovolgendo il senso delle cose, ne diventa la negazione.
Tutto è scatenato da un’epidemia, un virus che si diffonde improvvisamente e rende cieca l’intera popolazione, “risparmiando” solo la moglie di un medico. Quando lui, tra i primi a perdere la vista, viene internato in una struttura di ricovero rimediata da un vecchio manicomio, lei finge di essere cieca per poterlo seguire. Quel luogo sprangato e pattugliato all’esterno da militari che hanno ordine di sparare a vista contro chiunque intenda lasciarlo, diventa subito terra di nessuno.
Recensioni molto meritorie, prima di questa, si sono soffermate sul significato metaforico della cecità immaginata da Saramago.
Tutto giusto: i millenni necessari a cementare il contratto sociale – il patto che ci tiene legati e collegati – evaporano nello spazio di 24 ore, nel tempo necessario a capire che nessuna umana organizzazione può ovviare alla generale perdita della vista. E la metafora diventa ancor più evidente nel raccogliere quella già espressa in un altro famoso film: il mondo degli uomini, ora che sono privati di vista, diventa un mondo di zombi… ciechi che si muovono in gruppo, con le mani protese in avanti, con cautela, disorientamento, sporchi, debilitati, si urtano, inciampano, cadono, anche su quelli già caduti, vanno spasmodicamente all’assalto dei supermercati, si contendono il cibo, le riserve alimentari.
Non sono zombie, tuttavia: quelli non avevano coscienza, gli uomini privi di vista sì. Frana la società, ma non frana l’uomo, che si muove ora su un campo d’azione totalmente mutato. E cosa è l’uomo denudato di ogni sovrastruttura?
E’ bene? (Pietà per se stesso e per gli altri, comprensione, sacrificio, dedizione).
O è male? (Ruberie, minacce, aggressioni, stupri, sopraffazioni).
Nel libro ci sono entrambi. La dicotomia della natura umana, analizzata da Saramago, si riduce a questo interrogativo: cosa ne è dell’umanità senza la società? I miasmi della regressione testimoniano che qualsiasi virus, qualunque pandemia può portare alla fine della società, se si verificano certe condizioni.
Ma il libro ha un diverso finale, ugualmente potente, per ora solo l’ammonimento di cosa sia l’estinzione…
Quando il sole sorgerà di nuovo come astro visibile, resteranno due cose: le macerie e le domande. E solo le prime potranno essere spostate e messe da parte.
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Quel cieco terrore del nulla
E’ giunta l’ora anche per me di conoscere uno dei libri più intensi della letteratura mondiale; l’autore, Josè Saramago, non a caso ha vinto il Premio Nobel nel 1998.
“Cecità” è stato uno dei libri più letti di quest’anno, insieme a Spillover di David Quammen , i Promessi Sposi e La peste di A. Camus: tutti libri importanti, autori grandiosi a testimoniare il fatto che nei momenti straordinari della vita sono sempre i classici che ci aiutano a dare una risposta ai nostri “perchè”.
Perché nel mondo improvvisamente si diffonde questa epidemia? Nella fattispecie come mai tutta l’umanità diventa cieca, così, di punto in bianco?
E la risposta non arriva, ma si attiva una serie di riflessioni importanti sull’uomo, sulle relazioni sociali e i rapporti di potere.
E come nella poesia di Montale, cui ho pensato subito leggendo le prime due pagine del romanzo di Saramago:
“Forse un mattino andando in un’aria di vetro,
arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
di me, con un terrore di ubriaco.
(...)”
Così il primo personaggio che scopre di essere diventato cieco all’improvviso, un mattino, in mezzo al traffico urbano, all’accensione del verde del semaforo è incapace di far ripartire l’auto, perché non vede più niente, tranne un nulla lattiginoso, bianco. Qualcuno si offre di aiutarlo e lo accompagna a casa fino all’appartamento in cui il cieco abita con la moglie. Purtroppo quest’uomo così gentile è in realtà un ladro, che approfitta della situazione di bisogno in cui si trova quel conducente che ha perso la vista all’improvviso, per sottrargli l’auto. Dopo qualche minuto anche il ladro diventa cieco: una coltre bianca impenetrabile scende sulle sue pupille.
Di lì a poco questa cecità bianca si scoprirà contagiosa: il primo cieco si fa visitare da uno specialista che, non riscontrandogli nessuna lesione oculare, gli prescrive esami più approfonditi, ma perderà anch’egli la vista poco dopo.
Ora dopo ora sempre più persone denunciano di aver perso la vista, finché il governo, allarmato non prende provvedimenti d’emergenza: quarantena per i contagiati in una struttura adeguata. Il vecchio manicomio abbandonato. Nell’attesa che si sappia qualcosa in più su questa epidemia di cecità che viene provvisoriamente chiamata “mal bianco” - come quello che colpisce le rose- le autorità locali organizzano l’isolamento dei ciechi in questa struttura presidiandola coi militari, autorizzati a sparare su chi cerca di scappare dalla quarantena.
Le condizioni degli internati sono al limite, sia perchè non sono in grado di badare alle proprie necessità senza guida, sia perché il cibo che i militari passano loro è insufficiente.
Da un primo, sparuto gruppo di sette persone internate si arriverà a circa duecento contagiati isolati: sarà necessario organizzarsi per vivere questa nuova realtà comunitaria. Come succede nella vita reale, ci sono i buoni e i cattivi. I primi che, nella disperazione della perdita della vista, conservano pur nella sporcizia e nel degrado più totale un’ombra di umanità, e i secondi, che nonostante il male comune, pensano a sopraffare i più deboli, confiscando lo scarso cibo distribuito. Questi farabutti ricattano gli altri per ottenere denaro e poi donne in cambio di alimenti.
Saramago non ci risparmia nulla: morte, sopraffazione, violenza, escrementi lungo i corridoi, per le strade, cani che si cibano di cadaveri umani. Nulla è risparmiato al lettore, neanche lo stupro sino alla morte. Ciò che segna la svolta è infatti il trauma collettivo della violenza fisica. Non sono state offese solo le donne, ma anche gli uomini: per poter mangiare un pezzo di pane hanno dovuto sacrificare vilmente le donne.
“Cecità”, che aveva come titolo originario portoghese “Saggio sulla cecità” offre moltissimi spunti di riflessione, una lettura su più strati, dove si riscontrano reminescenze bibliche, kafkiane (processo, tribunali), tematiche legate al sogno (Calderon de la Barca, Borges) e sicuramente implicazioni che rimandano alla realtà politica portoghese dove la democrazia è arrivata più tardi che non negli altri Paesi europei. In una discussione sulla fine del mondo tra i personaggi del romanzo si parla di “morte della parola”: la fine del mondo è la cecità e la cecità è l’assenza della democrazia.
Interessante il fatto che è una donna, la moglie del medico, l’unica persona in tutta la storia a non perdere mai il bene della vista. E sarà la sua condanna, poiché:
“...non domandatemi cosa sia il bene e cosa sia il male, lo sapevamo ogniqualvolta abbiamo dovuto agire quando ancora la cecità era un’eccezione, giusto e sbagliato sono appena due modi diversi di intendere il nostro rapporto con gli altri, non quello che manteniamo con noi stessi, di quest’ultimo non c’è da fidarsi, (...) voi non sapete, voi non potete saperlo, cosa significhi avere gli occhi in un mondo di ciechi, non sono regina, no, sono soltanto colei che è nata per vedere l’orrore, voi le sentite, io lo vedo e lo sento (...)”.
Perché Saramago sceglie una donna per conferirle questa eccezione non si sa: attraverso i suoi occhi noi conosciamo la storia dell’orrore e dell’aberrazione umana. Quando la perdita del bene della vista toglie senso alle cose e all’umanità. Depravazione, abbruttimento esteriore ed interiore, egoismo, corsa alla sopravvivenza. La cecità collettiva, l’emergenza collettiva annullano millenni di civiltà, riportando la storia all’età della barbarie quando per assicurasi il cibo non si badava ai rapporti di parentela e si uccidevano i propri simili.
Per quanto riguarda lo stile il lettore si trova spiazzato di fronte all’amara ironia che gioca con le parole (prescrivere medicine alla cieca, fidarsi delle parole di un ladro cieco, non vedere via d’uscita etc...) e alle imbattibili torri di parole compatte quasi senza punteggiatura. Discorsi diretti liberi senza avvisi grafici, un fluire davvero a perdifiato in questo viaggio letterario. E i nomi? Mancano i nomi, non c’è bisogno di nomi, ma di ruoli. Anzi, di anime: “dentro di noi c’è una cosa che non ha nome, e quella cosa è ciò che siamo”. I ciechi non hanno bisogno di un nome, ed ecco come riconosciamo i vari personaggi: il primo cieco, il cieco ladro, il medico, la moglie del medico, la ragazza dagli occhiali scuri, il vecchio con la benda nera, il ragazzo strabico...persino un cane, il cane delle lacrime, che accorre appena avverte qualcuno che ha bisogno di conforto.
Tenuto conto dello stile si consiglia di privilegiare la lettura e non l’ascolto, per esperire coi propri occhi (è il caso di dirlo) la particolarissima scrittura del compianto scrittore.
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Chi è davvero cieco?
Ad essere sincera, ho provato un forte sentimento di amore-odio per questo romanzo, iniziato a leggere in estate e finito in questi giorni, in pieno secondo lockdown.
Indubbiamente il periodo che ci troviamo a vivere in questo momento ha orientato la scelta di leggerlo ma anche l'opinione che ne ho.
L'opinione sicuramente è anche influenzata dallo stile del romanzo, uno stile originale e sicuramente unico.
Lo stile di Saramago è così, o ti piace da morire o ti spiazza, uno stile senza punteggiature, senza distinzioni tra dialoghi e il resto del testo, un flusso continuo di pensieri, racconti, riflessioni ad alta voce.
Ma è sicuramente funzionale al rendere al meglio il contenuto, la storia, una narrazione così intensa da essere talvolta molto cruda.
Ma al tempo stesso una narrazione che, quasi in contrasto con il titolo del romanzo, ti spinge con la potenza di tutte le sue parole ad aprirti gli occhi.
Aprire gli occhi di fronte alla cecità che dilaga nel romanzo, un'epidemia improvvisa che lascia attoniti di fronte a qualcosa che non si conosce, e che spaventa, in cui vedo un forte parallelismo con la situazione attuale. E sin dalle prime righe della narrazione instilla nel lettore una riflessione su chi sia davvero il cieco. Un pensiero che accompagna la lettura fino alle ultime righe, in cui si trova una frase emblematica: "Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che pur vedendo, non vedono".
Una riflessione che spinge a chiedersi: sono davvero ciechi coloro che fingono di non vedere e invece vedono? O sono davvero ciechi coloro che davvero non sono ciechi ma nonostante questo fingono di vedere?
Figura cardine di questa riflessione è la moglie del medico, di cui si segue costantemente l'eterna guerra interiore che la porta ad essere combattuta, come unica vedente, tra il continuare a fingere di essere cieca e salvaguardare questo suo segreto per poter guidare i ciechi, e liberarsi di un fardello enorme, urlando a tutti di non essere cieca, dire che lei ci vede, ma esponendo ad un rischio altissimo, esponendosi alla mercè di chi ha perso la vista.
Un altro tema centrale è sicuramente il contrasto tra coloro che fanno della solidarietà e dell'unione la loro forza per la sopravvivenza, arrivando anche a sacrificare parte di sè per il bene del gruppo, e coloro invece che con i mezzi più beceri e violenti cercano di raggiungere una supremazia facendo leva sui bisogni primari degli altri ciechi, senza il minimo scrupolo se non quello di infliggere quanta più sofferenza fisica e morale sull'altro.
Significativo è sicuramente il fatto che questo aspetto emerga anche in una circostanza come quella in cui si trovano i ciechi, colti da un'epidemia che ha colpito tutti, senza distinzioni di classe, genere, età.
Significativo è quindi sicuramente il fatto che questo aspetto emerga anche in una circostanza come quella in cui si trovano i ciechi, colti da un'epidemia che ha colpito tutti, senza distinzioni di classe, genere, età.
Un romanzo che sicuramente non lascia indifferenti, e che forse ci cambia, ci spinge ad essere un po' meno ciechi e indifferenti di fronte a quello che come persone, cittadini, osserviamo tutti i giorni, spronandoci a non voltarci dall'altra parte o a chiudere gli occhi.
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lo scoppio di un'epidemia che ridefinisce la socie
In questo romanzo, siamo in un futuro distopico, in un luogo non precisato, in un tempo non precisato, in cui un'epidemia rende ad uno ad uno tutti gli abitanti ciechi.
Senza dettagli che ne specifichino luogo e tempo, la vicenda diventa quanto più universale possibile.
I protagonisti non avranno mai un nome proprio, ma sono indicati con una descrizione (“il vecchio dalla benda nera”, “la ragazza dagli occhiali scuri” etc) ed è proprio questo che ci permette di identificarci con ognuno di loro.
Saramago ti proietta in un nuovo mondo, le cui regole sono tutte da ridefinire.? Il senso stesso dell’umanità, con valenza ambivalente, sia considerando l’insieme di persone, sia quel sentimento che dovrebbe muovere la coscienza dei protagonisti, è cambiato, così come i giochi di forza e le priorità.
Lo scrittore è capace di tenerti incollato alle pagine, una dopo l’altra, con uno stile unico, privo completamente di punteggiatura e fatto di frasi lunghe che però sortiscono l’effetto di non voler mai interromperne la lettura.
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Mal bianco dell'uomo contemporaneo
Finalmente questo libro ha scalato la lista dei “libri da leggere” ed arrivato in cima. È arrivato in cima proprio nel periodo in cui l’Italia veniva dichiarata zona rossa. A volte il caso ci mette di fronte a delle situazioni inspiegabili, forse quasi paradossali. Ero indecisa di fronte alla possibilità di addentrarmi nella lettura di quest’opera, visto il contenuto, ma ho pensato che nello sconforto e di fronte alle tristi notizie che ogni giorno ci venivano (e ci vengono) date, poteva essere un buono strumento per comprende il periodo e per cercare delle risposte a domande personali ed intime che mi stavano tormentando..
Cecità è un ‘opera interessante, con il senno di poi, non so se è stato un bene leggere un libro così crudo, cinico e concreto in un momento in cui la morte è attorno a noi, nelle nostre case, in quelle dei nostri vicini, dei nostri cari. Ma sicuramente è stata illuminante, per comprendere come la natura umana riesca ad affrontare le situazioni più disparate, tirando fuori, spesso e volentieri, il lato peggiore della nostra indole.
L’epidemia, che colpisce l’imprecisato Paese in cui si svolge la vicenda, rende ciechi gli uomini e le donne, li priva di un senso, quello della vista, che si tende a dare per scontato e non si riflette su come avere un paio d’occhi incida drasticamente sulla nostra vita, sul modo di viverla ma soprattutto di interpretarla. Il male, che emerge da questo mondo immerso nel bianco, è crudele, cinico, spietato, non “guarda in faccia” nessuno. Saramago, con quest’opera che voglio immaginare come distopica, ci illustra un’umanità che dopo aver perso la possibilità di vedere, scende uno dopo l’altro i gradini della dignità, della solidarietà, della gentilezza, della condivisione, lasciando che ne emerga solo una massa di ciechi egoisti e arrabbiati. Non tutti, alcuni riescono a tenersi aggrappati ai quei pochi brandelli di umanità e di bontà che gli restano e sono coloro che ruotano attorno all’unica donna che non ha perso l’uso degli occhi, l'unica che continua a vedere il sole sorgere e il resto del mondo sprofondare negli istinti animali e nello sconforto totale.
