Nel mare ci sono i coccodrilli
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Lungo le strade perdute d'infanzia
È un viaggio durato anni quello che, da un piccolo villaggio afghano, ha condotto il bambino protagonista di questo libro fino alla città di Torino. Un libro che si legge come un romanzo, ma che in realtà romanzo non è, semmai una storia tremendamente vera.
Lo scrittore Fabio Geda, con straordinaria empatia e cuore immenso, ha dato voce a Enaiatollah Akbari, afghano di etnia hazara, il quale all'età di circa dieci anni partì alla volta del Pakistan in compagnia di sua madre per poi ritrovarsi all'improvviso da solo senza nessuno su cui poter contare. Sarà soltanto l'inizio di un'odissea durante la quale l'infanzia verrà sopraffatta dalle necessità della sopravvivenza quotidiana, sfamarsi, trovare un posto in cui dormire, lavorare.
Fa molto male leggere di un ragazzino che vive di espedienti, che fatica da mattina a sera per un tozzo di pane o per mettere in tasca qualche soldo, spesso in mano a trafficanti di uomini, costretto a nascondersi perché clandestino. Piange il cuore sapendo che in certe parti del mondo tutto ciò è la norma per un numero incalcolabile di bambini a cui il diritto all'infanzia viene negato dalla vita stessa. E inquieta anche solo pensare che questa massa di piccoli diseredati possa cadere vittima di traffici ignobili (in primis, sesso e organi) o di pericolosi estremismi che li rendono fanatici strumenti di morte. Pure Enaiatollah sarebbe potuto diventare uno di quei ragazzini indottrinati che sgozzano malcapitati prigionieri al grido di “Allah akbar”, ma a lui non è accaduto; a proteggerlo, chissà, sarà stata una di quella miriade stelle che i suoi occhi cercavano di contare la notte durante il viaggio verso il Pakistan o, forse, la buona fortuna che qualcuno gli ha augurato strada facendo. E così, mentre si preannunciava un'adolescenza anch'essa scandita dalla medesima esistenza precaria e randagia di sempre, il tragitto è proseguito attraverso l'Iran, la Turchia e la Grecia prima di concludersi, dopo infinite pene e peripezie, compresa una rischiosa traversata del Mediterraneo, in Italia. Prima di trovare un posto che il suo cuore potesse finalmente chiamare casa. Prima di ascoltare di nuovo, dopo tanto tempo, il sospiro intriso di lacrime di una madre che anni addietro aveva compiuto un tragico atto d'amore.
Una lettura bellissima e commovente fino alle lacrime, la quale ci insegna che i coccodrilli possono nascondersi nel mare, ma qualcuno anche sulla terra ferma! Un libro che dovrebbero leggere pure i nostri ragazzini, figli di una società ormai sempre più tecnologica, apatica, indifferente, molto spesso spietata, per comprendere il significato di essere bambino in mondi lontani dal nostro.
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Un kit perfetto. Da Ikea dei clandestini
Il piccolo Enaiatollah lascia l’Afghanistan per sfuggire le persecuzioni alle quali sono sottoposti gli hazara ad opera di talebani e pashtun. Custodisce nel cuore pochi consigli che la mamma gli ha impartito: “Tre cose non devi mai fare nella vita… La prima è usare le droghe…. La seconda è usar e le armi… La terza è rubare.”
Il romanzo è il racconto che il piccolo riversa sullo scrittore Fabio Geda e narra il lungo, pericoloso viaggio attraverso Pakistan, Iran, Turchia, Grecia, per raggiungere l’Italia con il miraggio di un futuro migliore.
È una selezione spietata quella che designa la sopravvivenza dei migranti. Il piccolo Enaiat la vince grazie all’intraprendenza, alla determinazione e a qualche piccolo espediente.
L’avventura è coinvolgente, non può lasciare indifferenti e induce riflessioni sui mali e sulle sperequazioni che affliggono il nostro pianeta. Particolarmente toccanti sono il viaggio attraverso i monti della Persia e della Turchia e la traversata di un drappello di ragazzini verso la Grecia, su un gonfiabile che è “Un kit perfetto. Da Ikea dei clandestini”.
