Storia del nuovo cognome
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Nino sarà mica discendente di Priapo?
Nonostante qualche piccolo difetto, "L'amica geniale" si era rivelata la lettura affascinante e coinvolgente che tutti mi avevano promesso. Eppure ho esitato parecchio prima di prendere in mano la mia copia di "Storia del nuovo cognome"; vi potreste chiedere come mai, specie se avete in mente l'emozionante conclusione del primo libro. La ragione è estremamente sciocca e superficiale, ma non per questo meno vera: trovo le copertine di questi volumi la quintessenza della depressione! appena le vedo, ogni interesse per il contenuto al di sotto viene eclissato dal senso di malinconia che mi trasmettono queste foto, adatte al massimo per un opuscolo religioso.
Ma andiamo alla trama, che la casa editrice annuncia di non volerci spoilerare nella sinossi. Più semplicemente, non c'è proprio nulla da spoilerare: come nel primo volume, la narrazione segue la vita quotidiana delle giovani Raffaella "Lila" Cerullo ed Elena "Lenù" Greco, la nostra voce narrante. Il primo capitolo riprende in parte la premessa del libro precedente, con l'anziana Lenù che ripensa a quando, verso la metà degli anni Sessanta, l'amica le affidò un plico di quaderni contenenti i suoi pensieri della giovinezza; grazie alla lettura di questi diari, la donna riesce a colmare diverse lacune nella narrazione, mostrando anche il punto di vista di Lila o descrivendo degli eventi ai quali non assiste in prima persona. Le vicende raccontate partono dal matrimonio di Lila e Stefano Carracci, passano per gli ultimi anni di liceo ed il periodo universitario di Lenù ed approdano a quando quest'ultima -ormai diventata una giovane donna dal futuro promettente- fa ritorno al rione e scopre com'è cambiata nel frattempo la vita della sua amica d'infanzia.
A contornare le vite delle due protagoniste, abbiamo il solito cast di parenti ed amici, che si fa via via sempre più numeroso e variegato. Leggere le interazioni tra questi personaggi è uno degli aspetti che più ho apprezzato: che si tratti di momenti d'affetto o di contrasti astiosi, Ferrante riesce ad evocare sempre delle reazioni genuine nelle quali è semplice interpretare i sentimenti delle parti coinvolte. Questo porta ovviamente ad dover sopportare la presenza di parecchi caratteri terribili -scritti di proposito per ispirare delle emozioni molto negative-, ma non credo incida sulla godibilità del testo.
Esattamente come i personaggi, anche le ambientazioni vengono tratteggiate con cura, tanto che ogni luogo riesce a trasmettere delle sensazioni diverse: dalla caoticità del rione napoletano, all'elitarismo dell'università di Pisa, alla spensieratezza della spiaggia ad Ischia; rendendo la narrazione più dinamica, l'autrice ha anche più margine di manovra in questo senso. Allo stesso modo i rapporti tra i personaggi si fanno più complessi, senza per questo dare un senso di realizzazione alle loro vite: tutto può ancora succedere, tutto può ancora cambiare, chi oggi si sente arrivato domani potrebbe scoprirsi il vinto.
A frenarmi dall'assegnare il massimo della valutazione sono il POV di Lenù ed il focus un po' eccessivo sulle relazioni sentimentali, specie quando erano presenti tanti altri spunti interessanti da poter affiancare al tema centrale dell'amicizia tra Lenù e Lila, come il valore dell'istruzione, la situazione politica dell'epoca o le disparità sociali. Per quanto riguarda la voce narrante, la mia critica è data dal modo eccessivamente ingenuo con cui descrive le azioni degli altri: lo capirei se ne stesse parlando al presente da giovane, ma è ormai una donna anziana ed ha già vissuto le conseguenze di queste azioni, quindi non ha senso simuli una simile ignoranza.
Altro piccolo neo è la prevedibilità delle svolte di trame, tutte facili da indovinare o perfino suggerite dalla prosa stessa. Pur amando gli intrecci più complessi, non lo considero però un difetto vero e proprio, perché la narrazione stessa ha un'impronta prevalentemente domestica e non punta certo a sorprendere il lettore con degli avvenimenti eccezionali. In compenso, apprezzerei davvero una sfoltita al cast: non dico di introdurre un serial killer, ma in questa serie c'è fin troppa gente per i miei gusti!
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CONCERTO PER DUE SOLISTE E CORO
Contiene qualche anticipazione della trama
“Stefano le disse freddo: calmati. Lila si girò di scatto: calmarsi dopo che lui aveva gettato la colpa su suo padre e suo fratello, calmarsi quando tutt’e tre l’avevano trattata come una pezza per lavare il pavimento, come una mappina? Non mi voglio calmare, gridò, strunz, riportami subito a casa mia, quello che hai detto adesso lo devi ripetere davanti a quegli altri due uomini di merda. E solo quando pronunciò quell’espressione in dialetto, “uommen’e mmerd”, si accorse di aver spezzato la barriera dei toni composti di suo marito”.
