La vita accanto
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La vera bellezza
Ho sempre scartato questo romanzo perchè l'incipit mi respingeva. Invece devo dire che mi è piciuto molto, anche se ci sono dei difetti che avrebbero potuto essere corretti da una revisione migliore. La cosa che mi ha infastidito un po', è la quantità di pagine sprecate a descrivere l'aspetto e la bruttezza di Rebecca che ho trovato fuorvianti. Forse sarebbe bastato l'accenno delle primissime pagine senza starci a insistere tanto. Invece ho apprezzato la scrittura e la profondità dei dialoghi, la competenza musicale. Mi sembra che l'umanità dell'autrice esca dalle pagine indipendentemente dal loro ingranaggio imperfetto creando una sensazione di calore che manca nella maggior parte dei romanzi che sono per lo più costruzioni a tavolino di bravi ingegneri di parole. L''autrice regala al lettore qualcosa di più personale di una costruzione arhitettonica perfetta e soprattutto di più originale. Nel libro c'è il suo modo di vedere il mondo profondo, solidale e anticonvenzionale. Si capisce anche la sua passione per la bellezza in tutte le sue declinazioni, in particolare il suo legame profondo con la musica. Perciò anche se la storia appare debole in alcuni punti, in realtà è migliore di storie a maggior tenuta. E' un romanzo che lascia il segno.
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Lavanda e margherite bianche
“ La vita accanto” non e’ il romanzo di una bambina nel mondo, ma dell’impatto cosi’ drastico e crudele che il mondo ha su una creatura.
Ogni volta che la piccola Beatrice riempie le pagine con le umiliazioni inferte dagli estranei e l’isolamento imposto dalla famiglia, la pelle mi si gela ustionandosi di freddo come se camminassi svestita in un dicembre alle Svalbard.
Un’esistenza fragile, occultata, le cui doti si riversano sulle piccole belle mani che scivolano sui tasti del pianoforte e non sanno suonare melodie prive di dolore. La tenda chiara e leggera si muove al ritmo del vento d’autunno nell’antico palazzo sul fiume, come se la vita volesse soffiare senza paura nella stanza della bambina brutta, portando gli odori di quel mondo distante e proibito.
Poi per contrasto e in supporto le pagine si impregnano di Lucilla, che non e’ poi tanto bella, ma amata e forgiata nel coraggio .
La pelle mi si intiepidisce, dorata da un sussurro di questa mimosa di primavera che invita anche i boccioli diversi a rinascere dopo l’inverno.
Un romanzo breve ma intenso, malinconica compagnia di emozioni truci e spiragli di redenzione, ho amato i suoi attori e quell’ardore letterario con cui certi autori riescono a rendere i dettagli ed i luoghi pregni di vita e di vitalita’. E’ un libro infinitamente triste che narra la solitudine di una donna storpiata nell’aspetto, eppure mi ha lasciato solo il profumo corroborante di scorci di bellezza.
Buona lettura.
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LA VITA ACCANTO ALLA DISUMANITÀ
LA VITA ACCANTO
"La vita accanto" è la storia di Rebecca, una bambina brutta, nessun handicap fisico ne mentale, semplicemente brutta, bruttissima.
Il racconto, che narra le vicende dalla nascita della bambina fino all' adolescenza, parla di una madre depressa che ha letteralmente abbandonato la figlia, di un padre debole ed evanescente e soprattutto di una società cinica e spietata, incapace di andare oltre l' aspetto esteriore e capace di cattiverie psicologiche brutali.
Parla di una famiglia incapace di combattere tutto ciò poiché anello della catena stessa con cui è ghermita. Parla di una bambina che imparerà a conoscere ed evitare il mondo, a non domandare ne pretendere nulla. Uniche persone che dimostrino affetto nei suoi confronti sembrano la zia Erminia e Maddalena, la bambinaia/governante, che cercheranno a loro modo di compensare tutte le mancanze della società e della famiglia.
Rebecca ha un dono, quello della musica e proprio grazie ad esso riuscirà a superare la drammaticità della vita, il glaciale distacco familiare ed il malcelato disprezzo della società. Per giungere così, a comprendere che non tutto quel che appariva agli occhi di una bambina corrispondeva alla realtà delle cose.
Il finale, con un riscatto professionale e solo in parte personale, non può derimere le colpe di una società bieca ed incapace di guardare al di là del proprio benessere personale. Un mondo piccolo, ignorante ed impaurito che non può assolutamente accettare Rebecca perché significherebbe incrinare tutti i dettami di una società medio borghese legata all' apparire e profondamente egoista, che oggi penseremmo o avremmo la presunzione di avere superato, con la quale dobbiamo fare ancora i conti.
Un libro brutale per la cattiveria che a tratti dimostra. Che lascia intravedere un futuro possibile, ma imprescindibile dal dono della musica che appare indispensabile. La sconfitta dell' umanità appare evidente in questo libro, le singolarità di amore e speranza non possono sovrastare la degenerazione umana generale descritta nel libro.