Dopo tanto peregrinare, perché fermarsi in Italia? “Come si trova un posto per crescere, Enaiat? Come lo si distingue da un altro? Lo riconosci perché non ti vien voglia di andare via.”
Giudizio finale: commovente, emozionante, ci sprofonda nella vergogna e ci rinfaccia lo scandalo che quotidianamente si consuma nell’indifferenza o, peggio ancora, nel razzismo. Ci interroga infine sull’utilità di certi libri, che magari hanno anche successo commerciale…
Bruno Elpis
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Conta le stelle giovane Enaiatollah...
«E dalla cornetta è uscito solo un respiro, ma lieve, e umido, e salato. Allora ho capito che stava piangendo anche lei. Ci parlavamo per la prima volta dopo otto anni, otto anni, e quel sala e quei sospiri erano tutto quello che un figlio e una madre possono dirsi dopo tanto tempo. Siamo rimasti così, in silenzio, fino a quando la comunicazione si è interrotta. In quel momento ho saputo che era ancora viva e forse, lì, mi sono reso conto per la prima volta che lo ero anch’io. Non so bene come. Ma lo ero anch’io.»
Il viaggio di Enaiatollah Akbari ha inizio in Afghanistan. Suo padre, camionista, muore durante un trasporto di merci e sua madre, minacciata dai talebani, non ha altra alternativa se non quella di nascondere e poi allontanare il figlio. A seguito della perdita del carico, infatti, i malavitosi, iniziano a perseguitare i suoi cari, membri, tra l’altro, degli hazara, l’etnia di minoranza perseguitata dai pashtun. Ecco perché la donna, per proteggerlo, lo porta – e lascia – in Pakistan, a Quetta, dove prima di andarsene si fa promettere dal figlio tre cose: di non rubare, di non usare le armi e di non drogarsi. Lo invita a seguire gli insegnamenti che ha ricevuto e a non arrendersi, gli sussurra che non può far altro, le circostanze le impediscono di restare al suo fianco. Deve imparare a cavarsela da solo, ma senza dimenticare quella che sino ad allora è stata l’istruzione ricevuta. Passano i giorni, i mesi, gli anni. Enajatollah è costretto a muoversi ulteriormente, a spostarsi di stato in stato, ad abbracciare lavori improbabili, denigratori e comunemente reietti da chi sta meglio, ma deve pur in qualche modo sopravvivere. Nasce in lui il proposito di trasferirsi in Europa, ha saputo che questa terra è molto diversa da quella in cui attualmente vive. Vuole andare incontro alla sua possibilità, è forse, la sua ultima chance. E per raggiungerla, questa terra, affronterà la fame, il freddo, ripetuti soprusi, il mare, la morte, la solitudine. Arriverà a Venezia, a Roma ed infine a Torino dove, grazie ad un amico dei tempi dell’Afghanistan, verrà accolto da una famiglia piena d’amore. Ed è qui che potrà coronare un altro suo grande desiderio: studiare. Negli anni di “pellegrinaggio” da un impiego all’altro, quante volte ha visto bambini andare a scuola, quante volte ne ha visti altri giocare in cortile tra una lezione e l’altra, quante volte ha semplicemente sperato di poter un giorno avere la stessa occasione, la stessa opportunità.
Enajatollah non è un sogno, non è una creazione di fantasia nata dalla fervida immaginazione di Geda.
E’ vivo, studia, e cerca di costruirsi un futuro. Per quanto ambisca a tornare nella sua terra natia, sa che ad oggi questa non ha nulla da offrirle; destina così il suo impegno alla volontà di aiutare, nei giorni che verranno, tutti coloro che sono intrappolati in una società senza speranza, destino, occasioni, in una società dove ciascuno è lasciato a se stesso, in balia dell’ignoto, della criminalità, in una società dove “arrivare al giorno dopo” è già di per se un miracolo.
