Le tre del mattino Le tre del mattino

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Paolo Fiorillo Opinione inserita da Paolo Fiorillo    23 Febbraio, 2022
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TANTO LONTANI COSI' VICINI

Un libro che è un elegante percorso sull'importanza dei valori e sulla necessità di raccontarsi e di non perdersi nulla da chi ci è intorno. Un percorso a tappe sull'importanza e la bellezza della vita, la sua imprevedibilità e la forza dei legami.
Di questo libro prendo tutto! La sua velocità, l'eleganza dei dettagli, le dotte citazioni di matematici e non solo, prendo pure la stesura snella e mai banale. Prendo la franchezza dei personaggi, il loro vissuto, spogliati dei tratti tipici di molte opere contemporanee nelle quali i personaggi sono costretti sovente a trattenere il respiro. Qui è tutto chiaro, sin dall'inizio. Qui non ci si perde mai ma quanta cura del particolare, che bel racconto. Un storia, solo apparentemente, come tante.
Una stesura d'impatto come se ne vedono poche, un autentico marchio di fabbrica.
cit. "Ci sono occasioni in cui occorre parlare e non bisogna dare nulla per scontato. Poi ci sono occasioni in cui, invece, devi rimanere in silenzio perché nell'aria c'è qualcosa d'impalpabile e prezioso, e le tue parole potrebbero disperderlo in un istante. Sono due concetti semplici. La parte difficile è decidere quando applicare una regola e quando l'altra"

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michele87 Opinione inserita da michele87    27 Luglio, 2021
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Padre e figlio si riscoprono

Si tratta di un romanzo di formazione, che narra del rapporto distante tra un padre e un figlio adolescente, che si avvicinano e si ritrovano grazie ad un viaggio di pochi giorni a Marsiglia. Costretti a passare insieme due giorni e due notti insonni nella città francese, i due si confronteranno e riusciranno a confidarsi segreti reciproci che li faranno riscoprire più affini di quanto non pensassero. L’autore ha l’abilità di far percepire distintamente al lettore i sentimenti dei due personaggi, le emozioni che traspaiono dalle parole dette ma soprattutto da quelle non dette, in un crescendo di contrasti che si trasformano via via in complicità. E’ un romanzo toccante, in cui Carofiglio dà il meglio di sé nel rappresentare le dinamiche complesse di uno dei rapporti sociali più conflittuali ma allo stesso tempo più solidi che esistano, quello tra un padre e suo figlio.

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lapis Opinione inserita da lapis    04 Settembre, 2019
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Febbre dell’anima

Nelle vene del diciottenne Antonio scorre fragilità, risentimento e ribellione famigliare. Come per tanti altri giovani, e forse un pizzico di più. Perché è difficile crescere nell’ombra della malattia, quell’epilessia idiopatica manifestatasi da bambino e curata, ma sempre percepita come una condizione inconfessabile e vergognosa, una macchia incompatibile con il successo e la perfezione degli illustri genitori. La famiglia può così diventare un campo di battaglia, una guerra di silenzi e rancori.

È in questo momento della vita che Antonio parte per un viaggio di tre giorni con suo padre, tre giorni che finiranno per cambiare tutto. Una città misteriosa, affascinante e pericolosa: Marsiglia. Una situazione straordinaria e irripetibile: dover rimanere svegli insieme per 48 ore per verificare l’effettiva guarigione di Antonio dalla malattia. L’occasione per vedersi davvero, per raccontarsi forse per la prima volta, per scoprirsi uomini prima ancora di padri e figli.

“In strada ci guardammo negli occhi ed ebbi come la sensazione che fosse la prima volta che accadeva davvero”.

Un bel romanzo di formazione, scorrevole e piacevole alla lettura, che attraverso il racconto di un confronto generazionale si propone di farci riflettere su quante emozioni, storie e sfumature si possono vedere, sapendo volgere lo sguardo oltre le uniformi e le maschere della quotidianità, nel cuore delle persone che ci circondano.
L’ambientazione è sicuramente di grande fascino e lo stile come sempre fluido e pulitissimo, a tratti - a voler trovare un difetto - addirittura quasi fin troppo levigato da perdere un po’ di spontaneità. Il risultato è a mio avviso una bella lettura, intima e coinvolgente, impreziosita da una nota malinconica, che vibra di rimpianto e fatalità, capace di risuonare nel cuore e commuovere.

“Lo sai che mi sto divertendo? Quella frase mi spezzò il cuore”.