Due elementi emergono da questo frammento del romanzo, situato nel pieno di uno dei frequenti litigi che porteranno i due a dividersi: i rapidi trapassi dal discorso indiretto all’indiretto libero fino al discorso diretto, senza marca di punteggiatura o con minimi indicatori a segnalarlo, e l’uso di un italiano parlato, nel quale è sempre presente, come già avveniva in Verga con il catanese, il fantasma del dialetto napoletano, anche qui un “dialetto trascendentale”, con i suoi ritmi, con i suoi giri sintattici, con il suo lessico, talora trascritto nella lingua nazionale, talora esplicitamente citato: l’espressione “uomini di merda” viene tradotto dalla stessa voce narrante, gli epiteti “strunz” e “mappina” vengono inseriti senza filtro alcuno. La Ferrante ha rinunciato all’uso pieno e continuativo del dialetto (che caratterizza invece gli splendidi dialoghi della serie televisiva, costituendone il principale punto di forza), ma vuole costantemente ricordarci che i suoi personaggi si esprimono in napoletano e che nel napoletano risiede la cifra più autentica dei loro sentimenti, delle loro violenze, rabbie, gelosie, sopraffazioni, debolezze, cedimenti obbligati, reazioni. Ecco un altro esempio, tra i tanti di cui l’opera è costellata, relativo alla inaspettata visita di Lila al bar dei Solara, per i quali nutre da sempre un’avversione profonda, ma ai quali vuole chiedere un favore per la sua amica: “Gli scambi verbali che seguirono furono tutti in dialetto, quasi che la tensione impedisse di darsi i filtri faticosi della pronuncia, del lessico, della sintassi italiana”. L’autrice ci avverte ancora una volta che le parole riportate, in realtà sono state pronunciate in dialetto, che anche lei ha utilizzato in fondo dei filtri per tradurle, ma soprattutto che i personaggi della sua creazione possono sì utilizzare l’italiano (siamo nella seconda metà degli anni sessanta, in piena modernizzazione), ma che la verità dei loro istinti, la profondità e il cuore del loro sentire, battono ben al di qua di ogni resa “faticosa” nell’idioma nazionale.
Diverso il caso della voce narrante quando il tempo narrativo rallenta ed Elena riflette su sé stessa, sull'amica, sugli altri, sulle cose che pensano e dicono: lo stile si fa allora più letterario, si arricchisce di accorgimenti retorici, tende talvolta al registro lirico, si avvale di una sintassi più complessa. E' un po' come se nei Malavoglia si alternassero il Verga della svolta linguistica, delle “parole che quagghiano”, e il narratore colto preverista di Eva o Tigre reale.
E’ dunque nei dialoghi, comunque resi, che consiste il segreto di questo impareggiabile affresco antropologico, nel quale si manifestano i meccanismi primordiali della lotta per il potere, il pregiudizio sessista e maschilista che vi è connesso, il ruolo subordinato della donna e le sue diverse reazioni dell’accettazione, dell’introiezione del pregiudizio maschilista (presente in Ada, Pinuccia e nelle altre donne del “coro”), dell’insubordinazione. Come ‘Ntoni nei Malavoglia, qui Lila e Lenù rappresentano l’infrazione alle regole comportamentali della tribù, un doppio che si articola in due diversi modelli di vita: Lila vive all’interno di questo mondo, ma lo corrode come il tarlo nel legno, è la mina vagante pronta continuamente a farsi e a farlo esplodere, mandandolo in frantumi quando i maschi con cui interagisce offendono la sua dignità, il bisogno di rispetto, la vana pretesa di parità e di eguaglianza. Lenù invece ha scelto lo studio, la cultura, i libri, la carriera intellettuale per uscire da questo milieu e in qualche misura rinnegarlo. Ma Lila è sempre divorata dal rimpianto per non aver saputo o potuto operare la stessa scelta, invidia l’amica per esserci riuscita, talvolta tenta di emularla, nutre un irresistibile desiderio di crescita culturale, intesse una relazione, quella con Nino Sarratore, della quale la voglia di imparare e di stabilire un dialogo culturale è parte integrante, ma poi, frustrata nel suo sforzo, elimina fin le tracce della sua predisposizione allo studio e alla creazione artistica, dando alle fiamme il piccolo romanzo che aveva scritto da bambina o mostrando indifferenza e disprezzo per la maestra Oliviero, che per prima ne aveva intuito le doti. Lenù d’altro canto è attratta continuamente dal ribellismo di Lila, dalle sue potenzialità intellettuali, dalla sua stessa dimensione istintuale e disinibita, cui non ha mai saputo pienamente attingere e che ella sospetta aver orientatato verso l’amica-rivale la scelta di Nino (di qui il cedimento animalesco a Donato Sarratore). Un gioco di rispecchiamenti che dà vita al duplice sistema dei personaggi su cui il romanzo si fonda: Lenù vs Lila; Lenù/Lila vs il coro dei personaggi, l’ambiente in cui sono nate, i familiari, i parenti, gli amici, gli abitanti del quartiere Gianturco.
La Ferrante ha scritto un romanzo sociale che, come tale, si inserisce nella tradizione naturalistica e realistica, studiando come in vitro il personaggio in relazione all’ambiente, seguendolo nel suo crescere e maturare, il che l’accosta al grande romanzo di formazione. E fa riflettere come, partite dalla medesima condizione, dal medesimo "habitat", le due protagoniste descrivano parabole di vita sempre più divergenti. Ma L’amica geniale, e questa seconda parte della tetralogia in particolare, sono anche un romanzo psicologico, il cui punto di partenza sono sempre i modelli comportamentali e antropologici dell’ambiente circostante, con i quali le due protagoniste interagiscono. Una sintesi felice di filoni diversi, che spiega forse la grandezza dell’opera e le ragioni del suo straordinario successo.
P.S. Poiché non riesco a correggere l'errore, il romanzo consigliato non è ovviamente L'amica fedele, ma L'amica geniale.
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Un romanzo annacquato
** spoiler alert **
Il secondo volume di una saga letteraria è spesso una lettura “difficile”: se il primo libro è stato molto apprezzato, ci si aspetta che il seguito sia pienamente all’altezza e basta una piccola imperfezione a far storcere un po’ il naso; se invece il primo volume ha lasciato insoddisfatti, ci si augura che il secondo riesca a essere migliore, soprattutto nel caso di una saga tanto famosa e celebrata. Purtroppo il secondo libro della saga L’amica geniale non rientra in nessuna di queste due categorie.
