L'acqua del lago non è mai dolce L'acqua del lago non è mai dolce

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Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    20 Luglio, 2022
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Donna di sangue

La protagonista di questa storia italiana, ambientata nei dintorni del lago di Bracciano, è una giovane ragazza che vive situazioni familiari difficili, che le lasciano segni, anche profondi, che a modo suo cerca di superare. Colpisce la sua corazza di animalità coriacea e nello stesso tempo la sua sensibilità. La narrazione è lenta ed a tratti anche angosciante. Anche la scelta grafica della copertina restituisce una certa sensazione di inadeguatezza, che è uno dei cerchi concentrici attorno a cui la trama si sviluppa. Mi ha colpito un’italianità di fondo, anche se, con altre ambientazioni alle spalle, le stesse vicende potrebbero svolgersi in altri luoghi del mondo. Fonte di riflessioni. Con un senso di amaro.

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algie Opinione inserita da algie    07 Febbraio, 2022
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Rabbia e desolazione

L'acqua del lago non è mai dolce è un romanzo di formazione non canonico. Dalle prime pagine il lettore viene trascinato nella travagliata storia della protagonista, che si intuisce da subito andrà a sprofondare.
Seguiamo Gaia dall'infanzia all'adolescenza e in breve quando è una giovane adulta.
Ci accompagnano i suoi mutevoli stati d'animo, la sua rabbia dapprima repressa e poi esplosiva, il suo rancore verso le élite che possono ottenere tutto ciò che lei fatica anche solo a sognare.
La Caminito, di estrazione borghese, fa una scelta coraggiosa nel rappresentare un contesto di povertà tramite l'immedesimazione. La scelta si rivela vincente. Attraverso Gaia, spesso eccessiva e detestabile (in verità punto di forza del personaggio), riesce a rappresentare appieno la desolazione adolescenziale e l'incomunicabilità che spesso caratterizza e distrugge l'essere umano.
La protagonista ricorda a tratti Lila de L'amica geniale: rabbiosa, brillante e povera.
Tuttavia, per quanto si possa paragonare alla Ferrante, da cui sicuramente ha preso spunto, la Caminito rimane una voce ben riconoscibile.

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L'amica geniale, Sembrava bellezza
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Little cozy world Opinione inserita da Little cozy world    03 Gennaio, 2022
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LA BATTAGLIA DI GAIA CONTRO LE ASPERITA' DELLA VIT

Ed ecco qui un altro romanzo candidato al premio strega 2021.

Se dovessi fare un commento veloce veloce su tutti i candidati che ho letto finora, è che se il lettore cerca un po’ di “Allegrezza solitaria” nel leggere questi candidati, di certo non la trova.

Tornando a questo romanzo: qui l'ambientazione è a Roma prima e Bracciano poi.

La vicenda è raccontata in prima persona da Gaia, una giovane ragazza che combatte ogni giorno la sua personale battaglia contro:

- la madre, Antonia, volitiva e imponente

- contro la povertà

- contro l'adolescenza

- contro i primi amori e le prime disillusioni

- contro le amicizie perdute e ritrovate e poi perse nuovamente

- contro le morti premature dovute al brutto male, di cui si fa fatica a nominare, figurati a parlarne

- contro i pregiudizi delle comunità piccole, non inclini ad accettare i nuovi arrivati

- contro gli status sociali

- contro l’incertezza del futuro, che quando sei giovane è una pagina tutta da scrivere, ma se sei povera e devi aiutare la famiglia, non è poi così bianca come pagina.

Ho trovato sicuramente interessante l’evoluzione della protagonista, si tratta in tutto e per tutto di un romanzo di crescita della sua psiche e del suo comportamento.

Sembra realmente di assistere in presa diretta alla scoperta del carattere di Gaia, che cambia e si indurisce, con determinazione, perché in alcune situazioni o si soccombe o si reagisce con altrettanta forza.

Egregia è la maniera di scrivere della scrittrice: la lettura del romanzo, per quanto non sia pieno di buon umore, scivola che è una meraviglia.

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68 Opinione inserita da 68    07 Ottobre, 2021
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Le ombre di una vita