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ferrucciodemagistris Opinione inserita da ferrucciodemagistris    25 Mag, 2019
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La scoperta dei sentimenti

“Nella vera notte buia dell’anima sono sempre le tre del mattino” di Francis Scott Fitzgerald.

E’ questa una delle tante frasi, detti, aforismi, apoftegmi che fanno da cornice agli eventi narrativi nei quali sono protagonisti Antonio, un giovane studente, e suo padre un illustre matematico docente universitario; il fulcro che conduce a un accavallarsi di quei sentimenti sconosciuti, o per lo meno superficiali, e situazioni di profonda umanità tra un padre e il figlio, è l’improvviso manifestarsi di una malattia/disturbo chiamato epilessia idiomatica. Siamo agli inizi degli anni ’80 e al fine di poter trovare adeguate cure per la risoluzione di questo problema, bisogna consultarsi con un allora importante luminare che esercita la sua professione a Marsiglia.

E’ proprio in questa città, all’apparenza misteriosa e nel contempo pericolosa e ostile in alcuni suoi quartieri, che i due protagonisti hanno l’opportunità di conoscersi meglio andando a fondo nelle proprie storie personali in modo da poter scoprire la simbiosi che li accomuna. Infatti la cura risolutiva consigliata dal luminare neurologo marsigliese, consiste nel rimanere per due notti e due giorni senza dormire, con l’ausilio di farmaci, per poter controllare la reazione cerebrale in fase di stress.

Ecco, quindi, la necessità per entrambi di potersi confrontare per oltre 48 ore in una città straniera senza possibilità di avere momenti propri; si sviluppa quella conoscenza embrionale, dovuta alla prematura separazione dei genitori di Antonio che lo ha costretto nel tempo a instaurare rapporti convenevoli con il padre, fino a capire quei sentimenti nascosti e mai emersi e, in particolare, i propri limiti.

“Tante volte non ci rendiamo conto che le cose che facciamo per la prima volta sono punti di non ritorno. Nel bene e soprattutto nel male. Se sono sbagliate, nessuno ce le restituirà mai più.”

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andrea70 Opinione inserita da andrea70    11 Settembre, 2018
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Ascoltarsi e scoprirsi

Antonio soffre di una patologia che può essere curata definitivamente, si sottopone ad una terapia osteggiata dalla moderna medicina ma deve fare un ultimo test sotto stress a Marsiglia . Dovrà rimanere sveglio 2 giorni e due notti. Ad accompagnarlo il padre, separato dalla madre, con cui i rapporti sono da tempo freddi e formali. Come sfondo alla vicenda una città , Marsiglia, quasi crepuscolare, umida, pericolosa . Padre e figlio, affrontano ognuno le proprie paure e speranze relativamente all'esito del test e alla pochezza di argomenti di conversazione che temono di avere . Di fronte alla necessità di stare svegli trovano finalmente il coraggio di parlarsi ma soprattutto di ascoltarsi. Ascoltare, qualcosa che pare una risposta automatica di un altro individuo al nostro comunicare, niente di più sbagliato … quello si chiama udire (con le orecchie) , per ascoltare devi aprire la mente ed il cuore e non trovare scorciatoie dandoti le risposte da solo. Antonio scoprirà che alcune cose non stanno come aveva sempre pensato e si sorprenderà della facilità con cui ha giudicato , il padre capirà che esistono molte strade per raggiungere qualcuno e sbagliarne una non rende inaccessibili le altre. Dopo anni finalmente padre e figlio, partendo dalle piccole cose , da argomenti quotidiani come la musica, le donne i libri, si vedranno l'uno nell'altro, riconosceranno qualcosa di sé nella persona che meno hanno conosciuto in questi anni. Antonio riuscirà a vedere oltre la maschera di rigido matematico del padre , ne scoprirà l'umanità nascosta dalla nebbia del pregiudizio nei suoi confronti, quell'uomo che prima di essere suo padre è stato un ragazzo con i suoi sogni, le sue passioni, le sue debolezze, i suoi dubbi, proprio come lui. Sarà per entrambi un viaggio nell'altro per ritrovare un po' di se stessi. Bravo Carofiglio che accompagna la scoperta con una prosa fluida, limpida mai banale e mai noiosa nonostante il ritmo compassato.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    04 Mag, 2018
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Bisogna dilapidare la gioia..