Storia del nuovo cognome riparte dal punto esatto in cui termina il primo volume, l’arrivo inaspettato dei fratelli Solara al matrimonio di Lila, e non soltanto ne eredita i problemi, ma alcuni di essi addirittura peggiorano, a cominciare dall’incipit, caratterizzato da una fortissima continuità con la conclusione del romanzo precedente. Continuità che però si rivela un’arma a doppio taglio: se da un lato facilita la ripresa della lettura, perché bisogna aspettare solo due o tre pagine introduttive per scoprire cosa succede dopo l’arrivo a sorpresa dei Solara, dall’altro accresce notevolmente l’impressione, già piuttosto forte durante la lettura del primo libro, che la storia sia un blocco unico volutamente frammentato (o meglio, bruscamente troncato) in più parti allo scopo di tirarne fuori più volumi possibile. E il proseguo della lettura conferma questa sensazione con forza maggiore rispetto a L’amica geniale: se nel primo romanzo gli eventi sono generalmente piuttosto condensati e sono poche le fasi in cui la trama si trascina, in Storia del nuovo cognome la tendenza a dilatare gli eventi senza nessun motivo apparente se non quello di riempire le pagine è portata all’estremo e tocca il culmine nella parte centrale del romanzo, la vacanza a Ischia, che si protrae per 123 pagine che però sembrano il doppio per la minuziosa quanto inutile descrizione di ogni singola passeggiata sulla spiaggia, ogni singolo bagno, ogni singolo pranzo, ogni singola chiacchierata al chiaro di luna. Il risultato è la noia, intervallata da brevi guizzi di interesse quando si approssima una svolta decisiva o apparentemente tale, perché potrebbe sempre intervenire l’ennesima gita ai Maronti a far ripiombare tutto nel nulla assoluto.
Le parti più vivaci e interessanti del romanzo sono quella iniziale e quella finale, nelle quali gli eventi sono narrati in modo più rapido e incalzante. Tra esse, il resoconto dell’estate a Ischia si estende come una massa informe e intollerabile di fatti per lo più completamente inutili. È chiaro che i libri di questa saga hanno un problema ben preciso: incipit ed explicit sono incalzanti e interessanti, ma per pubblicare ben quattro romanzi serve un riempitivo, nel mezzo, e così si allunga il brodo fino ad annacquare anche fatti potenzialmente interessanti. È un vero peccato, perché se fosse stato tutto un po’ più condensato, la lettura sarebbe stata più piacevole.
Il rapporto tra Elena e Lila, inoltre, resta più o meno invariato, ovvero snervante, assurdo e avvilente per la maggior parte del tempo. Elena è invidiosa di Lila, si sente inadeguata e tenta di imitarla o mostrarsi superiore, del tutto incurante del fatto che la sua amica ha sposato un bruto che le rovina l’esistenza, mentre a lei si aprono le porte di un futuro migliore grazie alla conclusione degli studi: tutto ciò non conta nulla per Elena, ha importanza solo che Lila abbia già rapporti sessuali e lei no, non essendo ancora sposata.
Lila, dal canto suo, si compiace di mettere Elena in difficoltà ogni volta che può e inanellare una scelta cretina dietro l’altra: non contenta di aver sposato un ragazzo solo per dare fastidio a un altro, senza capire in tempo che Stefano la stava solo ingannando e sfruttando (alla faccia della genialità), non pensa minimamente di sfruttare la sua (presunta) intelligenza per trovare il modo di tirarsi fuori dai guai e anzi intraprende una relazione con un personaggio maschile che è solo poco meno squallido di Stefano Carracci, si abbandona a una specie di delirio sentimentale dai toni alquanto ridicoli e toglie definitivamente il sonno alla povera Elena, che si vede soffiare sotto il naso dalla sua (presunta) migliore amica il ragazzo che ama.
Al di là del risvolto da fuielletton, che forse si poteva anche evitare (insieme alle decine e decine di pagine sui tormenti interiori di Elena), l’impressione generale è che questo romanzo offra una rappresentazione piuttosto negativa del genere femminile. Nel rione non c’è una donna o una ragazza che faccia una scelta davvero positiva e intelligente per se stessa e il proprio futuro. Lila è brillante in tutto ciò che fa, ma perché invece di perdere tempo decorando il negozio di Piazza dei Martiri non continua gli studi e non prende un diploma? La sua ostentata noncuranza verso questo aspetto è forse uno degli elementi più irritanti del libro. Quando si innamora di Nino Sarratore afferma di voler ricominciare a leggere e a studiare solo per essere alla sua altezza e aiutarlo: tutto qui? Un’affermazione che fa venire voglia di lanciare il libro contro il muro. Elena si impegna nello studio, si diploma, si laurea, ma sempre spinta dalla competizione con Lila e c’è una tale meccanicità in tutto ciò che fa, una tale mancanza di passione, da togliere ogni gusto ad assistere ai suoi successi scolastici.
Elena, Lila e gli altri personaggi femminili si muovono quasi esclusivamente tra pettegolezzi, ingiurie, rivalità, cattiverie, affannosi tentativi di primeggiare agli occhi degli uomini e più sono maltrattate, più li inseguono e li desiderano. La stessa Lila, dopo aver ostentato tanto disprezzo per Marcello e la sua determinazione a sottrarsi ai capricci e ai desideri maschili, finisce in una situazione peggiore di quella di partenza proprio grazie ai capricci e ai desideri di un altro scemo di passaggio, che lei ed Elena si contendono disperatamente come se fosse la mente più brillante dell’universo e non uno pseudo intellettuale con il fascino di uno spaventapasseri. Per non parlare dei momenti in cui Elena, pur sapendo benissimo che Stefano picchia e stupra Lila regolarmente, pensa che in fondo la sua amica renda le cose con il marito troppo complicate. E i battibecchi senza fine tra Pinuccia, Lila e Gigliola per conquistare il comando del negozio di Piazza dei Martiri?