Il “mal bianco” a cui sono condannati questi uomini e queste donne è un male che non si vede ma che causa la fine della civiltà, del buon vivere, delle regole sociali. Si forma un mondo dove vige la legge del più forte, del più furbo, del più veloce. In questo mondo disilluso, in cui il cibo non è scontato, l’acqua è un miraggio, l’igiene personale un’abitudine che si ricorda solo con indeterminatezza, la morte, la povertà, la malattia sono agli angoli delle strade, sono sui vestiti laceri delle persone, nell'odore che si portano dietro. Saramago ci mostra un’umanità vinta, persa, naufragata, incapace senza gli occhi di poter vivere in società, di potersi organizzare, di poter funzionare.
Al di là della storia, originale quanto spiazzante, il messaggio è forte, l’impatto non lascia indifferenti, oggi più di tutti gli altri giorni. In un momento di grande criticità come quello che stiamo vivendo, l’umanità lancia grida contrastanti, ma molto chiare. Niente di diverso da quello che leggiamo in Cecità. L’egoismo e l’indifferenza nei confronti di chi non è colpito dal male, la sordità di fronte alle richieste di aiuto, la cecità di fronte a chi tende una mano, la paura di ciò che non si capisce e poi.. poi tutti nel baratro, senza possibilità di scampo e allora l’egoismo e l’indifferenza si trasformano in rabbia, in aggressività, in desiderio di sopravvivere facendo soccombere gli altri, e poi.. poi la morte, la morte che si crede sempre lontana, come se si trattasse di un’estranea, come il contrario della vita, quando la morte è dentro la vita, ma ce ne dimentichiamo, fino a quando non ci tocca.
“Chissà se tra questi morti non ci saranno i miei genitori, disse la ragazza dagli occhiali scuri, e io, magari, passo accanto a loro e non li vedo, E’ una vecchia abitudine dell’umanità, passare accanto ai morti e non vederli, disse la moglie del medico.”
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Parallelismi inquietanti
Credo che ad oggi, la trama di "Cecità" la conoscano un po' tutti: la gente viene colpita da una cecitá virale improvvisa. Questa epidemia, perché di questo si tratta, posso paragonarla ad altri scenari apocalittici della distopia ma, in realtà, ha caratteristiche diverse, per esempio le persone non cambiano, anzi, grazie alla loro cecità possiamo notare ciò che davvero ognuno di loro è.
“La cecità stava dilagando, non come una marea repentina che tutto inondasse e spingesse avanti, ma come un'infiltrazione insidiosa di mille e uno rigagnoli inquietanti che, dopo aver inzuppato lentamente la terra, all'improvviso la sommergono completamente”
Questo libro, complice anche il momento particolare in cui ho deciso di leggerlo, mi ha molto colpito. Mi ha lasciato delle sensazioni molto particolari e mi ha fatto pensare moltissimo al mondo e a come decidiamo di starci. Il modo in cui Saramago è riuscito a trovare la quadra nella trama con tutti gli elementi mixati alla perfezione ha fatto sì che questo libro sia il capolavoro che è.
Saramago ha una scrittura descrittiva molto accentuata, i discorsi diretti o indiretti pieni di riferimenti. Ascoltando leggere il romanzo ho avuto l'impressione di essere presente nelle pagine, seppur qualche parte risulti piuttosto caotica per via della presenza di parecchi personaggi, volutamente senza nome e, quindi, spersonalizzati. Succedono cose importanti in ogni momento e non ci si annoia mai. Anche nei lunghi momenti di introspezione di un personaggio, non si perde mai la voglia di sapere cosa sta pensando e cosa stia provando. Questi momenti introspettivo sono comunque dinamici, trattati in modo drammatico per invogliare alla lettura del prosieguo.
Nonostante la drammaticità insita in ogni parola, non mancano momenti di pura ironia data dalle molte battute sui ciechi e sulla cecità in generale, che strappano un sorriso anche nei momenti più pesanti del libro.
“Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono”
I personaggi sono tratteggiato in maniera pressoché perfetta. Come dicevo, non ci è dato conoscere i loro nomi, eppure sembra di conoscerli bene. Saramago, a causa della loro cecità, li porta ad esprimere ciò che realmente sono, senza imposizione dei limiti imposti nella vita reale. La domanda che aleggia su queste pagine è: come ci comporteremmo se fossimo al loro posto? All'ambientazione è stata data una grande importanza. Soffocante, difficile e nuova, fa capire bene lo stato di alienazione che prova la gente rifiutata per via dell'infezione. Il senso di straniazione è molto forte e a volte claustrofobico. Così come l'accettazione della cattiveria da parte dei "buoni"
Per quanto riguarda il tempo e il luogo, per quanto si possa in parte capire, non viene mai esplicitato perché non risulta rilevante ai fini della narrazione. Potrebbe essere oggi, proprio in Italia, oppure nel 1950 in America.
“Parole giuste, eravamo già ciechi nel momento in cui lo siamo diventati, la paura ci ha accecati, la paura ci manterrà ciechi”
Un libro che consiglio a tutti di leggere, perché oltre ad essere attualissimo è insieme un compendio della bruttura umana, della cattiveria e del voler spersonalizzare l'umano fino ai limiti consentiti (e oltre). Se siete suscettibili, forse andrebbe letto alla fine della quarantena da Covid-19 onde evitare di fare parallelismi con la situazione attuale.
“Non ha trovato risposta, le risposte non vengono ogniqualvolta sono necessarie, come del resto succede spesse volte che il rimanere semplicemente ad aspettarle sia l'unica risposta possibile”
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Vedere, osservare, sentire
Un libro decisamente simbolico, lirico ed al momento stesso sensoriale. Ecco le prime impressioni che mi hanno colta al termine di Cecità.
Saramago fa rapidamente precipitare il lettore nel bianco latte che ad un certo punto avvolge la vista di una intera comunità. L'angoscia accompagnata dallo spaesamento di ogni persona che all'improvviso inizia ad urlare "Sono diventato Cieco" sorprende il lettore sin dalle prime righe.
Davanti ad un semaforo, nel letto di un Hotel, nel bel mezzo del lavoro, a casa ed in mille situazioni differenzia un cittadino dopo l'altro, senza differenza di sesso, origine, ricchezza, perde la capacità di vedere. La cecità è bianca, non lascia pace, non lascia sonno rilassante, fa cadere nella luce totale.
La società si organizza per contrastare la cecità contagiosa ed allora si crea una quarantena isolata in un ex manicomio, ciechi che diventano animali, abbandonati a loro stessi, alla mercé della sporcizia e della miseria. Questa situazione dura poco, a causa di un incendio, dopo una serie di tragedie nelle tragedie, tutti escono e la vita cieca prosegue nella città.
I protagonisti sono un gruppo senza nome, nessuno ha più bisogno di identificarsi, c'è il primo cieco con sua moglie, c'è la ragazza dagli occhiali scuri, il ragazzino strabico, l'uomo dalla benda nera, l'oculista (lavoro quanto mai bizzarro ed assolutamente inutile ormai!). Ma in tutto ciò c'è una figura: La moglie dell'oculista che non ha perso la vista. Fortuna o sventura? La donna assiste alla decadenza degli esseri umani, accudisce e protegge chi ha a fianco, cura le ferite e lenisce i pianti, combatte e si ribella e si strema nelle forze. L'unica persona che può vedere il male e l'indifferenza che la circonda sino alla fine.
L'importanza della vista ma soprattutto della volontà di vedere ciò che ci circonda acquisisce ruolo preminente. Ogni aspetto sensoriale prende corpo ed ecco che il numero dei passi assume rilevanza quanto la differenza delle superfici o la percezione dei rumori.
La fame aumenta ed i viveri scarseggiano, allora l'autore ci mette faccia a faccia con la morte dei corpi perché la morte interiore la si stava già vivendo e stava divagando.
Le lacrime quanto le parole cullano il passare dei giorni. Chi è davvero cieco? Chi ha smesso di volev assistere e partecipare al mondo con le proprie possibilità oppure chi, una volta riacquista la vista non saprà, forse, goderne a pieno? L'indifferenza, la noncuranza e la cattiveria non hanno cessato di mietere proseliti e vittime anche in una società di ciechi. Non c'è disgrazia che elimini i Mali radicati nella natura umana. Non c'è male però che elimini le lacrime se non l'amore che interviene anche da parte di un cane, fedele animale, simbolo di sostegno. Nel nostro gruppo di protagonisti, forse grazie alla moglie del medico, c'è sentimento, ci sono azioni positive e caritatevoli che toccano il cuore e lasciano sperare.
La società, i soprusi, l'aiuto e la parte più animale dell'uomo emergono con fare disarmante. I sensi sono attivi fin dall'inizio ma proprio la vista viene descritta a tratti, le persone non hanno volti, non hanno fattezze, quasi che la mancanza della vista appiattisse gli animi che prendono forma nei nostri corpi, unici, irripetibili.
Una condanna all'appiattimento ed allo stesso tempo una condanna all'angoscia che vuole essere annientata.
Il libro risulta, a mio parere, prolisso in certe parti ed alle volte ripetitivo. Tuttavia la scrittura continua, senza punteggiatura è il marchio di Saramago e le riflessioni che si susseguono nel racconto sono di elevato livello stilistico e concettuale, sicuramente da assaporare lentamente e con il giusto grado di concentrazione. Dell'autore avevo letto Le intermittenze della morte, molto piacevole e mi riprometto, più avanti di leggerne altri, la scrittura è così coinvolgente che trascina sino alla fine.
"ecco come sono le parole, nascondono molto, si uniscono pian piano tra loro, sembra non sappiano dove vogliono andare, e all'improvviso, per via di due o tre o di quattro che all'improvviso escono, parole semplici, un pronome personale, un avverbi, un verbo, un aggettivo, ecco lì che ci ritroviamo la commozione che sale irresistibilmente alla superficie della pelle e degli occhi, che incrina la compostezza dei sentimenti.. "
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Cecità lattiginosa, il mal bianco.
Non è un classico libro post apocalittico.
Non è una cecità nera e buia, è qualcosa che entra negli occhi, come un mare di latte.
Non ci sono personaggi ben definiti, i protagonisti vengono distinti per ciò che li caratterizza: la ragazza dagli occhiali scuri, il ragazzino strabico, l’uomo dalla benda nera, la moglie del medico.
Non ci sono dialoghi diretti, come se tutto il libro fosse raccontato dalla voce dell’autore.
Pochi punti, molte virgole.
Non è la cecità in quanto tale ad essere la protagonista di questo libro, ma la reazione psicologica di ogni individuo alla cecità stessa dovuta al contagio.
Troviamo indifferenza, istinto di sopravvivenza, paura, abbandono e impotenza.
Alcuni reagiscono diventando abusatori di potere, violentatori carnali, ladri e persino assassini.
La mancanza di un senso che è la vista non fa perdere solo la stessa ma anche la ragione.
Non c’è traccia di lieto fine.
Ma basta solo guardare fuori dalla finestra, o ascoltare i telegiornali per capire che a questo mondo non c’è più umanità.
Questo libro non è servito a farmi capire qualcosa di nuovo ma semmai a ricordarmi ciò che già so.
Ad alcuni ha aperto gli occhi, io sto già convivendo con questo mondo.
Lo consiglio forse ad un target di lettore più giovane.
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Vita-morte-vita
Cosa voleva trasmetterci Saramago scrivendo “cecità”?
Era un esercizio stilistico e immaginativo, mirato ad avvolgere il lettore in un clima di soffocante e disperata cecità o percepiva la necessità di trasmettere un qualche messaggio ed insegnamento?
La lettura, come la musica, regala grandi e personali proiezioni. La mia personale vede entrambe le possibilità come realtà vive più che mai nella lettura appena ultimata.
Lo stile presenta font e interlinea piccoli, frasi sempre di ampio respiro, paragrafi quasi inesistenti, personaggi senza nomi propri ma identificati attraverso l’uso di epiteti (“il cane delle lacrime, “la ragazza con gli occhiali neri”) e man mano un susseguirsi di battute a cascata, talvolta senza nemmeno la specifica di quale personaggio stia parlando; rendendo così anche il lettore cieco, ma in grado, proprio come fanno gli personaggi ciechi, di riconoscere dalle stesse parole chi sta dialogando.
Dentro alla forma, il contenuto. È chiaro come la disperazione e la bestialità prendano velocemente il sopravvento, esplicitando l’appartenenza dell’autore alla filosofia “homo homini lupus”. Tuttavia non si può negare l’inspiegabile sottofondo di calda speranza e familiarità che nonostante tutto non cessa mai di “vedere”, di esistere. Apparentemente sembra essere rappresentato solamente dalla protagonista, la moglie del medico, che non diventa cieca se non alla fine. Tuttavia in vari episodi, forse più silenti, continuano ad esistere forze positive che si contrappongono a quelle mortifere che rendono l’uomo cieco sempre più egoista, menefreghista, solo. Queste forze le riscontriamo nell’unità del piccolo gruppo che si mantiene vivo dall’inizio fino alla fine del libro, non senza lotte, tradimenti e difficoltà; nella solidarietà delle donne; nelle coppie (i giovani descritti in un emozionante e vibrante atto amoroso, la coppia composta dall’oculista e dalla moglie, la nuova coppia data dalla ragazza con gli occhiali scuri e il vecchio con la benda sull’occhio); nell’amore e nelle attenzioni dispensate dal gruppo verso il ragazzino più piccolo del gruppo; ecc.
Sembra proprio che Saramago, scarnificando la società odierna, abbia riscoperto e dato vita ad una primordiale condizione in cui a scontrarsi sono le più ancestrali forze di morte e vita, rappresentando una danza inesauribile, archetipica, dove non si nasconde né la morte dalla vita, né la vita dalla morte. Subito dopo: il gruppo, la condivisione, come naturale possibilità di sopravvivenza, del corpo come dell’anima.
Questa lettura mi lascia la sensazione che l’autore abbia nel libro ottimamente rappresentato la propria idea di uomo, da un lato pervaso dalla paura, dall’egoismo, dalla morte (la cecità rende l’uomo bestia, assassino, violentatore) dall’altro arricchito dalla speranzosa, dalla fiducia, dal senso dell’Altro, dalla vita (solo cercando organizzazione nel gruppo e mantenendo vivi i principali valori come il rispetto e l’uguaglianza l’uomo può sopravvivere e vivere alla cecità).
Ho scelto questa citazione come rappresentante più emotivamente coinvolgente della seconda accezione di uomo (o meglio donna): "[...] è ancora carina [...] Tu mai come adesso. Ecco come le parole, nascondono molto, si uniscono pian piano fra di loro, sembra non sappiano dove vogliono andare, e all'improvviso, per via di due o tre, o di quattro che all'improvviso escono, parole semplici, un pronome personale, un avverbio, un verbo, un aggettivo, ecco lì che ci ritroviamo la commozione che sale irresistibilmente alla superficie della pelle e degli occhi, che incrina la compostezza dei sentimenti, a volte sono i nervi a non riuscire a reggerem sopportano molto, sopportano tutto, come se indossassero un'armatura, si dice, La moglie del medico ha i nervi d'acciaio e poi, in definitiva, la moglie del medico si scioglie in lacrimen per via di un pronome personale, di un avverbio, di un verbo, di un aggettivo, mere categorie grammaticali, mere designazioni, come del pari lo sono le restanti due donne, le altre, pronomi indefiniti, anch'essi piangenti, che abbracciano quella della frase completa, tre grazie nude sotto la pioggia."