Stavolta ci speravo veramente, credetemi, di poter uscire dal vuoto che mi si crea intorno quando confesso la mia insofferenza verso i romanzi di Carofiglio.
Ero molto fiducioso di poter apprezzare questo suo romanzo perché, vi assicuro, non è bello sentirsi isolato come una particella di sodio nel mare di ovazioni che inonda immancabilmente tutte le sue opere, in primis quelle che vedono come protagonista il celebre avvocato Guerrieri.
E lo giuro, vostro onore, leggendo l'ultimo libro 'Le tre del mattino' ho messo da parte qualsiasi pregiudizio pregresso sull'autore, come se fosse la sua prima opera a capitarmi tra le mani; anzi, direi la seconda opera, visto che il primo (ed unico) romanzo di Carofiglio di cui nutro un piacevole ricordo è "Nè qui nè altrove", disincantato racconto dal tono dolceamaro di tre amici, ex compagni di studi, che si ritrovano dopo vent'anni a ripercorrere in macchina vie e quartieri della loro città, Bari, durante una notte che si dilata indietro, nel tempo trascorso, sollevando inevitabilmente paragoni e riflessioni tra passato e presente, ciò che si era, ciò che si sognava e ciò che si è.
Ecco, penso sia stata proprio la lettura di 'Né qui, né altrove' a compromettere il mio giudizio verso le opere successive di Carofiglio perché, seppure ne abbia lette alcune e non tutte, in nessuna di esse ho ritrovato quell'autore che tanto avevo apprezzato.
E non è una questione di stile perché la scrittura di Carofiglio è stata e rimane certamente molto sobria, diretta, senza spigolosità di sorta.
Non è una questione di genere, perché 'Le tre del mattino' presenta molte assonanze con 'Né qui né altrove' tanto che entrambi possono essere considerati romanzi di formazione: non ci sono i tre amici stavolta ma un padre ed un figlio che si 'incontrano' nel senso letterale del termine in una città che non è la loro dopo anni trascorsi insieme nella stessa casa, vicini ma lontani, estranei.
E non è nemmeno una questione di ambientazione, perché non c'è Bari ma c'è Marsiglia che ancora una volta presenta molte similitudini col capoluogo pugliese: città dalle tonalità chiaro-scure dove si alterna l'azzurro abbagliante dei riflessi del mare all'oscurità insidiosa delle vie e dei quartieri più malfamati, crogiolo multietnico e variegato di delinquenti locali, ubriaconi e prostitute.
E' piuttosto una sensazione di estraneità, come se durante la notte a Bari l'autore fosse dentro la storia, fosse uno dei tre amici in giro per la città, mentre in questo libro è solo un narratore.
Ne consegue che alcuni dialoghi mancano di spontaneità, di naturalezza, sembrano artificiosi e costruiti, perdendo così quell'intimità ed impulsività di sentimenti tipici di un rapporto padre-figlio.
Certo il rapporto tra Antonio e suo padre non è dei più idilliaci, non c'è mai stata complicità tra i due, neanche prima che i genitori di Antonio si separassero.
Forse a causa del carattere del padre, matematico e docente universitario: si sa come sono i matematici, sempre con la testa tra i numeri e poco attenti invece al cuore delle persone.
Un luogo comune che Antonio avrà modo di sfatare, insieme all'immagine e alla percezione del padre che sino ad allora aveva costruito nella sua mente, durante il soggiorno di due giorni a Marsiglia che padre e figlio trascorreranno insieme.
Due giorni ma anche due notti in realtà, perché Antonio soffre di una forma rara di epilessia idiopatica che un medico marsigliese riesce a curare con una terapia durata ben tre anni: la conferma di definitiva guarigione avverrà proprio grazie all'ultimo test, sotto condizione di stress, per valutare le reazioni del ragazzo rimanendo sveglio per 48 ore consecutive.
La vicinanza forzata tra padre e figlio durante il soggiorno a Marsiglia, la preoccupazione per l'esito della cura, le lunghe passeggiate notturne tra le strade di una città ignota, la gita in barca lungo la costa e le nuove amicizie.. tutto contribuisce a ricostruire il loro rapporto sin dalle fondamenta, demolendo poco alla volta quel muro invisibile fatto di condiscendenza, incomprensione, pregiudizi e sorda ostilità che li separava rendendoli praticamente due sconosciuti.
Ora hanno entrambi la possibilità di recuperare il tempo perso, di scoprire passioni, interessi, idee ed esperienze vissute che prima neanche potevano immaginare l'uno dell'altro.
Mai Antonio avrebbe potuto credere che la rigida e razionale personalità di suo padre celasse l'estro e l'improvvisazione di un musicista jazz e mai avrebbe pensato di rimanere folgorato da quel genere di musica.
Insomma, è la storia di un padre e di un figlio che travalicano il rapporto parentale, spesso troppo arido, asettico, per diventare veri amici, confidenti. Prima che sia troppo tardi, perché il tempo passa inesorabile e si trascina dietro la vita:
« E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.
Non sciuparla portandola in giro
in balìa del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea. » (K. Kavafis)