Il risultato è un’immagine degradata e degradante del genere femminile che culmina nella scena disgustosa del rapporto sessuale tra Elena e Donato Sarratore. Tralasciando l’assurdità di fare sesso con il padre di Nino solo perché negli stessi momenti Lila lo sta facendo con lo stesso Nino, sancendo il punto più basso del comportamento patologico che la spinge a imitare l’amica in tutto, è sconvolgente che Elena scelga di avere il suo primo rapporto con un uomo che poco tempo prima ha abusato di lei e che anche a distanza di anni non trovi nulla da biasimare nella propria condotta e avverta solo un po’ di disgusto. L’impressione a dir poco aberrante che ne deriva è che una donna, per quanto giovane e inesperta, può “accettare” una violenza subita al punto da cercare il suo violentatore in un secondo momento per un rapporto più o meno consenziente e finalizzato allo scopo ridicolo di competere con la propria amica. È vero che la vicenda si svolge tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta e che all’epoca la sensibilità verso questi argomenti non era paragonabile a quella odierna, quindi non si può pretendere che Elena, cresciuta in un ambiente violento, ignorante e maschilista sia pienamente consapevole di cosa sia un abuso sessuale. È comprensibile, di conseguenza, che in L’amica geniale non denunci Donato. Dopo quel primo contatto, però, Elena avverte con chiarezza una sensazione di malessere, quindi sente che c’è qualcosa di sbagliato, anche se non è in grado di definirlo né di difendersi. Dunque non è giustificabile in alcun modo la scelta di fare sesso con Donato, proprio lui, il padre del ragazzo che dice di amare, per uno scopo ridicolo e disgustoso.
Ancora una volta la Ferrante racconta comportamenti assurdi o sbagliati, ma i personaggi non ne sono minimamente consapevoli e neppure lo diventano più avanti, crescendo e maturando. Alla fine del romanzo Elena è ormai adulta, ma continua a non rendersi conto della gravità di ciò che ha fatto. Il rischio è che anche ai lettori (o quanto meno ad alcuni di essi) tali comportamenti passino inosservati. Non a caso, forse, la quasi totalità delle recensioni celebra la straordinaria amicizia tra Lila ed Elena, amicizia che in realtà è un rapporto problematico, malato e alquanto negativo per entrambe, e il femminismo di questi personaggi, anche se Elena va a letto con il suo molestatore e Lila, invece di riprendere gli studi per se stessa e il proprio futuro, dichiara di volerlo fare per quel bamboccio di Nino. Nessuna recensione, inoltre, sembra citare la scena tra Elena e Donato, come se fosse una cosa da poco. Certo, non ha senso rappresentare personaggi perfetti che fanno sempre e solo la cosa giusta, perché non sarebbe realistico. Sbagliare è umano ed è normale che Elena e Lila commettano errori, talvolta anche molto gravi. Il problema è che nella narrazione questi errori passano completamente inosservati e spetta al senso critico del lettore riuscire a coglierli. Ma allora dov’è il femminismo tanto decantato di questa serie, se dalle pagine non emergono altro che comportamenti stupidi e scelte disastrose?
In Storia del nuovo cognome, dunque, ci sono diversi aspetti problematici e non sono pochi né facilmente trascurabili, eppure c’è sempre una molla che spinge a proseguire la lettura nonostante tutto per scoprire cosa succederà a questi personaggi, complessi e ben strutturati anche quando si fanno detestare. A eccezione della parte ischitana, che è da suicidio, la narrazione fluisce con facilità. La scrittura della Ferrante dà il meglio di sé quando non è eccessivamente e inutilmente analitica. Quando invece si impantana in un ritmo a rallentatore o nelle elucubrazioni infinite su Lila da parte di Elena, inevitabilmente perde molto.
Una menzione speciale va a colui che senza ombra di dubbio è il personaggio migliore della saga fino ad ora: Enzo Scanno, che con la sua forza pacata, l’intelligenza (quella vera, però, l’intelligenza che realizza qualcosa e non si limita a celebrare se stessa), l’intraprendenza, il coraggio, fa pensare a una solida roccia in mezzo al mare in tempesta e che da solo vale tutti gli altri personaggi messi insieme. Purtroppo anche Enzo sembra passare inosservato, mentre tutti celebrano sempre e soltanto le due protagoniste, ed è l’ennesima dimostrazione del fatto che forse l’attenzione dei lettori è stata attirata sugli elementi sbagliati per i motivi sbagliati.
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Finalmente più matura
Ho letteralmente divorato il secondo volume della saga l'amica geniale, trovandolo molto più coinvolgente e piacevole del primo.
Il racconto dell'amicizia tra le due ragazze, Lenù e Lila, riprende dal 1966 quando la protagonista mette insieme i pezzi di storia vissuti in prima persona, notizie apprese da altri e racconti dell'amica.
Ormai le due ragazze hanno vite completamente diverse, Lila è ormai sposata ed è principalmente sulla sua vita che si concentra il fulcro della storia, mentre quella di Lenu fa solo da sfondo. Ritroviamo però una protagonista più matura in grado di canalizzare la competitività nei confronti dell'amica e soprattutto più consapevole della sua strada e delle sue scelte, non più dettate solo ed esclusivamente sulla voglia di primeggiare e dimostrare qualcosa all'altra. Nonostante continui ad essere molto insicura ed incerta, a farla da padrone indiscusso è la voglia di emanciparsi dalle sue origini e dal suo ambiente attraverso lo studio e la cultura.