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I CIECHI SIAMO NOI
“La paura acceca, disse la ragazza dagli occhiali scuri, Parole giuste, eravamo già ciechi nel momento in cui lo siamo diventati, la paura ci ha accecato, la paura ci manterrà ciechi"
Il referente letterario d’obbligo di “Cecità”, il romanzo al quale il lettore istintivamente lo associa e con cui lo confronta, è sicuramente “La peste” di Camus. Entrambe le opere infatti parlano di un terribile e inarrestabile contagio e, in secondo luogo, sono essenzialmente metaforiche, rimandano cioè a una situazione più ampia e onnicomprensiva di quella rappresentata in superficie; anche se - questa è la prima e forse più importante differenza - ne “La peste”, scritta a guerra mondiale appena conclusa, l’epidemia simboleggiava inequivocabilmente l’ascesa e l’avanzata del nazismo, mentre in “Cecità” Saramago non vuole essere ingabbiato in interpretazioni storico-politiche circoscritte, preferendo invece, cosa che gli si confà assai di più, l’astrazione dell’apologo fantastico. La chiave di lettura più attendibile ce la dà però, nell’ultima pagina del libro, la moglie del dottore quando dice: “Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, […], Ciechi che, pur vedendo, non vedono”. Con questa affermazione il messaggio dell’autore, da pseudo-fantascientifico quale poteva sembrare a prima vista, viene infatti spostato decisamente sull’oggi. I ciechi che si aggirano come fantasmi in un mondo esausto, sporco, barbaro e violento, siamo proprio noi, “ciechi che, pur vedendo, non vedono” dove sta andando il pianeta, vale a dire verso l’insopportabile divaricazione dei livelli di vita tra Nord e Sud del mondo (i paesi ricchi sempre più ricchi, quelli poveri sempre più poveri), verso l’esaurimento delle risorse naturali, verso lo sfruttamento selvaggio di quel poco che ancora rimane. Emblematico appare l’ordine sociale che si instaura, in assenza di qualsiasi legge civile e di un’autorità riconosciuta, nell’ex manicomio dove vengono rinchiusi i primi ciechi: in breve tempo, al di là di ogni immaginazione e contravvenendo al luogo comune che vorrebbe i malati esseri più sensibili della norma e solidali gli uni con gli altri, a prevalere è l’anarchia, la sopraffazione, la violenza più odiosa (gli stupri collettivi cui le donne sono sottoposte, con l’umiliante connivenza degli uomini che altrimenti non riuscirebbero ad ottenere il cibo necessario per sopravvivere). Chi non vede in questo la metafora dell’imperialismo, del capitalismo selvaggio e in generale degli squilibri economici, politici e demografici del pianeta (pochi ciechi possiedono armi, cibo e ricchezze a danno di tutti gli altri, che sono poveri, affamati, vessati e in soprannumero)?
La seconda chiave di lettura di “Cecità” è meno allegorica. Saramago, da impareggiabile umanista quale egli è, si propone di verificare dove può giungere l’uomo, o meglio quel quid misterioso che lo fa essere uomo, diverso dagli animali, in una parola la sua umanità (o anima o spirito che dir si voglia), se rimane privo dei più elementari strumenti di sopravvivenza, gli occhi per vedere, il cibo per nutrirsi, l’acqua per lavarsi. La conclusione sconsolata dello scrittore lusitano è che, privo di tutte quelle certezze che la civiltà gli garantisce e che vengono date in gran parte per scontate, egli regredisce ben presto a uno stadio subumano, bestiale, sia da un punto di vista fisico sia, ciò che più importa, sotto un aspetto squisitamente morale: tutto diventa lecito, l’indifferenza verso il prossimo è totale, ciò che conta è unicamente la propria sopravvivenza e il proprio personale tornaconto. Il pessimismo di Saramago è assoluto e apparentemente senza vie di uscita, soprattutto nella prima parte ambientata nell’ex manicomio, dove oltretutto il punto di vista è claustrofobico (“Il mondo è tutto qui dentro” dice la moglie dell’oculista), gli avvenimenti esterni sono completamente assenti (togliendo così ogni residua occasione di suspense narrativa) e il muro di cinta un ostacolo invalicabile anche per il lettore. Poi, quasi come se, toccato il punto più basso ed infimo, qualcosa di meglio (o di meno peggio) dovesse per forza toccare in sorte ai personaggi, lo scrittore portoghese apre un piccolo spiraglio alla speranza. E lo fa con un’altra di quelle strambe e anomale famiglie che spesso popolano i suoi romanzi (penso a “La zattera di pietra”, ricollegabile a “Cecità” anche per il tema dell’evento inspiegabile del quale i personaggi sono vittime, e a “La caverna”): guidati da quell’eccezionale personaggio-vate che è la moglie del medico (l’unica persona ad avere conservato la vista), due uomini, due donne, un vecchio, un bambino e (non poteva mancare) un cane, vanno faticosamente in giro per il mondo affermando giorno per giorno, con la solidarietà reciproca, con il rispetto per quel poco di umanità che ancora resta in loro stessi, con la dignità difesa dalla subdola tentazione di lasciarsi andare e, soprattutto, con il senso di responsabilità e di servizio verso il prossimo (la moglie dell’oculista che prima, pur non essendo malata, finge di esserlo per seguire il marito nella sua reclusione, e poi si consuma e si sfinisce nel voler essere gli occhi che mancano a chi è attorno a lei), che un futuro diverso è ancora possibile. Infine, nelle ultime pagine, dopo che in precedenza ci aveva fatto toccare l’orrore più puro e descritto la miseria dell’uomo ridotto alla sua dimensione più ripugnante e scatologica, Saramago fa tornare la vista a tutti, così, inspiegabilmente come all’inizio l’avevano persa, con un’inattesa e repentina facilità che sembra voler affermare, ad onta di ogni evidenza, che in questa nostra vita pericolosamente in preda alla cecità della ragione non tutto forse è ancora perduto.
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"La zattera di pietra" di José Saramago
"La caverna" di José Saramago
Mal bianco
"Essere cieco non è tale e quale a essere morto. Sì, ma essere morto è tale e quale a essere cieco."
Un grande romanzo, crudo e violento come solo Saramago sa fare. Il viaggio attraverso questo lazzaretto per solo ciechi ci mostra un veloce excursus sull'evoluzione umana. L'autore punta il dito contro le autorità che si limitano a rinchiudere tutti i malati all'interno di un manicomio adibito a ricovero. Nessuna assistenza all'interno, solo un carico di cibo insufficiente che viene lanciato a debita distanza per evitare un contatto. Tutti i ciechi dovranno arrangiarsi per conto proprio. Lavare, pulire, mangiare... le cose più semplici diventano impossibili.
Si nota come i primi ciechi, alle prese con i nuovi forzati alloggi, sono disorganizzati, sporchi, come se avessero dimenticato il senso del vivere civile. Col passare del tempo le camerate sono sempre più organizzate, si creano delle gerarchie e delle regole da rispettare. Come ogni società che si rispetti, c'è il gruppo di prepotenti che pretende lo scettro del comando con conseguente insorgere delle masse. Ma questa farsa di civiltà durerà ben poco, lasciando spazio solo ad istinti primordiali.
Durante la lettura, arriva per prima la descrizione della cecità vera e propria, tramite una forte rappresentazione dell'handicap. Come se non bastasse, per poter far si che, un lettore vedente, si immedesimasse, almeno un po', nel disagio subito dai ciechi, sopraggiunge la fame. La lotta alla "fame" accompagna l'intera lettura. L'uomo è rimesso in discussione poiché Saramago divide le sensazioni umane fino ai minimi termini. Tra queste riemergono solo quelle più primitive, come il bisogno di saziarsi.
Successivamente si percepisce forte il senso di cecità proprio della società. Ciechi di fronte al disagio dei bisognosi, ciechi di fronte una richiesta di aiuto. La stessa cecità che non distingue i vedenti dai non vedenti. Si diventa ciechi ai legami di sangue (il bambino non cerca più la madre), ciechi di fronte all'amore (il marito che tradisce la moglie). Resta solo l'istinto primordiale della sopravvivenza.
Questa cecità, che appiattisce tutto e rende tutti uguali, si può notare anche nello stile. I personaggi non hanno nomi - l'uomo con la benda sull'occhio, la ragazza con gli occhiali, il medico, il bambino strabico – e quasi la totale assenza di punteggiatura. Così anche il lettore si sente spiazzato, come un cieco che deve riconoscere da che parte proviene una voce.
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Per tutto questo mancano gli occhi
E se l’umanità venisse colpita da una pandemia che ha la forma della Cecità?
E se l’esercizio teorico-letterario di José Saramago si trasformasse in realtà?
E se l’epidemia non fosse soltanto una metafora di questo sciagurato mondo (“Senza futuro il presente non serve, è come se non esistesse”)?
Che cosa sono il progresso e la civiltà se non possiamo vederli (“E per tutto questo mancano gli occhi”)?
La mente corre a un altro esperimento letterario analogo: La peste di Camus. Anche lì si agisce su una prospettiva di morte
per ragionare su ipotesi di morte (“La pallottola che ti sostituirà una cecità con un’altra”), per scuotere chi legge, per immaginare reazioni del potere e della società.
Per tutto il romanzo il climax della preoccupazione procede parallelo al senso di oppressione. Rimango in dubbio se prevalga il primo o il secondo.
Il manifestarsi della malattia (“Sono cieco, sono cieco, ripeteva disperato mentre lo aiutavano a uscire dalla macchina, e le lacrime, sgorgando, resero più brillanti quegli occhi che lui diceva morti”) e la sua descrizione (“È come se stessi in mezzo a una nebbia, è come se fossi caduto in un mare di latte”), il tentativo di diagnosi (“Una pista, sì, lo so, l’agnosia, la cecità psichica, potrebbe essere”), il dilagare del contagio, il desiderio di isolare gli infetti (“E allora vada per il manicomio”), le reazioni violente del potere (“Nervoso, il soldato uscì dalla garrita con il dito sul grilletto…”), il degrado progressivo della società, la furia della forza distruttiva che ridicolizza la vulnerabilità dell’uomo… poi, forse, qualche flebile segnale di speranza (“Il cane delle lacrime”)…
Particolarmente efficace l’analisi della condizione di cecità (“La luce, questa luce, per lui si era trasformata in rumore”), condotta sia in senso fisiologico (“Gli occhi propriamente detti non hanno alcuna espressione, sono due biglie che restano lì inerti, sono le palpebre, le ciglia, e anche le sopracciglia che devono farsi carico delle diverse eloquenze e retoriche visive, la fama però ce l’hanno gli occhi”), sia in senso traslato (“Dentro di noi c’è una cosa che non ha nome, e quella cosa è ciò che siamo”), sia in senso linguistico (“Botte da orbi, si suol dire”).
Giudizio finale: soffocante, potente, intimidatorio. Accecante, ma in grado di regalare visioni.
Bruno Elpis
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Prova d'inciviltà umana
È raro trovare una copertina capace di illustrare in pieno il contenuto di un romanzo, così da catturare già da lontano il potenziale lettore, farlo avvicinare allo scaffale per la curiosità ed infine accompagnarlo nella lettura. Molti romanzi presentano copertine anonime o per nulla pertinenti alla storia, soprattutto se si tratta di volumi tradotti, ma la Feltrinelli ha fatto centro con “Cecità”.
Pur essendo molto semplice e delicata, la copertina rappresenta alla perfezione la storia che attende il lettore qualche foglio più in là; il bianco un po’ sporco di fondo per la vista annullata delle persone affette dal mal bianco, le figure nere in fila indiana a raffigurare gli anonimi protagonisti e la donna alla testa della fila altri non è se non la più sventurata tra tutti: l’unica dotata della vista in un mondo da incubo abitato da soli ciechi.
Il capolavoro di Saramago presenta una trama quasi fantascientifica, non fosse che il raziocinio viene ben presto messo da parte, sia dall’autore sia dai suoi personaggi. In un paese senza nome, un uomo diventa improvvisamente cieco e, in poco tempo, questa “malattia” contagia tutti coloro che gli stanno vicini, diffondendosi ovunque con un effetto domino. Come detto, non viene dato molto spazio ai tentativi di studiare le origini di questa strana epidemia, se non le ricerche fatte da un oculista nei primi capitoli.
Se da un lato la scienza sembra inerte, non lo è almeno in un primo momento il governo, che subito tenta di arginare il problema rinchiudendo in un manicomio tutti i contagiati ed i potenziali tali. Qui si (ri)trovano a convivere forzatamente i protagonisti, rimanendo comunque celati alla vista del lettore, che su questo aspetto è cieco quanto loro: di nessuno sappiamo infatti il nome né l’aspetto, se non per qualche dettaglio marginale, e abbiamo giusto un paio di informazioni riguardo il loro passato.
Pur privato dei dati basici sui protagonisti, che è costretto ad identificare con appellativi come “la ragazza con gli occhiali scuri” o “il vecchio con la benda nera”, il lettore finisce per affezionarsi a loro e a preoccuparsi per la loro sorte.
La decisione del governo ha conseguenze estreme: ormai abbandonati a se stessi, i ciechi danno vita ad una società primitiva in cui ognuno si preoccupa innanzitutto del proprio benessere, mentre si vanno perdendo prima la razionalità e poi le relazioni. In questo neonato stato nello stato, si evidenziano due estremi: da un lato chi tenta di imporre un dominio tirannico, dall’altro l’affettuoso rapporto tra una giovane ragazza ed un bambino rimasto orfano a causa della cecità.
Proprio questa cecità permette di analizzare gli aspetti peggiori di un’umanità mutilata in una sua abilità imprescindibile: si perdono igiene e decoro, e neppure il lato “positivo”, ossia l’impossibilità di vedere direttamente fino a quali bassezze si può arrivare, riesce a dare un po’ di calore al bianco abbacinante. A mio avviso poi, la cecità è perfetta per l’ambientazione contemporanea, ma poteva essere rimpiazzata da un’antica peste o da una futuristica apocalisse zombie.
Per quanto riguarda lo stile, devo confessare che questo è il mio primo approccio a questo autore e mi ci è voluto qualche capitolo per apprezzare la particolare narrazione; Saramago utilizza esclusivamente il discorso indiretto libero ed è spesso necessario rileggere le battute dei personaggi per comprenderle al meglio. Altra particolarità di questo romanzo è la presenza di moltissimi proverbi nel testo e la narrazione che ricorda una cronaca in diretta commentata.
I temi trattati da Saramago sono vari e spaziano dalla riflessione sui sentimenti umani, ai limiti della civiltà contemporanea, a riferimenti religiosi: da un certo punto di vista, quanto accade ai protagonisti e agli altri ciechi potrebbe essere interpretato come una prova alla quale un Dio rapido all’ira ha scelto di sottoporre l’intera umanità, con il conseguente, irrimediabile fallimento di quest’ultima.
Ovviamente, Dio è facile anche al perdono, ma questo non riesce a cancellare dalla nostra mente il messaggio di fondo: sono proprio gli elementi che ci definiscono come esseri civili a poter diventare il principio della nostra rovina.
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UN MONDO SENZA LUCE
Un'epidemia colpisce l'umanità, le pupille si spengono, i colori svaniscono, una nebulosa lattiginosa diviene l'unica visuale possibile.
Questo scenario apocalittico e suggestivo è la culla narrativa predisposta da Saramago per rappresentare un ipotetico percorso dell'uomo dalla luce alle tenebre.
Nonostante l'escamotage narrativo non brilli per originalità, tuttavia le dinamiche messe in scena dall'autore per fotografare i comportamenti dell'essere umano sono ben congegnate e forti.
L'uomo di Saramago si spoglia delle vesti della normalità sociale per indossare le sembianze della bestialità, la ragione lascia il posto all'istinto, affiorano forze brute che scuotono e ribaltano il senso del decoro, della pietà, della morale.
Immagini volutamente audaci scorrono tra le pagine, lame affilate che fanno male al lettore.
L'autore effettua un'indagine sociale portando l'uomo al punto di esplosione, un punto in cui anche le forze più occulte trovano libero sfogo.
Uomini e donne in balia di sentimenti deviati, costretti ad una cattività che mette a nudo il volto oscuro di ciascuno.
Umanità in caduta libera, orfana di valori e dignità.
Un romanzo di grande impatto emotivo che pullula di spunti di riflessione al di là del carattere fantasioso, che mette a nudo l'animo umano, scandagliando gli angoli più reconditi.
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Indifferenza, moralità, immoralità
Una città indefinita, un anno indeterminato, un’epidemia sconosciuta ed inspiegabile, un’epidemia espressa in una forma di cecità atta ad immergere “in un bianco talmente luminoso, talmente totale da divorare, più che assorbire, non solo i colori, ma le stesse cose e gli esseri, rendendoli in questo modo doppiamente invisibili” prima singoli individui, di poi la globalità.