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Una vicenda interiormente intricata
L’autrice, Vicentina, è attualmente dirigente scolastica a Rovereto, avendo conseguito la laurea in filosofia e teologia. Con questo libro è stata finalista del Premio Strega nel 2011.
La matrice cattolico-teologica risulta a prima vista dal linguaggio, ma poi si dissolve in una vicenda piuttosto intrigante: la storia di una donna brutta, ma proprio brutta, tanto da risultare imbarazzante per i suoi familiari e isolata dai suoi compagni di scuola. Solo la zia, prima, e una compagna, poi, si curano di lei; mentre la madre, che dopo la sua nascita è piombata in una crisi depressiva senza sbocco, finisce per suicidarsi. Malgrado questo e malgrado subisca a scuola un pesante atto di bullismo dai compagni, la storia della giovane ha una svolta quando comincia a mettere in pratica le sue eccezionali doti musicali, che le consentono di diventare ricca e famosa. Grazie al suo maestro di musica conosce una signora anziana, apparentemente malata di Alzheimer, ma in realtà pienamente consapevole di sé e degli altri, che la mette sulla strada della scoperta del mistero che sta dietro alla morte della madre, liberandola anche dall’angoscia di essere stata lei la causa della sua malattia. Inoltre, anche l’aspetto cambia: grazie a delle cure di chirurgia plastica riesce a migliorare anche il suo aspetto fisico.
Un lieto fine di una vicenda interiormente intricata e perciò avvincente.
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Rebecca e la sua voglia di invisibilità
Una bambina brutta vive con prudenza, cercando comportamenti che non aggiungano disturbo a quello che già viene dal proprio aspetto.
Questa in breve è la storia di Rebecca, bambina nata brutta, talmente brutta che la madre non l'ha mai presa in braccio ed il padre non è mai stato molto presente. La sua più grande ancora di salvezza diventa la musica, quando suona il pianoforte Rebecca diventa un'altra.
La vita accanto ci porta in un Italia che vive di pregiudizi, ignorante e poco sensibile. Una bambina costretta a vivere senza affetto, in una casa in cui "le parole sono piatte come quelle scritte sul vocabolario". Una bambina che di certo non è figlia di Dio.
Il libro è molto breve, il tema trattato non molto semplice; la Veladiano va a toccare argomenti molto intensi andando anche oltre la realtà.
Lo consiglio.
Buona lettura!
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Il mio silenzio è la tua salvezza.. Si può uscire
"La musica afferrò la mia vita. La consapevolezza tutta nuova che ci si aspettava qualcosa da me riempiva i miei giorni di sentimenti che non conoscevo e che prendevano il posto di quella specie di attesa vuota in cui prima le mie energie si erano congelate. Forse potevo dimostrare che c'era del buono in me, che mi si poteva voler bene perché valevo e non solo per un senso confuso di protezione o di colpa.."
Lo scenario è quello di una famiglia che vive nella vergogna, nel pregiudizio. Le conseguenze si riversano inevitabilmente sulla giovane Rebecca, un "brutto anatroccolo con un dono": la capacità di saper suonare con maestria il piano.
E' con la bruttezza di una giovane ragazza che la Velandiano arriva a mostrarci l'inettitudine alla vita. Inettitudine da cui solo le passioni possono riscattarci.
Eccessiva la bruttezza della protagonista, tanto da renderne complessa la raffigurazione, ma comunque trama scorrevole.
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Tutta la vita nelle mani
La vita stringe una bambina in un angolo. Rebecca è una bambina brutta, che però ha tutta la vita nelle mani perché ha un dono: sa suonare ed è meravigliosa in questo. Nelle mani possiede l’arte della creazione ed il dono di chiamare in vita proprio quella bellezza che la stessa vita le ha negato. L’autrice scrive veramente bene; è innegabile questo. Però l’articolarsi della storia mi ha reso questo libro non semplice da capire in tutte le sue parti. La trama mi ha colpito per empatia, perché mi ha fatto nascere dentro tanta sensibilità per questa bimba. Tanto bisognosa d’affetto. Tanto dolce. Non ho molto amato i personaggi secondari.
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Mediocre e commerciale
Mi dispiace dover dissentire dalle opinioni medie riportate (di cui sono veramente stupita), ma trovo che il libro sia proprio mediocre.
STILE: è ben scritto da un certo punto di vista, diciamo che imita i classici, ma in modo goffo! Lo stile è infiorettato, zeppo di metafore e di figure retoriche da psicodramma, con parole sin troppo ricercate. I dialoghi sono quasi sempre pessimi perché tutti i personaggi parlano nello stesso strano stile infiorettato (bambine di 6 anni, vecchiette, bambinaie poco più che analfabete), non c'è nessun adattamento in base alle caratteristiche del personaggio. Ad esempio una bimbetta di 6 anni il primo giorno di scuola parla come un'adulta, con periodi lunghissimi perfettamente costruiti, metafore, termini difficili. Ci sono anche personaggi per i quali questo stile di parlato va meglio, ma spesso manca completamente di naturalezza poiché è usato in dialoghi in cui nessuno al mondo parlerebbe così.