La scrittrice in questo caso riesce a rappresentare perfettamente l'incertezza, lo scoraggiamento e tanti altri sentimenti che invadono la protagonista nel suo sforzo di emanciparsi e nel suo sentirsi sempre inferiore a paragone non più della sua amica, che ha carattere e inclinazioni diverse,ma nei confronti di chi vive e viene fuori da un ambiente più colto e strutturato. Lo studio le permette di entrare in contatto con persone e situazioni diverse, nelle quali esce fuori la discrepanza tra lo studio nozionistico e quel qualcosa in più che può darti solo l'origine, la crescita in ambienti più stimolanti e colti.
Troviamo anche in questo volume uno spaccato su Napoli, stavolta più ampio, si varcano i confini del rione, si incontrano strade, quartieri e luoghi diversi e nuovi.
Il tutto rende il libro molto più gradevole, abbandonando quell'aspetto stucchevole del primo e lasciando spazio invece ad una storia varia che non manca di colpi di scena, alcuni forse un po' forzati, ma che ancora una volta sono la perfetta rappresentazione di ambienti e dinamiche.
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L'età adulta. Lila e Elena parte seconda.
Abbiamo conosciuto Elena e Lina bambine, le abbiamo strette nei periodi bui della loro giovinezza e le abbiamo abbracciate quando la vita ha deciso per loro la strada da intraprendere, ed ora, in questo secondo e ricco episodio, le ritroviamo adulte e padrone di due percorsi sempre più diversi. Mentre infatti la prima riesce a diplomarsi distinguendosi per bravura ed acume nonché ad entrare, dopo una serie di travagliati avvenimenti umani e sentimentali che hanno fortemente provato e segnato gli ultimi due anni di liceo classico, alla Normale di Pisa, l’altra è la protagonista di questi sconvolgimenti emozionali che di riflesso si sono scagliati sull’amica, vi è catapultata come in una morsa irrefrenabile a cui è impossibile sottrarsi. La vita di Lina è inoltre contraddistinta dal continuo bisogno di stimoli, in particolare letterari. Ogni suo comportamento, ogni suo gesto è atto e volto a trasmettere questo desiderio intimo di cui è stata – volente o nolente – privata. Non solo. Ella è oggetto dell’adolescenza, del sentimento. Lo conosce per la prima volta, lo focalizza, lo capta e cattura prima dentro di sé per poi convergerlo verso chi ha attorno.
A prescindere dalla trama che si sviluppa in modo lineare, preciso e chiaro alternando colpi di scena allo scorrere naturale delle giornate, l’opera è intrisa di uno stile elegante ed agile che colpisce e non annoia grazie al ben articolato ritmo improntato. E se anche la parte centrale può risultare essere al contempo più lenta e più veloce perché culmine degli avvenimenti più significativi, di fatto, il lettore non riesce a staccarsi dall’elaborato. Può rallentare la lettura, può metterla in pausa, ma torna sempre ed immancabilmente da Lila e Elena.
Detto capitolo è inoltre caratterizzato da quell’alone di mistero che ha coinvolto a lungo l’identità dell’autrice e che pertanto porta il conoscitore ad interrogarsi sul rapporto verità-fantasia inerente lo scritto, nonché da una esposizione delineata da un io narrante maschera. Pertanto il l’avventuriero conoscitore, a differenza degli scritti ove la prima persona regna sovra e dove dunque quest’ultimo è facilitato/agevolato in quel processo di fusione che intercorre tra chi scrive e chi legge, con Elena non entra mai in simbiosi. Ella intrattiene, descrive, narra, come se fosse chiamata a rendere dei fatti. La sua è una chiaccherata calma, pacata mai volta a rendere giudizi e/o a lasciarsi travolgere dagli eventi. Pagina dopo pagina è sempre più chiaro come essa miri a tutelare la propria sfera personale, il proprio cuore, il proprio io.
A questa intimità si somma un’amicizia turbata dall’evoluzione della quotidianità, un legame che talvolta fatica ad andare avanti, che ha difficoltà a ritrovarsi e a comprendersi ma che nonostante tutto si mantiene intatto anche a distanza di tempo, anche se tra le due donne esiste una distanza fisica, anche se le vite di entrambe sono ormai agli antipodi. E così il loro rapporto, che si alterna tra cose dette e non dette, che si colora di gelosia e che si sviluppa attraverso lo stimolo continuo che l’una costituisce per l’altra, prosegue, scorre.
Infine, altro elemento caratterizzante, è il dato storico-sociale. La Ferrante, come ne “L’amica geniale” ricostruisce con dovizia e minuzia il contesto ove i fatti prendono campo. Non solo, rende in modo chiaro ed inequivocabile anche il divario che esiste tra la realtà napoletana e quel che è esterno ai suoi confini. Nel momento in cui Elena lascia la città natia, quest’ultimo particolare diviene palpabile con mano talché la stessa ragazza finisce col sentirsi un’estranea in quella che dovrebbe essere la sua terra, la sua casa.
E come l’opera si snoda, va avanti anche chi legge che, battuta dopo battuta si interroga, riflette, ama, odia, pensa ed ancora pensa, odia, ama, riflette, si interroga.