Non si tratta dunque di una cecità meramente fisica, quanto piuttosto di un metafisico e metaforico ottenebramento dell’anima, essendo concepito l’occhio quale unica parte del corpo umano in cui è radica la medesima. Il perdere la capacità cognitiva dello spazio e del tempo provoca molteplici reazioni. Fintanto che la condizione di offuscamento è limitata a piccoli gruppi di soggetti obbligati a convivere in uno spazio di quarantena, è ancora riconoscibile uno spiraglio di altruismo, di volontà di darsi una mano perché tutti nella medesima situazione, ma, man mano che le vicende fanno il loro corso, si dipanano con la loro crudele verità, mano a mano che questi aumentano, tanto più è riscontrabile nella condotta di taluni dei riscoperti ciechi, una volontà di prevaricazione. La condizione in cui sono radicati porterà, infatti, alle peggiori conseguenze, semplicemente e più precisamente, riuscirà a far sì che venga alla luce quanto di più abietto e marcio vi è nell’intimo. L’insieme delle circostanze, cioè, metteranno a nudo ciò che in parte veniva celato: il vero essere, la vera anima. Con le sue sfumature. Con le sue brutture. Con le sue bellezze. Con le sue verità. L’essere umano, cioè, privato di quel mezzo di giudizio che è proprio di chi assiste e percepisce le azioni, non si vergognerà più di mostrarsi per quel che è.
«E’ di questa pasta che siamo fatti, metà di indifferenza e metà di cattiveria» p. 37
Tutto ha inizio con la quarantena dei soggetti infettati in un ospedale psichiatrico. I ricoverati sono suddivisi tra coloro che hanno già manifestatamente palesato la malattia, e coloro che al contrario, è presumibile che ne siano stati contagiati. Ogni giorno, alla solita ora, le regole da mantenere vengono dettate da un altoparlante, ogni giorno, per tre volte, viene – o dovrebbe essere – consegnato il vitto. La luce artificiale, è sempre attiva. Le guardie presiedono l’ingresso della struttura onde evitare fughe. Qualsiasi conseguenza interna alla medesima è mera responsabilità dei degenti. Se dovesse scoppiare un incendio, come una rappresaglia, cioè, alcun intervento esterno è previsto ed ammesso. Queste e molte altre le disposizioni da seguire.
Ed è in questa sorta di lager che hanno avvio le ingerenze. L’essere umano si perde. Perde cognizione dell’onestà, dell’igiene, del rispetto, della condivisione. La vita si deteriora sempre più, la legge del più forte prevarica ed il suo costo è altissimo. Si spiega attraverso la minaccia della fame, del ricatto, della violenza; strumenti questi che mostrano l’ulteriore trasformazione del recluso; alcuni ciechi, infatti, diventano ancora più ciechi, mentre altri, più uomini.
Non mancano i riferimenti alla religione ed in particolar modo viene soventemente riportato l’insulto rivolto da Gesù ai farisei: essi sono ciechi perché si approfittano della loro condizione di superiorità nonché dei vantaggi di cui godono rispetto a chi li circonda esattamente come fanno i ciechi della terza camerata, detentori del cibo, detentori dell’arma da fuoco e per questo padroni e sovrani indiscussi.
Eppure, nonostante le violenze, nonostante le privazioni, i ciechi delle altre camerate non si daranno per vinti e grazie all’aiuto della moglie dell’oculista, unica figura ad aver mantenuto la vista e ad esser testimone di quel che accade e di quel che la società è diventata, riusciranno ad uscire dal manicomio. Qui si abbandonerà parte del pessimismo caustico che abbraccia la prima parte del volume e si darà adito a nuovi incontri, con altri uomini e donne affetti da cecità, ma anche con animali quale il “cane delle lacrime”, gatti inselvatichiti, ratti etc etc. Perché, chissà, forse esistono ancora degli esemplari che meritano di vivere…
Altro passaggio di significativa rilevanza è quello relativo alla breve visita all’interno della Chiesa, luogo ove, la protagonista femminile si accorge che ogni immagine, statua ed elemento sacro della medesima è stato cosparso di bianco sopra gli occhi quasi a voler dire, “se sono ciechi i santi, come può non esserlo l’uomo?”. Se è cieco Dio, ancora, ogni creatura che è munita di anima, è affetta dalla medesima cecità. Se creatore e creatura soffrono dello stesso male, anche lo scrittore, come i suoi protagonisti, di convesso, ne è affetto.
Solo chi offre la sua vista agli altri non è affetto dalla perdita. Ecco perché nella Basilica l’unica figura a cui gli occhi non sono verniciati di bianco è Santa Lucia (che notoriamente li offre su un piatto), ecco perché nella storia l’unica che riesce a vedere è la moglie del medico; la quale, non solo si finge cieca per seguire il marito, ma destina, i suoi occhi a chi ha vicino. Ella usa e sfrutta la sua vista soltanto per il bene degli altri e mi per se stessa, mai approfitta della sua condizione di superiorità rispetto a chi la circonda. E la sua non è altro che una limpidezza morale che illumina nell’immoralità.
Classe 1995, “Cecità” – “Ensaio sobre a Cegueira”, letteralmente “Saggio sulla cecità” – di Jose Saramago è un’opera densa di significato ed incentrata sulla tematica dell’INDIFFERENZA, un’indifferenza che nell’elaborato si palesa con il divagare del contagio ma che in realtà era già presente nella realtà sociale.
Come in molti altri scritti, il tomo presentato, è intriso dello stile narrativo del portoghese, uno stile che prevede l’assenza di nomi propri per i personaggi, nonché dell’assenza di qualsivoglia carattere fisico dei medesimi. I singoli protagonisti sono individuati da espressioni impersonali (il ragazzino strabico, il vecchio con la benda nera, la ragazza con gli occhiali scuri, etc) ed i dialoghi sono inseriti nella prosa senza l’ausilio di punteggiatura alcuna. Al massimo sono introdotti dalla lettera maiuscola all’inizio della frase.
Il componimento, che per taluni potrà risultare surreale, è in realtà concreto, tangibile ed ottimale per descrivere quella che è la società e la realtà circostante nonché per analizzare le strutture di potere che vi si susseguono. Mediante un’analisi più approfondita traspare il messaggio per cui per quanto si faccia tabula rasa delle precedenti condizioni sociali, è impossibile un miglioramento. L’essere umano regredisce e torna a vivere in uno stato di natura tipicamente hobbesiano per cui conta solo la legge del più forte ed in cui non può esistere alcuna forma di crescita e/o solidarietà perché prevale lo status di guerra di tutti contro tutti pur di sopravvivere.
Non mancano riflessioni sulla fame del mondo così come sulla solidarietà che resta sempre concentrata e delimitata all’universo femminile.
In conclusione, “Cecità” è un saggio di grande acume, bellezza e verità, un testo capace di far riflettere su quelle che sono le zone più oscure dell’animo umano, un capolavoro.
«La paura acceca, disse la ragazza dagli occhiali scuri, Parole giuste, eravamo già ciechi nel momento in cui lo siamo diventati, la paura ci ha accecato, la paura ci manterrà ciechi, Chi sta parlando, domandò il medico, Un cieco, rispose la voce. Un semplice cieco, qui non c’è altro. Allora il vecchio dalla benda nera domandò, Di quanti ciechi ci sarà bisogno per fare una cecità. Nessuno gli seppe rispondere.» p 116
«Non si può mai sapere in anticipo di cosa siano capaci le persone, bisogna aspettare, dar tempo al tempo, è il tempo che comanda, il tempo è il compagno che sta giocando di fronte a noi, e ha in mano tutte le carte del mazzo, a noi ci tocca inventarci le briscole con la vita, la nostra, Parlare di gioco in una chiesa è peccato, Alzati, usa le tue mani, se dubiti di quanto dico, Giurami che è vero, che le immagini hanno gli occhi tappati, Quale giuramento ti è sufficiente, Giura sui tuoi occhi, Lo giuro due volte, sui miei e sui tuoi occhi. E’ vero, è vero.» p. 269
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L'animo umano immerso nel bianco
Premetto che si tratta del primo libro di Saramago che leggo.
Questo autore mi ha letteralmente incantata. Avevo letto diverse recensioni sulla scelta "originale" dell'autore in merito alla punteggiatura: è vero, Saramago non usa le classiche virgolette per indicare i dialoghi tra i personaggi. Personalmente tale scelta non mi ha restituito una lettura ostica.
Il libro Cecità si lascia leggere, ti travolge e ti appassiona, l'abilità di Saramago è per me indiscutibile. L'autore è riuscito a scrivere una storia immersa nel bianco, costruita intorno a personaggi senza nome, in un luogo non identificato e in un tempo non noto. Il tempo e lo spazio non esistono in questo capolavoro, così come non esistono ragioni e perchè a spiegare gli accadimenti.
Così come nella vita reale le cose accadono, ci piombano addosso e noi reagiamo alle situazioni adattandoci, trovando ogni volta una nuova strada.
In questo libro regna l'animo umano: solidale, corrotto, egoista, altruista, ingenuo, violento.
A differenza di molti altri lettori non ho trovato le scene descritte in questo testo CRUDE, sono a mio avviso semplicemente REALI.
E' un libro che consiglio a chi non ha paura di scavare nel profondo della nostra umanità.
Sicuramente leggerò altri libri di Saramago.
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"Siamo ciechi che vedono..."
Per anni ho rimandato la lettura di questo libro, ne avevo timore, l'argomento trattato mi metteva una certa inquietudine ...ed oggi posso dire che la mia titubanza non era immotivata, questo romanzo ti mette a dura prova, ti terrorizza e ti colpisce duro.
Anzi, direi che questo non è un romanzo, è un esperimento mentale...che rende difficili e ansiogene le tue notti come neanche il miglior horror riesce a fare.
La paura che le scene descritte possano prendere forma al di fuori delle pagine del libro e coinvolgere anche te in quel mare bianco, non ti abbandona mai...
Ma soprattutto non ti abbandona il senso di disagio dovuto al fatto che Saramago sia riuscito, attraverso un racconto apparentemente "surreale", a raccontarci il mondo in cui viviamo, la sua ferocia, la sua indifferenza, una società, la nostra, in cui vige la legge del più forte...per cui la paura iniziale che le parole scritte potessero superare la barriera della carta stampata, si trasforma in terrore vero e proprio nel momento in cui ti accorgi che quell'inferno è già intorno a te.
La "cecita" di cui è impregnato il libro, infatti, non è tanto quella fisica, ma quella dell'animo...perché nel momento in cui si perde ogni forma di umanità, di compassione e di solidarietà, di rispetto per gli altri, ma anche verso se stessi, laddove l'egoismo più brutale e la violenza la fanno da padrone, per gli uomini non c'è più nulla, nessun futuro...è la fine, l'Apocalisse.
La scrittura di Saramago è ipnotica, fluida nonostante la mancanza di punteggiatura nei dialoghi diretti e la totale mancanza di nomi propri, ma è anche claustrofobica, fredda e analitica...non c'è traccia di "emozione" nelle sue parole, nessun balsamo per l'anima.
"Siamo ciechi che vedono"...questa frase racchiude tutto il senso del romanzo.
Posso tranquillamente affermare, senza paura di smentita alcuna, di aver appena terminato la lettura di un CAPOLAVORO.
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Un incubo latteo e vertiginoso
Un'automobilista fermo ad un semaforo, una luce rossa che vieta di passare, lo sguardo fisso in attesa del verde. Ad un tratto però tutto, automobile, strada, semaforo, il mondo intero, si riduce ad un solo colore: il bianco. Gli occhi dell'automobilista smettono di vedere, ma la sua cecità non lo fa precipitare in una fitta tenebra, bensì in un candido alone ovattato. È l'inizio di una terribile epidemia che si estenderà in poco tempo a tutto il mondo circostante, investendo l'intera umanità e mettendo in luce un'altra cecità del genere umano, ancora più terribile di quella che colpisce gli occhi: quella dell'anima.
"Penso che siamo già morti, siamo ciechi perché siamo morti, oppure, se preferisci che te lo dica diversamente, siamo morti perché siamo ciechi, il risultato è lo stesso". Soltanto una donna, per ironia della sorte moglie di un oculista, resterà immune da questo male. Le toccherà sobbarcarsi il pesante onere di essere l'unica testimone oculare della cloaca in cui si trasformerà tutto ciò che la circonda, ma sarà anche la custode della fievole fiammella di speranza che, ostinata, tarderà a spegnersi. Crudo e disilluso nei contenuti, brillante e coinvolgente nell'incidere del racconto, originale nello stile, Saramago getta il lettore in un incubo latteo e vertiginoso da cui è difficile uscire anche a distanza di giorni dal termine della lettura. Ad un handicap già di per se spiacevole come quello della cecità, si aggiunge l'abbandono da parte delle istituzioni. La paura dei sani di essere contagiati porta all'emarginazione, all'isolamento, all'abbandono di coloro che, mano a mano, perdono la vista. La quarantena si svolge in un regime di autogestione che tira fuori il peggio dell'animo umano. L'organizzazione, il senso civico, la decenza, il reciproco aiuto cedono il passo all'accidia, all'indecenza, all'egoismo, alla prepotenza, allo stupro del corpo e dell'anima. Non ci sono nomi, non ci sono luoghi, non ci sono date, l'autore lascia tutto indefinito quasi a voler mettere a nudo la natura umana sotto qualunque latitudine essa si trovi. Non esiste pietà, non c'è ombra di conforto, non esiste più ragione. Resta solo un po' di speranza, ma questo pallido sole sarà sufficiente a diradare la nivea e subdola nebbia che offusca gli occhi, le menti e i cuori?
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Allegoria tremendamente moderna
Cosa succede quando la malattia si trasforma in normalità? Quando i comuni canoni di percezione del reale vengono stravolti e capovolti? Cosa accade quando una menomazione diventa compagna di vita quotidiana costringendo il portatore ad abbandonare le proprie vecchie abitudini a favore di nuovi comportamenti scomodi? È a questa anormalità che deve assuefarsi la popolazione colpita repentinamente ed inaspettatamente dalla cecità bianca.
Considerata dagli organi governativi come una minaccia transitoria e quindi debellabile seguendo l’iter medico imposto dalla quarantena, la cecità viene sottovalutata e costringe decine di persone affette da questa inedita patologia all’internamento forzato in struttura pubblica in stato di abbandono e decadenza. Se i primi giorni di convivenza scorrono senza troppi intoppi, non appena il numero di malati si accresce emergono le prime difficoltà e i primi contrasti che non impiegano molto tempo a degenerare dando libero sfogo alla disumanità che si dispiega nel massimo della sua potenza. Egoismo, sopraffazione, violenza, stupro, astio, disprezzo si fanno strada fino a generare un incendio che brucia l’edificio intero costringendo i detenuti ad un evasione forzata. Con ciò recuperano la libertà, il bene più prezioso dopo la vista per questi disgraziati, ma piombano in un inferno peggiore di quello da cui provenivano. All’interno del gruppo dei protagonisti solo la moglie del medico conserva la vista e permette la sopravvivenza dello stesso procacciando cibo e vestiti in un mondo senza acqua, igiene, pulizia, elettricità e consumi. Un mondo paralizzato e destinato a decadere in un baratro di disperazione acuita dalla onnipresente cattiveria di cui solo l’essere umano sa essere fulgido esempio. La Storia è sempre lì a dimostrarlo.