CONTENUTO: ci sono delle parti buone, ma anche tante pessime. In sintesi il contenuto è abbastanza povero, ma viene "dopato" da trucchetti narrativi a buon mercato, come preannunciare drammi o segreti incredibili e farli conoscere solo alla fine, quando si scopre che non erano nemmeno 'sto granchè. I personaggi sono per lo più poco realistici. Ad esempio la madre della protagonista viene descritta come una donna raffinata, con molto gusto e le idee chiare, tanto che, appena sposata, si occupa della ristrutturazione del palazzo personalmente, con tanto di disegni preparatori e acquerelli. Si veste elegantemente sempre negli stessi colori, usa profumi ottimi etc. Alla fine si viene a sapere che è la figlia di contadini poverissimi e si è sposata con un ricco medico che l'ha vista e l'ha chiesta in sposa la sera stessa (vabbè...). Quindi nonostante fosse povera, senza avere esperienza, studi o nient'altro, incredibilmente e nel giro di pochi mesi si trasforma in una donna di gran classe. Non fraintendetemi, non dico che non si possa imparare, dico che è irrealistico pensare che succeda così in 2 minuti. Leggete le descrizioni di contadini di Fontamara, dei Malavoglia, di Mastro Don Gesualdo. Quelle sono persone vere! I personaggi del libro si comportano sempre in modo misterioso e strano ma alla fin fine non si capisce il perché. Cioè la madre cade in depressione per 10 anni alla fine senza nessun serio motivo se non una gelosia verso la cognata. Se andassimo tutti in depressione 10 anni per questo...Il padre, suo marito, le parla cercando di starle vicino e tutti la trattano bene ma invece si dice "che non è stata aiutata". La madre è depressa ma per molti anni capisce tutto, non è assente, solo muta e passiva. Ama molto la sua bambina ma non le parla e non si occupa di lei. Perchè? boh, non s'è capito. Il padre in pratica è un buon uomo che non fa nulla di male (non ha vizi, non ha amanti, non trascura la famiglia, ama la moglie etc.) però alla fin fine viene descritto come il colpevole della storia, tant'è che lascia la casa per non "rovinare" la figlia. Insomma alla fine tutti i personaggi sono strani e si comportano in modo misterioso e bislacco ma non c'è mai un vero motivo se non l'esigenza della scrittrice di "fare sensazione". Ma come ha fatto a vincere un premio?!!
PIACEVOLEZZA: il libro è di quasi 40 microcapitoli, alcuni di nemmeno una pagina. E' scritto con caratteri GRANDI GRANDI e si legge in 2 giorni (anche un pomeriggio se avete tempo). E' un libro facilotto e commerciale.
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DIO! A volte a me pare CHE FAI LE DIFFERENZE.
Una storia che mi ha fatto male...tanto male...
E' ambientata in una località a me vicina...e particolarmente cara, dove ha sede il santuario della Madonna di Monte Berico di Vicenza...una figura che mi ha sostenuto in più occasioni in modo tangibile nella mia vita.
Ma in questa storia la Madonna non è intervenuta...nessuno le ha chiesto una grazia...e solo raramente è stata invocata o menzionata.
Rebecca è una bambina che nasce brutta.
Ma questo non è nulla a confronto del freddo permanente che trova accanto a sè: una madre fragile, provata e annientata dalla gelosia, depressa...e che madre più non può essere...; un padre che come lavoro aiuta a dare alla luce gli altri bambini, ma che è così debole da tener lontano dalla luce della vita proprio sua figlia...
Una casa che resta nell'ombra : mancano il sole... il calore dei sentimenti e degli abbracci...e persiste il gelo di un'attesa snervante, un'inazione che fa rabbia...nessuno vuole , ha il coraggio o può intervenire; anzi qualcuno ne approfitta.
E così lei, la bambina frutto di bugie, dolori, fragilità, amori malati o mancati, cresce senza poter chiedere o pretendere nulla; lei può solo maturare in fretta, dare , esistere in punta di piedi, in modo invisibile...isolata dal mondo...senza poter sperimentare , giocare, arrabbiarsi, lottare, piangere...insomma senza poter fare tutto ciò che ti fa sentire l'ebbrezza della vita ...e vive nella crudezza dell'indifferenza.
Pochissime le persone che l'aiutano nella sua crescita e in qualche modo la introducono alla vita...tra tutte io ovviamente ho particolarmente amato la figura della sua maestra che ha saputo accettarla in toto nella sua bruttezza e diversità, tanto da diventare persino la sua paladina.
Rebecca trova per fortuna nella musica il canale giusto che la porta a vivere e a raggiungere una forma di serenità...
Un libro che ti fa soffrire e che spesso durante la narrazione ti fa dire :"Dio mio, perchè l'hai abbandonata?"...questo è ciò che ho provato...