«Non mi avrebbe mai fatto del male, era capace di farne solo a se stesso» p.81
«Quelli che stanno sotto vogliono andare sopra, quelli che stanno sopra vogliono restare sopra, e in un modo o nell’altro si arriva sempre a prendersi a sputi e calci in faccia”. “Proprio per questo il punto è risolvere i problemi prima che si arrivi alla violenza”. “E come? Portando tutti sopra, portando tutti sotto?”. “Trovando un punto di equilibrio tra le classi”. “Un punto dove?Quelli di sopra si incontrano a mezza strada con quelli di sopra?” “Diciamo di si” “E quelli di sopra scendono di sotto volentieri? E quelli di sotto rinunciano ad andare più su?” “Se si lavora a risolvere bene tutte le questioni, si. Non sei convinta?” “No. Le classi non giocano a briscola ma fanno la lotta, e la lotta è sempre all’ultimo sangue”» p. 208
«Capii che ero arrivata fin là piena di superbia e mi resi conto che – in buona fede, certo – avevo fatto tutto quel viaggio soprattutto per mostrarle ciò che lei aveva perso e ciò che io avevo vinto. Ma lei se ne era accorta fin dal momento in cui le ero comparsa davanti e ora, rischiando attriti coi compagni di lavoro e multe, stava reagendo spiegandomi di fatto che non avevo vinto niente, che al mondo non c’e’era alcunché da vincere, che la sua vita era piena di avventure diverse e scriteriate proprio quanto la mia, e che il tempo semplicemente scivolava via senza alcun senso, ed era bello solo vedersi ogni tanto per sentire il suono folle del cervello dell’una echeggiare dentro il suono folle del cervello dell’altra» p.464
Un'amicizia quasi perfetta
Il secondo volume della tetralogia è bello come il primo e se nel primo sono descritte le bambine, qua sono riportati gli studi di Elena fino alla pubblicazione del suo primo romanzo. Quello che colpisce è lo stile elegante e agile e la piacevolezza della scrittura che non annoia mai, sorprende, non cade nel banale e lascia un’impressione di originalità. Nel secondo romanzo salta all’occhio anche la doppia blindatura dell’identità dell’autrice: la prima data dalla non conoscenza del suo vero nome, la seconda data dal fatto che l’io narrante è la maschera. Perciò a differenza di tanti romanzi in prima persona dove proprio la prima persona facilita il lettore nell’entrare nella testa e nel cuore dell’io narrante finendo per fondersi con lui, con Elena questo non succede che in poche pagine. L’io narrante è sempre la maschera anche se questo può passare inosservato nel senso che l’eleganza stilistica fa sì che non ci si accorga che Elena intrattiene il lettore come se fosse ospite nel suo salotto: gli parla con garbo e con educazione ma senza mai urlare e dare da matto o farsi cogliere in vestaglia e ciabatte. Il fatto che le emozioni non sono urlate fa sì che il romanzo resti affascinante e interessante e crei un elegante distacco, credo voluto, che è la peculiarità dei romanzi di Elena.
Elena per tutelarsi ha dunque tolto dal romanzo la chiave principale di lettura che servirebbe per entrare nella sua testa e nel suo cuore, cosa che lei non vuole che accada.
Quale potrebbe essere la chiave di lettura del romanzo:
1)Le due amiche potrebbero essere due figure di fantasia uscite dalla mente di Elena autrice, 2) Lila e Elena potrebbero essere due diverse personalità dell’autrice, 3) Lila potrebbe rappresentare per Elena un amore impossibile o una rivale in un amore impossibile. 4) Elena potrebbe essere un uomo che vuole battere la donna perfetta, bella e intelligente sul suo stesso terreno dimostrando di poter essere più femminile di lei, una sfida nella sfida, dunque. 5) Una amicizia reale tra le due donne sarebbe l’ipotesi più difficile da capire.
L’ amicizia tra le due donne è infatti faticosa, pericolosa per il loro strano rapporto pieno di non detto. In tutto il non detto, la cosa che viene detta meno di tutte è l’affetto mentre è spiegata l’invidia, l’essere l’una stimolo all’altra, la gelosia.
Il romanzo è bello, non c’è bisogno di dirlo, ma il modo di essere di Elena porta riflessioni amare sul senso dell’esistenza e su come una donna intelligente riesca a buttare a mare la sua vita e a farsi sempre del male pur avendo tanto successo e tanto talento. Elena trasmette al lettore questo senso di mancanza a cui non dà nome. Forse è l’amica che le manca ma è sempre lei a cacciarla, a tenerla lontana, a non sopportare il confronto.
Lila mi ricorda Elsa Morante per la genialità, il carattere ribelle, la bellezza e per il fatto di avere studiato da sola.
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Storia del nuovo cognome. (Secondo volume)
"Provai piacere per quel NOI ma mi infastidì il brusco passaggio all'IO: IO ho sempre sbagliato tutto. NOI, avrei voluto correggere, SEMPRE NOI, ma non lo feci."
Continua la storia di Lila e Lenù, il loro rapporto di amicizia, ma anche di rivalità, di amore che a volte rasenta l'odio, di dipendenza dalla quale però sempre più spesso si sente la necessità di allontanarsi e di vivere un'esistenza indipendente l'una dall'altra.
La Elena Ferrante è riuscita anche con il secondo volume a catturare l'attenzione del lettore, che ancora ed ancora, legge pagina dopo pagina, senza stancarsi, il trascorrere della vita di Lila e Lenù.
La prima è una donna ormai sposata, che si accorge da subito di aver commesso un gravissimo errore, la vita con Stefano è difficile, si passa continuamente dai momenti di calma apparente fino a scontri furibondi che si concludono con le mazzate, è passata dalla povertà del rione, alla donna che ha tutto: ricca, la casa nuova, i più bei vestiti e padrona delle attività del marito, ma tristemente infelice ed incompleta.
"Non mi piace più quello che ho fatto e quello che sto facendo."
La seconda continua la carriera "scolastica" tra alti e bassi, sempre più consapevole della sua capacità di non accettarsi, in contrasto con la facilità di piacere a tutti, perché lei è la brava ragazza studiosa e diligente, non si impone mai e riesce a nascondere e camuffare i propri reali sentimenti, soffre profondamente per la passione che travolgerà Nino, suo amore da sempre e Lila.