Un unico filo conduttore, storia al femminile nel cuore di una famiglia retta da donne, una scrittura cruda e uniforme, quasi una litania che riflette un sentimento, quella rabbia repressa che avvolge il respiro della protagonista, sin da bambina, incanalandola in una routine che qualcuno ( la madre Antonia ) ha già deciso per lei.
Periferia di Roma, un quartiere popolare che è il perimetro dei propri spostamenti, lotta e miseria, privazioni, denunce, rimostranze, chiedendo di non essere dimenticati, senza una casa, intrappolati da un’ infausta esistenza, tra drogati d’eroina e anziani moribondi, progettando la fuga, una vita che non basta, senza amore, cercando un riscatto voluto da altri, la scuola e lo studio come unica possibilità, i libri a consolare un presente siffatto.
Una famiglia disgraziata e anestetizzante, un padre travolto e immobilizzato dal dolore, che non vuole più stare nel mondo, una madre infaticabile e ossessionata dalle cose giuste, un fratello idealista e ribelle, due gemelli chiassosi che dormono in un enorme scatolone pieno di coperte, una protagonista bambina che già fissa negli occhi la paura, non essere come Antonia, non bastare mai, non vincere nessuna battaglia, coltivando le proprie nevrosi.
C’è un “ noi “ in cui nessuno le ha mai chiesto se voleva abitare, la solitudine compagna della propria infanzia, sentendosi ingombrante nella propria casa, quando è stato necessario trasferirsi in provincia, traslocare sulle sponde di un lago secolare, in un paese dove ci si deve ripulire faccia e corpo, farsi riconoscere, dove si è figli di Antonia la rossa.
Cos’è la famiglia se non un luogo di menzogna in cui nascondere la propria identità, inventarsi favole, proteggere ingiustizie, un angolo infarcito di luoghi comuni, e che cosa realmente vogliamo? Qui si cementano rabbia e rassegnazione, violenza e bugie, qui si è immobilizzati, stesso posto, stessa faccia, stessa ora, nell’ attesa dei propri diciotto anni.
Amori, amicizie, perdite, tradimenti, un luogo dell’ infanzia e della memoria in cui crescere, un malessere sfociato in una violenza inarginabile, un’ implosione funesta, e sentirsi una giovane donna a metà, spezzata, opaca, contenuta da sempre, a lungo anestetizzata nei sentimenti, con una scarsa autostima, in un posto che non sa tenere i segreti, nascondere la morte, occultare il dolore.
Una donna che non ha fatto altro che studiare e scrivere, annotando scrupolosamente il proprio sapere, senza uno sbocco professionale, già vecchia, ignorata nelle proprie opinioni e nelle decisioni importanti, mentre la propria madre rimane la stessa dell’ infanzia e lei un giorno, sarà costretta a tornare in un luogo estraneo.
È allora che incrocia lo sguardo della bambina che fu e che ancora le sussurra qualcosa, e comincia un racconto tra finzione e realtà, fotogrammi del passato, in una casa riadattata, scorrendo con i pensieri quel luogo prosciugato dalla città, entrando tra i vicoli della propria memoria, in un angolo zeppo di ricordi, e c’è un volto amico che le manca all’ interno della magia del lago.
Un romanzo ben scritto, personaggi ben delineati, caratteri crudelmente esposti, ma eccedente nella propria continua sofferta linearità. Quel sentimento di rabbia e di dolore che accompagna l’ intero racconto finisce per limitarlo e infragilirlo, ben oltre la propria ribadita essenza.
In quel mentre tutto pare annebbiarsi, perdere vigore e vitalità, appiattendone e ripetendone toni e contenuti, mentre le proprie manchevolezze assumono i colori sbiaditi di un’ assenza protratta.

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silvia71 Opinione inserita da silvia71    08 Agosto, 2021
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LA PERIFERIA DEL CUORE

La vita di Gaia è un'eterna strada in salita, un percorso ad ostacoli imposto dall'essere nata in un nucleo familiare schiacciato da difficoltà economiche che ne condizionano l'esistenza.
Una mamma simbolo di caparbietà che lotta ogni giorno per la sopravvivenza della famiglia, perchè la vita non le ha fatto sconti.
Un padre disabile che si spegne ogni giorno di più come un moccolo lasciato acceso troppo a lungo, sfibrato e silente.
Tre fratelli chiamati a condividere le stesse privazioni, difficoltà e angustie.

Sulla storia principale si innestano tante altre storie, per dare vita ad un microcosmo sociale che parla di disagio, emarginazione, ribellione e cadute.
Un racconto dove troneggia il dettaglio, degli ambienti, del vestiario, dei cibi consumati, degli usi e costumi a cavallo tra il novanta e il duemila, per dare vita ad un quadro esaustivo di contemporaneità. Facile per il lettore specchiarsi e ritrovarsi nello spaccato sociale che emerge nitido e realistico dalle pagine.

L'elemento fantasioso sembra assente dal telaio narrativo, sembra più verosimile e percepibile che l'autrice abbia attinto a piene mani da situazioni conosciute, di cui ha modellato volti ed eventi ma senza snaturarne le anime.
Cuori alla deriva, talora aggressivi talora sottomessi.

Un romanzo di contenuti, una scatola che ne racchiude molte altre, una voce narrante che coinvolge ed incalza il pubblico a completare il cammino insieme a lei.
Questa non è una storia di redenzione e non se ne percepisce l'intento da parte dell'autrice; è una storia il cui peso specifico è importante nella formazione di chi scrive, come un tatuaggio sulla pelle.

Un'autrice giovane anagraficamente e nel modus di scrittura, una penna che segue il flusso del pensiero in maniera rapida con un'esposizione immediata seppure con occhio attento al particolare descrittivo ed emotivo.