Il coinvolgimento per me è stato così intenso da dover condidividere passo passo la vicenda con le persone a me care, tale era la tristezza che ho provato...avendo letto per prima cosa nel libro che Rebecca esiste per davvero!
QUANTI RICORDI sono affiorati della mia infanzia durante la narrazione...la consuetudine diffusa dalle mie parti di affrontare il viaggio a piedi per recarsi alla Madonna di Monte Berico per chiedere una grazia...( purtroppo io non l' ho mai fatto a piedi) .L'usanza di rappresentare la natività in occasione del Natale con personaggi viventi...io nell'adolescenza feci la Madonna e passai su di un asinello lungo tutto il centro del paese ( chi si ricorda dice che sembravo proprio la Madonna, con capelli lunghissimi e vestita d'azzurro...).
Ci sono varie forme d'intelligenza. A conclusione di questo libro , pensando alla fragilità del padre, ho pensato a quanto sia importante avere la capacità di essere forti e determinati in certi casi nella vita, più di qualsiasi altra competenza.
Consiglio vivamente questa intensa lettura...che aiuterà a capire che la bruttezza non è nulla in confronto alla mancanza d'amore...no, non è proprio nulla.
Buona lettura da Pia.
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Quando la vita accanto è anche un bell’anatroccolo
Ho iniziato a leggere questo libro un po’ per caso, ne avevo sentito parlare molto qualche anno fa e poi l’avevo lasciato nel dimenticatoio fino a quando ieri sera sfogliandolo iniziai a leggere il primo capitolo e non l’ho più mollato fino alla parola fine.
“Una donna brutta non ha a disposizione nessun punto di vista superiore da cui poter raccontare la propria storia. Non c’è prospettiva d’insieme.”
Rapita….ecco cosa ha fatto la storia e la pungente penna della Veladiano, mi ha rapita e tenuta ostaggio assieme a quella figura orripilante che nessuno voleva, che nessuno amava, che suscitava pena e sconcerto a tal punto da causare morte e far insediare la tristezza. Si, il dolore a volte è così potente che può spingere gli uomini dove non si vuole davvero andare.
Brutta…è brutta Rebecca è di una bruttezza rivoltante, una bruttezza innata, sbrecciata, indicibile. E’ il Belfagor, è l’Elephant man che solo pochi amano e che gli altri rigettano con l’atteggiamento dell’indifferenza, come consueto modus operandi della società che desidera avere accanto solo quello che fa bene alla percezione dei sensi e dove la bellezza è visibile e godibile.
Per Rebecca era una grazia l’invisibilità.
Una presenza ingombrante quando si parlava dell’inserimento a scuola e invece Rebecca silenziosamente era una bambina intelligente, o quando doveva fare le prove per entrare al Conservatorio, Rebecca suonava il piano meravigliosamente, ma solo per pochi, solo nelle quattro mura domestiche. Crescere incompresa e schivata era il punto di partenza del suo amore per la vita, fatta di silenzi e di ampi spazi, come quelli che immaginava tutte le volte che apriva le finestre per respirare l’aria pura, che era l’ unica cosa che rigenerava la sua triste vita. L’aria che era capace di entrare nei polmoni e a fare attecchire l’edera più insidiosa e incontrollata, che copriva il male di vivere che non vedeva dentro di se, ma dentro gli altri. Crescendo, Rebecca matura l’idea che finora ha abitato in una casa che sembrava un sacchetto di bonbon scaduti, che le cose andavano capite diversamente e che le risposte puntualmente arrivavano dall'esterno di quella cappa familiare che le aveva inculcato il concetto che nascere brutta è come nascere con una malattia cronica che può solo peggiorare con l’età.
Rebecca pensa, Rebecca si ama e Rebecca sceglie di vivere.
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Il brutto anatroccolo della vita accanto
Alla domanda di Bruno Elpis ( http://www.brunoelpis.it/le-interviste/172-intervista-a-mariapia-veladiano) su quale sia la dote umana che apprezza di più, Mariapia Veladiano ha risposto: “La capacità di accogliere senza giudicare.”
Ecco, mi pare questa la chiave di lettura del romanzo di esordio di questa brava autrice, “La vita accanto”, vincitore del premio Calvino 2010.
Rebecca è la protagonista, una bambina brutta, di una bruttezza mai veramente svelata ma sempre presente, che diventerà donna in un ambiente familiare chiuso e carico di misteri. La madre, persa nella propria depressione di cui si capirà solo alla fine l’origine , l’ama di un amore sofferto e non dimostrato, che Rebecca capirà solo dopo la sua morte, attraverso il diario che ha lasciato. La splendente zia Erminia ama troppo se stessa per occuparsi veramente di lei, ma tuttavia le fornirà lo strumento di salvezza attraverso l’unica cosa bella che Rebecca ha, le mani, che faranno di lei un’apprezzata pianista. Il padre sembra prendersene cura, ma la nasconde al mondo apparentemente per risparmiarle il dolore del giudizio altrui, che in realtà è il proprio.