"Capii all'improvviso perché non avevo avuto Nino, perché lo aveva avuto Lila. Non ero capace di affidarmi a sentimenti veri. Non sapevo farmi trascinare oltre i limiti. Non possedevo quella potenza emotiva che aveva spinto Lila a fare tutto per godersi quella giornata e quella nottata. Restavo indietro, in attesa. Lei invece si prendeva le cose, le voleva davvero, se ne appassionava, giocava a tutto o niente, e non temeva il disprezzo, lo scherno, gli sputi, le mazzate. Lei insomma s'era meritata Nino perché riteneva che amarlo significasse provare ad averlo, non sperare che lui la volesse."
"Storia del nuovo cognome" è un genere di libro, che a me piace molto, perché non si sofferma solo al racconto dei fatti della vita delle due protagoniste contornate da amore, tradimento, sofferenza, rivalità, gelosia ecc., ma entra nell'animo femminile, l'autrice cerca di raccontare le mille sfaccettature dei sentimenti, dell'emozioni e delle passioni che si provano ogni giorno affrontando la quotidianità, nel libro troviamo il continuo oscillare tra il carattere forte e distruttivo di Lila e quello accomodante e complesso di Lenù, questo ce lo rende affascinante, irresistibile e ammaliante.
"La mia vita mi spinge a immaginarmi come sarebbe stata la sua se le fosse toccato ciò che è toccato a me, che uso avrebbe fatto della mia fortuna. E la sua vita si affaccia di continuo nella mia, nelle parole che ho pronunciato, dentro le quali c'è spesso un'eco delle sue, in quel gesto determinato che è un riadattamento di un suo gesto, in quel mio di MENO che è tale per un suo di PIU', in quel mio di PIU' che è la forzatura di un suo di MENO senza contare ciò che non ha mai detto ma mi ha lasciato intuire, ciò che non sapevo e che poi ho letto nei suoi quaderni. Così il racconto dei fatti deve fare i conti con filtri, rimandi, verità parziali, mezze bugie: ne viene una estenuante misurazione del tempo passato tutta fondata sul metro incerto delle parole."
E adesso non mi resta che leggere il terzo volume....per sapere nuove verità sull'amicizia che lega Lila e Lenù!
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Una donna infelice
Con una trama veloce e scorrevole, il possente “Storia del nuovo cognome” di Elena Ferrante ci ripropone il secondo volume di una trilogia iniziata con "L'amica geniale", in un affresco intrigante, a tratti scabroso, Lila, personaggio femminile narrato, però, dall’io narrante Lenuccia. Nitide, precise e ben determinate descrizioni psicologiche dei personaggi, tratti facilmente intellegibili e resi tangibili da uno stile sobrio, mai volgare, prendono spunto dalla consegna dei diari di Lila a Lenuccia: qui vi si riportano le vicende dell’ingegnosa, scalognata e infelice ragazza che gliene capitano di tutti i colori! Le sue nozze precoci all’età di sedici anni, le infedeltà coniugali di entrambi i partners, le violenze ricevute e le rivalse, l’illusorietà di una ricchezza raggiunta col matrimonio e la successiva stringatezza, un figlio concepito con persona diversa da marito, nuovi rapporti sentimentali, tutte queste storie sono la realtà propria e immutabile delle cose, l’essenza e la sostanza dei diari in una storia che narra con delicata perfezione le gesta di Lila.
È, in definitiva, un'esposizione ordinata, originale, ottimamente strutturata ed avvincente, un potente ritorno alla letteratura, quella buona, che rimane nella storia e, soprattutto, nella mente del lettore.
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IL MALODORE
La forza trascinante di quest'opera scaturisce innanzi tutto dall’intensità dei personaggi, permeati di storia e di sentimenti primordiali. Lila e Lenù, la strega cattiva e la brava ragazza: la narrazione smaschera fin dall’inizio questi due stereotipi, per confrontare la superficialità delle etichette con la complessità interiore. Lila e Lenù possono essere anche le due facce della stessa medaglia ovvero i poli opposti di una stessa persona, ma il gioco degli opposti interiori si rivela anch’esso complicato: è la buona Lenu che odia la madre e vuole fuggire a ogni costo dal quartiere, mentre è Lila, la "rompicazzi", che continua ostinatamente ad amare le radici e la famiglia.
La storia delle due amiche si snoda all’insegna dell’ambivalenza, tra affetto e competizione; complicità e incomprensione. In questo secondo romanzo della trilogia gli ultimi anni della loro adolescenza maturano a velocità vertiginosa nello stesso minuscolo rione napoletano dell’infanzia: un microcosmo governato da leggi arcaiche, semplici nella loro crudeltà. Intorno a loro, ritroviamo all’inizio lo stesso coro di personaggi indimenticabili, forgiati dalla storia delle loro famiglie e del loro quartiere, in lotta tra di loro e contro la miseria; ma in seguito Lenù varca i confini del rione per scoprire parte degli infiniti mondi della nostra Italia recente, la loro lenta evoluzione, le loro brutture, i loro passaggi nascosti.
La scelta lessicale è curata e insolita come nelle altre opere della stessa autrice; in particolare ho notato un sostantivo che ricorre spesso: il “malodore” che insegue i personaggi e le tappe delle loro storie. Il malodore del rione torna nella vita di Lila quando ripudia il cognome nuovo impostole dal matrimonio: la ricca signora Cerullo, appendice inglobata nell’identità del marito, vive in un appartamento con tutti gli agi; Lila Cerullo, espulsa dal ruolo di moglie, torna nella stessa sporcizia vissuta nell’infanzia. Il malodore, marchio della povertà e del dolore, è un incubo destinato a tornare.
Nessuno sa chi sia Elena Ferrante, ma investigare è inutile: la forza delle sue parole scritte rende superflua qualsiasi altra rivelazione.
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Piccole donne crescono
Ascolta, la senti la voce del dolore ? Lo senti l'urlo, lo strazio del silenzio imposto, di una vita non scelta, di un'alternativa che non c'e' , di un incoraggiamento taciuto ?