Il romanzo è da leggere come una grande allegoria che è attuale e sempre lo sarà in quanto rappresenta comportamenti e reazioni che l’uomo ha messo in scena ripetutamente da quando abita questo pianeta. E, al di là del pretesto letterario della cecità, Saramago costruisce un romanzo intessuto di realismo e malinconia, di riflessioni sul presente e di considerazioni sul futuro, in un mondo di ciechi. Con spietatezza mette in luce il degrado morale e civile a cui l’uomo può giungere in qualsiasi momento; per questo basta semplicemente sintonizzarsi sul primo TG di passaggio o sulla prima pagina di un giornale. L’uomo, dove può, uccide senza ritegno né responsabilità, effettua soprusi di ogni tipo: sessuale, psicologico, territoriale, geografico, politico, economico; si prostra al dio Denaro senza rispetto per il proprio corpo o per le vite altrui, l’importante è fare “grano”. Questi elementi ricorrono in alcuni personaggi e in alcune vicende che compongono la narrazione e lasciano l’amaro in bocca perché pagina dopo pagina constatiamo che il mondo di ciechi di Saramago non è altro che l’abbruttito (ma forse nemmeno troppo) riflesso del nostro mondo. Ad essere ciechi, in molti sensi, siamo noi. Ora e forse sempre.
FM
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Affascinante
Niente nomi, quasi niente punteggiatura e soprattutto niente occhi fanno di questo romanzo un opera secondo me unica. L'esperimento di Saramago è riuscito tutto, perchè il racconto di una società priva di vista è una storia terribile e affascinante.
Improvvisamente tutti diventano ciechi così dal nulla e nessuno ha spiegazioni. Già questo in una società abituata ad esigere sempre una risposta ai propri problemi è intollerabile. Poi l'obbligo della vita in una comunità di gente sconosciuta e in un luogo ristretto fanno il resto. L'inciviltà ha il sopravvento e l'unica donna che non perde la vista è colei che ci "mostra" gli orrori che si susseguono.
Per me è stata un' esperienza leggere questo libro, quasi angosciante, è pieno di concetti profondi mascherati da frasi buttate quasi a caso ma che fanno riflettere. Perdere la vista fa emergere i lati più crudeli, egoisti e grotteschi delle persone ma per fortuna anche l'altuismo e la bontà d'animo d'altri, come la nostra protagonista.
Cos'altro aggiungere a queste premesse se non che è un libro speciale, ma ci vuole un certo coraggio per affrontarlo perchè purtroppo non a tutti piace essere messi davanti a realtà possibili, non tanto la cecità di massa ma ai comportamenti umani qui descritti.
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Caduta nel vortice dell'incubo bianco
José Saramago, tramite il suo peculiare stile narrativo letterario, ha il non comune pregio di far immedesimare il lettore in situazioni al limite della razionalità come intesa dalla stragrande maggioranza delle persone nelle innumerevoli e variegate società e culture presenti nel nostro pianeta. Possiamo considerare tale razionalità come risultanza di tutto l’insieme di regole, tradizioni, usi e costumi che si sono sviluppati, in altrettante circostanze, in tutti i continenti e in ogni nazione nel corso di decine di secoli.
In questo sublime ancorché sconcertante romanzo (l’ossimoro è d’obbligo), lo scrittore propone un accadimento in cui gli abitanti di una certa comunità cittadina, non meglio specificata, iniziano a perdere la vista; il fatto è immediato senza che ci siano, almeno all’apparenza, sintomi premonitori e cause. La prima persona che subisce questa grave inabilità sta guidando l’auto durante una tranquilla giornata come tante altre; all’improvviso si rende conto di non vedere più, o meglio di vedere come se fosse stato immerso in un mare lattiginoso; una cecità bianca differente dalla “normale” e ben conosciuta omonima patologia dove le tenebre e l’oscurità hanno il sopravvento.
La malattia, considerata contagiosa dalle autorità, si propaga a macchia d’olio e colpisce in maniera veloce ed estremamente casuale.
Il governo e i responsabili delle forze armate cercano, nella loro inconsapevolezza che li trova impreparati, di arginare l’epidemia segregando i malati in edifici abbandonati e fatiscenti, quali ex manicomi, dove i malcapitati e sfortunati sono sottoposti a una disciplina ferrea e inumana con leggi particolari che prevedono anche la fucilazione immediata qualora si trasgredisca alle disposizioni impartite.
E’ in questo contesto di sub-società formata da ciechi costretti in spazi lugubri, senza igiene e con cibo razionato, che si manifesta quella parte dell’animo umano che non vorremmo mai venisse fuori: crudeltà, violenza, perversione sono gli ingredienti principali di questa nuova vita all’insegna del mal bianco. L’essere umano, quando privato del minimo sostentamento alimentare, si trasforma in una sottospecie abietta che perde tutti i valori coltivati fin dalla nascita e pur di nutrirsi commette nefandezze e orrori che nulla hanno più di umanità; una regressione totale che porta a un livello primordiale dove la dignità, il pudore, il rispetto verso il prossimo e ancor più verso se stessi, sono svaniti in un coacervo di spettri, morti viventi che si aggirano tentoni senza una meta, senza un futuro.
L’essere umano si abitua a tutto: la dualità bene-male, civilizzato-animalesco è insita in ognuno di noi; in determinate situazioni di coercizione psichica e fisica la mente si astrae dalla ragione facendo prevalere il male e con esso la bestia, che si nasconde nei meandri reconditi del nostro animo, è libera di agire.
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Un messaggio per l'umanità
Cecità è un romanzo che mi ha colpito in maniera profonda sia per lo stile che per le tematiche ed il significato.
Un tema importante che traspare sin dall'inizio è quello dell'identità. Infatti, l'ambientazione non viene precisata e il lettore viene spinto a pensare che si tratti in senso lato di tutta l'umanità che si ritrova a vivere in perenne cecità. Cecità che viene chiamata dai malati "il mal bianco" perché invece di essere immersi nell'oscurità, si è circondati dal bianco, dalla luce. Se è un'esperienza terrificante vedere il nero totale dev'essere ancora peggio avere una luce accecante dinnanzi agli occhi che simboleggia, secondo me il fatto che questa cecità sia voluta dall'uomo, tutti si rifiutano di vedere, pur avendo la realtà dinnanzi agli occhi si preferisce chiuderli, fingere di essere cechi.
Con la cecità che si trasmette per contagio, i malati vengono man mano internati in un ex manicomio le cui vaghe regole sono registrate da un altoparlante. Quindi Saramago concede all'umanità la possibilità di trarre conoscenza dalla cecità, di sfruttarla per creare una società migliore, fondata su altri principi. Infatti, le piccole camere dell'ex manicomio diventano un'immagine del mondo allo stato primordiale.
Tuttavia, la natura dell'uomo incline al male non riuscirà a creare un'altra società ma ritornerà ai vizi e al degrado più totale. In questa grande allegoria del mondo si assiste alle solite abitudini: i soprusi verso i più deboli, le donne, i ciechi malvagi che come i paesi ricchi tengono il cibo per loro e lasciano i poveri senza cibo.
Significativo è il personaggio della moglie del dottore che è l'unico in grado di vedere in mezzo ai ciechi e sarebbe colei che potrebbe guidare il rinnovamento della società, una sorta di persona illuminata, solidale, disposta a rinunciare alla propria libertà e fingersi cieca per seguire il marito nella sua prigionia.
Suggestiva e cruda è l'immagine della città, senza politica, supermercati, scuole, istituzioni; possiamo ammirare una distruzione, forse il ritorno alle origini e quindi acquisisce significato il bagno sotto la pioggia dei vari personaggi che quindi è una sorta di purificazione fino al recupero della vista, quasi fosse un sogno o forse una piccolo barlume di speranza e di ottimismo verso le persone.
A livello stilistico il libro è sicuramente innovativo, la mancanza di dialoghi e la carenza di segni di interpunzione ci trasportano in un'atmosfera di incertezza, nella quale gli uomini non hanno più la necessità di un nome che li identifichino, non hanno più bisogno di conoscere le vie, i negozi di riconoscere la propria casa.
In conclusione è un libro che si presta ad innumerevoli collegamenti, riferimenti, può essere ricondotto ad ogni periodo storico, ad ogni paese, ad ogni evento e ogni lettore può cogliere il proprio significato, i propri riferimenti. Il manicomio può essere un lager nazista, una grotta preistorica, il mondo contemporaneo e comunica pertanto messaggi universali, rivolti all'intera umanità
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Cecità
Lo strano rapporto che questo libro instaura con il lettore (almeno con il sottoscritto) mette in chiaro le capacità del suo autore nell’arte del raccontare. Il romanzo, infatti, avrebbe tutte le caratteristiche per far scappare a gambe levate: a una distopia di quasi assoluto pessimismo – in cui il ‘quasi’ è un’assai fioca fiammella – che sprofonda chi legge in situazioni di sempre più acuta angoscia si somma la scrittura non semplice di Saramago, che sembra andare a capo solo quando, per caso, se ne rammenta scrivendo per il resto lunghissimi paragrafi nei quali annegano anche i dialoghi che si susseguono senza segni visibili d’interpunzione. Eppure, una volta preso il sinuoso ritmo dato dall’inconsueto scorrere delle parole, si finisce per rimanere agganciati al cupo svolgersi della vicenda, rituffandosi appena possibile fra le sue pagine. Tutto inizia con un tizio che, fermo al semaforo, si ritrova cieco all’improvviso: ben presto il ‘mal bianco’ (così detto perché chi ne è colpito è avvolto nel biancore invece che nell’oscurità) si diffonde a macchia d’olio a tutta la popolazione della città senza nome in cui il romanzo è ambientato (e, si suppone, all’umanità intera, tanto più che nessuno dei personaggi ha un nome proprio). Una situazione sempre più caotica finisce per solleticare gli istinti peggiori dell’essere umano che regredisce ben presto alle caverne, con i bisogni fondamentali che scatenano violenze e sopraffazioni basate sulla legge del più forte. L’ultimo girone infernale pare essere situato laddove sono stati internati i primi ciechi, finchè qualcuno ancora in grado di vedere poteva illudersi di contrastare così l’epidemia: fame, sete, sporcizia e morti ammazzati si accumulano prima che non ci sia più nessuno a fare la guardia e si possa uscire, peraltro solo per scoprire che, fuori, la situazione non è poi tanto migliore. Il cupo senso di quello che si può senza problemi definire un amaro apologo è stato chiarito dallo stesso Samarago al momento della consegna del Nobel: la nostra società è cieca perché non è più capace di solidarietà, cioè di ‘vedere’ gli (i bisogni degli) altri. Da qui l’impossibilità di ricostruire una struttura ordinata a partire da una tabula rasa e, soprattutto, la constatazione che i ciechi non riescono mai a essere davvero solidali tra loro, essendo gli incerti rapporti che si vanno costruendo basati, nella quasi totalità, sulla semplice convenienza. Anche il legame che si instaura tra le donne a seguito dello stupro è tenue, ma è comunque una di loro l’unica a mantenere la vista: il suo sacrificio per chi non vede, in special modo il marito (beffardamente un oculista) e il suo piccolo gruppo, va a costituire la fiammella di cui sopra – il bene tra tanto male, la generosità tra tanta indifferenza. La sua dedizione condurrà a una sorta di simbolico lavacro con l’acqua piovana che sembra preannunciare un finale a quel punto non più così a sorpresa: ciò non toglie che la conclusione sia di gran lunga la parte più debole del romanzo, faticando a integrarsi con quanto accaduto in precedenza anche a causa di un’inattesa accelerazione. Una chiusa in lieve calando che non inficia per nulla un romanzo di grande potenza, ma che, al tirar delle somme, fa sì che io gli preferisca ancora ‘Tutti i nomi’ e il suo mite, indimenticabile signor José.
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Un’apocalisse invisibile
Che dolore. “Cecità” di Saramago è un maledetto pugno nello stomaco, uno schiaffo in pieno volto, un grido acuto dritto nei timpani. Ahinoi, Saramago conosce gli uomini e non risparmia nessuno dalla sua profonda accusa alla natura umana, nemmeno sé stesso. Col suo inconfondibile e ottimo stile, lo scrittore ci racconta un mondo improvvisamente travolto da una bianca cecità, contagiosa come una malattia estremamente virale. Le vicende ci vengono raccontate per mezzo degli unici occhi scampati a quel male e, credetemi, per risparmiarvi quell’orrido spettacolo preferireste che fossero anch’essi privi della vista, come lo vorrebbe colei che quegli occhi li possiede. Preferireste non assistere all’apocalisse in cui un cieco genere umano trascinerà sé stesso, degradazione della quale potrebbe essere perfettamente capace.
La malattia si spande a macchia d’olio; “Sono cieco!”, è il grido che risuona a ogni angolo di strada e che di lì a poco accomunerà l’umanità intera. I primi colpiti dal mal bianco vengono segregati come animali, e tali diventeranno, anticipando soltanto quello che sarà di lì a poco il destino di tutti. La cecità mette a nudo il terrificante lato animalesco dell’uomo che, non abituato a essere tale (nella maggior parte dei casi), sprofonderà, rendendosi artefice di nefandezze ben peggiori di quelle perpetrate dal mondo animale; come se insieme alla vista fosse andato perduto anche ogni freno inibitorio. L’umanità sprofonda nel sudiciume che essa stessa ha creato, e leggendo tra le pagine di questo libro li guarderai andare a fondo, e farà male.
Fa male perché in fondo al cuore lo sai che è vero, lo sai che in circostanze simili anche tu diventeresti egoista e senza scrupoli, disposto a sacrificare la morale per un tozzo di pane, a perdere la tua umanità in cambio della sopravvivenza. Lo sai perché scrutando con la mente i personaggi e le loro azioni, ammetti tacitamente a te stesso che faresti esattamente le stesse cose, oppure, quando vien fuori da loro quel briciolo di umanità residua che è sempre dura a morire, rifletti egoisticamente sulle conseguenze che tale buona azione ti porterebbe. Dolore, dolore.
“Cecità” è il palcoscenico per uomini che hanno perso la vista, ma insieme ad essa hanno perso anche tutto il resto; disposti a rubare il cibo a un morto di fame, a uccidere chiunque lo minacci di portargli via una dignità che in fin dei conti ha già perduto, disposto a sacrificarla in nome di una cieca sopravvivenza. Il barlume di speranza che alla fine lo scrittore ci regala, è soltanto una magra consolazione, dopo il mare di melma nel quale siamo stati costretti a nuotare.
Spaventosamente veritiero, ma assolutamente da leggere per chi ha un animo forte.
"Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che vedono. Ciechi che, pur vedendo, non vedono."
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Le intermittenze della morte.
Amaro... Amarissimo!!
Leggere questo libro mi ha regalato la stessa sensazione di una scatola di lamette affilata mandata giù con un bicchiere d'acqua di primo mattino.
Questa è la sensazione più reale che ho provato.
E' un libro duro, difficile, una camminata in salita senza possibilità di soffermarsi a prendere fiato.
A volte con un paesaggio noioso, un lungo corridoio grigio senza porte ne finestre, senza curve.
L'unica direzione è andare dritti.
Alcuni lo definiscono incubo ma secondo me è ancora peggiore.
Lascia quell'amaro in bocca che, anche se lo vuoi eliminare mangiando qualcosa di dolce o lavandoti i denti, ormai è li e fa parte di te.
Questo libro mi è stato regalato da mio cugino a natale (non vi preoccupate gli ho comunicato che non siamo più parenti eheheh) e non fa parte del genere che leggo di solito io.
L'ho voluto leggere perché dopo troppi fantasy uno deve anche spaziare e mai come adesso mi sono mancati!!!
Ho fatto fatica ad abituarmi alla scrittura.
Un flusso continuo di dialoghi, pensieri, azioni e persone.
Come se fosse stato scritto tutto d'un fiato e richiedesse di essere letto senza interruzioni dall'inizio alla fine.
No impossibile.
E' un libro che fa riflettere e che paragonerei a 1984, ovviamente non intendo paragonarli come storie e stile ma come intensità di emozioni violente che fa provare.
Mi ha fatto schifo, mi ha annoiato, mi ha messo tristezza.
Non vedevo l'ora di finirlo per respirare una boccata d'aria.
Cecità è un inno al lato selvaggio dell'uomo che, privato dei suoi confini sociali, tira fuori l'istinto e scavalca (uccidendo e sottomettendo in tutti i sensi) lo spirito e il corpo altrui per sopravvivere.
Non lo consiglio a tutti.
