Le otto montagne Le otto montagne

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mariaangela Opinione inserita da mariaangela    28 Settembre, 2024
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Ritrovarsi, riconoscersi, scegliersi

Scambio di emozioni, amicizia che è fratellanza, senso di appartenenza e istinto di fuga, reciproca solidarietà, accettazione, stupore, legami… è ciò che ho sentito durante questa lettura.

Dice Paolo Cognetti: “E’ un romanzo che parla di due amici e una montagna, che non è solo neve, dirupi, creste, torrenti, laghi e pascoli, bensì un modo di vivere la vita, un passo davanti all’altro, silenzio, tempo e misura.”

Ambientazioni e personaggi mi sono apparsi ben descritti.
La linearità del racconto anche. Seguiamo i protagonisti da un certo momento nel loro tempo fino ad un altro. Di alcuni sapremo cosa accadrà, per altri possiamo solo immaginarlo.

L’incipit è dedicato a Giovanni Giusti, questo padre “ostinato” ad andare sempre più su, finché più su in montagna non si può più andare ma solo ridiscendere “a rotta di collo.” Nel dubbio prendere sempre la strada che sale, superare chi ci precede. Vietato fermarsi per bere, lamentarsi, riposarsi o per il freddo o la fame. La sua ossessione per i ghiacciai.
Pietro racconta che, avrà avuto sei o sette anni, una mattina si è fatto trovare vestito di tutto punto dal padre e gli ha detto “vengo con te.” O forse questo è ciò che al padre piace ricordare.

La madre è una figura che può apparire secondaria ma io l’ho amata molto. Lei che ama rendere accogliente persone e cose che la circondano. Quando arrivano nel paese di Grana ridà vita alla vecchia stufa non accesa da tanti anni, riempie di fiori le finestre, riaccende i fornelli e mette a scaldare il latte osservando, con una coperta sulle spalle a proteggersi dal freddo, insieme a Pietro, il latte che fuoriesce dal bricco, brucia i fuochi e il fumo che invade la cucina.
Dice che in montagna ciascuno ha la sua quota, quella si sente di star bene e dove può stare. Per lei sono i 1500 metri, dei rododendri, abeti, mirtilli, ginepri e caprioli. Per Pietro è un po’ più su, dove ci sono pascoli, erbe e torrenti. Per il padre ancora più su, verso i 4000 dove compaiono i ghiacciai, la vegetazione scompare e la montagna si fa ostile e aspra.

Bruno che guida le sue mucche verso la stalla con quel verso, dice eh, eh, eh, oh,oh,oh…sarà quel verso che aiuterà Pietro a ritornare verso casa, ritrovando l’equilibrio perso al crepaccio, e quello stesso verso se lo diranno reciprocamente, in futuro, per richiamarsi, per dirsi, io ci sono, anche io.
La loro amicizia ha un’intimità che non creerà loro mai imbarazzo, neanche quando Pietro gli si aggrappa sulla schiena, in moto, insieme.

Pietro e Bruno, è il 1984 e hanno 11 anni. Inizialmente si osservano, nessuno fa il primo passo. Fino a quella mattina a colazione quando Bruno gli dice seguimi, andiamo. E Pietro va.

Sembra non accadere nulla, ma invece di cose ne accadono tante. Ciascuno prenderà la propria strada.
Pietro che va, Bruno che resta.

Sul muro la cartina geografica attaccata con le puntine, tre colori tracciati con il pennarello. Nero per il padre, rosso per Pietro, verde per Bruno. A volte il nero cammina da solo, altre volte cammina con il verde, altre con il rosso, raramente camminano tutti e tre colori insieme. E’ un’immagine che dice tantissimo e che mi ha molto commossa. L’autore riesce a raffigurare perfettamente questo momento. Mi sembra di vederli, ora che leggo, camminare e camminare.

E’ un racconto di nostalgia e di rimpianti ma con leggerezza, c’è solo un velo di malinconia. Il tono non è mai sdolcinato, mai piagnucoloso, è una narrazione di suggestioni. Non ci sono pagine solo per riempimento, mi pare un racconto bilanciato e misurato che evoca ricordi per risvegliarne altri.

Tra questi due amici, Pietro e Bruno, c’è un filo che li unisce e si tende all’infinito quando Pietro va e Bruno resta. Ma poi lo stesso filo si riavvolge. Sempre a Grana, sempre in quelle montagne del Grenon che sono anche le montagne di Pietro. Si ritrovano sempre. Come se non si fossero mai lasciati davvero. Anche ora che di anni ne sono passati tanti sa quel loro primo incontro.

La storia delle otto montagne narra che il mondo è raffigurato come un cerchio, al centro un monte altissimo, il Sumeru, e intorno otto raggi che sono otto mari e otto montagne.
Ha imparato di più chi ha fatto il giro delle otto montagne o chi è arrivato sulla vetta del Sumeru?

Buone prossime letture.

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Lonely Opinione inserita da Lonely    03 Ottobre, 2022
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Grana, una filosofia della vita

Pietro in estate è solito andare in vacanza in montagna con la sua famiglia nel paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa . Sin da piccolo il padre lo porta sempre con sé a scarpinare per sentieri e a raggiungere la cima. Mentre il padre è eccitato e orgoglioso di queste imprese, Pietro si sente annoiato e immotivato, ma fa presto amicizia con Bruno un ragazzo del luogo e con lui esplora un nuovo modo di conoscere la montagna, spericolata e avventurosa, quella con gli occhi di ragazzo. Bruno diventa uno di famiglia e spesso scalano insieme anche al papà di Pietro.
Quando però Pietro raggiunge l'età dell’adolescenza sceglie di non seguire più il padre e visto che Bruno è impegnato a lavorare, lui inizia ad andare in montagna con altri amici e scopre che gli piace arrampicare più che camminare. Da quel momento le loro strade si dividono. Pietro si stanca di andare in montagna col padre e rinuncia completamente alle estati a Grana, e Bruno prenderà il suo posto.
Anni dopo il padre di Pietro muore all’improvviso accasciato nella sua macchina per un infarto. Pietro ha ormai intrapreso la sua strada di documentarista e gira per il mondo, ma deve tornare per l’eredità , il padre infatti gli ha lasciato un terreno in montagna ,”Eccola li, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino “. Così torna al luogo delle sue vacanze giovanili e riprende l’amicizia con Bruno, e insieme su quel terreno impervio costruiscono una piccola baita in onore del padre che useranno poi entrambi come rifugio d’estate e d’inverno.
Il romanzo di Cognetti è una bella storia d'amore e di amicizia: un grande amore per la montagna con tutte le sue insidie, e la grande amicizia tra Pietro e Bruno.
«Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa.»
Secondo i nepalesi, al centro del mondo ci sarebbe una montagna altissima, il monte Sumeru, e intorno al Sumeru otto montagne e otto mari, disposti come i raggi di una ruota. La domanda che si pongono i nepalesi è: “Chi impara di più? Chi fa il giro delle otto montagne o chi arriva in cima al monte Sumeru?”.
Ed è proprio la risposta a questa domanda che ci fa capire le differenze tra Pietro e Bruno.
La storia è semplice, autobiografica ma intimistica e coinvolgente. Tre uomini differenti con un’unica passione , la montagna. Uno, il padre, che ama sfidarla, un altro, Bruno che la ama perché è l’unico luogo che conosce e dove vuole stare, e Pietro che la ama così tanto “che da lì mi era nato il desiderio di vedere le più belle e lontane del mondo.”
Grana per loro è un altro mondo, lontano dalla routine quotidiana del mondo moderno, e soprattutto lontano da quel turismo consumistico che la sta rovinando:
E’ natura nella quale immergersi, è rispetto per essa è capirne il pericolo e sapere che a volte, pur essendo esperti, è solo fortuna averlo evitato. E’ il gelo della neve d’inverno, è la pioggia incessante o il sole a picco, e nonostante tutto è avere il desiderio, più che di arrivare, di godere della fatica per l’impresa e di sentire che solo così stai bene con te stesso.
E’ avere il piacere di una vita frugale, con pochi elementi, ma essenziali, in cui ti basta un tetto, un bicchiere di vino, un pezzo di formaggio e un amico vero per essere felice.
Ma anche per avere “solo” questo devi avere un contatto col mondo, ed è proprio questo che contamina tutto. Il mondo che ti aspetta là sotto è la vera insidia, il tuo vero fallimento, quello nel quale non ti sei mai integrato, al punto di abbandonarlo o di rifiutarlo;
il mondo per il quale, paradossalmente, sei fuori dal mondo.
Ma è davvero così?
Una riflessione e un interrogativo che nasce spontaneo dopo la lettura di questo libro, così semplice e allo stesso tempo con un messaggio così potente.
“Uno deve fare quello che la vita gli ha insegnato a fare. Forse quando è molto giovane, chissà, può ancora scegliere di cambiare strada. Ma a un certo punto uno dovrebbe fermarsi e dire: bene, questo sono capace di farlo, quest’altro no.”