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Chiara77 Opinione inserita da Chiara77    31 Luglio, 2021
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Una mancata evoluzione

Giulia Caminito ci consegna un romanzo dalla scrittura potente, dallo stile coinvolgente e particolare.
Fin dalle prime pagine si viene catturati dalla forte espressività della prosa che ci narra la storia di una bambina nata in una famiglia povera, a Roma. L’io narrante è quello della protagonista, della quale conosceremo il nome soltanto verso la fine del romanzo -fra l’altro senza dubbio un nome-ossimoro rispetto alla personalità della ragazza-.
La voce della giovane racconta della sua vita, all’inizio, com’è naturale, in seno alla famiglia, in cui emerge la figura carismatica della madre, Antonia, e in seguito del suo personale percorso di formazione e crescita dalla tarda infanzia al periodo della maturità nell’età adulta. Questa vita scorre in un contesto oggettivamente difficile, soprattutto dal punto di vista economico. Il padre infatti, dopo un grave incidente sul lavoro è rimasto paralizzato: poiché stava lavorando in nero però non ha diritto a nessun tipo di sussidio economico. La famiglia è composta, oltre che dai genitori e dalla protagonista, da un fratello più grande, nato da una precedente relazione della madre e da due gemelli più piccoli. Il comune tarda ad assegnare loro un luogo dignitoso dove vivere e Antonia lotta con tutte le sue armi e le sue forze per ottenerlo e per mantenere con il suo lavoro, anche in questo caso precario e non regolarizzato, tutta la famiglia. Sarà necessario spostarsi da Roma in un paesino in provincia, sul lago di Bracciano, per avere l’illusione di partecipare ad una vita regolare e dignitosa.
Il romanzo si dispiega sugli anni della crescita della protagonista; lei viene spesso messa a dura prova dalla realtà dei fatti e reagisce sempre con cattiveria, impara a difendersi con violenza, reagisce al dolore con aggressività. Diventa la possibilità del riscatto sociale della sua famiglia perché studia con profitto nelle migliori scuole in città, a Roma. Frequenta le stesse lezioni dei ricchi e con risultati migliori a livello di voti. Lo studio però non è presentato nel romanzo come un mezzo di crescita personale, di acquisizione di strumenti critici per osservare la realtà. Non diventa mai una lente che permette di mettere a fuoco valori e prospettive. Al contrario lo studiare della protagonista è mostrato come un atto meccanico che non le fa ottenere niente altro che ottimi voti. E quando la professoressa di italiano del liceo le consiglia, in modo offensivo e fortemente denigratorio, di intraprendere degli studi che le permettano di lavorare e guadagnare presto, vista la sua condizione sociale, la ragazza decide per ripicca di scegliere la facoltà di Filosofia. Continua così con il metodo collaudato e meccanico di uno studio sterile, che non le dà niente in profondità ma le fa macinare esami, rifiutando però, con orgoglioso sdegno, di inserire nel piano di studi quegli esami che le avrebbero permesso di lavorare come insegnante nelle scuole.
Emerge da questo romanzo la grande rabbia della protagonista nei confronti della sua vita e della società. E’ una rabbia però a cui non corrisponde mai un reale desiderio di riscatto: sì, lei reagisce ai soprusi con determinazione, con violenza, con cattiveria, ma è una reazione che tende essenzialmente a distruggere e non a costruire. Si potrebbe pensare ad una evoluzione mancata, una implosione, che lascia nel lettore una sensazione di inquietudine e smarrimento.
Un buon romanzo nel complesso, di cui ho apprezzato particolarmente lo stile.

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archeomari Opinione inserita da archeomari    30 Luglio, 2021
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Un libro amaro

L'autrice ci ha messo in guardia col titolo, in effetti è così: si tratta di una storia fondamentalmente dura ed amara, scritta in uno stile asciutto e tagliente.

È una storia che parla di povertà, di case in assegnazione, di una famiglia sgangherata, di un fratello maggiore figlio di un altro uomo, di due gemelli, di un padre in sedia a rotelle, ridotto allo stato larvale, di una figura materna forte, caparbia e assertiva.
L’io narrante è una ragazza che vedremo prima bambina poi adolescente e adulta fino alla laurea. Un romanzo di formazione? Più che altro di distruzione, direi.
La protagonista sembra particolarmente portata a distruggere con la rabbia, dovuta a un intimo senso di emarginazione nella cerchia dei pari, quei pochi rapporti positivi che potrebbe coltivare, in primis l’amicizia di Iris.
Mentre la madre, di cui conosciamo il nome da subito, dalle prima battute del libro, - Antonia Colombo, detta poi La Rossa, per via della sua capigliatura- si dimostra un personaggio forte, dominante, che fa rigare tutti dritto in casa e non solo, la figura paterna è giusto un abbozzo, un’ombra.
Nella prima parte del libro si affaccia spesso anche la figura del fratello maggiore, Mariano, per poi scomparire nella seconda parte.
Della protagonista, io narrante, conosceremo il nome solo alla fine, citato una sola volta. Gaia. La figlia di Antonia la Rossa, così viene riconosciuta ad Anguillara Sabazia, luogo in cui il romanzo si ambienta. È una ragazza che non riesce a vivere le amicizie spontaneamente, si vergogna delle sue origini, della sua famiglia, della sua casa stretta e così non invita mai nessun’amica a fare i compiti da lei.