Una bella storia, sicuramente, positiva ed edificante: lo stesso titolo del romanzo, tratto da una frase di F. Scott Fitzgerald "Nella vera notte buia dell'anima sono sempre le tre del mattino, giorno dopo giorno" perde la sua connotazione pessimistica di buio perpetuo per diventare invece un messaggio di speranza per il futuro, alba che a breve sorgerà.
Una storia che sarebbe stata però molto più coinvolgente se l'autore non avesse contaminato alcuni dialoghi con eccessivo manierismo, rendendoli troppo formali ed affettati tanto da risultare quasi fuori luogo, inverosimili dato il contesto, come ad esempio la digressione sul teorema di Fermat.
Sarebbe bastato forse un maggior senso di immedesimazione da parte dell'autore, quel coinvolgimento più profondo che ho invece percepito nell'altro romanzo di Carofiglio 'Nè qui nè altrove'.

"Se la gente crede che la matematica non sia semplice, è perché non si rende conto di quanto complicata sia la vita." (John von Neumann)

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mariaangela Opinione inserita da mariaangela    29 Gennaio, 2018
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Non bisogna buttar via il talento.9 è meglio di 10

La storia, quella di Antonio e di suo padre e dell’umanità che li circonda.

A sette anni iniziano a manifestarsi i primi sintomi di una epilessia idiopatica, un “innominabile disturbo” per i suoi genitori, che faticano a prendere cognizione della nuova situazione venutasi a creare. Questa ignorante chiusura avrà effetti deleteri sul ragazzo e sul suo carattere che, con il passare del tempo, e con l’acuirsi delle crisi, arriverà sempre più a chiudersi in se stesso e a tralasciare gli interessi che avevano iniziato ad appassionarlo.

Inizialmente il fulcro del racconto sembra essere il Centre Saint-Paul a Marsiglia dove il professore Henri Gastaut, uno dei migliori specialisti del settore, infonde buone speranze di guarigione.

L’autore è dettagliato nelle descrizioni e nelle spiegazioni, anche mediche, prima di raccontare ha lui stesso fatto ricerche sull’argomento. Nulla è lasciato in sospeso e nessun dubbio sorge in chi legge.
Superficialità e approssimazione non sono concetti che gli appartengono.

Tutto ruota attorno a queste figure tristi e sperdute nella loro solitudine. Un padre e un figlio, all’apparenza diversissimi,hanno ciascuno dell’altro una reciproca superficiale conoscenza.
La loro simbiosi è talmente evidente da essere commovente. Ma loro ancora non lo sanno.

Mi colpisce come questa Marsiglia, inizialmente ostile e pericolosa e paurosa, che sembra continuamente spiarli da qualche meandro buio durante le loro passeggiate notturne, si sposi perfettamente col carattere di Antonio e di suo padre, con i loro imbarazzi,il loro essere schivi e misurati, con i loro dialoghi fatti per coprire i silenzi. Marsiglia buia e pericolosamente tranquilla si rispecchia nelle loro anime; bisogna guardarsi le spalle da quella città e non solo, ma non hanno il coraggio di dirselo. Ancora una volta sono sulla stessa lunghezza d’onda…

"Le merveilleux nous enveloppe et nous abreuve comme l'atmosphère; mais nous ne le voyons pas."
C. Baudelaire

E’ l’estate del 1983.
Il confine tra il prima e il dopo.
La prova che va affrontata insieme. Violentemente insieme, perché solo insieme può avere successo, bisogna che ciascuno vegli che l’altro stia a sua volta vegliando. E succede. Succede che lo vede sorridere. Succede che non aveva mai notato la fossetta sotto il mento, le ciglia lunghe, la cicatrice sul sopracciglio sinistro. Si guardano. Si vedono. Si riconoscono. E allora c’è il jazz, la musica suonata e la musica ascoltata senza vergogna ma anzi con fierezza e con orgoglio, il pornoshop perché in fondo “se fossimo stati in compagnia di amici, beh saremmo certamente entrati”, la bellezza e la spiaggia e Adèle e Lucie e Marianne.