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ClaudiaM Opinione inserita da ClaudiaM    06 Giugno, 2022
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La montagna come metafora di vita

Le montagne come metafora di vita. Le montagne come luogo di incontri. Le montagne come entità che racchiudono segreti e ricordi. Le montagne che donano tanto, ma prendono altrettanto in cambio.
Il libro di Cognetti racconta di sentimenti, principalmente di nostalgia, rimpianti, scelte di vita.
La storia è narrata magistralmente in prima persona (stile che di solito non mi entusiasma e che invece qui ha dato sicuramente più profondità ai personaggi) da Pietro, un bambino e poi un uomo che dalla caotica Milano ha conosciuto la montagna. E con essa Bruno.
Pietro e Bruno non potrebbero essere più diversi, eppure tra loro si instaura un’amicizia che va al di là della lontananza geografica e temporale. L’uno viaggia, si sposta da Milano a Torino, dai monti valdostani all’Himalaya. L’altro non si schioda da Grana e dal monte Grenon, è attaccato a quel posto e non ha alcuna curiosità di vedere altro nella vita.
Pietro visita le otto montagne, Bruno resta nel monte primordiale.
Chi dei due sta meglio? Chi dei due ha ottenuto di più dalla vita?
Cognetti descrive le loro vite e quelle dei loro familiari così bene da renderli reali. Sono persone complesse (come tutti noi, d’altronde) che cercano ognuno a loro modo di relazionarsi con gli altri. Pietro, di cui conosciamo i pensieri, racconta il suo rapporto con la madre, quello più complicato col padre, le difficoltà che ha a confidarsi e di far confidare Bruno e, allo stesso tempo, il piacere della presenza dell’amico, senza necessariamente dover esternare i propri sentimenti. Bruno e la montagna sono un punto fisso, un posto a cui tornare, qualcosa che il padre di Pietro ha messo in piedi per lui.
Ma la vera protagonista è proprio lei: la montagna. D’estate, con gli alberi infoltiti, i torrenti, i sentieri e i rifugi per gli escursionisti, il profumo del legno, il risciacquo dei ruscelli abitati dalle trote. E poi d’inverno, con la neve, le ciaspole, gli sciatori, le slavine, il ghiaccio che invetra le rocce e ricopre i laghi, il freddo e i focolai davanti ai quali si beve la grappa.
Mi sembrava di essere lì, affianco a Pietro, a percepire l’ambiente montano e il suo stato d’animo. Ho partecipato alla sua nostalgia di casa, alla sua voglia di fuggire, al rimpianto di affetti perduti.
Quello di Cognetti è un libro intenso ed emozionante che trasporta il lettore ad alta quota.
Lo apprezzerete se non siete mai stati in montagna. Lo apprezzerete ancora di più se ci siete stati.

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archeomari Opinione inserita da archeomari    29 Giugno, 2021
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L’UNICA, INFINITA ESTATE DELL’AMICIZIA

È la prima volta che mi imbatto in Cognetti, avevo più volte letto e ascoltato in giro recensioni positive su “Le otto montagne” e mi ero proposta prima o poi di leggerlo. L’approccio è stato di pura curiosità ed ho cominciato con l’audiolibro letto meravigliosamente da Jacopo Venturiero su Audible. Questa modalità mi ha permesso-apro questa breve parentesi - di continuare a leggere quando non avevo proprio tempo di aprire e tenere in mano un libro che non fosse quello per studiare e lavorare.
Se un libro ascoltato mi piace, mi butto a capofitto nel procurarmelo anche cartaceo. L’ho dunque fatto con “Le otto montagne”?
No, perchè, nonostante sia una bella storia, per certi momenti anche toccante, non l’ho ritenuto necessario, lo spazio in libreria mi costringe a procurarmi solo capolavori.

Questo romanzo si legge (e si ascolta) con estremo piacere, la storia non è banale, regge dall’inizio alla fine e la consiglio a tutti, in particolare a quelli che amano le ambientazioni di montagna, la vita di montagna e le storie di amicizia.
Il protagonista è Pietro ed è anche la voce narrante: fin da bambino passa l’inverno a Milano e in estate sale in montagna con i suoi genitori. L’altro personaggio chiave è Bruno, l’amico montanaro, che dalla montagna proprio non riesce a staccarsi e vive lì e (forse) non conoscerà mai la vita di città, perchè della vita urbana “non sa che farsene”.

Il libro segue una narrazione lineare, senza grossi flashback che non siano piccoli e brevi ricordi, e comincia dall’infanzia dell’io narrante: con brevi tratti di penna Cognetti delinea il carattere dei genitori di Pietro, ci racconta dei loro ricordi, del comune amore verso la montagna. Il papà, burbero e cupo, diventa un’altra persona quando sale in montagna, il suo vero habitat, dove riscopre se stesso e la voglia di vivere; la mamma, calma, dal carattere solare fa amicizia con tutti, sia in città che in montagna, sa farsi ben volere col suo altruismo e i suoi modi.
La vita di montagna affascina sin da subito il piccolo Pietro, che una mattina, aveva sui sei o sette anni, di buon’ora si fece trovare vestito di tutto punto pronto per accompagnare il papà nelle sue scalate.

“Io osservavo le case diroccate e mi sforzavo di immaginarne gli abitanti. Non riuscivo a capire come mai qualcuno avesse scelto una vita tanto dura. Quando lo chiesi a mio padre lui mi rispose nel suo modo enigmatico: sembrava sempre che non potesse darmi la soluzione ma appena qualche indizio, e che alla verità io dovessi per forza arrivarci da solo. Disse: ? Non l’hanno mica scelto. Se uno va a stare in alto, è perché in basso non lo lasciano in pace. – E chi c’è, in basso?
? Padroni. Eserciti. Preti. Capi reparto. Dipende.”


Le vette vengono citate da loro come se fossero familiari amati, ma lontani. In una di quelle estati della sua infanzia, Pietro conosce Bruno, un ragazzino della sua età, che vive stabilmente con la sua famiglia lassù, a Grana, ai piedi del Monte Rosa e da quel momento saranno entrambi uniti da profonda amicizia.
Ogni inverno in città sarà vissuto nel ricordo della montagna, cercata e ammirata nelle pagine delle guide del CAI, sfogliato “come diario” , Milano sarà “una nebbia di persone e automobili da attraversare due volte al giorno” in confronto al paradiso quasi perduto di Grana.
E quando, terminata la scuola, Pietro con la famiglia fa ritorno all’amato paesino, Bruno, che aveva sorvegliato i tornanti per controllare il passaggio dell’amico, lo chiama “senza salutarlo, nè niente”, come se si fossero visti il giorno prima, perchè “la nostra amicizia sembrava vivere un’unica infinita estate”.

Bruno troverà anche un soprannome per l’amico, lo chiamerà “Berio”, che nel dialetto del posto significa “sasso”, ma non saranno le uniche parole che l’amico montanaro gli insegnerà. Pietro apprende una nuova lingua, fatta di concretezza e l’italiano parlato a Milano, studiato a scuola, al confronto sembra astrazione. Il larice si chiama “brenga”, l’abete rosso “la pezza”, il pino cembro “l’arula”: quel “dialetto che trovavo più giusto dell’italiano”.

Il lettore si troverà a salire “per ripide balze erbose” e “per macerati e residui di nevai” , insieme ai personaggi e verrà coinvolto nelle loro vicende: Bruno è un montanaro rozzo, ma capace di grandi gesti e di sincera lealtà, Pietro è inquieto come suo padre, pur adorando la montagna, non riesce a vivere stabilmente in un posto e si allontanerà di continuo, senza costruire nessun legame autentico con altre persone, nè uomini e nè donne, viaggerà per il mondo alla ricerca di se stesso.
Pietro è un personaggio dai tratti spesso contraddittori, come la montagna:

“(...) ogni valle possedeva due versanti dal carattere opposto: un adret ben esposto al sole, dove c'erano i paesi e i campi, e un envers umido e ombroso, lasciato al bosco e agli animali selvatici. Ma dei due era l'inverso quello che preferivamo”

La montagna non è solo calma, bellezza e purezza, ma anche asperità, difficoltà, vita dura. Nel libro non c’è nessun cenno di idillio, ma è estremamente realistico, non mancano neppure tratti particolarmente crudi. Una bella lettura.

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Per chi ama i libri ambientati in montagna e le storie di amicizia
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Giulian Opinione inserita da Giulian    21 Dicembre, 2019
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Sincero e profondo

Romanzo profondo e sincero. Scrittura elegante, fine, curata, fuori dagli schemi in questo tempo in cui sono tanto di moda la sgrammaticatura e l’improvvisazione. La descrizione dell’amicizia maschile fra i due protagonisti è vera, convincente, toccante. L’amore dell’autore per la montagna trasuda da ogni pagina e coinvolge anche chi non ce l’ha. A distanza di qualche anno dall’uscita, per me è stata una scoperta sorprendente. Da leggere e gustare assolutamente.

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Lyda Opinione inserita da Lyda    02 Aprile, 2019
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La vita, tutta in un viottolo di montagna.