“Noi non abbiamo i cellulari, non abbiamo la televisione, non abbiamo un computer, noi senza mezzi, senza possibilità di comunicazione, chiusi nel passato di un mondo che sta correndo al galoppo, ci sorpassa, ci schiaccia sotto i suoi zoccoli duri”.

E lei non è una povera vittima innocente dei bulli della scuola, delle amiche che le hanno portato via il ragazzo: dentro lei cova una rabbia così forte da straniare talvolta il lettore. È capace di fare del male, di picchiare, anche di ammazzare (ma non succederà) per cieca vendetta. Come lei stessa dice neppure le amiche la conoscono bene e non sono in grado di concepire la portata “ dei miei momenti schizoidi, delle mie imprevedibili ma cadenzate reazioni esagerate”.

E il lago? Il lago è sempre sullo sfondo, onnipresente quasi in ogni capitolo. È il lago di Bracciano con le sue credenze, i suoi miti, il suo presepe subacqueo. È un elemento positivo della storia, ma non fino in fondo “molto tempo fa era un vulcano, perché questo è il nostro lago: il risultato di una implosione”.

Implosione. Anche nella protagonista si verificano delle implosioni di rabbia, è una supernova che fa terra bruciata. Una violenza insensata che a lungo andare non piace al lettore.

Del libro mi è piaciuta la prima parte, infatti, è stata molto coinvolgente: bello l’intro con la presentazione della madre, che la protagonista nel libro chiama sempre Antonia. Una donna che lotta, che sa quello che vuole, che lavora in casa instancabilmente, che pulisce, che educa i figli al rispetto delle persone e delle cose. Mi è piaciuta anche la parte relativa ai primi episodi di bullismo vissuti da Gaia (e diciamolo!), ma poi i personaggi che sono entrati nella sua vita non hanno lasciato niente, mi sono sembrati tutti delle ombre. La seconda parte mi ha coinvolta sempre meno, ho notato un sottotono che mi ha lasciata un po’ delusa, inoltre alcune situazioni e alcune persone anche (Cristiano ad esempio) mi sono parse poco verosimili, ho notato un calo generale.

Lo stile della Caminito è asciutto, secco, con passaggi molto concitati. La parte narrativa-descrittiva lascia spazio ad ampi flussi di coscienza, fiumi in piena ed elenchi di cose. I dialoghi non vengono evidenziati coi canonici segni di interpunzione, ma vengono interamente travolti da un unico fluire narrativo.

Consigliato.

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Mian88 Opinione inserita da Mian88    19 Luglio, 2021
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Madre e figlia

«Se non sai come vengono indicati i luoghi porti la colpa dell’essere straniero, il figlio di nessuno, loro non sanno chi voterai alle elezioni, chi è il tuo medico di famiglia, che carro costruirai per Carnevale e se friggi latterini alla Sagra del pesce, non sanno come chiederti favori quindi non vogliono fartene, alla posta non ti salutano, dal macellaio ignorano se dici che è il tuo turno, perché è sempre, in ogni caso, il turno loro.»

Giulia Caminito approda in libreria, dopo “La Grande A” e ”Un giorno verrà”, con “L’acqua del lago non è mai dolce”, opera finalista al Premio Strega 2021 nonché selezionata al Premio Campiello dalla giuria dei lettori. Lo scritto si presenta sin dalle prime pagine ben strutturato a livello di forma essendo avvalorato da una penna che è in grado di condurre e che non fatica a proporre i suoi personaggi e le vicende che li riguardano. Prima di tutto conosciamo la giovane eroina di queste pagine, figlia di Antonia, madre ingombrante come personalità e autorità e di un padre che ha perso l’uso delle gambe a causa di un incidente sul lavoro, sorella di Mariano, fratello maggiore con cui condivide solo il sangue materno, e di due gemelli figli di entrambi i suoi genitori. Di fatto è sulla giovane donna che vengono riversate le aspettative e speranze di una famiglia che ben poco ha e che cerca dalla vita quel riscatto che mai sembra arrivare e che si traduce quando in una guerra politica sempre più infranta dall’assenza di valori nella società e dalla ricerca di una casa che è proprio quello Stato a negare e concedere a proprio piacimento.
E Gaia, questo il suo nome, impara, cresce, studia. Perché è l’unica donna, perché deve crearsi un futuro, perché è su di lei che si abbattono tutti i sogni della madre. Perché è su di lei che si concentra l’attenzione dopo che lo stesso fratello maggiore viene cacciato di casa per aver partecipato a un qualcosa che è entrato a far parte della nostra storia quotidiana ma della quale non conosce la portata. Chi mai, al tempo, avrebbe potuto conoscere di ciò? Scoprire degli effetti che questa ha avuto nel tempo prossimo e nel più remoto futuro?
La studentessa deve reagire però in qualche modo. Non può opporsi ai dettati imposti dalla figura materna, non può che esserne soggiogata. Si difende allora innalzando una barriera impenetrabile che la rende inarrivabile e mai feribile. I colpi che la vita riserba non possono scalfire la sua corazza, non possono piombare nel suo io più profondo. Anche quando perde i legami più cari, anche quando l’amicizia la fa soffrire, anche quando l’amore la delude: lei non può andare in pezzi.