No.
Forse neanche a me stessa.
Buona lettura.
Rebecca
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E' cieco chi guarda solo con gli occhi
Cecità è un incubo, non saprei come definirlo meglio.. la sensazione che lascia una volta terminata la lettura è la stessa che si prova quando ci si sveglia da un incubo, di quelli peggiori pure, di quelli che ti fanno balzare col cuore in gola per quanto sono tremendi, perchè ti mettono con le spalle al muro, non hai vie di scampo se non quella di svegliarti... e quando ti svegli solo la consapevolezza che si sia trattato di un sogno (o di un libro in questo caso) può allentare la paura, la tensione generata.
Così come nel Vangelo secondo Gesù Cristo, Saramago riesce a rendere plausibile la sua versione 'alternativa' dei fatti accaduti a cavallo dell'anno zero, allo stesso modo in quest'opera, l'autore, col suo stile inconfondibile, riesce a rendere estremamente realistico il terrore, lo sgomento e lo stato di totale abiezione in cui cade il genere umano, qui rappresentato da abitanti non meglio precisati di una non meglio precisata città, colpiti da una strana forma di cecità, tanto improvvisa quanto incurabile, e che contagia tutti, indistintamente, tutti tranne una donna, unica testimone oculare delle conseguenze della cecità collettiva.
Saramago non usa nomi propri per riferirsi ai suoi personaggi bensì ce li presenta come la moglie del medico (oculista, per la precisione.. ironia della sorte..), la donna dagli occhiali scuri, il vecchio con la benda nera sull'occhio, il bambino strabico, il primo cieco e persino il cane che asciugava le lacrime... a cosa servono effettivamente i nomi in un mondo di ciechi? ogni appellativo però ha un legame con gli occhi, quasi a voler sottolineare come ciascuno di noi non sia nessuno se non ci sono occhi altrui che ci vedono.. noi siamo solo ciò che gli altri vedono di noi.
Ed è facile immaginare come la cecità, diffondendosi a macchia d'olio, determini uno scenario ai limiti dell'apocalisse, prima confinato tra le pareti di in un istituto, un manicomio abbandonato, in cui il Governo decide di rinchiudere i primi contagiati e quelli sospetti di contagio, nella vana speranza di bloccare l'epidemia, e poi esteso alla città, al mondo intero... ed il linguaggio usato da Saramago, il suo stile, l'intensità delle immagini e la durezza dei termini, contribuisce a rendere ancor più crudo e realistico questo incubo...
E quando ti svegli, comprendi:
'Perchè siamo diventati ciechi?... Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono.'
La cecità di Saramago è una rivelazione, un'illuminazione... non è un caso che si presenti agli occhi di chi la subisce come una luce bianca, folgorante... il contrario della cecità descritta in tutti i manuali di oculistica e che si mostra sotto forma di buio totale.. quella di Saramago è una cecità che rivela la vera natura dell'uomo, fatto metà di indifferenza e metà di egoismo.
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Il lume della ragione
Comune a tutti, chi più chi meno, la visione di noi esseri umani è monca, disturbata, sfuocata e appannata. Una cecità quindi, non totale certo ma molto similare. Tutti la sperimentiamo incrociando il nostro " vedere" con quello degli altri e comprendendone la relatività insita in essa.
Alcuni segnali di questa cecità portano a condannare, nel nostro piccolo le storture in cui siamo quotidianamente immersi e contribuiamo, volenti o nolenti, ad alimentare, ma poi è facile volgere lo sguardo, distratto e superficiale altrove.
Nel libro, tutto questo substrato è presentato con una situazione surreale (un'epidemia di cecità bianca - si vede tutto bianco quindi non si vede - e la gestione della situazione) in un susseguirsi di scenari apocalittici purtroppo già noti ( ce li offre su un piatto d'argento, Saramago, gli accostamenti con le barbarie del genere umano dal suo esordio sulla Terra ad oggi).
E la lettura ti fa male e lì fa centro il nostro caro scrittore, l'aveva anche dichiarato, quando il libro divenne il film "Blindness" presentato a Cannes. Lui parlò della gestione dell'opera come di una sofferenza, di una malattia dalla quale era riuscito a scampare e si augurava che il lettore, leggendo il libro, soffrisse quanto lui.
Il titolo originale è "Saggio sopra la cecità", ridotto a "Cecità" per non scoraggiare il lettore ( ahimè), quindi non si cerchi piacere nella lettura ma si cerchi di intuire il teorema che anima questa prova di "letteratura deduttiva" secondo quella definizione di Calvino tesa a descrivere la letteratura che partendo da un assioma tende a svilupparlo come un teorema e in cui lo stesso Saramago si era ritrovato e riconosciuto.
Qual è l'assioma?
Qual è il teorema?
Parto da quest'ultimo: la società è malata.
La malattia è la cecità.
Il rimedio?
Secondo molti emerge solo una visione pessimistica circa le potenzialità della società.
A me rimane il dubbio.
Perché la moglie del dottore, per tutto il romanzo unica vedente, ha diritto di esistere in questo scenario?
Cosa rappresenta?
Mi piace rispondermi, ma non so se Saramago intendesse un'ipotesi tale, che lei sia quel lume della ragione che per fortuna nostra fatica a spegnersi.
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Una vista sull'uomo
Gli occhi sono l'elemento essenziale per poter leggere un libro.
E' paradossale che questo romanzo, che parla di cecità degli occhi e dell'anima, possa essere letto.
E' paradossale che si possa leggere di chi leggere invece proprio non può, perché privato della vista.
" Cecità " di Saramago è proprio questo, un paradosso sull'esistenza umana e sulle sue fragilità, una allegoria della società di ogni tempo e di ogni luogo, un affresco che racconta dell'uomo, delle sue bassezze e dei suoi aspetti più bestiali.
In una città il cui nome non è reso noto, in un paese ed in un anno non individuati, una epidemia di cecità colpisce la popolazione, senza fare distinzione alcuna tra ricchi e poveri, colti e contadini, vecchi e bambini.
A poco a poco tutti ne sono colpiti e non ci sono rimedi.
Gli occhi, seppur sani, vedono tutto bianco, come se fossero immersi in una luce costante e senza sosta che inonda l'intero campo visivo.
Si tenta di isolare alcuni ciechi, i primi, in un manicomio ma nulla riesce a fermare il cosiddetto mal bianco.
Il mondo piomba nel caos, la civiltà regredisce allo stato animale, primitivo.
E' l'istinto di sopravvivenza a guidare l'umanità e non più la ragione. La cecità colpisce gli occhi ma si riverbera immediatamente nell'anima.
Unica testimone involontaria delle immagini orripilanti ed indicibili che divengono la nuova quotidianità è la moglie di un oculista, uno dei primi ad essere colpiti da questo male.
Altro paradosso.
La donna è l'unica a conservare intatto il senso della vista in un mondo di ciechi, divenendo così il personaggio cardine dell'intera vicenda.
Ella è l'unica a rendersi conto dell'immane tragedia che ha colpito l'umanità nella sua interezza e vive sulla propria pelle quanto sia labile, sottile, il filo che separa l'uomo dalla bestia.
Sono i suoi occhi a guidarci in un mondo di ciechi e nella sconfinata desolazione di chi ha perso la dignità più che la vista.
Saramago non ha paura a dipingere il volto più brutale che ciascun uomo, se spinto a limite, può assumere.
L'impossibilità di cibarsi decentemente, di lavarsi, di conservare anche la minima forma di pudore e dignità, sia fisica che mentale, sono gli ingredienti che permeano le pagine di questo affascinante racconto.
Nulla è risparmiato al lettore.
Lo stile di Saramago brilla per originalità, per vivacità ed ampiezza di orizzonte. Non ci sono punti interrogativi, la punteggiatura è utilizzata in modo sperimentale ed i dialoghi si perdono nel flusso delle parole.
La potenza narrativa ne esce amplificata.
Saramago fa inorridire e riflettere ma alla fine, quando si chiude il libro, si capisce che un barlume di speranza nell'uomo, in fondo, c'è.
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Un romanzo ed un esperimento sociologico
Leggete qualche riga poi chiudete gli occhi e cominciate ad immaginare, riapriteli e proseguite, così fino alla fine, poi però, se vi riesce apriteli davvero.
Siamo noi i veri protagonisti di questo libro, siamo in una realtà inaspettata, la nostra società di tutti i giorni ma espressa attraverso una nuove percezioni sensoriali, i concetti sfuggono di tatto in tatto, di suono in suono.
E se tutti un giorno perdessimo la vista? A chi ci affideremo, quale affetto,quale ente? Potremmo contare su noi stessi? Che sapore avrebbe il lavoro? Il cibo? Le nostre passioni?il nostro tempo?il giorno? La notte? Il semaforo? Conteremo sugli affetti di tutti i giorni? Daremo lo stesso valore al mondo che ci circonda ma che non vediamo? Alla cura di noi stessi? Dei nostri valori?
Immaginati al semaforo, nella comodità della tua auto, d’un tratto, più nessun colore, cosa fai? Scendi? Dove vai? Le auto dietro di te suonano, tutto suona e non si mostra, dove andrai? che farai? ma soprattutto, chi sarai?
Saramago, ci mette tutti al buio, ansi, parla di una cecità bianca, per cui siamo tutti in piena luce, tranne un unico persona, la fantomatica Moglie del medico. Non sappiamo perché solo lei si sia salvata dal contagio, ma sappiamo che è l’unica che può osservarci ignara anch’essa del suo esclusivo destino. Ci osserva mentre cadiamo come birilli uno dietro l’altro cercando semplicemente la strada del bagno, mentre tradiamo col corpo la nostra figura, mentre ci corrompiamo carnalmente nell’oscurità conferita al nostro destino avverso.
La trama ci parla di un contagio e di una brutale quarantena in cui vengono portati tutti i primi non vedenti più la moglie del medico, la quale di sua spontanea volontà si è finta ceca per seguire il ricovero del marito.
La quarantena è lo specchio di una micro-società che nel momento della difficoltà non manca a razzie,stupri e omicidi. Nessuno spirito di solidarietà è così tanto grande da sconfiggere la paura. Paura che giorno dopo giorno incalza nello spirito di ognuno e li rende più vigliacchi o più inermi.
Nessun personaggio viene identificato con un vero nome, ognuno è rappresentato entro i limiti del nuovo linguaggio e dell’ultimo sguardo che hanno ricevuto prima di ammalarsi, come la donna da gli occhiali scuri, il ladro, il dottore, la moglie del dottore etc.
Si creano piccole società di aiuto, non meno tenaci della criminalità. La vita passata da vedenti non sempre corrisponde alla vita in cecità, talvolta riscatta gli animi puri che calpestati dal segno dell’apparenza prima non avevano riscosso il giusto ascolto, come l’uomo dalla benda nera e la donna dagli occhiali scuri.
L’istinto di sopravvivenza ostruisce il credo del buon senso, defecato per strada, nel tragitto tra la ricerca della strada e la fuga dall'imbarazzo.
E’ un libro intenso, che mostra che non c’è quarantena peggiore della società odierna che ci siamo costruiti. Siamo tutti malati della nostra cecità bianca ma Saramgo ci apre gli occhi chiudendoceli una volta per tutte.
La cecità bianca è sopra le nostre teste ogni giorno, in un celo di nubi bianche, e sotto di essa noi facciamo il nostro porco comodo credendo di non esser visti, poiché riteniamo di aver occhi abbastanza lucidi per guardarci le spalle e ci sentiamo al sicuro e tal volta migliori di quello che siamo.
Il regista Fernando Meirelles nel 2008 realizzò una trasposizione del libro sotto il nome, per l'appunto, Blindness, e posso dire con piacere che siamo in uno di quei rari casi in cui il film da perfettamente giustizia al testo, soprattutto la protagonista Julianne Moore, che non tradisce mai e interpreta con profonda bravura una stupenda moglie del medico.
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un libro incredibilmente vero
In Cecità la differenza tra uomo e animale si assottiglia, l'autocontrollo del primo soccombe agli istinti del secondo, e l' inimmaginabile diventa estremamente verosimile: un' unica allegoria della fragilità umana, dell' animo umano nella sua forma più pura, e di questo la banalità, le certezze, i limiti (ve ne sono?), la fragilità e l' intemperanza. In un libro l' inconscio prevarica su Io e SuperIo con assoluta semplicità, inverte i luoghi comuni, domina mente e corpo dell' uomo sempre meno umano. Nel frattempo la definizione di pazzia perde ogni significato e si afferma l' egoismo come istinto primordiale, prima ancora la paura. Fino al chaos più totale.
Ma Saramago sottolinea anche quanto tutto questo sia assolutamente plausibile ipotizzando la diffusione di una cecità contagiosa ed incurabile, con tutte le conseguenze del caso.
Di secondaria importanza ma sicuramente voluta dallo scrittore la Malattia come causa degli accaduti e come fattore determinante, inserita anche dallo storico Jared Diamond in "armi, acciaio e malattie" con il medesimo valore relativamente al passato.
Interessante poi la scelta di sfruttare la figura della "moglie del medico" (protagonista), unica persona immune alla cecità, che si rivela utile allo scrittore per evidenziare la carenza di solidarietà nel mondo attuale (ella sente infatti il dovere di mostrarsi solidale con i ciechi che la circondano, man mano che la loro condizione peggiora).
"Cecità" si riassume dunque in un viaggio introspettivo molto profondo, in una critica della società odierna, nella realtà di un uomo-animale.
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Abbandonato
Quanto ho desiderato questo libro!!!!
Tanto è vero che ho fatto la richiesta in diverse biblioteche, visto che nella biblioteca del mio paese risultava essere in prestito.
Una volta avuto tra le mani, finalmente dopo tanto attendere, cosa succede?
Non riesco ad andare avanti nella lettura, perché lo stile di Saramago, senza discorsi diretti e sopratutto lo stile dell'autore mi da ai nervi.
Peccato... Mi è comunque rimasta la curiosità e il rammarico di non essere riuscita a terminare un libro che tanto ho desiderato.
Chissà magari in futuro riuscirò a leggerlo, per adesso però giudizio negativo :(
Mal bianco
[Contiene spoiler]
Quale sarebbe il primo punto che farei notare se dovessi consigliare "Cecità"?
Lo stile, sicuramente. Forse "cieco" è la parola esatta. Non so se l'autore ne fosse consapevole, ma credo sia difficile non trovare delle analogie con lo stile di Joyce espresso nell'Ulisse. Uno stile personalizzato, però, questo, che di certo non plagia né imita: lo scorrere della narrazione e dei dialoghi è interrotto solo da una sottile punteggiatura, e non ci sono nomi propri a identificare i personaggi.
Uno stile particolare e unico, che di certo è il motivo per cui questo libro non può essere ignorato.
I contenuti, poi, sono senz'altro elevati. Partendo dall'inizio dell'epidemia chiamata "mal bianco", ci si ritrova a viaggiare attraverso una (dis)avventura che analizza le sfaccettature umane, tra l'amore e le crudeltà.
Oggettivamente, quindi, il tentativo dell'autore è lodevole, ma purtroppo non mi sono ritrovato emotivamente coinvolto nel romanzo. Forse appunto a causa di questo stile originale che, dopo la piacevole scoperta, alla lunga mi ha un po' stancato.
Il tutto mi è sembrato troppo asettico, il che, visti gli eventi narrati, mi è sembrato strano, come se dovessi prendermela con le mie capacità di lettore.
Inoltre, riassumendo il libro, ho trovato la narrazione troppo didascalica, quasi illustrativa: inizio malattia - conseguenze - fine della malattia; e il finale, anche se con un'ultima frase commovente, mi ha lasciato abbastanza deluso.
E' comunque una mia analisi soggettiva, di chi forse cercava qualche emozione diversa.
Di sicuro è un libro che merita di essere letto, e apprezzato.
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Forse solo il silenzio esiste davvero.