Dice l'autore che quando scriveva questo libro e la gente gli chiedeva di cosa parlasse, la risposta era sempre “Di due amici e una montagna”
Certo, è vero, c'è la montagna e c'è l'amicizia tra due bambini che travalica i decenni. Cognetti però pecca di troppa umiltà, sintesi o umorismo perché dietro a queste righe c'è molto, molto di più. Esempio, un padre audace, impulsivo, irrequieto e forse un po' ingombrante. Ma sempre un padre che, senza troppo parlare, insegna al figlio che la montagna in pratica è la vita, bellissima e da affrontare senza timori o titubanze. Insomma, gli insegna ad aver fiducia nelle proprie forze, la migliore catechesi che un genitore può offrire.
“Mio padre aveva il suo modo di andare in montagna. Poco incline alla meditazione, tutto caparbietà e spavalderia. Saliva senza dosare le forze, sempre in gara con qualcuno o qualcosa, e dove il sentiero gli pareva lungo tagliava per la linea di massima pendenza. Con lui era vietato fermarsi...”
E' questo l'incipit del romanzo. Non che sia trascendentale, di quelli da memoria, ma definisce bene il passo di una bella storia, di sicura impronta autobiografica.
E poi c'è la madre, affatto solitaria come il marito. Una che, come generalmente le donne, attutisce i colpi e viene incontro, ama senza riserve e si prende cura dei suoi cari con mille attenzioni e molta pazienza. E' un personaggio importante nella prima parte (di un certo sapore sono i racconti dei mesi estivi che il protagonista-bambino trascorre alla baita sopra il paese di Grana, da solo con lei) ma che in seguito sfuma sino a divenire un satellite nella successiva narrazione, al contrario della figura paterna che resta impregnata come sudore in ogni riga scritta, in ogni scalata e in ogni vetta, pure al di fuori di quelle del comprensorio alpino. Da grande Pietro inizierà a viaggiare in Oriente e a scalare montagne ben più alte (Nepal, Himalaya) sebbene il gruppo del Monte Rosa con l'alpeggio e il montanaro Bruno, suo grande amico d'infanzia, rimarranno i perni principali di un'esistenza solitaria e un po' scontrosa, a cui tornare ad ogni occasione buona.
Il romanzo percorre trent'anni di vita offrendo numerosi spunti di riflessione soprattutto nell'ambito dei rapporti interpersonali. C'è un punto in cui Pietro, ripensando al padre ormai morto, spiega che quest'ultimo quando aveva gli scarponi ai piedi e lo zaino in spalla, davanti ai canaloni zeppi di neve tardiva, “Diceva così: che l'estate cancella i ricordi proprio come scioglie la neve, ma il ghiacciaio è la neve degli inverni lontani, è un ricordo d'inverno che non vuole essere dimenticato.”
E ancora, riguardo a un'altra esperienza di fatica sul viottolo tra rupi e creste, “Un uomo con due baffi bianchi mi raccontò che per lui era un modo di ripensare alla sua vita. Era come se, attaccando lo stesso vecchio sentiero una volta all'anno, si addentrasse tra i ricordi e risalisse il corso della propria memoria.”
Qua, a mio parere, ognuno avrà uno spunto per dare, o almeno tentare di dare le proprie personali risposte a domande cardine dell'esistenza, considerando il sentiero che sale sù, pieno di curve, pericoli e panorami mozzafiato, una lettura di indubbia chiave metaforica. Ed è certo, la prossima volta che faticherò su qualche cima 'delle mie' (non ho la pretesa dei 3000 ma, insomma, se la cavano anche le 'mie' creste marmoree preferite) ripenserò con piacere ad un altro indottrinamento che ho appreso da questo libro, “Se il punto in cui ti immergi in un fiume è il presente, allora il passato è l'acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso, dove non c'è più niente per te. Mentre il futuro è l'acqua che scende dall'alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro è a monte. Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa.”
Buona lettura.

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pierpaolo valfrè Opinione inserita da pierpaolo valfrè    13 Settembre, 2018
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Attrazione fatale

Ho letto, o meglio, ascoltato in audiolibro (prima esperienza che faccio di questo tipo) Le otto montagne di Paolo Cognetti e mi è piaciuto molto.
L’attrazione fatale a cui mi riferisco nel titolo è ovviamente per la montagna, dominatrice fredda, eterna e assoluta del romanzo, rispetto alla quale tutte le vicende umane sono insignificanti e passeggere.
E di umane vicende si occupa molto Cognetti nella sua storia, soffermandosi in particolare su due temi che ricorrono abbastanza frequentemente nella letteratura di tutti i tempi e di tutte le latitudini: il rapporto padri e figli (con la scoperta tardiva del padre) e l’amicizia fraterna, il sodalizio spirituale di una vita.
Cognetti ha uno stile semplice e lineare eppure, complice anche la bella lettura che ho ascoltato, in diversi punti mi ha davvero emozionato. Lo avevo già conosciuto con “Il ragazzo selvatico”, ma quest’opera successiva, vincitrice del Premio Strega 2017 è indubbiamente più completa e matura.
Nel suo blog Cognetti racconta che la storia gli è cresciuta tra le mani in modo spontaneo e naturale, ma a me sembra che la forza, la spinta propulsiva, il magnetismo che cattura il lettore fino alla fine senza cedimenti anche nei passaggi un po’ più “costruiti”, sia tutto nella prima parte, che ho trovato davvero magica.
Consiglio questo libro soprattutto a chi storce il naso al solo sentire nominare la montagna, associandola all’idea di noia e monotonia. Io credo che non vi annoierete affatto e se i ghiacciai, i laghi, i torrenti, “l’odore di stalla, fieno, latte cagliato, terra umida e fumo di legna” non fossero sufficienti a smuovere alcunché nel vostro animo cittadino, potrete sempre intrattenervi con riflessioni da perfetto “flâneur”, del tipo: davvero , o ancora, esistono persone che non possono sottrarsi al destino che hanno ricevuto con il sangue, l’educazione, la terra che hanno calpestato da bambini? C’è qualcosa per cui siamo nati e da cui dobbiamo farci guidare non tanto per essere felici, ma semplicemente per essere noi stessi? Se il mondo fosse fatto di otto montagne che circondano un monte altissimo, lo si conosce e capisce meglio salendo in cima alla vetta più alta o facendo il giro delle altre otto? E dal punto in cui ti trovi, in un torrente, il futuro è a valle, verso cui scorre l’acqua, o a monte, alle tue spalle?
Vi lascio il piacere di cercare le vostre personali risposte, ma sull’ultima domanda vi anticipo la risposta dell’autore:
“Se il punto in cui ti immergi in un fiume è il presente, allora il passato è l’acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso e dove non c’è più niente per te, mentre il futuro è l’acqua che scende dall’alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro è a monte. Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa.”

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siti Opinione inserita da siti    29 Agosto, 2018
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Come un mandala

Libro dall’indubbia matrice autobiografica al sapor di montagna, non lascia indifferenti tutti coloro che la amano o la praticano direttamente o indirettamente. Chi scrive abita in una pianura, la più estesa della Sardegna, Il Campidano, nel mezzo appunto, Il Medio Campidano, e la montagna è entrata nella sua vita attraverso la mediazione del suo uomo, prima il ragazzo dell’adolescenza poi il marito della faticosa vita adulta. Lui la pratica con più passione, è la sua passione come la mia è leggere, e io ne capisco di montagna quanto lui delle mie letture: qualche volta ci rimane avviluppato con un ingombro fisico, i libri per casa sparsi, altre volte con le suggestioni di lettura che entrano nel quotidiano delle conversazioni funzionali, quelle del comune vivere, altre ancora quando le nostre letture, per una strana alchimia si incrociano. Ed è stata la volta di Cognetti, lui ha acquistato il libro, io l’ho letto per prima. L’ho divorato perché si legge d’un colpo e la montagna è rientrata nella mia vita. Dopo le prime escursioni per le cale del nostro Supramonte di Baunei, dopo qualche incursione nel più vicino Linas, dopo i primi approcci con le Alpi, Trentino , Valle d’Aosta e le Orobie lombarde, dopo il Tirolo austriaco, dopo i resoconti più fotografici che orali dal Makalu, dal Masnatu e da altre regioni nepalesi, con alle pareti di casa mandala o ritratti di maternità/serenità coi volti felici di madri e figli, mi ritrovo a condividere tutto il contenuto di questo bel libro, io nel basso del Medio Campidano.
Sensazioni di camminata, ambienti che si susseguono, preferenze tra il bosco o la nuda roccia, fatica, malessere, pace, silenzio, rigenerazione .... il fissare l’ambiente che si vive pochi giorni all’anno e non pensare che l’inverno lo trasfigura rendendolo irriconoscibile. Il verde e il bianco, i prati o la neve, l’andare e lo stare, la vacanza, la vita quotidiana. La montagna è dura, non ci sono dubbi, per chi la disturba in vacanza, come capita a me, ma ancora di più per chi ci è nato e ci vive. Eppure, proprio questo legame con la Terra di appartenenza la rende così preziosa per chi ci è nato e per chi ne ha ricevuto l’imprinting frequentandola da piccolo. Ci si ritorna, sempre. Questo libro racconta dunque la storia di un andare e tornare per la montagna seguendo le direttici primarie di due cittadini: un padre e un figlio, ognuno con le sue ragioni. In mezzo, il restare ostinato di chi ci è sempre stato, un giovane montanaro accolto, di traverso, nella famiglia cittadina durante le sue permanenze estive nel territorio che gli appartiene e che gli altri attraversano. Movimento, in fondo di questo si tratta, all’ombra della metafora che nutre la storia delle otto montagne (niente a che vedere con una lista di cime scalate): quale linea seguire? Quale percorso di vita? Seguendo la direttrice verticale o quella circolare. Ognuno persegue il proprio cammino, nessuno è avulso dall’errore, tutti portano alla meta, la propria. Buona lettura.

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p.luperini Opinione inserita da p.luperini    09 Mag, 2018
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LA MONTAGNA VIVA

Sullo sfondo di una montagna viva Cognetti affronta tanti temi che travolgono il lettore e non lo fanno smettere di leggere: l'amicizia trentennale di due uomini che pur provenienti da esperienze di vita diverse condividono gli stessi valori; l'amore paterno visto dagli occhi del figlio prima bambino e poi adulto; l'amore per la natura che premia donando emozioni ma che punisce quando non la rispetti.
E' una storia, ben scritta, che ti fa vivere la montagna proprio con gli occhi del montanaro tanto da farti pensare in certi momenti che possa essere il miglior luogo dove poter vivere.
Sono intense le descrizioni della fauna montana, sembra di vederli gli stambecchi e sembra di sentire i campanacci delle mucche nell'alpeggio e si è disgustati dai corvi che stanno depredando la carcassa di una trota ancora viva. Questa è la montagna viva.