Ascolta, lo senti lo scricchiolio dei denti mossi dalla rabbia, dall'odio, da una forza cieca e sorda che non puo' reprimere, non vuole somatizzare ?
Ascolta, lo senti il battito violento di uno schiaffo che vuole zittire , domare, piegare , lo senti il sangue che scorre senza lavare ma che segna il volto, l'anima, la vita ?
Ascolta, lo senti il clangore della forza, del coraggio, della battaglia di soldati invisibili, del sacrificio ?
Ascolta il lato edificante del dolore, quello che emoziona, che agita, che inquieta, che arricchisce ; quel dolore su cui hai il potere di dire basta a tuo piacere, non come nella vita, il dolore di un libro lo chiudi fuori quando ti pare, e lo riapri quando ti manca.
" Sei proprio n'omm'e mmerd."
Secondo volume della trilogia L'AMICA GENIALE, Lila e Lanu' hanno lasciato alle spalle l'infanzia per rivelarsi ormai giovani donne, per percorrere strade diverse.
In un tripudio di emozioni, la splendida penna della Ferrante riesce di nuovo ed ancora di piu' ad offrirci un sipario umano e spazio temporale tangibile, verace, vivo, vero in cui sentiamo il cuore espandersi e contrarsi, sciogliersi al sole come il corpo velenoso e lattiginoso di una medusa spiaggiata sulla rena .
Sentirsi sferzati da parole ed eventi in tempesta, da piccole vite potenti e disperate di tormento, di impegno, di sottomissione, di ardore che infiammano come la passione di due amanti adolescenti. Che sconvolgono come una prima notte di nozze consumata al lume accecante del corpo di una giovane sposa scaraventata e stuprata.
Sono gli anni Sessanta a Napoli , il rione della Ferrante palpita di bene e di male.
Due ragazze lasciano un'impronta di cemento, potrete coprirle di polvere ma non dimenticarle. Mai piu'.
Buona lettura.
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Ancora Lila e Lenù
Prosegue la storia di Lenù e Lila iniziata nel precedente romanzo “L'amica geniale”, di cui si rende necessaria la lettura.
Se nel primo volume le protagoniste erano due bambine che si affacciavano all'adolescenza, ora sono due giovani donne che camminano verso l'età adulta.
Un'età in cui le responsabilità ed i carichi familiari e personali aumentano e richiedono scelte e sacrifici, un'età in cui la personalità di un individuo si è formata e consolidata mettendo in evidenza le proprie peculiarità.
Se l'infanzia delle due giovani, splendidamente ritratta in precedenza dall'autrice, è stata un groviglio di accadimenti, di sogni infranti, di errori, di fratture, gli anni successivi saranno gravidi di lacrime e di cambiamenti, animati da una voglia di evasione dalla gabbia entro cui la vita le ha rinchiuse.
Questo romanzo raggiunge momenti di intensità nettamente superiore alla prima parte, vuoi per la durezza degli eventi narrati vuoi per il consolidarsi di due personalità forti e ottimamente caratterizzate come Lila e Lenù; due giovani donne di cui il lettore riesce a percepire i pensieri, i desideri e le sofferenze.
Le due donne sembrano rappresentare le due facce di una medaglia, speculari eppure diverse, legate da un filo trasparente anche quando la vita le fa marciare su strade parallele; due riuscitissime rappresentazioni della vita e della forza umana, quella forza che esige di trovare una luce ed una buona riuscita alla propria esistenza.
La peculiarità della penna della Ferrante è la corposità e l'abbondanza, capace di travolgere il lettore come un fiume in piena, a tratti quasi disorientante.
Come già riscontrabile nel precedente volume, è grande la capacità di tenere le redini di una narrazione brulicante di personaggi minori, ma che contribuiscono tutti a realizzare il complicato e colorato mosaico che è culla della storia.
E' un' ottima lettura che ci obbliga ad attendere il terzo capitolo per poter chiudere la parabola di vita e di amicizia di Lila e Lenù.
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DISORIENTAMENTO
Mi sono tuffata nella lettura di questo secondo volume de L’amica geniale, dopo essere riemersa da quest’ultimo felicemente appagata. Già di per sé, la decisione di proseguire in questa lettura, dimostra quanto la Ferrante mi abbia conquistata, visto che in genere non apprezzo i romanzi in più volumi. Che siano stati I quattrocento colpi di Truffaut a contagiarmi o la fortuna di aver trovato il libro subito disponibile in biblioteca, ad ogni modo sono andata avanti e la fascinazione è proseguita.
In questo secondo libro, Elena e Lila affrontano l’adolescenza andando oltre, sino alla soglia dei vent’anni. Il loro rapporto pur sfibrandosi nel tempo, come è naturale che accada, si torce e si ritorce creando un legame che seppur debole pare inscindibile. Non desidero anticipare nulla della trama, rispettando così la quarta di copertina estremamente sintetica e non essendo comunque in grado di riassumere i numerosi eventi accaduti. Non c’è ordine di importanza da seguire, sono tutti significativi allo stesso modo. Vengono raccontati con un ritmo cadenzato, alcuni veloci, con poche parole precise e altri lenti e particolareggiati.
Lila sempre più compressa dentro sé stessa cerca invano di annullarsi, mentre Elena sempre più estromessa e al di fuori di sé tenta invano di affermarsi.
I drammi dell’infanzia prendono forma in conseguenze in alcuni momenti davvero drammatici e il pensiero che costantemente mi ha invaso la mente durante la lettura è sempre lo stesso: quanta percentuale di noi stessi lasciamo venga distorta o seppellita dagli eventi, dalle circostanze, dalle persone? E quanta colpa possono averne i genitori quando sono anch’essi vittime di un’ignoranza sociale ed emotiva?
Ovviamente attendo il prossimo libro…
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