Quella raccontata dall’autore è una storia che volutamente assume i toni del fiabesco, e lo fa per raggiungere i cuori tanto dei più grandi quanto dei più piccoli. E’ una narrazione che non si propone soltanto di enunciare quella che ormai è divenuta sempre più quotidianità, ma anche di sensibilizzare le menti di chi crescendo nell’agio, non immagina minimamente che esistano anche queste differenti dimensioni. Basti pensare al momento in cui il ragazzo, approdato nella sua nuova famiglia, scopre di avere un letto – e per di più tutto suo – , un tetto sopra la testa e perfino dei vestiti nuovi. Questi sono concetti e oggetti che diamo per scontati, non considerando che invece, per altri, non lo sono affatto.
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Allora di vivere varrà sempre la pena
«Poi ha alzato lo sguardo in direzione della finestra, e ha cominciato a parlare di sogni senza smettere di solleticarmi il collo. Di sogni come la luna, alla cui luce è possibile mangiare, la sera. E di desideri, che un desiderio bisogna sempre averlo davanti agli occhi, come un asino una carota. Che se un desiderio, qualunque sia, lo si tiene in alto, a una spanna dalla fronte, allora di vivere varrà sempre la pena.»
“Storia vera di Enaiatollah Akbari”, cosí dice il sottotitolo di questo libro. “Storia vera” ho continuato a ripetermi mentalmente durante la lettura di quest’opera, per convincermi che le parole che scorrevano sotto i miei occhi non fossero inventate. Perché fa male crederci. Perché per noi occidentali certe situazioni non sono minimamente immaginabili, e mi vergogno un po’ a scrivere di qualcosa che so di non poter comprendere realmente.
Enaiatollah nasce in un piccolissimo paesino dell’ Afghanistan e, all’etá di dieci anni (forse), sua madre decidere di intraprendere con lui un viaggio. Lo accompagna in Pakistan, qui trascorrono la notte insieme e, dopo una serie di raccomandazioni, lei scompare, lasciandolo solo. Il ragazzino dovrá continuare il percorso che lo porterà alla salvezza: sará costretto a lavorare per mesi per poter raccogliere il denaro per vivere e spostarsi verso l’Europa. Affronterá la fame, il freddo, il gelo, la paura, la solitudine, la morte e il mare. Quel mare tanto temuto che attraverserà con alcuni compagni per giungere finalmente in un luogo sicuro. La sua storia avrá fortunatamente un punto di approdo, grazie ad una famiglia che lo accoglierá e amerá.
Enaiatollah esiste per davvero, oggi ha 24 anni (forse), ha un profilo facebook, frequenta l’universitá e sente spesso sua madre e i suoi fratelli. Sa di voler ritornare nella sua terra natia, ma sa anche che ora non potrebbe offrirle nulla di concreto. Il suo impegno è, un giorno, con una laurea e un piano, di poter aiutare tutti coloro che si trovano in una situazione simile alla sua, intrappolati in una società in cui bambini e ragazzini sono sfruttati e impiegati per compiere attività criminali, lasciati soli, senza speranza e senza destino.
Una storia che mi ha commosso, narrata con un tono surreale, a volte quasi fiabesco, dietro cui, peró, si cela una grande malinconia.
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Una difficile realtà
"Un desiderio bisogna sempre averlo davanti agli occhi, come un asino una carota, e che è nel tentativo di soddisfare i nostri desideri che troviamo la forza di rialzarci, e che se un desiderio, qualunque sia, lo si tiene in alto a una spanna dalla fronte, allora di vivere varrà sempre la pena”
Trovo decisamente interessante questa biografia di Enaiatollah, e la consiglierei a chiunque abbia l’età per comprenderne i contenuti, perché dà qualcosa che notizie sui giornali, libri di geografia e quant’altro, non riescono a dare, ovvero le emozioni, la fatica e la sofferenza di coloro che decidono di fuggire dai propri paesi di origine, nella speranza di trovare un futuro migliore. Insomma, trovo molto interesente questa storia, raccontata dagli occhi di un ragazzo e trascritta su carta con semplicità, tale e quale a come è stata narrata, e mi auguro di tenere sempre presente il ricordo di questa lettura e l'insegnamento che ne ho tratto.