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Renzo Montagnoli Opinione inserita da Renzo Montagnoli    03 Marzo, 2018
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Crescere insieme

Ammetto di aver affrontato un po’ prevenuto la lettura di questo libro, a causa delle delusioni che ho provato con non pochi altri testi premiati allo Strega. Prevenuto sì, ma non pregiudizialmente avverso, anche perché l’idea che si parlasse della montagna, che così tanto amo, mi stimolava ed è perciò con interesse che ho proceduto nella lettura, che dopo le prime pagine è divenuta avvincente grazie a un incipit che, pur senza essere trascendentale, già confermava le mie aspettative. Le otto montagne, nonostante il titolo, non è un libro sulla montagna, che peraltro è il palcoscenico in cui si misurano gli attori, è la storia invece di due ragazzi, Pietro il cittadino e Bruno il montanaro, che crescono insieme, così diversi e al tempo stesso così uguali; diversi ho detto, eppure uguali, perché le loro anime denotano un’affinità che quasi li fa sembrare fratelli. Il primo è soggiogato da un padre che vede nelle escursioni in montagna una continua sfida con se stesso, il secondo è già svezzato da una vita dura e di fatica, con un genitore violento e per nulla paterno, in un confronto fra una piccola borghesia che può permettersi anche le vacanze sui monti e un sottoproletariato, in cui ferie è un termine sconosciuto. Finiranno con il crescere insieme, sia pure nel breve periodo delle vacanze estive, in un’amicizia che li cementerà per tutta la vita. Assieme affronteranno le escursioni fra panorami talmente belli e così ben descritti che fanno venire le lacrime agli occhi; non sarà tuttavia sempre così, perché trascorsa la pubertà ognuno andrà per la sua strada, Bruno sempre legato intimamente alla montagna, Pietro a cercare un suo percorso, un senso da dare alla vita. Sarà la morte improvvisa del padre di Pietro a riavvicinarli, a farli sentire un unico individuo e insieme cercheranno di dare una svolta alle loro vite: Bruno sempre legato alla sua montagna, Pietro in giro per altre montagne, nel lontano Nepal; qui gli giungerà una tragica notizia, che preferisco non svelare per rispetto di chi leggerà, ma che è la indovinata conclusione di un’opera senz’altro convincente. Mi limito, pertanto, a dire che Pietro continuerà a cercare lo scopo della sua esistenza, probabilmente su e giù per altre montagne, quello scopo che Bruno ha da tempo e definitivamente trovato.
Il romanzo è scritto benissimo, con uno stile per niente ampolloso, ma nemmeno scarno, venato sovente da una malinconica nota poetica; in sé non sembrerebbe particolarmente degno di nota, ma, come mi era capitato per Stoner, tutti gli equilibri strutturali sono stati raggiunti con un’apparente facilità che stupisce ed entusiasma il lettore, ora accompagnato dal sottofondo del rumore di un ruscello alpino, ora immerso nel silenzio delle alte cime.
Le otto montagne è senz’altro un bel romanzo, una di quelle opere che, pur non facendo gridare al capolavoro, lasciano al termine della lettura completamente soddisfatti e, ciò che più conta, pervasi da un grande senso di serenità.

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Vincenzo1972 Opinione inserita da Vincenzo1972    17 Febbraio, 2018
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Voglio andare a vivere in montagna..

Pietro, protagonista di questo romanzo con cui Cognetti ha vinto il premio Strega 2017, è un montanaro.
Non di nascita, però, essendo vissuto a Milano dove i suoi genitori, dopo il matrimonio celebrato in una chiesetta ai piedi delle tre cime di Lavaredo, si erano trasferiti per motivi di lavoro .. un montanaro acquisito, potremmo dire, perchè ereditando dal padre e dalla madre l'amore per la montagna non ha mai sentito come sua la casa in città; i viali, le strade ingombre di gente ed intrise di aria affumicata dai gas di scarico delle automobili gli sono praticamente sconosciute, nonostante le percorra ogni giorno: perchè la città è come una gabbia per lui, da cui non vede l'ora di fuggire, per raggiungere quel mondo che a malapena intravede dal suo appartamento al settimo piano quando il cielo è più terso, il profilo imponente e signorile della catena alpina, la montagna.
'Poi in certi rari giorni di vento, in autunno o in primavera, in fondo ai viali di Milano comparivano le montagne. Succedeva dopo una curva, sopra un cavalcavia, all'improvviso, e gli occhi dei miei genitori, senza bisogno che uno indicasse all'altra, correvano subito lì. Le cime erano bianche, il cielo insolitamente azzurro, una sensazione di miracolo.'
Il sentimento che Pietro nutre per la montagna non è solo amore, è qualcosa di più forte, di vitale: allontanarlo dalla montagna sarebbe come togliere un pesce dal suo mare e costringerlo a vivere tra le pareti scarne di un acquario. Soffrirebbe come soffre il padre quando certe notti 'non ne poteva più, si alzava dal letto, spalancava la finestra come se volesse insultare la città, intimarle il silenzio'.
Per questo motivo Pietro letteralmente rinasce ogni volta che, terminata la scuola e col sopraggiungere dell'estate, si trasferisce a Grana, un paesino sperduto sulle pendici del Grenon (nomi fittizi di luoghi reali probabilmente localizzati tra i monti della Val d'Aosta), dove i suoi genitori hanno acquistato una piccola abitazione, modesta, poco spaziosa, ma che sarà per Pietro la custodia dei suoi ricordi più belli.
Non solo belli, in realtà, anche ricordi di momenti più tristi, che portano dietro amarezza e rimpianti; pur sempre, tuttavia, ricordi indelebili, sedimentati nell'anima così come gli antichi ghiacciai sono divenuti ormai epidermide delle montagne su cui si sono formati e non si disperdono come neve fresca all'arrivo della primavera.
Ricordi di luoghi, di paesaggi in cui la montagna domina incontrastata, con la sua imponenza regale sovrasta le valli e gli uomini che le abitano.
Ed è comprensibile il senso di meraviglia che travolge chi giunge al suo cospetto per la prima volta, è immenso lo spettacolo che si mostra dinanzi agli occhi di chi, invece, è nato e vissuto in città.
E' una continua scoperta, ogni angolo, ogni sentiero nasconde colori, suoni, immagini sempre diversi che, soprattutto nella stagione calda, inebriano i sensi e svuotano mente ed anima di tutto ciò che pesa, che preoccupa: è come se il corpo ricevesse una trasfusione di pace e serenità.
Con l'autunno poi la montagna rivela l'altra sua faccia, quella più austera, inesorabile: un dualismo che riflette in un certo senso l'alternanza tra luce ed ombra, bene e male, principio universale ed antico che governa la vita dell'uomo e del cosmo.
'Le nuvole nascondevano le montagne alla vista e toglievano volume alle cose, ma anche in una mattinata del genere riuscivo a cogliere la bellezza di quel posto. Una bellezza cupa, aspra, che non infondeva pace ma piuttosto forza, e un pò d'angoscia. La bellezza dell'inverso.'
E la montagna non è semplice testimone, osservatrice passiva ed inerte della vita che scorre tra le sue valli e lungo i suoi pendii: la montagna inevitabilmente forgia il carattere, la personalità di chi ci dimora, impone le sue regole e le sue condizioni, irremovibili, che piacciano o no.
Lo sa bene Bruno, che a differenza di Pietro, sulla montagna è nato e cresciuto; la montagna è stata la sua scuola, non tra i banchi di una classe ma tra i pascoli sorvegliando il gregge o nell'alpeggio dove aiuta lo zio nel suo lavoro di montanaro.
La montagna diventa il loro anello di congiunzione, suggella la nascita di un rapporto di amicizia tra i due ragazzini che sopravviverà al tempo e agli anni quasi ereditando la granitica resistenza della montagna stessa.
Un'amicizia capace di rimanere silente per nove mesi l'anno e rianimarsi d'estate quanto Pietro torna in montagna con i suoi genitori ed ogni volta che rivede Bruno è come se fosse trascorso solo un giorno dall'ultima volta, come se non si fossero mai allontanati.
Ciò che conta per loro è avventurarsi nuovamente tra sentieri inesplorati, tra le macerie di mulini abbandonati e rocce impervie su cui arrampicarsi.
Un'amicizia sana, pura, inattaccabile, scevra da qualsiasi forma di invidia e gelosia, nonostante l'indole differente dei due ragazzi che comunque vivono in contesti sociali e familiari alquanto eterogenei.
Anzi sarà proprio tramite Bruno che Pietro riuscirà negli anni a rivalutare il rapporto con suo padre comprendendo meglio alcuni aspetti del suo carattere ed alcuni atteggiamenti che, da ragazzo, gli sembravano a volte ostili nei suoi confronti: capirà che quello era solo il suo modo di volergli bene, di educarlo, trasmettendogli il suo stesso amore per la montagna che non è solo una semplice passione ma una palestra di vita:

-Guarda quel torrente, lo vedi? - disse.
-Facciamo finta che l'acqua sia il tempo che scorre. Se qui dove siamo noi è il presente, da quale parte pensi sia il futuro?
Ci pensai. Questa sembrava facile. Diedi la risposta più ovvia: -Il futuro è dove va l'acqua, giù per di là.
-Sbagliato, -decretò mio padre. -Per fortuna-.
Cominciai a capire un fatto, e cioè che tutte le cose, per un pesce di fiume, vengono da monte: insetti, rami, foglie, qualsiasi cosa. Per questo guarda verso l'alto, in attesa di ciò che deve arrivare. Se il punto in cui ti immergi in un fiume è il presente, pensai, allora il passato è l'acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso e dove non c'è più niente per te, mentre il futuro è l'acqua che scende dall'alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro a monte.
Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa.

Da questo punto di vista, l'opera di Cognetti può essere considerata un romanzo di formazione: con un linguaggio limpido, pulito, evocativo ma mai ampolloso anche quando si sofferma nelle descrizioni paesaggistiche, l'autore racconta una storia di fantasia ma che senza difficoltà ognuno di noi può percepire come reale, perchè le sensazioni, le riflessioni del giovane Pietro sono esternate con tale naturalezza e spontaneità, senza la minima forzatura, che il lettore può riconoscerle come proprie, quasi fossero autobiografiche.
E' la storia di Pietro che da bambino diventa uomo senza mai abbandonare il richiamo della montagna, seguendo le orme del suo amico Bruno e di suo padre ma senza lasciarsi soggiogare dal loro istintivo atteggiamento di sfida verso la montagna: sfida alimentata dal desiderio di dominarla, o raggiungendo le vette più alte ed inesplorate o illudendosi, come Bruno, di poter costruire una casa ed una famiglia in un ambiente che per gran parte dell'anno diventa ostile e poco vivibile.
Una filosofia di vita ben condensata nel mandala di origine asiatica che rappresenta il mondo con un monte altissimo al centro, il Sumeru, ed intorno otto montagne, meno imponenti, e circondate da otto mari: c'è chi tra gli uomini, con ostinazione e forse anche superbia, tenta di raggiungere la vetta del monte Sumeru e chi invece, con maggiore consapevolezza dei propri limiti, preferisce vagare tra le otto montagne alla ricerca di una propria identità.