«Io e Mariano annuimmo, eravamo fatte di briciole, eravamo bambini, eravamo senza giochi e senza casa, ma eravamo attenti.»

Un titolo, quello proposto dalla Caminito, che si prefigge di trattare tanti temi importanti che vanno dalla famiglia, ai legami madre-figlia, al riscatto sociale, alla ricerca di se stessi, al desiderio di raggiungere i propri obiettivi, alla speranza di poter trovare il proprio posto nel mondo e molto altro ancora. Tuttavia, lo scritto procede senza mai davvero trovare la propria essenza. Il lettore procede nella riscoperta, si interroga, comprende ove la scrittrice voglia arrivare ma resta con un senso di insoddisfazione e di mancato completo appagamento. Il titolo non decolla davvero, giunto alla metà ci si aspetta uno smacco, uno smacco che non arriva. L’impressione è che questo ruoti e si arrovelli su se stesso, quasi perdendo il proprio nord.
Il risultato è quello di un “buon compito scritto”, un tema ben riuscito ma che tale resta difettando di quel quid in più atto a renderlo una storia completa, emozionante, coinvolgente. Ed è un peccato perché i presupposti per riuscire vi erano tutti.

«Dille di non sporgersi troppo, prima deve cercare il suo equilibrio, essere padrona del proprio peso, quella sotto di voi è l’acqua di gennaio, di aprile, di agosto, l’acqua di quando guardavi la superficie e cercavi il riflesso di Cristo, è la prova che hai macinato questi chilometri solo per un tuffo, chiudi gli occhi e dille di fare lo stesso, poi grida: Il lago è una parola magica. È solo dopo aver urlato che tu e Iris avete il coraggio di saltare.»

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topodibiblioteca Opinione inserita da topodibiblioteca    15 Luglio, 2021
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Tre personagge

Diverse volte durante la lettura mi sono chiesto cosa e quanto ci fosse di autobiografico in questo romanzo rientrante nella cinquina finale del Premio Strega 2021. E la risposta alla mia domanda la fornisce direttamente l’autrice nella nota finale al libro: “Questa non è una biografia, né una autobiografia, né una autofiction, questa è una storia che ha ingoiato frammenti di tante vite per provare a farne una narrazione”.

Le vite attorno alle quali si costruisce tutta la vicenda sono sostanzialmente tre. Antonia, la madre “padrona” della famiglia, l’autorità che decide le sorti di figli e marito, dotata di una forza e di un carisma inarrivabili e che fin dalla prima pagina viene presentata con una “valigetta di pelle nera stretta nella mano sinistra, si è fatta da sola la piega ai capelli, ha usato bigodini e lacca, ha gonfiato la frangetta con la spazzola, ha occhi verdi e gialli e tacchetti da cresima, lei entra e la stanza si fa piccola”. La seconda è Iris, l’amica di Gaia la protagonista, presenza che accompagna e affianca Gaia lungo l’intero arco della narrazione, “l’amica del cuore”, figura tipica soprattutto nel periodo adolescenziale. Ed infine appunto Gaia, la narratrice in prima persona tratteggiata sulla figura della scrittrice, “eroina” di un romanzo di formazione in cui si evidenziano tutte quelle tappe fondamentali della vita che hanno a che fare con il rapporto in famiglia (spesso problematico), la scuola ed i compagni di classe, l’amicizia, l’amore, il tradimento ed anche il dolore per la perdita di una vita importante. Nel titolo e nei comportamenti di Gaia si svela dunque il contenuto del romanzo perché l’acqua del lago (di Bolsena, dove è ambientata gran parte della storia) non è dolce come si crede (“Dicono acqua dolce, ma è una bugia. Questa acqua ha il sapore della benzina, quando avvicini l’accendino prende fuoco”), e diventa metafora della fatica di crescere, di quegli schiaffi in faccia presi dalla vita che progressivamente forgeranno la personalità ed il carattere di Gaia donandole però una nuova consapevolezza: “I miei pensieri fanno crescere voglia di guerra e di vendetta, è finito il tempo in cui ero indifesa, ho capito parecchie cose ormai: so sparare, so picchiare, so maltrattare e so prendere a baci”.