“In qualche momento chiudeva gli occhi, in qualche momento oscillava avanti e indietro. Le sue mani erano agili e veloci: il loro movimento comunicava un senso di essenzialità che era molto bello, come una metafora ben riuscita, un ideale di stile, un modo di essere al mondo. … Quando finì, inseguendo il senso di ciò che aveva suonato in due scale conclusive e malinconiche, scoppiò un applauso pieno di simpatia. E anch’io applaudii e continuai a farlo finché non fui sicuro che mi avesse visto, perché cominciavo a capire che esistono gli equivoci e non volevo che ce ne fossero in quel momento.”

“Nella vera notte buia dell’anima sono sempre le tre del mattino.”
F. Scott Fitzgerald

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Simona P. Opinione inserita da Simona P.    21 Gennaio, 2018
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Il momento di parlare

Con stile piacevole e toccante, con linguaggio sottile e profondo, con la sua solita elegante narrazione, Carofiglio si allontana dal genere giallo-legal thriller, per affrontare una storia più intima e introspettiva; il racconto nei punti più salienti, si sviluppa principalmente di notte, a Marsiglia, attraente città portuale che viene rappresentata nella sua bellezza ma anche nella parte più malfamata e fatiscente; questa città marittima, vivace e multietnica, è anche molto amata dagli scrittori noir, proprio per i suoi aspetti oscuri e misteriosi.
'Ho compiuto cinquantuno anni, l'età che aveva mio padre allora. Così ho pensato che era arrivato il momento per scrivere di quei due giorni e di quelle due notti'
Inizia così la storia di Antonio, un ragazzo diciottenne che ha per molto tempo convissuto con l'epilessia in una forma abbastanza lieve che però lo ha costretto ad assumere farmaci. Il ragazzo teme la malattia e ha dovuto affrontare limitazioni nello sport, nello studio e nella vita privata. Il dottor Gastaut, il medico che lo cura, si trova a Marsiglia e gestisce un centro specializzato. Gastaut non solo aiuta Antonio affinchè si senta 'normale' ma è quasi il demiurgo della storia; seguendo una particolare cura, 'impone' a padre e figlio di trascorrere dei giorni da soli, a Marsiglia, insonni.
I genitori di Antonio sono separati, il padre, un brillante matematico, se ne è andato di casa quando il figlio era piccolo; tra padre e figlio non c'è mai stata molta sintonia. Saranno proprio quei giorni che porteranno Antonio e suo padre a dialogare, conoscersi, confrontarsi e anche divertirsi. Emergono gli aspetti maschili più importanti della vita: gli interessi, lo studio, il talento, le donne, la musica, il sesso, il passato, le esperienze. Un padre che si ritrova nel filgio, un figlio che si forma attraverso il padre. Mi sono piaciuti molto i pensieri più intimi di Antonio, l'autore descrive con delicatezza un adolescente confuso, impaurito dalla vita, dalla sua malattia ma anche curioso, desideroso di vivere e scoprire, amante della lettura, ribelle ma insicuro. La dolcezza dei pensieri contrasta con i quartieri malavitosi, i vicoli bui, i locali notturni della fascinosa città francese; si avvicendano giornate al mare, feste e incontri con donne omosessuali, cene, cibo e vino, locali jazz, citazioni, racconti del passato e confessioni dei due protagonisti; pensieri sulla vita e sulla ricerca dell'armonia. Le debolezze del padre, la crescita del figlio, la vita che va avanti; nella staffetta dell'esisistenza, il passaggio del testimone.
Il finale? semplice, sincero, toccante e commovente.

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eugrizzo Opinione inserita da eugrizzo    16 Gennaio, 2018
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Educazione sentimentale a Marsiglia