Fa parte di un cliché d’uomo che ho ritrovato nell’altro romanzo della Veladiano, “Il tempo è un dio breve”. Si tratta di persone che fanno fatica ad assumersi le proprie responsabilità, uomini bellissimi e tormentati, fragili al punto che alla fine trovano una soluzione ai problemi solo fuggendo dalla realtà che li opprime.
Nessuna delle figure parentali sembra capace di accettarsi e accettare pienamente, e fanno in modo che la piccola, nella quale vedono orrendamente coagulate tutte le loro frustrazioni, cresca lasciandosi la vita accanto.
Nel piccolo universo familiare di Rebecca c’è per fortuna la tata Maddalena, l’unica ad accettarla davvero, che ha il solo difetto della lacrima facile.
Il rapporto che l’aiuterà nel percorso di acquisizione della consapevolezza sarà quello con la maestra di musica De Lellis, che sembra sapere molte più cose di quanto non sembri sulla famiglia dell’allieva, mentre il suo aggancio con il mondo esterno sarà l’amicizia della grassa Lucilla, loquace quanto Rebecca è silente.
Nel romanzo della Veladiano la bruttezza diventa metafora della diversità, sia essa fisica, sia psicologica.
Ci tocca tutti, perché tutti siamo e ci sentiamo “diversi”, a volte non accettati, spesso poco amati, emarginati dagli “altri”, che nella nostra testa formano una compatta entità astratta e ostile, ma altro non sono che tante monadi ognuna a suo modo peculiare.
Lo stile della Veladiano in questo primo libro è preciso e leggero nello stesso tempo, funzionale al racconto che è quasi una favola a metà tra Cenerentola e il brutto anatroccolo, dove però il goffo pulcino peloso non dispiegherà mai completamente le ali.
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"Le cose sono spesso diverse da quello che sembran
Una storia percorsa da un flusso di forti emozioni, tange sia la sfera psicologica che la più immediata realtà quotidiana caratterizzata tanto dalla presenza di problematiche (quali la discriminazione e l'emarginazione, l'aspetto fisico vissuto come motivo di vergogna, la diffusa cattiveria, il falso buonismo, la malattia mentale, il suicidio ), quanto dalla presenza di "energie positive" (come l'importanza di ALCUNI membri della famiglia, la passione per l'arte).
Nel mio caso,particolare importanza ha assunto anche l'immagine di copertina (strano a dirsi, spesso le copertine sminuiscono l'effettivo contenuto!), raffigurante una tenda mossa a causa del vento, a cui ho immediatamente associato una bufera, un vortice di emozioni e passioni.
Unica pecca: il testo può risultare talvolta poco scorrevole, di non immediata comprensione. Ma proseguendo ci si rende conto che non esistono personaggi, luoghi, descrizioni, aggettivi che non abbiano una perfetta collocazione, un "perché" all'interno del racconto: passo per passo, la matassa viene sbrogliata e...non vi anticipo nient'altro!Assolutamente da leggere!
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"La vita accanto" di Mariapia Veladiano - Commento
Rebecca è una bambina straordinariamente brutta e quindi afflitta da “un terribile debito d’origine”, che la colloca nella condizione “di non avere il diritto di chiedere niente più dell’affetto miracoloso”. Soltanto il padre e la disinvolta zia Erminia riescono a nutrire affetto per lei. In questi rapporti familiari, forse, si annida “la vita accanto” del titolo. Perché nulla è come appare. Anche il rifiuto ostinato della madre, che si suicida buttandosi nel fiume, in realtà nasconde un sentimento tormentato e forte, strangolato dal ‘male del vivere’ e dal disturbo psichico. Invece, chi sembra nutrire affetto…
Rebecca, il piccolo “mostro”, affronta con rassegnazione e consapevolezza le sue sofferenze. L’autrice parteggia chiaramente per lei; tuttavia non lesina alcune spietate riflessioni: “La bellezza vuole essere visibile. Per me era una grazia l’invisibilità”. Anche la straordinaria abilità nelle mani non sembra attenuare ‘il peccato originale’ di Rebecca: “Quando suonavo il mio corpo feriva la vista di chi mi ascoltava”.
Pur vittima della sua rara sfortuna, la piccola Rebecca ha il merito di saper intessere rapporti umani importanti. Con l’emotiva tata Maddalena (“Suona qualcosa che ci faccia piangere tutte le lacrime…”), con l’estroversa e faconda Lucilla, compagna di sventure ai tempi della scuola elementare, con il maestro di pianoforte De Lellis e la ‘di lui’ madre, pianista. Proprio grazie a questa figura, che nasconde un altro terribile segreto, Rebecca riuscirà a completare un doloroso processo che farà emergere una realtà sommersa sotto i colpi di rivelazioni sconvolgenti.
La storia scorre sullo sfondo della Vicenza del Palladio, con i suoi due fiumi (il Retrone, ai bordi del quale sorge la casa di Rebecca, e il Bacchiglione), la “santa-cattolica-apostolica-pettegola città dei preti e delle monache”.