"E' sulle cime che andiamo. Scendiamo solo quando arriviamo dove non si può più salire."

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kafka62 Opinione inserita da kafka62    13 Gennaio, 2018
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MONTAGNA MAESTRA DI SOLITUDINE

Da amante della montagna quale sono confesso di avere avuto qualche iniziale titubanza a prendere in mano il libro di Paolo Cognetti, temendo di vedere inesorabilmente deluse le mie alte aspettative. Invece la fatica e l’euforia delle salite, la ruvida umanità dei montanari, le vette apparentemente inaccessibili e i laghetti alpini su cui esse si specchiano, i canaloni e le pietraie, i suoni dei campanacci delle mucche nei pascoli e lo scrosciare dei torrenti che scendono dai ghiacciai, i colori dei tarassachi, dei larici e degli abeti, gli odori del letame e del formaggio di malga, e ancora il silenzio, le nebbie che avvolgono le cime, la prima neve di fine estate, le sommesse conversazioni serali nei rifugi, tutte queste sensazioni ed emozioni, che mi hanno fatto compagnia in decine di anni di frequentazione delle alte quote, le ho ritrovate tutte, con fedeltà impressionante, nelle pagine de Le otto montagne. E soprattutto ho ritrovato quella montagna “maestra di solitudine”, che porta i due protagonisti Pietro e Bruno a rifugiarsi spesso nella sua dura, ostile ma confortevole intimità, per isolarsi dal resto del mondo e ritrovare se stessi.
Si vede che il libro si nutre di autobiografia, che è un abito tagliato su misura delle passioni e delle conoscenze di Cognetti (l'unica riserva che mi sento di fargli è infatti che gioca un po', se così si può dire, “in casa”, e sarei curioso, non avendo letto nient'altro di lui, di vedere come se la cava “in trasferta”, magari alle prese con un romanzo metropolitano), e non si fatica a credere, come ha affermato l'autore stesso in un'intervista, che esso sia stato scritto quasi di getto, con inusuale velocità. La scrittura è infatti semplice, scorrevole, e la struttura del libro, di agevolissima lettura, è altrettanto essenziale, in quanto non esita a lasciare sullo sfondo l’attualità e la vita invernale in città per concentrarsi sui ritorni di Pietro in montagna, dove ritrova sempre il suo amico d’infanzia Bruno, figlio di montanari e montanaro a sua volta per vocazione. Nei due personaggi (che alla lontana mi hanno ricordato Narciso e Boccadoro di Hermann Hesse) si incarna la parabola che dà il titolo al romanzo, la possibilità cioè di vivere conoscendo tutte le otto montagne che i buddisti nepalesi ritengono ci siano intorno al mondo (come Pietro, che si allontana frequentemente dalle Alpi per vivere ad esempio alcune stagioni ai piedi dell'Himalaya) o in alternativa di salire sull’unico monte che sta al centro di esso (come Bruno, solitario custode del Grenon). La montagna per Cognetti non è solo una mera scenografia, lo sfondo in cui viene ambientata la storia, ma è anche fonte di bellissime, acute metafore. Prendiamo ad esempio questo bellissimo passaggio. “L’estate cancella i ricordi proprio come scioglie la neve, ma il ghiacciaio è la neve degli inverni lontani, è un ricordo d’inverno che non vuole essere dimenticato.” A me, per esempio, ha fatto pensare a come lo scioglimento dei ghiacciai delle Alpi vada di pari passo con l’oblio della memoria collettiva e del passato storico che caratterizza tristemente, nell’era di internet, una gran parte delle giovani generazioni. Le otto montagne non è quindi un libro che vive sotto una campana di vetro, ma ci dice più cose sul mondo e sulla vita di quello che sembrerebbe a prima vista.
In questa asciutta e pudica storia di amicizia e di paternità, raccontata senza toni edulcorati (al contrario non esitando a mettere in primo piano sentimenti come il rimpianto per le occasioni perdute, la tristezza per chi non c'è più o la difficoltà di trovare il proprio posto nella vita), vi sono brani di struggente bellezza, come quando Pietro, cercando di recuperare in extremis un rapporto col padre defunto, va alla ricerca delle scritte da questi lasciate negli anni passati sui libri di vetta; oppure quando il protagonista, scendendo a valle alla fine dell’estate, immagina di vedere se stesso bambino mentre sale verso gli alpeggi insieme al suo giovane genitore. Una simile dichiarazione di elegiaco amore per la montagna mi fa tornare in mente le parole che Renè Daumal scrisse ne Il Monte Analogo: “Non si può restare sempre sulle vette, bisogna ridiscendere… A che pro allora? Ecco: l’alto conosce il basso, il basso non conosce l’alto. Salendo devi prendere sempre nota delle difficoltà del tuo cammino; finché sali puoi vederle. Nella discesa, non le vedrai più, ma saprai che ci sono, se le avrai osservate bene”. Da consigliare caldamente a tutti coloro che amano la montagna, a quelli che la ammirano senza ancora avere avuto la possibilità di conoscerla a fondo, e ancora di più a chi, non potendoci più tornare, prova la straziante nostalgia delle vette, dei rifugi e dei ghiacciai.

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Mian88 Opinione inserita da Mian88    29 Dicembre, 2017
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Il fascino della montagna

Il primo aspetto che colpisce de “Le otto montagne” di Paolo Cognetti sono le descrizioni. Descrizioni di luoghi, di sentieri, di vette, di ruderi, di laghi, di villaggi, che sono parte integrante dell’essere del protagonista quanto dello scrittore. Perché, infatti, questo amore sviscerato e ineguagliabile per la montagna, trascende dalla mera carta stampata e sopraggiunge con tutta la sua forza inarrestabile sul lettore che pagina dopo pagina rivive quei viottoli, quei calli, si sente vicino a Pietro, riassapora la sensazione della neve fresca sotto ai piedi, della mancanza di ossigeno ad alta quota, di quei paesaggi brulli, grigi e privi di vegetazione che insieme al padre si trovava innanzi al termine della traversata.
Eppure, dietro la facciata della natura si nasconde ben altro. Perché oltre a questo sentimento di affetto per il monte, lo scrittore ci parla di amicizia, del rapporto padre-figlio, della difficoltà di comunicazione, dell’infanzia, della crescita, del capire chi si è e che cosa si vuole. Tutto questo accade a Grana. E’ in questo paesino che il ragazzo riceve il testimone dal padre, è in questo paese che conosce Bruno, l’amico della vita. E’ da questa avventura che sarà determinata la scelta di cambiamento che influenzerà il suo futuro.
Un romanzo che è sempre sulla falsariga dell’autobiografia in quanto chi legge spesso è indotto a chiedersi se non stia apprendendo della storia di Paolo invece che quella di Pietro, un romanzo che talvolta rallenta rischiando di perdere di interesse e che eppure è magnetico tanto da risultare impossibile staccarsene.
Stilisticamente il linguaggio è fluente e non particolarmente erudito. Essendo focalizzato sulla valorizzazione degli ambienti, inoltre, non si sofferma in modo significativo nemmeno sui personaggi. Ad ogni modo, da leggere.

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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    29 Settembre, 2017
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Io e la montagna

Il rapporto con la montagna è qualcosa di più del rapporto con la natura. La scalata della montagna oltre che luogo materiale è soprattutto il luogo simbolico della ricerca di se stesso e di Dio e forse per questo il compagno di scalata è un amico diverso dall'amico del bar o di città. Il titolo le otto montagne richiama proprio questo aspetto di ricerca e di cammino esistenziale-spirituale. Le otto montagne infatti rappresentano un mandala. L'ottava montagna, la più alta, sta al centro del disegno.
A me il romanzo è piaciuto moltissimo, sia perchè vero nel senso che ho avuto proprio l'impressione che la storia nasca dal vissuto dell'autore, sia perchè vero è il rapporto con la montagna e lo si percepisce dalle descrizioni bellissime. Luoghi e persone sono aspri allo stesso modo, pieni di silenzi e di mistero.
In questo periodo ho letto anche altri libri con questa dimensione della montagna (ad esempio San Giovanni della Croce) e credo che la ricerca interiore passi per questa salita dura nella solitudine per molte persone.