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Una storia vera che sembra un romanzo
E' una storia bella per come è stata scritta, per come è stata narrata allo scrittore, per come è finita improbabilmente bene. E' una storia che fa riflettere su milioni di storie simile finite in maniera molto diversa. E' una storia che dovrebbe smuovere qualcosa e uscire dalla letteratura e dal suo mondo a parte; che fa desiderare un' interazione tra fantasia e vita.
Il fatto che quello che leggo sia vero mi fa sentire inadeguati tutti i parametri con cui normalmente valuto un libro. Vorrei che l'esistenza del libro potesse migliorare in qualche modo quella degli uomini, a cominciare dagli Hazara.
E' bello il modo pulito in ci il protagonista guarda il mondo. Chi è buono vede cose buone e rende (forse) il mondo migliore.
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Cucchiaino di legno
Con questo libro conosciamo un dolce bambino afghano, che, con un tragico atto d'amore, viene abbandonato dalla madre perchè quello è l'unico modo per dargli la possibilità di un futuro. Saperlo in pericolo lontano da lei, ma in viaggio verso un futuro differente, era meglio che saperlo in pericolo vicino a lei, ma nel fango della paura di sempre. Così Enaiatollah Akbari, piccolissimo come un cucchiaino di legno, si ritrova da solo e va in cerca di un futuro, del suo futuro, attraverso il Pakistan, l'Iran, la Turchia, la Grecia, fino ad arrivare in Italia dove uan famiglia lo prende in affido. Storia raccontata in prima persona, con dolcezza, semplicità, con gli occhi di un bambino. Toccante e vera.
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Un piccolo grande uomo
Tornate indietro con la memoria a quando eravate bambini, esattamente a quando avevate dieci anni....
vi chiedete perché? Perché è la condizione del protagonista di questa storia, dieci anni d'etá, quando inizia il suo viaggio, il suo emozionante racconto.
Dieci anni sono pochi per il mondo occidentale, dove si vive ancora spensierati e coccolati dall'affetto materno e paterno, sono molti invece per una terra travagliata, divisa anche (come se i problemi esistenti non fossero sufficienti) dall'odio religioso ed etnico. Enaiatollah, questo è il suo nome, è nato in Afghanistan. E' dovuto crescere in fretta a dispetto dell'età, per sopravvivere, per cercare un posto dove stabilirsi definitivamente.
Mi ha colpito non solo la storia, ma il modo in cui il piccolo protagonista ha saputo superare le innumerevoli e continue difficoltà. La morte ha sempre viaggiato accanto a lui e con la sua affilata falce lo ha spesso sfiorato, togliendo la vita ad alcuni dei suoi compagni di disavventura. Nonostante tutto Enaiatollah, un piccolo grande uomo, ci mostra una via, un modo saggio e non comune per affrontare la vita. Lo fa armandosi dell'incrollabile speranza nel raggiungere qualcosa di meglio, che non deve venir meno anche nei momenti di estrema difficoltá (“...che un desiderio bisogna sempre averlo davanti agli occhi, come un asino una carota, e che è nel tentativo di soddisfare i nostri desideri che troviamo la forza di rialzarci, e che se un desiderio, qualunque sia, lo si tiene in alto, a una spanna dalla fronte, allora di vivere varrà sempre la pena”) e di una spiccata ironia con cui osserva e commenta ciò che gli accade.
E' un libro con una scrittura semplice, si legge facilmente, ma ha il grande pregio di arrivare diretto ai nostri cuori, di renderci consapevoli della storia travagliata dei piccoli e dei grandi profughi, con il loro bagaglio di disperazione e di ricerca di un futuro migliore.
Ora quando vedrò un piccolo profugo non potró non vedere in lui un piccolo Enaiatollah.