“L’acqua del lago non è mai dolce” è un romanzo che si nota innanzitutto per l’accuratezza nello stile, nella scelta delle parole e per la particolarità nell’usare frequentemente lunghi elenchi di parole, frasi, riflessioni che hanno il pregio di rafforzare certi concetti. Anche la storia allo stesso tempo presenta contenuti importanti, che pescano dall’attualità dei giorni nostri, evidenziando tematiche quali l’assegnazione degli alloggi popolari, il lavoro nero e gli infortuni sul lavoro. Tutto questo ha un valore aggiunto superiore considerata anche la giovane età dell’autrice che mette in scena un romanzo decisamente al femminile con al centro “tre personagge”, proprio come scrive lei stessa nella nota conclusiva. Quello che, forse, difetta invece è proprio questa perfezione di stile e contenuti che a tratti risulta un po’ artificiale e non arriva sempre al cuore del lettore, facendo pensare ad un libro confezionato anche per emergere in un premio letterario e che a mio avviso abbassa leggermente la valutazione complessiva.

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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    08 Giugno, 2021
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Donne in cerca di guai

Alla nascita tutti noi lasciamo il rassicurante liquido amniotico in cui ci siamo beatamente crogiolati per nove mesi, per tuffarci in un altro fluido, il gran mare della vita, acque molto più tribolate, in verità.
Iniziamo sorpresi, tant’è che la nostra prima azione riflessa è il pianto, e annaspiamo, inghiottiamo l’aria che ci brucia i polmoni, così come l’acqua salata soffoca il naufrago.
Ci assale il panico, poi l’istinto si fa sentire prepotente, reagiamo, iniziamo a galleggiare, pian piano prendiamo confidenza con il nostro nuovo habitat, e soprattutto con la nostra nuova condizione, che ci vuole inetti fin quando non iniziamo a nuotare da soli in piena autonomia.
Per giungere all’autodecisione, serve un passaggio obbligato, necessita chi ci insegna a nuotare bene.
Colui che ti insegna ti plasma, inutile girarci intorno, come ci insegna così ci influenza, passiamo da liquido a liquido, ma è tutto qui, poi è dove vieni immerso e come ti educano a gestire l’immersione che ti condiziona l’esistenza.
Ciascuno a suo modo, quindi: dipende da vari parametri.
Per prima cosa, è questione di istruttori, di chi ci indica i movimenti giusti, quelli specifici, articolati, che sono anche i più fluidi, ci insegna le tecniche natatorie migliori, quelle più adatte ai diversi tipi di correnti che ci capiterà di incontrare nel gran viaggio esistenziale.
Magari ci fornisce pinne, canotti, barche, panfili per navigare: in un modo o nell’altro ci vengono fornite opzioni e strumenti sul come stare a galla in ogni circostanza, con la testa fuori dall’acqua, respiro sincrono e profondo tra una bracciata e l’altra.
I nostri educatori ci guidano ad interagire, nel modo che loro ritengono più giusto, con gli altri frequentatori del nostro elemento, sospingendoci verso alcuni e non altri, suggerendo e suggestionando le nostre scelte, fanno il loro meglio per renderci abili nell’intrecciare legami, alleanze, rapporti di vario genere, e sfuggire ai predatori ed alle insidie.
In base non tanto a quello che è più etico, equo, idoneo, ma a quanto a loro appare tale, secondo il proprio vissuto.
Che non è però geneticamente trasmissibile, e non necessariamente l’ideale.
Vivere è sinonimo di navigare nel gran mare dell’esistenza, non è solo una metafora.
Navigare nel mare, si badi bene, che ha una concentrazione salina pari a quella del liquido amniotico.
Ben diverso, del tutto differente, è trovarsi a nuotare nelle acque del lago.
Più di quella dei fiumi e delle sorgenti, l’acqua del lago non è affatto un’acqua dolce, semmai è un’acqua pesante, infida, invischiante, e nuotarci, sguazzare, essere costretti a vivere in quella, non è affatto facile.
È difficile, faticoso, rischioso, non gratifica e meno che mai ti senti come nel liquido natale.
Ti muovi a fatica, a tentoni, procedendo poco alla volta; con attenzione e diffidenza, dietro un aspetto placido, nel lago si nasconde un habitat fangoso, avvinghiante, predatore, comunque scomodo e disagevole, l’acqua del lago non è mai dolce, è più spesso amara, ardua e impegnativa, talora cattiva.
In estrema sintesi, questo è il tema duro, rabbioso, amaro, tutt’altro che dolce del romanzo “L’acqua del lago non è mai dolce” di Giulia Caminito, scrittrice affatto esordiente, ha dei trascorsi interessanti, ma che qui si presenta al suo meglio, uno step superiore, un libro che comprova il pervenire ad una maturità piena, intensa, compiuta.
Una bella lettura, una storia ben costruita e realizzata, con un linguaggio asciutto, mai dolce, semmai acre. Uno stile di scrittura particolare, a periodi lunghi, con elenchi, pensieri a ruota libera, fiumane di parole che però restano, impregnano il lettore, costringendolo a riflettere.
Le acque dense faticano ad evaporargli da dosso, restano.
Non sono acque dolci, non è come al mare, dove appena esci dall’acqua e ti sdrai sulla riva, già inizi ad asciugarti: qui ti immergi nella lettura, fatichi a riemergere, ti senti preso dalla storia e soprattutto dalla protagonista, che malgrado un nome beneaugurante, non ha un’esistenza facile; e però per un lettore, una lettura così intrigante, che ti coinvolge, è quanto ogni buon lettore richiede, è un’esperienza positiva, lieta, gaia.