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ornella donna Opinione inserita da ornella donna    10 Settembre, 2017
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La montagna e l'uomo in Paolo Cognetti

La montagna è il luogo fisico ed ideale di questa storia, il romanzo di Paolo Cognetti dal titolo Le otto montagne, vincitore del Premio Strega 2017.
Ogni volta con quest’autore lo stesso incantesimo: la scrittura attenta, evocativa, la parola misurata a raccontare frammenti di vita, il non detto che si insinua tra le pagine e ti resta dentro forse ancor più delle parole. E’ un narratore raffinato, che si muove agilmente tra generi e forme espressive differenti, tra racconti, romanzi, documentari, poesie, diari di viaggio, cambiando ogni volta abilmente registro. E in quest’ultimo romanzo c’è dentro lo scrittore che conosciamo ed amiamo, tuttavia è qualcosa di completamente nuovo e differente. Di intimo, personale, lirico, ma anche brutale, selvaggio e scarno. Come la montagna incantata che è custode e a sua volta protagonista di questa storia di affetti familiari e di amicizia. Un romanzo di formazione e di amicizia maschile. E’ il racconto di quel rapporto che qualche volta si instaura tra uomini, scarno di parole, essenziale, forte e quasi primordiale. Un’amicizia così può nascere solo da ragazzini e si è fortunati se sarà capace di superare la prova del tempo, della vita che si mette in mezzo, della distanza e delle incomprensioni. E’ quella che lega Pietro e Bruno, un ragazzino di città, solitario e pallido, e un altro costretto a crescere in fretta in un piccolo paesino ai piedi del Monte Rosa dove la vita è scandita dal duro lavoro e dai ritmi dettati della natura. Diversi, eppure anime affini che si riconoscono e, senza bisogno di troppe parole, diventeranno amici. Perché le parole non contano, come non conta la distanza che li separa: ogni estate, Pietro lascia la città per fare ritorno insieme alla famiglia tra quelle montagne e, ogni volta, Bruno è lì ad aspettarlo, come se non fosse passato che un giorno. Quello che dalla pagina prende vita è il racconto della prima estate di scoperta e di avventure, ma anche di tutte quelle che sono venute dopo, delle distanze, delle incomprensioni, delle difficoltà della vita, di perdita e sensi di colpa, parole che mancano ed altre che sembrano superflue. Di due ragazzini che in qualche modo cercano di diventare adulti, sbagliando, cadendo, riprovando: ma anche di due famiglie, diverse ma entrambe imperfette, di padri, soprattutto, fragili o brutali, di distanze e sensi di colpa che all’improvviso pesano come macigni e sembrano impossibili da superare, di donne silenziose e risolute in un mondo di uomini.
E la montagna, naturalmente. Quella che aveva fatto innamorare i genitori di Pietro, tanti anni prima, poi abbandonata in fretta per la città, nuove opportunità da cercare, un figlio da crescere, vecchi segreti da custodire, ma una malinconia nel cuore da cui sembra impossibile sfuggire; finchè una montagna diversa, un paesino minuscolo a qualche ora di viaggio da Milano, rivela a Pietro un mondo completamente nuovo e una squarcio sul passato dei suoi genitori, che in quella casa in affitto per l’estate riscoprono ritmi e desideri mai davvero dimenticati. A Grana, il paese ai piedi del Monte Rosa, il ragazzino osserva i suoi genitori, uniti eppure differenti, scopre frammenti della loro storia, e, soprattutto, impara ad amare a sua volta la montagna. Le gambe, che giorno dopo giorno scoprono l’andatura giusta, il cuore che trova il proprio ritmo, la fatica, le vesciche, sentire da seguire e altri da inventare, il mal di montagna con cui imparare a fare i conti. Lì, nella natura Pietro segue ogni giorno suo padre, da lui apprende i segreti di quella vita e scopre di amarla, struggendosi nei mesi di lontananza, in città:
“Così adesso conoscevo anch’io la nostalgia della montagna, il male da cui per anni l’avevo visto afflitto senza capire.”
C’è moltissimo in questo romanzo: dalla descrizione di un mondo che si sta perdendo per sempre, alla malinconia, alla speranza ostinata di un recupero sempre possibile, al tema della paternità di padri di sangue e di elezione, quasi sempre fragili. Attraverso una lingua essenziale eppure straordinariamente evocativa ed intensa, Cognetti costruisce un romanzo breve in cui si avverte l’eco dei maestri che l’hanno formato, delle innumerevoli letture, dell’esperienza in montagna. In definitiva: la storia di uomini, uomini che provano a diventare adulti, di vite. Di vite, racchiuse lì, ai piedi della montagna.

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Riccardo76 Opinione inserita da Riccardo76    19 Agosto, 2017
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Amicizia in alta montagna

Incontri e separazioni in questo bel romanzo, amicizie, amori, rapporti complessi. La storia vincitrice del premio Strega merita di essere letta e non solo, merita di essere interiorizzata, è il racconto di una grande amicizia, di un rapporto complicato con i genitori, di amori e passioni. Pietro e Bruno danno vita ad una delle più belle amicizie raccontate in un libro che ho avuto il piacere di leggere, alcune sensazioni vissute leggendolo, mi hanno portato alla memoria “Le braci” di Sandor Marai, che ho amato all’eccesso.
La storia di questa amicizia nasce nei pressi del monte Rosa, cresce in questi luoghi incantanti, i due amici coltivano il loro “amore” quasi fraterno aiutati dalla poesia degli alpeggi di montagna, lo sfondo della famiglia caratterizza le vite dei due ragazzi.
La passione per la montagna, il rispetto della natura, tante belle fotografie di due vite che si intrecciano e proseguono una nell’altra.
Il rapporto con il padre è fondamentale sia per Bruno che per Pietro, nel bene e nel male tutto è condizionato da questi rapporti, dalle passioni che animano i personaggi, l’amore per la montagna e la solitudine.
La difficoltà dei figli a capire le ragioni dei padri è un tema presente nella narrazione, alcune volte un padre, se pur mosso da buone intenzioni, non è in grado di comunicare al meglio il suo disegno, altre volte i figli non recepiscono i grandi doni che un genitore vuole dare.
La parte finale del romanzo è particolarmente emozionante e ben pensata, tutto il racconto è ben scritto e piacevolissimo da leggere. Cognetti ha una bella prosa, chiara, pulita emozionante, pur non conoscendo gli altri titoli in gara ritengo che questo romanzo meriti il premio vinto ampiamente.

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Valerio91 Opinione inserita da Valerio91    01 Agosto, 2017
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In cima al Sumeru

Come ogni anno, in seguito alle premiazioni dello Strega nasce in me la voglia di leggere l'opera che si è aggiudicata la vittoria di uno dei premi più prestigiosi della letteratura italiana; una voglia che non viene assecondata quasi mai, magari perché ero scoraggiato dalla mole troppo esagerata del libro vincitore (vedi "La scuola cattolica di Edoardo Albinati), vuoi perché ero impegnato in altre letture che non potevo interrompere. "Le otto montagne" di Paolo Cognetti, invece, mi ha trovato in un momento favorevole e devo dire che mi intrigava, perciò l'ho comprato e l'ho letto, carico di curiosità.
Devo dire che, pur non avendo letto le altre opere in gara, Cognetti non ha assolutamente disonorato lo Strega con la sua vittoria, perché questo libro è assolutamente meritevole di un premio. Il suo stile è piacevole, carico di dettagli senza mai risultare pesante, riflessivo ed efficace, oltre a lasciar trasparire una profonda conoscenza di tutto ciò che l'autore racconta. E' evocativo, in certi tratti.

All'inizio di questa storia, Pietro è ancora un ragazzino che si ritrova costretto a trasferirsi a Milano; ma non sarà tanto lui a soffrire il cambiamento, ancora troppo piccolo per capire, quanto i suoi genitori, che della città non sanno nulla e sono amanti sinceri delle montagne in cui sono cresciuti. Molto presto però, scopriranno il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, e compreranno una piccola casetta in cui passare le proprie estati e poter rivivere le gioie passate, le gioie che solo la montagna può regalare.
Pietro cresce in questo contesto, con nove mesi senza gioia da vivere in città (dei quale il lettore non saprà nulla, perché privi di importanza) e un'estate in cui potrà godersi quel mondo al quale scoprirà di appartenere e dove stringerà l'amicizia di una vita, quella con il giovane montanaro Bruno.
Quella tra Pietro e Bruno sarà un'amicizia che non farà altro che crescere nel corso degli anni, congelandosi nei mesi in cui Pietro deve tornare in città per poi ritrovarsi per nulla scalfita in quei mesi estivi in cui la montagna apre le braccia e li accoglie dopo un inverno rigido. Quei due giovani ragazzi cresceranno fino a diventare uomini, affrontando le difficoltà e le prove che la vita mette davanti a tutti e subendo un'evoluzione a cui nessuno può scampare, nel bene e nel male.
La montagna è una spettatrice di tutte queste evoluzioni, di questi tormenti e queste gioie di vita, ma non si limiterà a godersi lo "spettacolo", essa è il fulcro intorno al quale ruotano queste vite; un ostacolo da superare; una meta da godersi; un pericolo da non sottovalutare.
La montagna è un'entità mistica, una metafora della vita e del viaggio che, ogni giorno, ci ritroviamo ad affrontare.

"Cominciai a capire un fatto, e cioè che tutte le cose, per un pesce di fiume, vengono da monte: insetti, rami, foglie, qualsiasi cosa. Per questo guarda verso l'alto, in attesa di ciò che deve arrivare. Se il punto in cui ti immergi in un fiume è il presente, pensai, allora il passato è l'acqua che ti ha superato, quella che va verso il basso e dove non c'è più niente per te, mentre il futuro è l'acqua che scende dall'alto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro a monte. Ecco come avrei dovuto rispondere a mio padre. Qualunque cosa sia il destino, abita nelle montagne che abbiamo sopra la testa."

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ant Opinione inserita da ant    16 Luglio, 2017
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Pietro e l'amore per la montagna

Un libro in cui emerge prepotentemente l'amore per la montagna, ma di contorno argomenti forti come l'amicizia, il rapporto padre-figlio, l'infanzia etc non sono da meno. Pietro è il protagonista e la location che domina su tutto è un paesino di montagna chiamato Grana, in questo luogo si sviluppano le cose piu' interessanti del libro. Innanzitutto la passione che il papà di Pietro trasmette al figlio per la montagna, poi l'amicizia che nasce con un ragazzino del luogo, Bruno, che durerà tutta la vita e gli addii e i ritorni in paese da Pietro per motivi vari, addirittura Pietro per l'amore acquisito verso la montagna si trasferisce in Himalaya.
Concludo estrapolando un passaggio che mi ha colpito, il papà di Pietro che parla dei ghiacciai:
"l'estate cancella i ricordi proprio come scioglie la neve, ma il ghiacciaio è la neve degli inverni lontani, è un ricordo d'inverno che non vuole essere dimenticato"

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Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    09 Luglio, 2017
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L'ultimo montanaro

Splendido libro, vincitore del Premio Strega e lo avevo sul comodino proprio nei giorni in cui gli è stato assegnato il premio: una bella coincidenza. Malinconia e solitudine sono le protagoniste di questo romanzo, in cui da ogni pagina traspare l’amore per la montagna, in tutte le sue forme: la montagna vista come cornice da ammirare, d’estate e d’inverno, la montagna vista come rifugio per ritrovare se stessi nel silenzio, la montagna da vivere, la montagna da scoprire, la montagna da riscoprire. Il modo di scrivere è pacato, lento, segue anch’esso i ritmi della montagna. La storia è incentrata sulle relazioni: quelle all’interno di una famiglia, tra marito e moglie, tra padre e figlio, quelle della vita, tra due amici, tra un uomo e una donna. C’è tanta verità in queste pagine, tanta umanità, tanta semplicità. Tanta malinconia. Un senso di inevitabilità. Tanti ricordi. Perché è nel ricordo il più bel rifugio.