E Mariapia Veladiano, scrivendo, trasforma la “Vita accanto” della giovane protagonista in vita reale. Con uno stile personale e descrittivo che assorbe patema e concitazione nel capitolo ove Rebecca scopre la verità sulla madre: quando le parole palpitano come il cuore in affanno di chi scopre. E di chi legge.
Bruno Elpis
La mia intervista all'autrice si trova sul mio sito, a questo link:
http://www.brunoelpis.it/le-interviste/172-intervista-a-mariapia-veladiano
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La vita è dovunque
La metafora di una bimba brutta riconduce alle paure dei nostri tempi: come dice l'Autrice, la paura di non essere adeguati, di sentirsi fuori posto, e la paura di non essere amati. Ma la vita, anche se qualche volta è "a pezzi" è dovunque, sopra sotto, nelle lacrime di Maddalena, nel silenzio di una madre che lo rende scudo, in un'amicizia profonda che rappresenta la ricchezza del futuro, nella musica, che esprime l'ineffabile... nel profumo, che inonda di sè l'amarezza della solitudine... Un libro di una dolcezza disarmante... Da non perdere.
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Mariapia Veladiano: “La vita accanto”
Se un libro, di sole centosessanta pagina, inizia come un racconto gotico e finisce dalle parti di ‘Signore e signori’ c’è qualcosa che non funziona. Così si rimane male per lo spreco dell’accurata costruzione di quella atmosfera opprimente che percorre i primi capitoli, quando la nascita di Rebecca, una bimba di rara bruttezza, sconvolge i delicati equilibri di una bella e apparentemente solida coppia borghese: le psicologie sono disegnate con mano delicata e le aspettative del lettore vengono coltivate con perizia. Mentre Rebecca cresce scoprendo la durezza della sua condizione ma anche che il futuro è – alla lettera – nelle sue mani (specie a contatto con la tastiera di un pianoforte), la storia vira verso il dramma familiare e il calo di tensione è evidente anche se la qualità della scrittura non viene mai meno. Sono i personaggi ad essere irrisolti, a partire dall’incomprensibile zia Erminia per finire con l’ectoplasmatico padre (ma forse questo può essere spiegato dal fatto che, fra queste pagine, gli uomini hanno un ruolo molto marginale): nel finale, i garbugli di famiglia vengono dipanati quasi ci trovassimo in un giallo mettendo in fila una bella dose di scelleratezze che rispuntano dal tappeto sotto al quale erano state cacciate in gran fretta. Diventa così (troppo) esplicita la denuncia dell’ipocrisia in una piccola città di provincia – nello specifico, Vicenza – che è anche all’origine degli episodi riguardanti le conseguenze dell’agguato scolastico alla protagonista e dello scavo sul fondale del fiume Retrone. Le sovrapposizioni e le deviazioni delle linee di attenzione finiscono per caricarsi sulle spalle del personaggio principale che, per quanto caratterizzato con bravura e affetto, non ha la forza per reggere il tutto: per fortuna che tra Maddalena, piagnucolosa governante che supplisce al ruolo di madre alla piccola, e la signora De Lellis, un po’ piovuta dal cielo, arriva nella sua vita la dinamica Lucilla, forse la migliore figura del romanzo con la sua abitudine a sillabare le parole per sottolinearne l’importanza. Le pagine più efficaci si rivelano allora quelle in cui Rebecca è da sola con le proprie inadeguatezze e le proprie paure, conscia del bisogno di imparare a superarle per poter avere una vita pressappoco normale: la parte migliore, oltre a quella iniziale, di un romanzo che regala una lettura veloce e piacevole ma che si rivela aldisotto delle aspettative che mi ero creato leggendone qua e là.
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La vita accanto
Mariapia Veladiano è brava nel trattare un argomento inedito: la bruttezza assoluta, quella che non permette nemmeno di pretendere pietà e che spinge ad accontentarsi solamente di un po’ di affetto, considerato addirittura quasi miracoloso se concesso.
L’autrice usa la leggerezza di un pennello, mentre tratteggia il venticello che alza lieve le tende delle grandi finestre della casa di Rebecca, mentre fa scorrere il fiume Retrone e ci accompagna nella città di Vicenza, nei quartieri del centro, tra i suoi palazzi e poi su, sotto i portici, verso Monte Berico. Chi ci vive, riconosce ogni via e ogni caratteristica. Non solo, poeticamente il lettore riesce a sentire i profumi e gli odori e, soprattutto, tutte le note musicali dei pianoforti toccati dalla protagonista durante la sua vita. E infine lei, Rebecca, che tocca il cuore del lettore appena entra in scena: bambina, sola, indifesa…brutta.
Tutti abbiamo provato nella vita la paura di essere brutti, di essere guardati e criticati per il nostro aspetto fisico e di non essere per questo accettati, ma pochi hanno provato cosa vuol dire essere brutti davvero.
Rebecca è proprio brutta, è nata così, talmente brutta da essere apparentemente rifiutata dalla stessa madre.