Gaia è il nome della protagonista, una giovane che vorrebbe il mare ed invece per i casi della vita ha il lago come scenario della sua difficile esistenza, come ostica è stata la vita anche per la propria madre Antonia.
Il lago è così, ci sono i laghi idilliaci come quelli alpini, chiari e trasparenti, e quelli dalle acque torbide, come quello di Bracciano, per esempio.
Anche se non per tutti il lago è necessariamente dannoso:
“… cosa accade se in un lago butti insieme una persona buona e una cattiva, qualcosa si contamina, qualcosa viene sciacquato via, qualcosa si mescola e s’assorbe…”
Questa sembra una storia di crescita, il racconto di un rapporto madre - figlia, ma direi invece che è un di più, non è solo questo, almeno.
La madre, Antonia, è una donna disincantata, fortemente delusa dell’esistenza, che l’ha costretta ad una gravidanza da giovanissima, con tutti gli orpelli che questo significa per certi tempi, certi ambienti, certe difficili condizioni lavorative.
Non si perde d’animo, è encomiabile per determinazione, lealtà, capacità di sacrificio ed impegno, ma ancora una volta i suoi sforzi e le sue speranze non le arrecano alcun frutto, dopo essersi illusa ancora una volta di essersi costruita finalmente una vita normale per quanto modesta, a suo modo di vedere a misura di mulino bianco, con un altro uomo e altri figli, tra cui Gaia.
La vita le riserva evidentemente solo burrasche in mare aperto anziché porti sicuri, sbaglia sempre rotta anche se incolpevolmente, ancora una volta la brutalità dell’esistenza che si accanisce più spesso contro gli ultimi le presenta crudelmente un conto salato, quasi che il dio Nettuno godesse nell’accanirsi particolarmente con i più meschini, scacciandoli dal mare: come in effetti accade nella realtà, spesso, se non sempre.
Il nuovo marito di Antonia perde le gambe in un incidente sul lavoro, una delle tante frequenti disgrazie nel crudele mondo dell’edilizia, e per di più resta un disabile privo di qualsiasi supporto sociale, poiché era uno dei tanti, troppi, sfruttati in nero, senza assicurazione e garanzie.
Altro non resta alla famiglia che traslocare altrove, fuori Roma, sfuggire alla miseria incombente inseguendo per sopravvivere un sito meno oneroso, trovandolo ad Anguillara Sabazia, sul lago di Bracciano. Un lago, non il mare.
Antonia prova a salarne le acque, prova a crescere Gaia secondo la sua tenacia ed i suoi intendimenti, ad inculcare valori e sacrifici, l’amore per lo studio, la rinuncia a cellulare, televisore, capelli lunghi e curati, modernità, piacevolezze dell’esistenza varie, vuole ad esempio, giusto per capirci, che lo studio, ed i sacrifici che comporta, riscattino lei e la figlia:
“Leggeremo insieme se non capirai, studierò con te, ce la dobbiamo fare, ce la dobbiamo fare per forza”.
La donna non capisce che è la sua rabbia, non quella della figlia, commette l’errore madornale di non capire che non basta insaporire le proprie aspirazioni per renderle gradite anche agli altri, alla propria figlia, semplicemente la carica di pesi e aspirazioni che sono suoi, non della giovane, nessuno è necessariamente uguale a chi lo ha generato.
La giovane non può accettare supinamente la propria insoddisfacente condizione sociale senza una reazione sua, normale dopo tanta costrizione, restituisce una risposta personale cruda, dura, esasperata, non ha maturità e strumenti per gestire le difficoltà accettandole supinamente senza un riscontro emotivo di pari crudezza, come è logico che sia.
Perciò questo non è un racconto di crescita o di rapporto complesso tra madre e figlia, tutt’altro, è invece una critica dei tempi, della morale consumistica e della società che vanta assoluta mancanza di etica, che vuol dire assenza completa a tutti i livelli di protezione, assistenza e supporto a tutti i livelli del vivere civile per gli ultimi, i più fragili, gli esposti, i deboli e gli indifesi.
Perciò Gaia reagisce a suo modo, per esempio non è che non studia per ribellione, affatto, ma studia Filosofia, un indirizzo di studi che richiede un iter professionale lungo e produttivo molto oltre un tempo utile a breve. Una crudele, e sottile, forma di rivalsa nei confronti della madre, cui seguono altre reazioni meno sottili ma ugualmente amare, per quanto prevedibili o scontate.
L’esistenza di Antonia prima, e di Gaia poi, affonda, ma non perché c'è acqua intorno a loro, vanno a fondo solo quando l'acqua entra in loro.
Devono agire diversamente, non permettere che le cose che accadono intorno a loro entrino in loro e le facciano affondare. Non è un caso che le acque del lago siano diverse, mai dolci, definirle così è una presa in giro, un ossimoro crudele, lo capisce perfettamente Gaia, lo sa seppure inconsapevolmente anche Antonia, sono donne in cerca di guai in una realtà dove il lago è un luogo di detenzione per i non allineati alla morale corrente, dove relegare gli anarchici, i diversi, quelli che restano indietro, come in effetti avviene.
Complimenti a Giulia Caminito, ha scritto un bel romanzo, toccante e reale, attuale, moderno, e senza lieto fine, come è giusto che sia: dopotutto, l’acqua scura del lago è densa e scura come un caffè amaro, amaro come la vita.