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Nel mare ci sono i coccodrilli
Questa è la storia di un bambino, Enaiatollah, nato in Afghanistan
Racconta lo strazio di una madre che vede nell'abbandono del figlio l'unico modo per salvargli la vita; un tragico atto d'amore ...
Enaiatollah rimane solo e comincia una prematura vita da adulto e da clandestino.Un libro stupendo che propone problematiche molto attuali, come quella dell'immigrazione; aiuta a comprendere meglio la sofferenza di queste persone e magari ci aiuta anche a essere più tolleranti. Molto educativo: andrebbe fatto leggere nelle scuole, a tutti quei ragazzi devastati dal consumismo.
Un viaggio della speranza tentato da milioni di esseri umani...
Davvero molto coinvolgente!!
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Le parole sono un guscio...
«Se parli direttamente con le persone trasmetti un'emozione più intensa, anche se le parole sono incerte e la cadenza è diversa; in ogni caso, il messaggio che arriva assomiglia di più a quello che hai in testa, rispetto a quello che poterebbe ripetere un interprete, perché dalla bocca dell'interprete non escono emozioni, escono parole, e le parole sono solo un guscio.»
Immagino che questo ragazzino non avrebbe potuto scrivere da solo la sua storia per un ostacolo linguistico, ma la "pecca" di questo libro molto bello e di questa vicenda agghiacciante e commovente per me sta lì, c'è una dolce freddezza che lo scrittore non è riuscito a oltrepassare, questo non è riuscito a coinvolgermi appieno. O forse dopo che vivi certe cose hai raggiunto un tale distacco emotivo che ne parli in questo modo, non lo so davvero. Comunque è bello che queste storie vengano raccontate, c'è più vita in un piccolo "nulla" che in tanta famosa umanità.
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nel mare ci sono i coccodrilli
Un bellissimo libro pregno d’amore, l’amore nelle più varie forme, quello di una madre, quello di un amico quello che si può ricevere da un estraneo che riesce a vedere in questo piccolo bambino qualcosa di più che un ammasso di vestiti sporchi e una bocca da sfamare. Si legge velocemente perché lo stile di scrittura è semplice e diretto, e poi perché incuriosisce molto, non vedi l’ora di arrivare in fondo per scoprire la sorte di Enaiatollah.
Enaiatollah ha dieci anni circa quando sua madre, per salvargli la vita lo conduce in Pakistan , dopo un viaggio di tre giorni lo abbandona durante la notte, non prima di avergli raccomandato tre cose da non fare mai : rubare usare armi e drogarsi. Comincia così la sua nuova vita , la vita di un bambino costretto a diventare uomo in fretta in un territorio in cui non puoi mai abbassare le difese, pochi hanno pena per te, è una terra in cui si cerca di sopravvivere non c’è spazio per certi sentimenti purtroppo. Presto decide di fuggire da lì, e con l’aiuto di alcuni amici e dei trafficanti di clandestini Anaiatollah intraprende un difficile viaggio, che , dopo circa 8 anni, lo porterà in Italia, grazie anche alla sua caparbietà e al suo coraggio.
In Italia questo giovane ragazzino trova chi si prende cura di lui, un’assistente sociale lo prende in affido e lo ospita a casa sua ed è bello leggere che nel suo lungo viaggio Anaiatollah incontra tanti italiani di buon cuore, è un libro che fa bene all’anima e che arricchisce molto. Prima di scrivere la recensione sono andata a visionare il video della sua intervista a Fazio a “che tempo che fa” perché è bello dare un volto a una persona a cui ti sei affezionata così tanto leggendo la sua storia.
Un libro che consiglio, soprattutto in questo periodo in cui l’emergenza clandestini è alta, forse poi è più facile scoprire che sotto dei vestiti sporchi esistono delle persone e che ognuno di loro potrebbe essere il nostro Enaiatollah, magari incontrandoli per la strada , dopo aver letto il libro, li guardiamo con occhi diversi
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Colpita al cuore!
Già da tempo ho terminato la lettura di questo libro, ma non veniva mai il momento di scriverne un commento…. Perché questa storia mi ha colpita al plesso solare, così violentemente, da lasciarmi vuota di pensieri e di parole.