Inizio difficile. La mancanza della punteggiatura nei dialoghi, e i personaggi privi di nome, inizialmente rendono poco chiara la lettura. Ma andando avanti si viene completamente risucchiati dalla storia, dagli avvenimenti. Con orrore ci si rende conto che se succedesse realmente qualcosa del genere il mondo diventerebbe proprio come Saramago ha raccontato... Questo libro scatena una serie di domande di cui è meglio non conoscere risposta.
"Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, Ciechi che vedono, Ciechi che, pur vedendo, non vedono".
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E' COME NUOTARE IN UN MARE DI LATTE
Come reagirei se aprendo gli occhi improvvisamente vedessi tutto bianco?
E se le persone intorno a me inspiegabilmente iniziassero a vedere tutto bianco anche loro?
E se poi tutti noi ciechi fossimo rinchiusi….attenzione…ma qui scatta già il primo sopruso…ho d’istinto scritto rinchiusi. E perché dovremmo essere rinchiusi?? Senza poter uscire, sorvegliati, vigilati pena la morte, con poca acqua, poco cibo, igiene nessuna, cura nessuna, dolcezza nessuna, paura tanta.
Forse perché la forza e la dignità sono solo di chi ha occhi? Ma quali occhi? Occhi di chi? Occhi per cosa?
Forse l’autore vuole, attraverso i suoi occhi, mostrarci fin dove può spingersi l’indifferenza umana, la mancanza di solidarietà e di empatia per arrivare fino alla non cura e abbandono, fino alla violenza e al delitto del più forte sul più debole.
Forse l’autore vuole trasmetterci solo messaggi, solo pensieri a lui cari, perché tralascia tutto il resto, nomi dei personaggi, paese dove i fatti avvengono, come avvengono, come si risolvono se si risolvono.
Perché forse all’autore sta’ a cuore solo portare alla luce il buio nascosto nell’anima di ciascuno di noi, perché quel buio, quell’isolamento, quell’incattivirsi con gli altri e verso gli altri, la luce può guarirlo, perché gli occhi per vedere, per guardare, per osservare, sono dentro di noi. Basta voler vedere, guardare, osservare.
Io ho visto questo.
“Se puoi vedere, guarda.
Se puoi guardare, osserva.”
Vedere. Guardare. Osservare.
"Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che vedono. Ciechi che, pur vedendo, non vedono."
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Siamo sempre stati ciechi
"La lucerna del tuo corpo è l'occhio. Se il tuo occhio è sano allora il tuo corpo è tutto nella luce, ma se è malato anche il tuo corpo è nelle tenebre. Bada che la luce che è in te non sia tenebra." Luca 11-34-36
Il riferimento/polemica con il testo sacro mi pare continui anche in questo bellissimo romanzo di Saramago.
La cecità che colpisce prima alcuni individui per poi dilagare in tutto il paese non è una cecità normale, ma una cecità bianca in cui tutto sembra troppo luminoso. Una cecità non solo fisica, ma soprattutto metafisica e metaforica, una cecità dell’anima.
L’occhio è infatti l’unica parte del corpo in cui ancora rimane un po’ di anima.
L’epidemia di cecità tirerà fuori il peggio di molte persone rendendolo evidente. Metterà a nudo ciò che in altre condizioni restava coperto e mascherato: l’anima. L’anima diventa visibile.
La descrizione dell’internamento in una specie di campo di concentramento circondato da guardie e filo spinato, con le enormi camerate e i lunghi corridoi è così perfetta che mi sono sentito uno dei ciechi della camerata, lì a girare con loro brancolando per i corridoi o sotto il tiro dei fucili dei soldati. La descrizione del deteriorarsi delle condizioni di vita nel campo è perfettamente verosimile. Sotto minaccia della fame, del ricatto, della violenza alcuni ciechi diventano ancora più ciechi, e altri più uomini. In diversi punti della storia viene in mente l’insulto spesso rivolto da Gesù ai farisei (Ciechi!) per il fatto che si approfittano della loro condizione di superiorità per avere vantaggi sugli altri esattamente come fanno i ciechi della terza camerata. Alla fine però i ciechi della prima camerata riusciranno a uscire dal campo di internamento con l’aiuto dell’unica di loro che ha conservato l’uso della vista: la moglie dell’oculista, che naturalmente, ironia del destino è diventato cieco tra i primi.
Le vicende fuori del campo di concentramento sono secondo me appena meno interessanti. La descrizione si fa a tratti addirittura leggermente didascalica ( non me l’aspettavo dopo Caino). Da notare che mentre in Caino lo scrittore era stato assolutamente caustico e totalmente pessimista nei confronti dell’umanità ( e di dio), non aveva fatto sopravvivere nessun uomo a parte Caino destinando la specie umana all’estinzione, in questo testo c’è uno spiraglio di fiducia nella razza umana notevole. Esistono ancora degli esemplari che meritano di vivere, che possono dirsi uomini. In questo libro più che un contrasto trovo quasi un accordo con il testo sacro, a parte la nota polemica offerta dai quadri e dalle statue dentro la chiesa dove qualcuno ha pennellato di bianco gli occhi di tutti i personaggi e bendato le statue: se gli uomini sono ciechi allora anche i santi, dio e tutto ciò che è dotato di anima è affetto dalla stessa cecità. Creatore e creatura soffrono dello stesso male, così come lo scrittore che compare nel libro come personaggio è cieco allo stesso modo delle sue creature. L’unico “non cieco” è chi offre la vista, i suoi occhi, per gli altri: quindi in chiesa l’unico personaggio dei quadri che non porta la benda bianca è santa Lucia che offre gli occhi su un piatto e nella storia la moglie del medico che si dichiara cieca di sua volontà per seguire il marito e che usa la vista solo per aiutare il prossimo. Mai le viene in mente di approfittare della temporanea condizione di superiorità sugli altri uomini per trarne vantaggi materiali personali. La sua è solo, se mai, una superiorità morale e la sua limpidezza morale è contagiosa.
Tutto sommato la inaspettata fiducia nell’essere umano di Saramago in questo libro apre anche a un atteggiamento meno caustico verso Dio. Credo che Saramago imputi a Dio la grande colpa di aver creato l’uomo a Sua immagine e che copia ( e quindi presumibilmente originale) lascino a desiderare. Ma qui qualcuno merita di salvarsi perciò dobbiamo pensare che anche la cecità di Dio non sia stata così disastrosa. Il finale lascia la speranza di una possibile guarigione dell’anima.
Ora sono curioso di legger il Vangelo di Saramago.
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La peste di Camus
"Il mondo è tutto qui dentro"
Romanzo da leggere e rileggere, questo di Saramago, ricco com'è di simbologia, di perle di saggezza da scovare nella melma, di verità scomode e sublimi.
Ecco l'umanità, sembra dire lo scrittore, ecco l'uomo messo di fronte ad una calamità che ne acceca prima gli occhi e poi, gradatamente, il lume della ragione, condannandolo a vedere “tutto bianco”, un velo lattiginoso che lo separa dal resto del mondo.
Anche il lettore si muove quasi a tentoni, costretto ad inseguire le regole della narrazione, ad aggrapparsi alle maiuscole per afferrare l'inizio di una frase, tra dialoghi privi di virgolettato e pochi punti.
“Il mondo è tutto qui dentro”, dice una donna, l'unica persona che inspiegabilmente continuerà a vederci, ed è attraverso i suoi occhi che assistiamo allo spettacolo spaventoso di esseri umani insudiciati nel corpo e nell'anima. E' una lotta disperata per la sopravvivenza che tira fuori il peggio di ognuno e spezza ogni indugio, tra sopraffazioni, omicidi, stupri, accoppiamenti sordidi.
Eppure la luce della speranza non si spegne mai del tutto, grazie soprattutto alla donna vedente, pronta per amore del suo uomo a “difendere la fragilità della vita giorno per giorno”.
E poi ci sono le affinità elettive tra compagni di sventura senza nome e senza volto, che non si conoscono ma col tempo cominciano a riconoscersi, e c'è il potere salvifico di un cane sbucato da chissà dove che lecca e asciuga le lacrime, sorreggendo e guidando chi sta perdendo la strada.
Del resto in un mondo di non vedenti tutto può accadere, anche che bellezza e giovinezza abbraccino bruttezza e vecchiaia e decidano di proseguire insieme il cammino, dando ragione a chi non crede alla ragione.
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La luce ha chiuso gli occhi sull'umanità....
Finito di leggere da qualche settimana.
Ho volutamente atteso del tempo prima di recensirlo, affinché affiorassero chiare e limpide le sensazioni trasmesse dal testo. Saramago (non a caso premio Nobel alla letteratura conferitogli nel 1998), carnefice dalle mani di seta, entra in modo devastante e chirurgico nell' io più profondo del lettore, mettendolo a confronto con una realtà che passo dopo passo, sembra non offrire vie di fuga se non il mero rassegnarsi ad un inevitabile deliquio. La trama di per se potrebbe, a prima vista, risultare non troppo accattivante o comunque "tralasciabile"(...un'epidemia di cecità improvvisamente colpisce l'intera popolazione, portandola giorno dopo giorno sull'orlo del baratro psico-sociale, con ripercussioni immaginabili, ma forse non fino in fondo, sui singoli individui dove l'autore, maggiormente, punta la penna...). La primissima parte del libro, momento questo in cui Vi consiglio caldamente di far scorta d'aria nei polmoni, introduce ed accompagna a quello che poi sarà un susseguirsi di eventi resi tremendamente reali dall'irrefutabile - maestoso - stile di Saramago. E su questo, davvero, c'è di che sturbarsi. Lo scrittore delizia - letteralmente - il lettore, con un lessico ed un'eleganza all'uopo utilizzati con rara destrezza, alternando in quest'ultimo stupore ed imbarazzo per cotanta maestria. E' un "qualcosa" che esige rispetto.
Personalmente ritengo che un libro abbia fatto centro, compiendo alla perfezione il suo mestiere, quando le emozioni scaturite possono misurarsi a pelle. Quando risultano concrete e visibili.
Beh, a me è capitato spesso di voler saltare dei passaggi per paura di saggiare quest'ultime.
E' una lettura a cui appartiene di diritto ' un prima e un dopo ', una spelonca nella quale ( forse ) non si cerca rifugio, ma se stessi.
E poi... e poi conoscerete il "cane delle lacrime", a cui spero, riuscirete a donarne qualcuna.
Io ho già dato.
"Non sono serviti a niente i buoni e leali servigi prestati dagli antenati di questo cane delle lacrime, quando lambivano le purulente piaghe di santi prima ancora che fossero approvati e dichiarati tali, una misericordia, dunque, fra le più disinteressate, perché, lo sappiamo bene, non certo tutti i mendicanti riescono ad ascendere alla santità,per quante piaghe possano avere sul corpo, e anche nell'anima, là dove la lingua dei cani non arriva.
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cecità di Josè Saramago
Credo che a buon diritto Cecità di Josè Saramago possa essere definito romanzo dell’assurdo, come lo fu La peste di Camus.
Iniziamo con l’analizzare il titolo: è significativa la scelta di un sostantivo astratto, che, nell’uso assoluto che ne fa l’autore, libero cioè da qualsiasi articolo che aggiunga una connotazione al termine, si impone, attraverso il suo significato,come una condizione propria a tutto il genere umano, una sorta di categoria dello spirito.
Immediatamente dopo un breve primo paragrafo scritto in uno stile tradizionale, Saramago stravolge ogni regola e comincia ad accorpare le frasi, dando ad esse solo delle pause logiche segnate dalle maiuscole, con una tecnica del tutto simile a quella del flusso di coscienza la cui massima espressione è il monologo di Molly Bloom nell’ultimo capitolo dell’Ulisse di Joyce. Nell’opera di Saramago il pensiero del singolo si fa tutt’uno col dialogo tra i personaggi, creando, attraverso l’espressione verbale, l’esatta idea del caos esistente nel mondo: d’altra parte i personaggi stessi non si distinguono per il loro nome, ma solo per alcune connotazioni fisiche o sociali. Così ci troviamo di fronte al medico, alla moglie del medico, al ragazzino dall’occhio strabico, alla ragazza dagli occhiali scuri e via dicendo. La perdita di identità è dunque uno dei temi fondamentali di questo romanzo: la vicenda descritta riguarda Ognuno, una sorta di Everyman della tradizione medievale, riguarda l’Uomo e non il singolo. Tutti dunque si trovano nella tragica condizione di cecità, ad eccezione della moglie del medico. E questo, a mio avviso, è un'altra scelta significativa dell’autore, perché solo a lei, a questa donna dotata di coraggio, di generosità e di senso di solidarietà verso il prossimo, è affidato il compito di dare testimonianza di ciò che ha visto e di ciò che è accaduto. La sua funzione non è diversa da quella che Melville attribuì a Ishmael nel suo Moby Dick: solo Ishmael potrà raccontare l’avventura tragica di Achab e della balena bianca e lasciare al lettore la libertà di coglierne il significato simbolico attraverso la forza della parola.
La cecità, dunque, che dilaga come un’epidemia, porta alla luce la parte bestiale e primitiva dell’uomo messo a nudo e privato di ogni condizionamento civile. Violenza e prevaricazione schiacciano i più deboli, abusi di ogni tipo si effettuano in un manicomio dismesso trasformato in lager. Non si può non rilevare, in questo contesto, il chiaro significato politico dell’opera.
Come nei convogli della morte e nei lager nazisti, l’uomo perde totalmente la sua dignità, si trova immerso nei suoi escrementi, che diventano quasi un’estensione del suo corpo. In queste condizioni l’orrore si sostituisce alla normalità, il fetore all’odore, l’atto sessuale diventa perversione e la diffidenza e l’odio si diffondono persino tra le stesse vittime, tra coloro cioè che condividono una sorte sciagurata e malvagia. In questa prospettiva il linguaggio che crea le scene dei ciechi che camminano in fila indiana avendo come riferimento strisce di stoffa che fungono da guida, suscita lo stesso raccapriccio e sconcerto che suscita l’immagine pittorica ne La parabola dei ciechi di Pieter Bruegel.
La cecità, d’altronde, è l’unica condizione, nel mondo di Saramago, per giungere alla conoscenza, proprio come lo fu la peste per gli abitanti di Orano nel romanzo di Camus. Non possiamo non ricordare, a questo punto, che nella tradizione classica, sono proprio i ciechi, quelli che “vedono” realmente: da Omero a Tiresia a Edipo. Si consideri l’interpretazione di Pier Paolo Pasolini del mito di Edipo: qui la cecità è espiazione e riscatto per l’uomo di ieri come per quello di oggi. L’Edipo di Pasolini nasce negli anni venti, vive nell’antica Tebe e muore nella Bologna degli anni sessanta. Nulla di più efficace per esprimere il concetto che questa condizione di morte in vita non appartiene a un’epoca ma è insita nel cuore degli uomini finché non siano essi stessi a prenderne coscienza e a superarla.
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Il chiaro oblio dell'umanità
Nella sua opera: "Cecità" Saramago trafigge il lettore catapultandolo in un mondo apocalittico ma alquanto realistico. Un opera originale anche se rapportata a testi trattanti il genere apocalittico. Viene dato risalto all'uomo che viene privato della società come la si conviene e ricatapultato allo stato di natura che il seicentesco Hobbes ipotizzava.Nel suo libro non c'è spazio per nomi,punteggiatura, e altre regole sintattiche comunemente utilizzate,Saramago è riuscito nel suo intento: alienare anche la sua opera come i suoi personaggi dal panorama comune di civiltà, rendendo il tutto una cosa a sè stante. L'opera ha anche valore metaforico: Amplifica, talvolta distorce, facciate della reale società odierna, implementando al suo interno un recondito significato politico.
Il libro ha mille facciate, ciascuna interpretabile soggettivamente da ciascuno di noi, ecco cosa rende questo libro un opera da leggere e da comprendere.
Si tratta comunque di un libro complesso, articolato, che richiede impegno nella sua comprensione, non ritengo si tratti di un'opera meramente intrattenitiva o di svago.