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Antonella76 Opinione inserita da Antonella76    28 Aprile, 2021
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La rabbia soffocata degli ultimi...

"...ERAVAMO FATTI A BRICIOLE, ERAVAMO BAMBINI, ERAVAMO SENZA GIOCHI E SENZA CASA, MA ERAVAMO ATTENTI."

Sono ormai tre giorni che ho finito questo libro, e ancora non riesco a trovare le parole giuste per esprimere quello che questa lettura mi ha dato.
È una storia potente, che mi ha lasciato dentro tanti pensieri, tante riflessioni e sentimenti, ma è come se non riuscissi a metterli nero su bianco, forse perché sono ancora lì che vorticano...

Non riesco a lasciar andare le due figure femminili che abitano queste pagine, che cercano in ogni modo di rimanere a galla, di trovare il loro posto (e non solo metaforico) in un mondo che le vuole emarginare, che cercano un riscatto che forse non arriverà mai... e intanto l'infelicità si annida negli angoli più bui, la rabbia ribolle in fondo allo stomaco e cerca la strada per venire fuori.

"La mia rabbia è stesa sulla terrazza, prende il sole e fa smorfie, striscia tra le ombre e si affaccia alle spalle dei presenti, la mia collera è cruda, è viva...
[...] La mia ira è sproporzionata, ha gambe lunghissime, orecchie piccole e docili, piedi corti e pelosi."

Una madre che non si arrende, che combatte, arranca, lotta per la giustizia e crede nel bene comune, una madre che domina e ingombra, che non accarezza e pretende, la cui ala protettiva si espande prepotentemente e finisce per soffocare.
La vita l'ha indurita, le ha inspessito la pelle, le ha insegnato a fare a meno di tutto, tranne che di un tetto sopra la testa.
E quello cercherà, per tutta la vita.

Una figlia che nasce nella privazione, che si adatta ai 20mq da dividere in sei, senza giocattoli, senza tv, senza niente.
Cresce cercando una rivalsa non sua, senza mai lamentarsi, spingendo giù ogni dolore, soffocando il risentimento, studiando tanto, leggendo i libri giusti, tuffandosi senza paura nell'acqua torbida e scura, sparando con precisione i bersagli, spaccando ginocchia ai prepotenti, affogando i traditori, accendendo fiammiferi, prendendo e difendendo ciò che ritiene sia suo, amando senza sapere cosa sia l'amore, piangendo l'amicizia perduta...
Una ragazza che vorrebbe trovare se stessa, ma rimane sempre impigliata nell'ombra di sua madre.

"Penso che siamo materiali di scarto, carte inutili in un gioco complicato, biglie scheggiate che non rotolano più.
Siamo a terra, come mio padre, caduto da una impalcatura inadeguata, in un cantiere illegale, senza contratto e senza assicurazione e da laggiù, dal punto in cui siamo precipitati, vediamo gli altri mettersi al collo collane di gemme."

Due figure femminile che ami e che odi, che vorresti abbracciare e prendere a schiaffi, perché portano dentro di sé tutto il disagio degli ultimi, i poveri, e tutto il cinismo e l'arroganza di chi si sente (giustamente) in credito con la vita.
Ma non ci sono solo loro in questa storia: c'è un marito/padre che in un attimo perde tutto, e rimane fermo, inchiodato su una sedia, inchiodato in un rapporto che lo vede sempre secondo, laterale, senza voce.
Poi c'è un figlio che non è suo figlio, ma con cui si evolverà uno strano rapporto di odio/amore.
Un ragazzo caparbio, anarchico, l'unico in grado di sottrarsi al dominio materno, divenendo punto di equilibrio per tutti gli altri.
E poi c'è il lago, così vivido, così magico e così spettrale, così protagonista da riuscire a sentirne anche l'odore.
Tutto ispirato a vita vissuta...

Giulia Caminito, dov'eri? Dove ti nascondevi? Perché io ti scopro solo adesso?
Per me entri, di diritto, nell'olimpo delle grandi scrittrici italiane contemporanee.
La tua scrittura è bellezza autentica!

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