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Mauro Corona
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Roleg Opinione inserita da Roleg    04 Luglio, 2017
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Padri e figli

Una storia di padri, di figli, di amicizia e di montagne.

Un padre autoritario e indifferente che si incammina instancabile per i sentieri montani cercando di raggiungere in ogni modo la vetta, anche lontana. Forse per dimenticare i problemi che ci sono al piano, a casa, in città.

Un figlio, Pietro e un amico, Bruno, così diversi: Pietro cittadino, silenzioso e spinto dal padre verso le montagne e Bruno, montanaro di nascita, genitori assenti. Sono figli di due mondi agli antipodi, uno immerso nel caos cittadino e l'altro nella rarefazione montana. Uno è instabile, non sa quello che vuole e gira il mondo. L'altro non sa ciò che vuole ma è troppo piantato nel luogo dove è nato. L'unico punto in comune è la loro amicizia.

E poi la montagna, aspra, affascinante, dura, faticosa; un luogo silenzioso e rarefatto dove il tempo rallenta consentendoci di riflettere sulla nostra vita, sull'amicizia, sull'amore, sulle cose importanti.

Pietro gira il mondo, mentre Bruno rimane. Ma il rapporto tra i due rimane inalterato e quando Pietro ritorna, il passato riaffiora. I rituali ripetuti ravvivano il senso di appartenenza alla vita:

''Un uomo con due grandi baffi bianchi mi raccontò che per lui era un modo per ripensare alla sua vita. Era come se, attaccando lo stesso vecchio sentiero una volta all'anno, si addentrasse tra i ricordi e risalisse il corso della propria vita''

Pietro, il cui rapporto col padre era difficoltoso fintanto questi era in vita, inizia a capire il genitore solo dopo la sua morte, percorrendone i sentieri, addentrandosi nei ricordi. Un padre severo ma fragile, incapace di affrontare un discorso col figlio, imperfetto ma anche per questo umano. Un padre abbandonato, ma poi, in un secondo tempo e troppo tardi riconosciuto e valorizzato.

Sarà perché ho trascorso lunghi periodi in montagna, nell'infanzia, tra Catinaccio e Cime di Lavaredo. O che ho passato la vita combattendo con un padre autoritario, testardo e poco propenso ai rapporti umani; un padre che ho iniziato a capire solo troppo tardi, dopo l'inevitabile separazione. Sarà per tutto questo che la storia raccontata in questo bel libro mi ha colpito e affondato.

"Il romanzo è scritto benissimo. Nessuna forzatura, nessuna violenza, nessun cellulare, nessuna parolaccia, niente sesso, nessuna concessione al linguaggio "odierno", niente citazioni o riferimenti colti. Solo una storia semplice, profonda, malinconica, raccontata con intelligenza. Solo?

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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    16 Giugno, 2017
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Un sasso era un berio

Vincitore dello Strega giovani 2017 e nella cinquina finalista del medesimo premio con il maggior numero di preferenze, Le otto montagne di Paolo Cognetti è la storia dell’amicizia autentica tra Pietro – ragazzo milanese figlio di genitori che provengono da paesini di montagna – e Bruno, un montanaro di poche parole che esprime nella concretezza dei gesti e delle azioni una filosofia di vita spontanea e verace che riflette la cultura essenziale del luogo (“Come se alla lingua astratta dei libri, io dovessi sostituire la lingua concreta delle cose… Un sasso era un berio ed ero io, Pietro: ero molto affezionato a quel nome. Ogni torrente tagliava una valle e per questo si chiamava valey, e ogni valle possedeva due versanti dal carattere opposto: un adret bene esposto al sole, dove c’erano i paesi e i campi, e un enevrs umido e ombroso, lasciato al bosco e agli animali selvatici”).

Tra flussi e riflussi, partenze e ritorni, la vita di Pietro s’interseca con quella di Bruno e il punto di contatto esistenziale diviene la costruzione di una casupola-rifugio in una località aspra e selvaggia, un terreno impervio lasciato a Bruno in eredità dal padre. Un uomo enigmatico, che ha iniziato – con qualche forzatura - Bruno all’amore per la montagna (“Era sicuro che il mal di montagna mi sarebbe passato crescendo”), un padre la cui assenza il protagonista cerca di penetrare attraverso una ricerca che sani le incomprensioni e i silenzi di un rapporto lasciato in sospeso dalla morte improvvisa di Giovanni.

Quando Pietro intraprende viaggi in Nepal, la montagna si ripresenta sotto nuove, estreme forme che si stagliano su una cultura protesa verso la ricerca (“Fu un vecchio nepalese, tempo dopo, a raccontarmi delle otto montagne”). La virata new-age è in agguato, ma l’autore – con merito – la evita e anche in questo risiede l’originalità del romanzo.

Giudizio finale: jemale, montanaro e acrofobico al tempo stesso, mandalico

Bruno Elpis

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lapis Opinione inserita da lapis    12 Giugno, 2017
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La bellezza dell’inverso

Grana, estate 1984. Una manciata di vecchie case isolate, immensi prati in cui pascolano mucche e un ruscello scintillante. Sulle sponde opposte, due ragazzini si guardano, si osservano, senza parlarsi. Uno è Pietro, appena arrivato da Milano per trascorrere le vacanze. L'altro è Bruno, che in quella valle ai piedi del Monte Rosa ci è nato e cresciuto. Due solitudini e due silenzi diversi, eppure simili. È così che ha inizio la storia di un’amicizia che attraverserà le loro vite.

Protagonista di questo romanzo è, prima di tutto, un’amicizia. Un’amicizia che ha un odore, quello di fieno e stalla, di terra umida e fumo di legna. Un colore, il grigio ferro, spruzzato di bianco, delle creste all’orizzonte. Un suono, quello del vento che soffia, di notte, nella conca. La montagna, infatti, non fa semplicemente da sfondo ma è il cuore pulsante di questo legame, testimone e compagna dei loro giochi, dei loro sbandamenti, della loro crescita.

Negli anni, le strade di Pietro e Bruno si divideranno. Mentre il primo, introverso e irrequieto, comincerà a muoversi senza sosta tra lavori, città e continenti diversi, alla ricerca della propria strada, l’altro rimarrà ancorato a quella valle che da sempre rappresenta il suo amore, la sua speranza, il suo destino. Ma Grana e quest’amicizia incrollabile, che si nutre di assenze e distanze, saranno sempre per Pietro una meta a cui fare ritorno. Ma cosa cerchiamo davvero quando sfuggiamo alla città, trovando rifugio tra le vette? Forse noi stessi o una parte di noi, quella solitaria, introversa, selvatica.

“Ogni valle possedeva due versanti di carattere opposto: un 'adret' ben esposto al sole, dove c'erano i paesi e i campi, e un 'envers' umido e ombroso, lasciato al bosco e agli animali selvatici. Ma dei due era l'inverso quello che preferivamo”.

Quella che ci racconta questo romanzo non è infatti una montagna dalla bellezza scintillante, avvolta da sentimenti lirici, ma un luogo di pietre aspre, di gesti antichi e faticosi, di boschi umidi e ombrosi. Un luogo dell’anima, difficile come la vita e complesso come le persone.

Con la grazia della semplicità e una delicatezza capace di arrivare dritta al cuore di chi legge, Paolo Cognetti riesce a farci respirare l’anima della montagna, non certo come meta turistica, ma nella sua essenza più profonda. Facendola sentire e amare anche a chi, come me, non la conosce affatto. Il lettore si ritrova a camminare con passo costante e armonico lungo sentieri che parlano delle difficoltà della vita moderna, di ritmi antichi, di rapporti e sentimenti eterni, come quello tra padri e figli. E scopre in queste pagine un piccolo rifugio, in cui ripararsi per pensare, alla luce delle stelle, e commuoversi.

“Una bellezza cupa, aspra, che non infondeva pace ma piuttosto forza, e un po' d'angoscia. La bellezza dell'inverso”.

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Chiara77 Opinione inserita da Chiara77    14 Aprile, 2017
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Pietro e la montagna

“Le otto montagne” è l'ultimo libro scritto da Paolo Cognetti. Pubblicato nel 2016, è fra i candidati al premio Strega 2017. Da quello che ho letto nelle interviste rilasciate dall'autore, il contenuto è fortemente autobiografico.
Dopo aver concluso la lettura di questo romanzo, che definirei affascinante, ho pensato che la vera protagonista del racconto è la montagna. Sì, il testo parla anche del rapporto tra un padre e un figlio, di un'amicizia che sfida il tempo, della solitudine, ma soprattutto parla della montagna.
La montagna è il filo conduttore di tutta l'esistenza di Pietro, il protagonista del romanzo, era già presente nella sua storia prima che lui nascesse, era già nella storia dei suoi genitori. Una volta diventato adulto, Pietro capisce chiaramente che la montagna è la sua vita. Non necessariamente la montagna della sua infanzia, il Grenon, ma la montagna come metafora dell'esistenza, la ricerca dell'ascesa in qualunque parte del mondo o dell'animo umano. Pietro sente il bisogno di andare a scalare le vette più alte del mondo, quelle dell'Himalaya, che rappresentano l'essenza stessa della montagna.