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Homo Homini Lupus
L'incipit è fantastico, destabilizzante ed il resto del libro non è da meno. Essendo il primo libro che leggo di Saramago inizialmente ho avuto un po' di difficoltà per il particolare stile del dialogo, o meglio della sua assenza, che viene risolto con l'uso della maiuscola all'interno del corpo stesso della frase, ed anche per l'abbondanza di incisi che inserisce nel corso del periodo e che qualche volta mi hanno fatto perdere il filo del discorso ma superate queste piccole difficoltà posso dire che è davvero un libro molto bello, crudo e crudele come appunto è la Vita ma soprattutto la natura umana che chissà se riuscirà davvero a riacquistare la Vista!
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L'inferno in stile Saramago
Ho preso Cecità molto tempo fa grazie ai lettori di questa community.
Lo tenevo li’.Fermo,senza aprirlo.Non me la sentivo di leggerlo.Aspettavo il “momento giusto”.
Poi un giorno ho pensato che non dovevo più attendere,le recensioni erano strabilianti.Perché indugiavo?
Ho iniziato.
Le prime pagine mi affascinavano:questo bianco negli occhi cosi improvviso,questa scrittura di Saramago cosi anomala,diversa,senza alcun rispetto per le regole grammaticali.
Pensavo stranita che era davvero talentuoso per poterselo permettere.
E poi come riusciva a farmi immaginare cosi tanti personaggi senza descrizione?
Butta là un particolare,un occhio strabico,degli occhiali scuri e tu vedi qualcuno.
Wow.
Ma a un certo punto per continuare ad andare avanti iniziavo a fare uno sforzo disumano.
Non era noia,non era mancanza di attenzione.Era dolore.
Leggere Cecità mi faceva troppo male.
La reclusione,la perdita di dignità,il putridume,la violenza,la cattiveria.
L’impotenza di questi ciechi verso il mondo,verso la loro vita,erano insostenibili per me.
L’ho chiuso.Ho detto basta.Ho detto mi arrendo.
Sono passati mesi ma ogni tanto scene di quel romanzo mi tornavano in mente.
Una sorta di fantasma letterario che non voleva mollarmi.
Allora ieri ci sono tornata su e oggi l’ho terminato.
Ma stavolta sapevo cosa mi aspettava,mi sono corazzata e ho tentato di difendermi.
Ho letto con la testa.
E come una osservatrice distaccata mi sono resa conto di come Saramago scavi nel fango.
Arriva fino al punto più nero dell’animo umano,non risparmia nulla al lettore dell’orrore.
Nel libro dei senza vista non smette di sussurrarti “Guarda,guarda,guarda.Osserva fino a che punto si può arrivare.Non distogliere lo sguardo.Mai.”
A mani nude e sanguinanti ti conduce nell’abbisso,nel punto da cui si può solo risalire.
Poi ogni tanto ti lancia una frase piena di luce,che dovrebbe resitituirti la speranza.
Ogni tanto.Troppo poco.
Sapete che c’è?Io questo libro non so giudicarlo.Non so dirvi se mi è piaciuto o meno.
So però che mi è entrato dentro.
In fondo non è quello che dovrebbe fare un capolavoro?
Anche se fa male.
Buona lettura.
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Nell'antro della bestia
Volevo leggere qualcosa di diverso che rompesse gli schemi, quindi dopo un attenta riflessione sono andato in libreria; deciso a scegliere qualcosa che realmente servisse a tal scopo.
Ed eccomi qui con questo libro, lo apro, e dopo qualche pagina ecco che mi sento bussare sulla spalla, ed era Saramago che mi diceva : " se pazienti ancora un po' ti porto in un posto per mostrarti un cosa" .
E così spinto dalla curiosità ho deciso di seguirlo. Meglio sarebbe stato se non lo avessi fatto, perché in questo modo mi sarei risparmiato pagine e pagine di: crudeltà, ignoranza, sofferenza, agonia, e ansia .
Si perché Saramago mi porta negli angoli più bui della società umana, mi porta in un inferno fatto di violenza, emarginazione, crudeltà, mi guida in questo manicomio diroccato che via via si popola di persone affette da un morbo che rende tutti ciechi , il Mal bianco. E qui nel antro della bestia, le persone che non vedono, esprimo se stessi e la loro avida crudeltà in modo sopraffino.
E qui in questo manicomio fatiscente, il mio ospite narrante mi dice: "stai un po' a vedere cosa succede adesso". Ma io già provato dal luogo cominciavo a vacillare, la nausea e il ribrezzo per ciò a cui stavo assistendo diventava insopportabile, la curiosità di "vedere" se qualcosa di buono c'era in tutto questo è stata sufficiente a farmi procedere, a naso tappato, in questo luogo fetido dell'animo umano, dove qua è la, forse per compassione o forse per dover di cronaca, il mio Virgilio vedente talvolta mi mostrava barlumi di speranza, un amore fatto di comprensione, animi umani ancora disposti a lottare e persone disposte al sacrificio pur che il grottesco spettacolo ignobile finisca.
Più leggevo e più mi schifavo di cosa potrebbe diventare l'uomo, davanti ad una catastrofe delle proporzioni immani come quella narrata in questo testo. Il mio Caronte a questo punto vedendomi chiaramente sconvolto mi dice :" ora che hai visto l'anticamera dell'antro della bestia, andiamo a vedere come si sta in salotto" Ecco non lo avesse mai fatto (sadico impunito!). Una tragedia fatta di miseria, dove l'uomo si è spogliato di ogni dignità e dove il ridicolo si fonde al assurdo e il drammatico incontra la tragedia. Il mondo e ridotto a una cloaca a cielo aperto, dove ratti in stivali e doppio petto uniscono le loro forze e lottano tra loro per sopravvivere nelle rovine di una civiltà spogliata dei sui valori e delle sue dignità. Un miseria equa, dove non esistono ricchi,poveri, edotti e disgraziati, esistono solo esseri che tentano di sopravvivere.
"Adesso il giro è finito ma rammenta quello che hai visto!" mi ha lasciato così, ctatonico e stordito con il libro ancora aperto e una profonda amerezza ...
In conclusione posso dire che :
Cecità non è un testo semplice, ne per il modo in cui è scritto con la scelta stilistica di omettere le punteggiature, eccezion fatta per punti e virgole,ne tantomeno per i temi trattati e le considerazioni dell'autore. Un libro che non è assolutamente uno svago e che per leggerlo ritengo ci voglia la volontà di guardare e tanto tantissimo pelo sullo stomaco.
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Solo in un mondo di ciechi le cose saranno ciò che
Purtroppo ho conosciuto la genialità di Saramago solo quest'estate e me ne rammarico perchè la lettura delle sue opere risulta davvero piacevole e soprattutto costruttiva; i suoi libri dovrebbero essere tra le "biblioteche" di tutte le case.
Cecità è il primo libro di questo autore che ho letto; all'inizio ho fatto una leggera fatica ad attarmi al suo stile (l'uso del discorso diretto libero, periodi parecchio lunghi, l'utilizzo di molte virgole possono rendere la lettura un po' difficile all'inizio, e poco scorrevole) ma dopo le prime pagine, ho letteralmente divorato tutto il libro e la sua storia. Ciò che rende speciale questo libro non è solo l'inconfondibile stile di Saramago, ma la profondità dei temi trattati. Infatti benchè la trama sia in sè irreale, essa è un pretesto per riflette sulla vera natura dell'uomo. una situazione dunque nel quale tutti gli uomini gettano via la propria maschera e il finto perbenismo per scatenare la vera natura che è dentro di loro. Un libro dunque che mette a nudo l'umanità.
Se volete leggere un capolavoro, leggete cecità e ve ne innamorerete!
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"Se puoi vedere, guarda. Se puoi guardare, osserva
“Lottare è sempre stata, più o meno, una forma di cecità”; vederlo fare da un gruppo di personaggi poco definiti, senza nome né storia, ma con una forza ed un carattere ben delineato, è ancor più inumano. Tuttavia se, dopo aver letto questo libro, venisse da chiedersi in cosa consti davvero l’umanità, credo che i dubbi sarebbero parecchi. Chi mi ha regalato “Cecità” mi aveva, a priori, convinto della grandiosità dell’opera, il cui titolo originale sarebbe, in effetti, “Saggio sulla cecità”. E del saggio ne ha tutte le caratteristiche, sebbene allo stesso tempo sia anche un romanzo di singolare bellezza, che narra di un’epidemia globale che colpisce la popolazione, in un tempo ed in un luogo indefinito. Sin dall’inizio, chi legge non può che sentirsi cieco e continuare ad esserlo fino all’ultima pace, attraversando pagine dipinte dalla sublime penna di Saramago, dove scorre una prosa furente e emozionata, che esclude l’uso della grammatica comune e pone la scrittura quasi sotto un unico simil flusso di coscienza.
Una storia davvero seducente, che nasconde un’ampia metafora di quel che siamo e di quel che facciamo e, allo stesso tempo, un gran monito contro l’umanità che pecca di un egoismo smodato, di una solidarietà assente e di una cooperazione benevola. Un libro da capire a fondo ma, soprattutto, da osservare, per cercare di mantenere fissi e spalancati i nostri occhi, aperti sul mondo, e non rischiare di essere ciechi che, pur vedendo, non vedono.
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L'agnosia è la malattia più grave
Mentre ero immerso nella lettura di Cecità, libro scritto da Saramago, la definizione di William Golding sul genere umano, “l’uomo produce il male come le api producono il miele”, sembrava impressa nelle pagine.
Il libro narra la storia di un’epidemia che si diffonde brevissimamente:chiunque viene colpito e nessuno può sfuggirle.La cecità non è caratterizzata da un buio totale, bensì è distinta da una luce continuamente bianca, come se avessimo al posto degli occhi un sole coperto dalle nubi.I primi colpiti vengono rinchiusi in un ex-manicomio, atto con il quale il governo cerca di salvaguardare il benessere collettivo.Tuttavia la patologia non conosce barriere; presto tutta la popolazione inizierà a soffrire dell’impossibilità di vedere.
Lo stile adottato da Saramago è quello del racconto fantastico che ricalca fedelmente il realismo materico della società postmoderna. I personaggi sono presentati senza il nome proprio, descritti dal narratore, talvolta intradiegetico, talvolta extradiegetico, con espressioni impersonali (il primo cieco, il medico).Come ne “Il Vangelo secondo Gesù Cristo”, i dialoghi non sono introdotti dai due punti, il periodo è separato da una virgola e seguito dalla lettera maiuscola.Questo esercizio di stile si configura dentro una pagina priva di spazi, esaltando la violenza del romanzo, senza lasciare tempo di respirare.Si vive un’agonia.
Saramago disegna con sapienza la bestialità dell’essere umano, trasposta nella contemporaneità, in cui l’individuo viene depurato da tutte le sue dispersioni e costretto a soddisfare i suoi bisogni primordiali.Cecità è un libro che segue la traccia lasciata da Orwell (1984) e Golding (Il signore delle mosche) , passa da Huxley (Il mondo nuovo e Ritorno al mondo nuovo) e Bradbury (Fahrenheit 451), giunge fino a McCarthy (La strada) e ci mostra crudelmente il male più grande:l’agnosia.
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Il mio libro preferito
Una volta iniziato, è impossibile abbandonarlo. Un libro che ti perseguita, che ti immerge dentro di sé, grazie allo stile leggero e sapiente di Saramago. Quando ho sfogliato il libro prima di compralo, mi ha sorpreso l'assenza di virgolette che introducessero i discorsi, ma durante la lettura non si è rivelato un problema, e non ci si fa neanche caso.
La trama è magnifica, angosciante e triste. Triste perchè racconta la nostra società, perchè se dovesse accadere una piaga simile, la realtà non sarà poi diversa da quella descritta nel libro.
Un libro che si deve leggere, a mio parere.
L'ho consigliato a tutti, dal mio ragazzo (che l'ha divorato in pochi giorni) alla mia prof di italiano!
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Un mondo di ciechi
Come ricevere un pugno nello stomaco e provare piacere, questo è "Cecità". Mai una lettura mi aveva asfissiato con tanta grazia, mai avevo sperimentato la repulsione unita alla forte voglia di continuare e vedere come andava a finire. Una serie di episodi, una scala che si arrampica sempre più in alto. Quando pensi di aver letto il peggio raggiungibile dalla natura umana arriva puntualmente qualcosa a farti ricredere che si può andare sempre più a fondo. Terribilmente intenso, vero, crudo, non sembra di leggere finzione, sembra di leggere vicende realmente accadute. Saramago è un maestro, senza definire luoghi, nomi o quant'altro (a cosa serve tanto siamo cechi) riesce a trasmettere il massimo, è come se lui avesse sperimentato la vicenda realmente sulla propria pelle. Ci sono talmente tante perle di saggezza dentro "Cecità", tante di quelle verità che si rischia un indigestione. E intanto la storia va avanti e si resta paralizzati, schifati, tormentati da quello che a conti fatti realmente potrebbe succedere se gli eventi del libro si avverassero.
"Cecità" è un capolavoro che rimane dentro, i personaggi hanno una caratterizzazione incredibile, quasi impensabile pensare a una cosa del genere, eppure Saramago c'è riuscito. Cercare di spiegare altro è probabilmente inutile, questo libro va vissuto e sofferto, tanto catturerà in qualsiasi modo.
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CAPOLAVORO!
In una città qualunque,un uomo qualunque,fermo con la macchina al semaforo,improvvisamente diventa cieco (stranamente,vede tutto bianco,non nero...).E' solo il primo caso di un'epidemia che finisce col colpire l'intera popolazione...tranne una persona...Il governo,nel disperato tentativo di arrestare il numero crescente di casi,decide di rinchiudere le prime persone affette da cecità all'interno di un ex-manicomio,dove ben presto la condizione patologica e lo stato di cattività faranno emergere il lato più selvaggio e brutale degli esseri umani...
Raccontare la realtà attraverso una situazione paradossale,"fantascientifica",non è nuova,mi vengono in mente "Fahrenheit 451" di Bradbury o "1984" di Orwell. In questo caso,Saramago compie un lavoro straordinario,riesce cioè a descrivere con una lucidità sconcertante e,allo stesso tempo meravigliosa,la bassezza umana,l'egoismo e il brutale istinto di sopravvivenza che sopravvengono quando vengono a mancare i bisogni primari all'interno di una comunità.E poi,il bisogno di dominare,attraverso la forza,la violenza e la sopraffazione del più debole,ottenendo ciò di cui si ha bisogno a scapito degli altri.
Certo,alcuni passi del romanzo sono difficili da digerire per il loro contenuto,su tutti il passaggio in cui le donne sono costrette a recarsi nella camerata dei "malvagi",ma è proprio attraverso tale crudezza nelle descrizioni,come un pugno allo stomaco,che Saramago ci invita a riflettere su noi stessi,sulla nostra condizione di esseri umani.La cecità del romanzo,è metaforicamente,quindi, l'incapacità dell'uomo moderno di guardare al di là del proprio ego,del proprio tornaconto personale.Il messaggio che trasmette è,naturalmente,negativo e pessimista,ma lascia lo spazio alla speranza,rappresentata in primis attraverso la figura della moglie del medico,che diviene sostegno per le povere anime rinchiuse all'interno della struttura.
Romanzo davvero incredibile,bellissimo per contenuti,per stile,per analisi psicologica dei protagonisti.Assolutamente consigliato...
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Cecità
Geniale, profondo e incredibilmente vero. Scioccante, perché analizza tutti i punti deboli dell’umanità, come la regressione dell’uomo a bestia, che cerca di soddisfare i bisogni primari usando cattiveria e indifferenza.
Alcune pagine sprigionano una tale forza emotiva che ti costringono davvero a riflettere su quanta brutalità c’è nel vivere umano.
Alcuni passaggi sono macabri, altri sprigionano dolcezza, come quando Saramago descrive le donne che si lavano sotto la pioggia, e nonostante siano state violate nel corpo, mantengono inalterata la loro dignità.
E che dire poi del cane che lecca le lacrime … bellissimo!!
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