Così , nei giorni successivi , riflettevo su ..luoghi comuni( forse), che ricorrono spesso nei nostri pensieri, proprio in quanto comuni.
Pensavo a tutte le brutture che ogni giorno i mezzi mediatici ci propinano, ci fanno conoscere; a quanto stragi, bombe, famiglie trucidate, guerre…ci scorrano addosso, nei vari telegiornali, suscitando dolore, disappunto, fastidio, ma senza “realmente” entrare dentro di noi…
E pensavo ai clandestini; quelli che arrivano in condizioni disumane sui gommoni, suscitando indignazione per chi li accoglie, li soccorre.
Ecco; Enaiatollah Akbari è stato uno di loro; uno dei pochi fortunati , che è riuscito, dopo peripezie incredibili a raggiungere il suo scopo.
Ed io,lo confesso, per la prima volta in vita mia ( ma non è mai troppo tardi!) ho realizzato, leggendo la vicenda di questo coraggioso ragazzo, che cosa debba rappresentare questa esperienza, veramente!!
La storia è magistralmente narrata dallo scrittore Fabio Geda, con uno stile scarno ma efficacissimo, in prima persona, come se fosse lo stesso Enaiat a parlare.
Ed infatti lui racconta, si racconta, per mano dello scrittore torinese.
Il racconto è preceduto da una cartina , su cui è tracciato l’itinerario percorso dal ragazzo, che aveva circa dieci anni alla partenza. Dico circa, perché nessuno sa quale sia la sua data di nascita reale.
La data del suo compleanno l’ha decisa la questura: 1 settembre. Ora ha 21 anni.
I capitoli del libro portano come titoli i nomi degli stati attraversati nella fuga: Afghanistan, Pakistan, Iran, Turchia, Grecia, Italia.
Già l’inizio è doloroso, ma non è nulla, in confronto a ciò che verrà in seguito…
Il padre di Enaiat è morto lavorando per un ricco signore. Il carico del camion che guidava è andato perduto, e il ragazzo deve esserne il risarcimento. Invano la madre si affanna a nasconderlo in una buca fra le piante di patate..prima o poi lo prenderanno…ed allora la donna prende la decisione: Enaiat deve fuggire lontano, in salvo.
Lo porta in Pakistan; accarezzandolo gli fa promettere tre cose: che non prenderà mai droghe; che non ruberà mai; che non userà mai armi per uccidere.
E lo abbandona.
Dopo lo sgomento di sentire il giaciglio vuoto, vicino a sé, e la consapevolezza di ciò che è successo,del buio che lo attende, questo bambino – perché a dieci anni si è ancora bambini ! – decide di partire.
E da qui comincia un’avventura, che parrebbe frutto della fantasia, e basta; invece è tutto vero.
Il lavoro come inserviente, venditore, muratore…le innumerevoli volte in cui è stato riacciuffato e riportato indietro, la fame, le botte..
I viaggi spaventosi nel doppio fondo di un camion, nel gommone sul mare in tempesta ( nel mare ci sono i coccodrilli? Si domandano questi poveri ragazzini ), su altri mezzi di fortuna…
Il peggiore viaggio è a piedi. Una montagna da “scalare” per passare in Turchia; avrebbero dovuto essere tre giorni di marcia , e sono alla fine ventisette!
Ventisette lunghe notti e giorni, al gelo, senza abbigliamento adatto, con altri settanta disperati, con la determinazione di arrivare.
C’è un brano, in proposito, tremendo, se si considera che è vissuto da un ragazzino, all’età in cui i nostri giocano con la play station…
….”Il diciottesimo giorno ho visto delle persone sedute. Le ho viste in lontananza e subito non ho capito perché si fossero fermate.
Il vento era un rasoio e briciole di neve mi otturavano il naso, e quando cercavi di toglierle con le dita non c’erano più.
Dietro una curva a gomito, d’un tratto, me le sono trovate di fronte, le persone sedute. Erano sedute per sempre. Erano congelate. Erano morte. Erano lì da chissà quanto tempo.