“Allora non vidi più galline intorno alle case, né capre al pascolo. Ce n'erano altre, selvatiche, che brucavano sui dirupi, avevano il pelo lungo fino a terra e mi dissero che erano le pecore azzurre dell'Himalaya. Una montagna dalle pecore azzurre, scimmie simili a babbuini che intravedevo nel bambù, e contro il cielo, lente, le sagome lugubri degli avvoltoi. Eppure mi sentivo a casa. Anche qui, mi dissi, dove il bosco finisce e non restano che prati e pietraie, io sono a casa. E' la quota a cui appartengo, e mi fa stare bene.” (p. 146)

I momenti più felici e reali della vita Pietro li ha vissuti, fin da bambino, sulla montagna. I suoi genitori tutte le estati lo portavano in un piccolo paesino ai piedi del Monte Rosa, Grana. E' proprio lì che è entrato in relazione con il padre, cosa che in città non gli era mai riuscita.

“E sapevo una volta per tutte di aver avuto due padri: il primo era l'estraneo con cui avevo abitato per vent'anni, in città, e tagliato i ponti per altri dieci; il secondo era il padre di montagna, quello che avevo solo intravisto eppure conosciuto meglio, l'uomo che mi camminava alle spalle sui sentieri, l'amante dei ghiacciai.” (p. 119)

Ed è proprio lì che ha conosciuto Bruno, il suo migliore amico: un montanaro, quello dei due che negli anni è sempre rimasto lì, mentre Pietro andava e veniva, esplorava e ritornava. L'amicizia era nata quando i due erano dei ragazzini ed è durata nel corso degli anni. Il loro affetto è stato solido e sempre presente, non ha avuto bisogno della frequentazione costante per rimanere vivo. Un'amicizia che nel corso degli anni è diventata una fratellanza.
In conclusione, posso affermare che il libro mi è piaciuto molto, lo stile di Cognetti è equilibrato e misurato. Gli avvenimenti vengono descritti in modo essenziale, senza mai cedere troppo spazio alle descrizioni di emozioni e sentimenti, che il lettore riesce ad intuire da solo. Alla fine la lettura mi ha lasciato una sensazione di malinconia e tristezza ed un intenso senso di solitudine, oltre alla voglia di fare una passeggiata in montagna.

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CortaZur Opinione inserita da CortaZur    25 Febbraio, 2017
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Un piccolo gioiello che fa tanto bene al cuore.

Paolo Cognetti - Le otto montagne

Libro bellissimo! Un vero gioiello da scoprire e gustare pagina dopo pagina. Una storia di amicizia bella, sincera che tocca i sentimenti più profondi.
Le otto montagne è un libro che parla al cuore, l’ho letto con quella rara voracità che di solito accade con i thriller dove c’è un assassino da scoprire e invece qui da scoprire c’era molto di più: una vita, un’amicizia, dei sentimenti.
Molte volte scorrendo le pagine sono stato sul punto di commuovermi, mi sono molto immedesimato in questa relazione tra i due protagonisti e mi sono sentito davvero al loro fianco partecipe delle loro emozioni belle o brutte che fossero.
Si parla di premi importanti, ho sentito che lo si voglia candidare allo STREGA 2017, sarebbe un candidato difficile da battere.

La trama è semplice: Cognetti ripercorre i suoi ricordi attraverso (mi piace pensare) il suo alter ego Pietro quando da ragazzino andava in montagna in vacanza con i suoi genitori, a loro volta dei montanari veneti costretti ad andare a vivere in città per lavorare, e dove conosce il suo amico Bruno figlio di pastori locali che si occupa di pascolare le vacche lungo quei pascoli. Da qui parte la storia familiare che vede i rapporti personali tra Pietro e il padre, tra Pietro e Bruno e non da meno tra Bruno e il padre di Pietro.
Anni che passano, rapporti che mutano, relazioni che si evolvono e persone che cambiano fanno di questo libro un racconto perfetto della vita. La vita definita come la storia delle persone che hai incontrato e delle relazioni che hai avuto con loro. La vita descritta attraverso quei fili sottili ma indistruttibili che legano gli amici a distanze incalcolabili e dopo tempi immemori.
Un libro sull’amicizia, secondo alcuni, la più alta forma di amore fra due persone.

Finora ho descritto la componente umana del libro ma non vorrei che passasse inosservata la componente naturalistica, qui tra queste pagine c’è una grande, maestosa e indiscussa protagonista che è la montagna. La montagna con i suoi ghiacciai, i suoi passi, le sue valli, i suoi sentieri, i suoi laghi e tutto quello che nasconde e che mostra a chi ha la voglia e la perseveranza di scalarla e diventarne amico. Le otto montagne si scopriranno solo leggendolo e in più si viene assaliti da una voglia incontenibile di andarci a vivere o almeno in vacanza.

In definitiva un libro meraviglioso, che vi stupirà e vi farà innamorare se già non lo siete, della montagna e dei suoi personaggi.

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a chiunque abbia voglia di buone emozioni, sentimenti sinceri e viaggiare con la fantasia.
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68 Opinione inserita da 68    19 Novembre, 2016
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Montagna e vita, destini incrociati

Questo bellissimo romanzo nasce e si nutre del sapore e dei gusti della montagna in un percorso spazio-temporale tra vite da essa segnate e anime altrove perdute.
Al centro il protagonista e voce narrante, Pietro, e quella vita indirizzata, sin dalla infanzia, da relazioni famigliari interrotte e dal legame con Bruno, suo coetaneo, una amicizia trentennale inizialmente quasi obbligata.
Una apparente indifferenza si farà legame profondo, inseguendo una traccia e la propria memoria, sfuggendo ad una certa definizione, lasciandosi per ritrovarsi, in quello stesso luogo, tra un nugolo di domande, presenze-assenze, perdite dolorose, desiderio di riconciliazione con un passato ingombrante.
Pietro, sin dai primi anni, ha fatto della montagna il proprio nutrimento, spinto da un padre emotivo, autoritario, indifferente, che si incamminava per sentieri tortuosi cercando disperatamente di raggiungere ogni vetta, anche lontana, per ripartire all' istante, cittadino insoddisfatto in fuga dai rumori molesti e dalle ingiustizie di una metropoli crudele ed indifferente ( Milano ).
Al contrario una madre forte, tranquilla, conservatrice, che amava sostare lungamente in un posto, e prendersene cura, coltivandolo della propria quotidianita'.
Ha inseguito le impronte di una vita così diversa da quella di Bruno, montanaro di nascita, con una famiglia poco attenta, assente, in altro affaccendata ed un destino segnato, " adottato " sentimentalmente dai genitori di Pietro.
Il tempo ed il destino ha consegnato ai due amici un lembo di terra sul quale costruire un rifugio che diverrà la loro " casa ", dimora dell' animo dove tornare e riallacciare un rapporto controverso, mai pienamente vissuto, silenzi oscuri e protratti, riannodando i fili di un passato troppo in fretta cambiato, improvvisamente interrotto, scavando nei propri ricordi ed in desideri insondabili, in un presente difficile e tortuoso ed in un futuro ancora indecifrabile.
Pietro sa che Il proprio destino abita tra le montagne, ha imparato ( dal padre ) che il passato è a valle, il futuro a monte. Spesso e' più facile osservare la natura che se stessi, e per fare i conti con il proprio vissuto non resta che allontanarsene ( inizierà così lunghi viaggi himalayani ).
Ma quando si parte gli altri continuano a vivere e si finisce con il trovare il proprio posto nel mondo in modi meno imprevedibili di quello che si credeva.
Il luogo della conservazione della memoria si lega ad affetti, rumori, silenzi, odori, ed in questo la montagna è speciale. Li' tutto sembra fermarsi, ci si riappropria di se', si vive seguendo un ciclo naturale che alterna luce e oscurità , i colori cangianti della primavera ed il bianco uniforme dell' inverno, mentre i ghiacciai, la' in alto, conservano la memoria del tempo.
La montagna non è solo natura selvaggia, prati, boschi, fiori, torrenti, neve, è anche silenzio, riflessione, consapevolezza e segna il percorso di una vita, diviene somma esperienza di vita.
È il luogo dove Bruno vorrà restare per sempre, dove inizia e finisce il suo mondo, e quello che sa fare, altrove non si riconosce, ed è inutile cercare di cambiarlo.
Pietro lo ha conosciuto meglio di tutti, o forse no, e viceversa, di certo i due hanno condiviso una importante parte di se'.
Da queste montagne ha continuato a partire per ritornarvi ogni volta, senza fissa dimora, ne' relazioni durature, riconciliandosi con la memoria del padre, che comincia a conoscere solo da adulto e scopre che la propria essenza e stabilità risiede nel senso della montagna, in quella esplorazione continua spinto dalla sola curiosità, libero di avventurarsi, senza una meta precisa.
Vi sono vette, infatti, sulle quali non si può più tornare, laddove si è persa una importante parte di se'. E la conservazione della memoria, attraverso un rituale ripetuto, nel significato, ma ogni volta diverso, nel gesto compiuto, ravviva il senso di appartenenza alla vita e ad affetti improvvisamente negati.
Paolo Cognetti ci consegna un romanzo denso, lirico, potente, una visione estetica e vivida all' interno della vita di un ragazzo prima e di un uomo poi ( con forti connotazioni autobiografiche ), un' amicizia per sempre, un modus vivendi segnato dalla continuità di forme e rituali consegnati e conservati nella saggezza secolare della montagna e nei suoi segreti più intimi.
È una lettura da assaporare lentamente, come salendo su un sentiero ripido e tortuoso, sostando di tanto in tanto a gustare il rumore del silenzio, respirando a pieni polmoni, scrutando l' orizzonte ed ascoltando i battiti, più o meno accelerati, del proprio cuore.
Buona lettura.

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