Leggere l’ultimo romanzo (breve) di Gianrico Carofiglio, Le tre del mattino, quasi di getto, nel cuore della notte, mi ha lasciato al termine una sensazione che non provavo da almeno cinque anni, ovvero lasciarmi andare senza pensieri al piacere della lettura, tra pensieri confusi e, un viaggio più “esistenziale” che fisico.
Nel 2011 in Costa Azzurra a circa un centinaio di chilometri da dove si svolge gran parte del romanzo del magistrato, nel cuore della notte, in albergo, scrivevo la dannazione di personaggi ambigui ma non per questo dotati di grande umanità che mi avevano guidato nel dedalo di viuzze della città “universitaria” alta di Antibes sino alla meta, Sophia Antipolis.
In quell’occasione, seppur in maniera meno “intima”, di quello che avrebbe provato il protagonista, avevo percepito un’atmosfera convulsa, euforica, propria della leggerezza e della joie de vivre francese.
Una joie che è il fine ultimo de Le tre del mattino, un pretesto di una strana epilessia che colpisce Antonio, liceale diciottenne, riservato e timido, amante del disegno ed estremamente dotato in matematica. La ricerca di una cura “definitiva” alla malattia porta Antonio e suo padre, docente di matematica, a Marsiglia, da un luminare del settore.
Il primo viaggio è elusivo e quasi frutto di un non detto. Due giorni con padre e madre (separati) divisi tra ospedale e cure per una terapia basata su pillole quotidiane, pesante, terribile che non farà altro che condurre il giovane alla prostrazione e depressione.
Poi di nuovo, tre anni dopo la terapia, un altro viaggio, un ritorno, per capire. Questa volta da soli. L’ex moglie ha un importante convegno, meglio che non lo salti. Allora padre e figlio partono per Marsiglia sperando in una cura differente dal quotidiano dosaggio farmacologico.
E qui avviene l’ arabesco del destino, l’intoppo, il pretesto: dal programmato rientro in giornata, “il soggiorno” si prolunga, su indicazione del luminare, forzatamente per altri due giorni. Due giorni in cui Antonio non dovrà dormire (una terapia d’urto abbastanza usuale negli anni ottanta) ma mantenersi desto con qualche “stimolante”. In caso non si palesino fenomeni di crisi evidente, allora vorrà dire che, parole del medico, il giovane potrà riprendere la sua normale “vita” senza più cure farmacologiche, come un comune adolescente.
Nasce così un incontro. Perché Le tre del mattino altro non è che questo. Una leggera nota di amarezza, irrompe nell’animo di Antonio, contrastato tra il timore di domande sempre più intime a un padre mai conosciuto realmente e la sua precaria instabilità emotiva, soffusa dal piacere della luce del mattino che interrompe la notte della vita.
In un gioco di sguardi, non a caso ambientato tra i Calanques e il Vieux Port, la Gabieniere, le zone della città più sensuali, “sporche”, vere, il padre “diventa” giovane mostrando tutte le fragilità della vita adulta di cui ha rimpianti e debolezze e il figlio, per converso, scopre l’amore, il sesso, la vita adulta, liberandosi dal pesante quanto opprimente fardello di “malato” in lotta contro il mondo.
Ma soprattutto, perdendosi entrambi, i due impareranno a riconoscersi.



Scrive Carofiglio:
Così cercammo di imparare a perderci. In breve ci colse una leggera febbre dell'anima: pensavamo in modo diverso, vedevamo cose - dentro e fuori di noi - di cui altrimenti non ci saremmo mai accorti.
Ecco quindi che Le tre del mattino oltre che dall’evidente matrice del romanzo di formazione, assume la valenza di un viaggio, non meramente spaziale quanto temporale.
Un viaggio tra due generazioni che si confrontano in un’atmosfera irreale (quasi eliottiana) dai toni sospesi di parole non dette, di silenzi che comunicano un affetto pregnante, significativo.
Un viaggio da cui padre e figlio usciranno profondamente cambiati, nella prospettiva delicata ed intimista di un’esperienza che rimarrà per sempre impressa nel cuore di Antonio, anche dopo la morte.

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Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    08 Dicembre, 2017
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Balikwas

Il rapporto tra un figlio ed un padre è al centro di questa storia tutta italiana, stranamente ambientata nella confusa, poliedrica ed anche un po’ violenta Marsiglia. E’ forse l’essere fuori dall’ordinarietà, per un motivo comunque familiare, che permette questo avvicinamento tra padre e figlio. O forse, più che un avvicinamento è una conoscenza, una scoperta, perché i due, complice una piccola terapia di deprivazione del sonno, arrivano ad un punto inatteso di confidenze. E’ l’effetto baliwkas, una parola straniera che significa saltare all’improvviso in un’altra situazione. In questa storia si salta dall’avere un padre e un figlio abituati ad interagire tra loro in modo ordinario, secondo i classici schemi familiari, all’avere due adulti alla pari, che fino a due giorni prima quasi non si conoscevano nella loro individualità, ma che, in modo estremamente naturale e libero, si svelano l’uno all’altro, in un rapporto maturo figlio-genitore, che è una delle cose più belle che si può desiderare di avere dalla vita. La storia è potente, piena di sentimenti, di affetto, di tenerezza e la scrittura di Carofiglio ci prende per mano e ci conduce piano piano ad un finale, che, in poche righe, riassume in modo magistrale uno dei tasselli più importanti del puzzle della nostra vita.