Ma è possibile che una madre non voglia neppure guardare una bambina, sfuggita alla balia, che gattona istintivamente verso la propria genitrice? Come si può non accogliere tra le proprie braccia chi hai accolto e protetto in grembo per nove mesi?
Eppure sembra che la nascita di Rebecca e la sua bruttezza abbiano spezzato, oltre alla ragione della madre, anche l’invisibile filo che lega ogni donna alla propria prole.
Invece, è solo la superficie apparente di una storia che viene svelata piano durante la lettura di questo bel libro.
Il racconto ci accompagna nella vita di questa bambina gettata in una società che è ancora agli albori dell’effimero apparire, ma che già sottolinea come l’essenza sia secondaria all’apparenza. Rebecca cresce accanto ad una madre apatica e assente, accanto ad un padre pieno di sensi di colpa e incapace di prendersi in carico le proprie responsabilità; accanto ad una zia dalla contorta affettività e piena di “troppe buone intenzioni”; accanto ad una balia buona, emotiva e sinceramente affezionata; accanto a persone buone e cattive che in modi diversi l’aiuteranno a maturare e a scoprire se stessa e le verità nascoste sulla propria famiglia.
E siccome la nostra società perdona tutto e tutti, anche i delinquenti, ma non ha pietà per chi non ha neanche un briciolo di prestanza fisica, per Rebecca tutto diviene comunque complicato, e ovviamente non potendo essere forma, ella non potrà che essere sostanza, ma nonostante le tante tribolazioni, come in ogni bella storia alla fine vinceranno i buoni, e nel nostro caso i brutti. Ed ecco che anche per lei si prospetta un futuro positivo, magari non quello che avrebbe e avremmo voluto, ma pazienza…almeno così, contro ogni regola sociale, anche il brutto ha, se ci si accontenta, un suo lieto fine.
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Sconfiggere il dolore
E' la campagna vicentina che fa da sfondo a questo romanzo intenso, il primo romanzo di Mariapia Veladiano, La vita accanto, edito da Einaudi, vincitore del Premio Calvino 2010 e finalista del Premio Strega. La vita accanto è un libro doloroso, quel dolore che potrebbe sfiorare ognuno di noi, in qualsiasi momento della nostra vita, quel dolore di fronte al quale ci si arrende oppure si combatte.
Rebecca ha capito, fin da quando era bambina, quale sarebbe stato il suo ruolo nel mondo: marginale, confinato in una zona d'ombra, alla larga dagli sguardi altrui. Per tutta la vita Rebecca è sempre stata attenta a calibrare le parole, controllare i movimenti del proprio corpo, a non essere indiscreta o inopportuna, a non arrecare disturbo: una vita trattenendo il respiro e tutto ciò a causa della sua bruttezza. Rebecca, nome ebraico il cui significato è "colei che piace agli uomini" è nata brutta. "Non sono storpia" racconta di sé la protagonista "per cui non faccio nemmeno pietà. Ho tutti i pezzi al loro posto, però appena più in là, o più corti, o più lunghi, o più grandi di quello che ci si aspetta. Non ha senso l'elenco: non rende".
La madre di Rebecca, dopo la sua nascita, viene travolta dal dolore, si arrende ad esso e a causa di ciò non prenderà mai in braccio la bambina, le negherà gli sguardi, le carezze, i baci, i gesti di affetto, non la abbraccerà neppure quel giorno che Rebecca cadrà battendo la testa sul marmo duro e freddo. La madre scivola in un mondo suo, dove le bugie del passato si mescolano al presente.
Anche il padre di Rebecca nutre delle reticenze nei suoi confronti: l'impossibilità di poter aiutare la moglie da un lato e i rimorsi per un passato poco chiaro dall'altro inaridiscono il suo cuore e non gli permettono di rapportarsi con la figlia. La presenza di Erminia, sorella del padre di Rebecca, è devastante tanto per i due coniugi (che sentiranno minacciata la loro intimità, o ciò che resta di essa, dall'aggressività verbale di questa donna) tanto per Rebecca la quale si illude di essere accettata e amata dalla zia che però l'abbandonerà non appena diventerà una ragazzina. A crescerla ci sarà Maddalena, che ha dovuto rinunciare alla sua famiglia, morta in un incidente stradale, e riverserà su Rebecca tutto il suo amore accompagnandola verso l'età adulta.
Le sofferenze che aleggiano in questa famiglia verranno alleviate dalla stessa Rebecca che si legherà sempre di più a Maddalena, stringerà amicizia con Lucilla e la signora De Lellis (una grande concertista che finge una vita che non le appartiene). Rebecca imparerà a reagire al dolore, scaverà nel suo passato e scioglierà la matassa che tormenta da anni la sua famiglia.
Con una scrittura limpida, poetica, descrizioni sublimi e ricercate, Mariapia Veladiano accompagna il lettore all'interno della storia, presentata non come un dramma familiare ma come una favola che infonde speranza. La passione e le doti di Rebecca dimostreranno che il dolore si può sconfiggere, così come le bugie e le maldicenze.