Tutti gli altri sono sfilati di fianco, in silenzio.
Io, a uno, ho rubato le scarpe, perché le mie erano distrutte e le dita dei piedi erano diventate viola, e non sentivo più nulla, nemmeno se le battevo con una pietra.
Gli ho tolto le scarpe e me le sono provate. Mi andavano bene. Erano molto meglio delle mie.
Ho fatto un cenno con la mano per ringraziarlo. Ogni tanto lo sogno.”
Enaiatollah ha incontrato , nei lunghi anni di peregrinazioni, anche persone buone; sono quelle che lo hanno aiutato a non abbandonare mai la speranza di farcela, che non gli hanno mai fatto perdere il sorriso.
Quel sorriso aperto e cordiale che colpisce, nei filmati che lo vedono protagonista.
La sua meta è Torino. Qui molte persone, ma soprattutto una meravigliosa famiglia, lo aiutano a “fermarsi”, a realizzare il sogno di studiare, lavorare, non avere più paura, NON FUGGIRE PIU’.
Solo allora, dopo tanto tempo, Enaiat ripensa alla madre, ai fratellini e decide di cercarli, per dire loro che è riuscito. E un giorno , durante una telefonata, “sente” che dall’altra parte, lontanissimo, c’è sua madre. E qui , riporto l’explicit del romanzo, che trovo struggente.
…”Ho detto: Mamma.
Dall’altra parte non è arrivata nessuna risposta.
Ho ripetuto. Mamma.
E dalla cornetta è uscito solo un respiro, ma lieve, e umido, e salato.
Allora ho capito che stava piangendo anche lei.
Ci parlavamo per la prima volta dopo otto anni – otto –e quel sale e quei sospiri erano tutto quello che un figlio e una madre possono dirsi, dopo tanto tempo.
Siamo rimasti così, in silenzio, fino a quando la comunicazione si è interrotta.
In quel momento ho saputo che era ancora viva e forse, lì, mi sono reso conto per al prima volta che lo ero anch’io.
Non so bene come . Ma lo ero anch’io.”
(…. scusate se mi dilungata tanto, questa storia mi ha preso il cuore. Rosy -Cristina V)
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essere un ragazzino afgano è roba grossa
Un libro bellissimo, l'ho letto solo in una mezza giornata grazie allo stile semplice e fresco della scrittura di Fabio Geda nonché dell'unicità della storia. E' da ammirare questo piccolo Enaiatollah Akbari, per il coraggio con cui affronta la sua infanzia, e in seguito, il lungo viaggio per il Pakistan, l'Iran, la Turchia e la Grecia...ci fa capire un concetto fondamentale che guida l'esistenza di chi si trova nella stessa sua situazione; non ci ferma davanti a nulla per migliorare la propria vita e la propria posizione sociale. Un libro bel riuscito nell'intento dell'autore, una storia toccante che fa riflettere parecchio su noi stessi e sugli altri. Da non perdere....
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DA LEGGERE
Commovente racconto di un ragazzino afghano che descrive il suo viaggio, da clandestino, dall'Afghanistan all'Italia. La semplicità del linguaggio che usa non cancella le crudeltà, a volte al limite dell'inverosimile, che ha dovuto sopportare. Sorprende il coraggio e la determinazione con cui affronta difficoltà impensabili per un suo coetaneo italiano: in ogni paese che attraversa lavora, risparmia dei soldi pensando con tenacia ad un futuro migliore, stringe amicizie importanti.
Terminato di leggere il libro viene una gran voglia di cercarlo, di conoscerlo questo ragazzino.
Lo consiglio a tutti, soprattutto ai ragazzi giovani.
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Vita da clandestino...
Seguire il percorso di un clandestino aiuta a considerarlo una persona e non solo un problema sociale. Se poi questo clandestino in fuga e' un ragazzino, ecco che i contorni della sua esistenza mettono ancor piu' in crisi. O almeno hanno messo in crisi me.