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Giulian Opinione inserita da Giulian    12 Novembre, 2017
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Breve, ma intenso

Inizialmente ho avuto l’impressione che l’argomento principale fosse l’epilessia da cui è affetto il giovane protagonista; solo dopo qualche capitolo è stato chiaro che la malattia e la ricerca di una cura efficace non erano che un pretesto: nella storia determinano le circostanze che permettono ad un figlio adolescente e ad un padre separato di incontrarsi e di conoscersi praticamente per la prima volta. L’intimità emotiva ed intellettuale che si instaura tra i due è davvero coinvolgente, ti assorbe, tocca spesso corde sensibili in chi, come me, ad una certa età ripensa con malinconia e affetto ad un genitore ormai perduto.
La scrittura di Carofiglio è sempre chiara, intelligente, ricca. Le frequenti citazioni colte, che potrebbero apparire stucchevoli, hanno qui una ragion d’essere, se si tien conto che il padre del protagonista è un docente universitario.
Consiglio vivamente la lettura di questo romanzo, breve ma intenso.

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cesare giardini Opinione inserita da cesare giardini    05 Novembre, 2017
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Un padre, un figlio e due notti a Marsiglia.

Un figlio diciottenne alle soglie dell’Università, con problemi di salute e un padre docente di matematica, separato, tutto preso dall’insegnamento, partono per Marsiglia, dove un illustre clinico dovrà chiarire e risolvere i problemi del figlio. Ed a Marsiglia sono costretti, prima di avere una diagnosi definitiva, a passare due giorni e due notti insieme, sempre svegli per la terapia imposta dal famoso luminare al figlio. I due, come tanti figli e tanti padri, non hanno mai avuto momenti di confidenza, chiusi in sè stessi, con una incomunicabilità tipica in tante famiglie, che non riescono a comprendere i problemi reciproci e vivono in una routine stanca, fatta di abitudini e di silenzi. Ma i due, soli, a tu per tu, sembrano sciogliersi, tentano di capirsi, vivono esperienze nuove che in ambito familiare sembrava quasi impossibile vivere. Visitano Marsiglia, si perdono in ristorantini del centro, si scambiano opinioni, desiderano quasi come una necessità impellente recuperare il tempo perduto e farsi confidenze mai fatte ed inaspettate. E le notti (due sole) sono tutte per loro. Nella prima finiscono in un locale della periferia dove è in corso una jam sessioni di jazz : il padre, che sembra ringiovanito, si esibisce in un assolo di pianoforte tra gli applausi e lo stupore del figlio. Nella seconda, dopo una giornata al mare, finiscono in un party, dove il figlio prova una nuova esperienza e rinsalda un rapporto con il padre che sembrava perduto da anni. Alla fine, dopo il responso medico, i due rientrano a casa, in Italia: il muro tra i due sembra abbattuto, l’avvenire forse sarà più roseo. Gianrico Carofiglio affronta il complesso e difficile rapporto tra padri e figli con una vena malinconica, intrisa di nostalgia , e con la consapevolezza che il destino è sempre in agguato. In una citazione dell’ultimo capitolo, c’è tutto il succo del romanzo: chi sostiene che la matematica non è semplice, non si rende conto di quanto sia complicata la vita.

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I romanzi di Gianrico Carofiglio.
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Lonely Opinione inserita da Lonely    02 Novembre, 2017
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Tutto cambia alle tre del mattino