Il racconto e' preciso e le immagini evocate raccontano anche i disagi, la paura, le speranze, il dolore... e poi la confusione di una situazione vissuta ai limiti dell'umana sopportazione. Mi e' stato impossibile tentare di immedesimarmi nel racconto della vita di questo ragazzino, troppo angosciante.
Mi hanno sollevato le sue battute di spirito, e poi leggere di chi gli e' andato incontro con un aiuto: mi sono accorta che avevo bisogno di sentire che non e' tutto nero, che non puo' accadere che nessuno si spenda per porre fine a sofferenze cosi' grandi. Ho avuto bisogno di sapere che un minimo di umanita' ancora esiste. Forse e' un eccesso di sentimentalismo, il mio, o di rifiuto di realta' troppo dure. Ho sperato anche che la storia fosse stata un po' "cucinata" per essere piu' melodrammatica, ma la speranza e' durata poco, il tempo di decidermi a proseguire a leggere.
Un bel libro, una brutta storia, un finale che non e' un finale, ma un nuovo inizio in un Paese che agli occhi di Enaiatollah e' piu' bello che ai miei.
Mi rallegra pensare che possa aver piu' ragione lui di me.
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nel mare ci sono i coccodrilli
In questo romanzo Fabio Geda dà voce ad Enaiatollah Akbary, il quale racconta la sua vita. Enaiatollah descrive i suoi primi anni in Afghanistan e la paura dei Talebani, per lui che è un Hazara,fino al gesto estremo di sua madre che all'etò di 10 anni lo accompagna alla frontiera con il Pakistan e lì lo abbandona.
Il racconto prosegue con la descrizione dei lavori che E. è costretto a fare per sopravvivere e soprattutto con il resoconto su come ha attraversato il Pakistan, l'Iran, la Turchia, la Grecia per poi finire in Italia. Questo romanzo che si legge senza difficoltà in un paio d'ore riesce a toccare l'animo del lettore e a commuoverlo.
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Da leggere
Il piccolo Enaiatollah Akbari viene portato dalla madre dall'Afghanistan al Pakistan e li abbandonato .
Può sembrare un gesto crudele ed insensato a chi vive nella nostra parte di mondo , non per una madre che preferisce sapere il figlio lontano e in viaggio in cerca di un posto migliore in cui vivere piuttosto che costretto a nascondersi di continuo in una buca per non diventare un criminale o essere ucciso.
Il giovane Enaiatollah racconta la sua storia al giornalista Fabio Geda, il suo viaggio durato 8 anni anni nel quale passerà in Iran, in Turchia, in Grecia ed infine in Italia.
A tratti sembra un coloquio a due più che un romanzo, consiglio di guardare l'intervista di Enaiatollah nella trasmissione "che tempo che fa" con Fabio Fazio per capire meglio il libro, guardare neglio occhi questo ragazzo, osservare il suo sorriso disincantato e sincero per capire l'ironia ingenua di alcuni suoi commenti.
E' un viaggio tra miserie, sfruttamento, botte e qualche atto di amicizia ed umanità, un esplorare tutto l'arco dei sentimenti umani e di quello che un uomo può offrire nel confronto quotidiano con un suo simile , nel bene e nel male.
Può essere un libro che apre la mente e magari ci farà vedere con occhi diversi le persone coperte di stracci che guardiamo magari con fastidio agli angoli delle strade, a chiderci che cosa li ha portati li e per quali vie.
Una frase mi ha molto colpito, quando Enaiatollah dice che in certi posti del mondo "...emigrare è come respirare..." ha la stessa importanza la stessa necessità disperata.
Da leggere.
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Una storia di vita e di crescita
Un libro che si legge velocemente e che ci trasporta con gli occhi di un ragazzo nel mondo dei profughi. Mi e' piaciuta la mancanza di falsi moralismi e la contemporanea sensibilita' con cui vengono raccontate le tragiche ma a volte anche comiche avventure di questo piccolo profugo costretto a scappare dalla cattiveria e dall'ignoranza di tanti adulti. Da leggere insieme ai propri figli.
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