Un padre e un figlio passano due giorni e due notti, insonni, insieme a Marsiglia, malfamata città del sud della Francia.
Antonio, diciottenne, è lì per un controllo medico da un famoso neurologo francese: ha avuto diversi episodi da bambino di epilessia, ma in cura da qualche anno, è riuscito a tenere a bada la sua malattia.
Il medico per dichiararlo definitivamente guarito, gli suggerisce di stressare il suo fisico al limite, arrivando a proibirgli di dormire per due notti di seguito.
Il padre, un professore di matematica, lo accompagna in questo viaggio e in pratica i due sono costretti a trascorrere questo tempo insieme per le strade buie della città, da un locale all’altro, incontrando personaggi ambigui cercando alternative pur di rimanere svegli.
Ma in realtà questo diventa un viaggio interiore per entrambi, che dà loro modo di conoscersi meglio; tutto cambia, i giudizi, le percezioni, i punti di vista anche sugli eventi della loro vita , e i due si scoprono differenti, scoprendo appunto di avere anche affinità e talenti che non avevano mai notato prima.
E’ un dialogo serrato, fatto di sguardi, gesti e parole, sulla vita e sulle scelte di vita che inevitabilmente compiamo nei gesti quotidiani.
Il figlio ritrova un padre profondamente diverso da come lo aveva creduto e inizia finalmente ad accettarlo e ad apprezzarlo.
Insegnamento ed esperienza di vita è la conseguenza di questo breve ma intenso percorso “Se la gente crede che la matematica non sia semplice, è soltanto perché non si rende conto di quanto complicata sia la vita”.
Un romanzo intenso, commovente a tratti, che ti rapisce in questo viaggio, avvolto anche da una leggera, pur penetrante suspence, senza i risvolti del giallo, come invece è solito Carofiglio nei suoi romanzi con protagonista Guerrieri.
Un linguaggio, quello dello scrittore, sempre preciso e coinvolgente.
Una storia che ti cattura perché può anche essere la tua, perché spesso viviamo delle dinamiche familiari che crediamo agiscano in un modo, e che invece realizziamo poi , andando più a fondo, essere completamente diverse da come pensavamo.
Tutto cambia alle tre del mattino perché «Nella vera notte buia dell’anima sono sempre le tre del mattino»

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ornella donna Opinione inserita da ornella donna    19 Ottobre, 2017
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Alla riscoperta di un padre

La nota di Gianrico Carofiglio al suo nuovo libro Le tre del mattino, è alquanto singolare, e dice che:
“Questo libro e i suoi personaggi (uno escluso) sono frutto di finzione narrativa. La storia si ispira però a fatti realmente accaduti. Ringrazio chi me li ha raccontati.” .
Una storia vera, dunque, mentre il titolo riecheggia le parole di Scott Fitzgerald ne Tenera è la notte, dove afferma che:
“Nella vera notte buia dell’anima sono sempre le tre del mattino.”
Una vicenda che:
“aveva dischiuso una porta su stanze nascoste.”
Ambientato per la maggior parte a Marsiglia, città che:
“si trasformava a vista d’occhio in una metropoli africana, presidiata a ogni angolo da prostitute e magnaccia, percorsa da gruppi di ragazzi magrebini dagli sguardi famelici, punteggiata da botteghe strapiene come bazar in miniatura, da negozi sbarrati con assi di legno, da ristoranti che emanavano odore di spezie e fritture, da caffè equivoci, da cinema porno. I luoghi comunicavano un sentimento ambiguo, che oscillava tra un’atmosfera quasi familiare, (…), e un senso di pericolo latente ed aspro.”
Il personaggio vero è anche l’io narrante, Antonio, il quale diventato adulto, ricorda un episodio accaduto anni prima, quando non era nemmeno diciottenne, vale a dire quando ha potuto conoscere meglio il proprio padre, che se ne era andato di casa. Complice un viaggio della speranza a Marsiglia, dove padre e figlio sono costretti a stare insieme due giorni e due notti senza mai dormire per verificare se l’epilessia idiopatica di cui il ragazzo soffre da sempre sia stata veramente curata definitivamente . Deve fare una “prova da scatenamento”, come viene chiamata in termine tecnico, pratica psichiatrica talmente violenta da essere stata in seguito vietata dai protocolli. Che consiste nel costringere il paziente a sottoporsi a un enorme stress privandolo del sonno per due notti, senza farmaci curativi e solo con l’aiuto di pillole che lo aiutino a rimanere sveglio, probabilmente anfetamine. E’ l’inizio dell’avventura per il giovane uomo e il suo genitore.
Il nuovo lavoro di Gianrico Carofiglio è un capolavoro in assoluto. Scritto con brio, scioltezza, brevità precise ed attente, nessuna sfumatura. Il rapporto tra il padre e il figlio è paragonato ad
“entità frammentate: una sequenza di emozioni, inclinazioni, tratti, desideri.”
Un racconto breve, intenso, intimo ed intimistico tra due persone che finalmente si conoscono, forse diverse, per quello che sono. Una lettura coinvolgente, e tenera, “un romanzo di scoperte e formazione.” Una avventura a tutto tondo tra jazz, matematica e malattia. Da leggere.

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Consigliato a chi ha letto i romanzi precedenti di Gianrico Carofiglio.
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