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La bellezza nelle mani
Finalista al Premio Strega, trama che incuriosisce, consigliato dai librai, apprezzato da gran parte del pubblico e della critica... Tutti buoni propositi per acquistarlo, e così ho fatto.
L'ho letto abbastanza in fretta ma alla fine non oserei gridare "al capolavoro". Lo definirei come un libro "semplice e carino", tutto qui e niente di speciale. La trama, ambientata a Vicenza, è sicuramente un argomento difficile e delicato da trattare: la bruttezza dell'aspetto fisico accompagnato dal dolore e dal dispiacere per essere così, senza poter fare nulla per cambiare. Perchè Rebecca, la protagonista, è deforme fin dalla nascita (è da notare che l'autrice non descrive mai il suo aspetto fisico, lasciando libero il lettore di immaginare la protagonista come preferisce. Questa trovata devo proprio dire che mi è piaciuta). Sua madre non ha mai osato toccarla e si è chiusa nel silenzio e nella depressione più totali, mentre suo padre si arrende all'evidenza senza fare nulla. Rebecca così vive una vita isolata dal resto del mondo e sempre chiusa in casa. Le uniche a prendersi cura di Rebecca sono la tata Maddalena, sensibile, affettuosa e quasi sempre in lacrime dopo la perdita di suo marito e dei suoi figli, e la zia Erminia, sorella gemella di suo padre, vivace, dinamica e intraprendente che però nasconde un segreto terrificante. Oltre ad esse c'è anche Lucilla, l'unica e vera amica che Rebecca abbia mai avuto, chiacchierona, impicciona ma molto simpatica ed estroversa.
Ma se Rebecca è brutta fuori, la sua bellezza si trova nelle sue mani perchè scopre presto uno straordinario talento per il pianoforte che potrebbe riscattarla dai suoi anni trascorsi nell'ombra....
La trama c'è, è profonda ma non ben sviluppata. Molti punti si perdono nel nulla e i personaggi non conquistano il lettore, essendo mal caratterizzati. Di per sè il romanzo è semplice, nulla di particolare, scritto in modo modesto e, nonostante sia molto ricco di colpi di scena e per nulla prevedibile nonostante il genere del libro, le svolte che si aspettano più di tutte praticamente non arrivano o, se arrivano, sono solo leggermente accennate. Ho trovato poi il finale alquanto frettoloso e inverosimile.
Ultimamente faccio un po' fatica a leggere libri nostrani, perchè la narrativa italiana di oggi mi sta un po'deludendo. Questo non è certo un esempio lampante, però non mi è proprio piaciuto al cento per cento.
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L'ipocrisia della provincia italiana
Romanzo finalista allo Strega 2011 che ha avuto un battage pubblicitario soprattutto a riguardo della protagonista della storia, una ragazza molto brutta.
Beh sì, il perno della vicenda ruota sicuramente sulle vicissitudini interiori e familiari della protagonista Rebecca, ma io(come al solito ) volevo dare la mia chiave di lettura di questo libro in modo molto personale.
Quello che mi ha colpito di questo romanzo è l'analisi cruda,lucida , a volte elegante e raffinata, altre volte graffiante e spietata, del luogo in cui si svolge la trama del romanzo: cioè la città di Vicenza.
La scrittrice(tra le righe) paragona la città veneta per abitudini e modi di fare dei cittadini non al fiume principale che l'attraversa ossia il Bacchiglione con il suo corso placido tranquillo, bensì...
al Retrone, un corso d'acqua dal fondale limaccioso.
A mio parere molto calzante l'episodio narrato nel libro in cui si narra di una bonifica, sia delle rive che del fondale del Retrone, richiesta a gran voce dai cittadini di Vicenza a causa dei miasmi provenienti dal corso d'acqua in questione. Le draghe oltre ad effettuare la pulizia del luogo, portano alla luce scrigni imputriditi contenenti lettere dal contenuto scottante, riguardanti addirittura missive tra un prelato e la moglie del sindaco, cofanetti con gioielli sempre di proprietà misteriosa, e altre cose di cui liberarsi in fretta..ma venute a galla! In quest'ambiente sopra descritto apparentemente ovattato e placido, nascono, si sviluppano e a volte esplodono situazioni e conflitti incredibili, ma che come vuole la caratteristica del luogo vengono tenuti ferreamente nascosti!
Brava la Veladiano a mio parere a far venire a galla questo: cioè l'ipocrisia di tutta la provincia italiana. La trama fondamentalmente riguarda la storia di una ragazza che fin da bambina si rende conto di essere parecchio diversa(molto brutta) dagli altri e cerca in tutti i modi di non dare ulteriore fastidio, rispetto a quello che già la sua presenza dà(è tremendo pensarla in questo modo). Il romanzo prosegue poi con la descrizione della passione per la musica della protagonista, e delle tante piccole grandi scoperte a livello psicologico e comportamentale che Rebecca fa a riguardo sia dei genitori che dei suoi precettori. Il lettore, a mio parere, resta sconcertato e allo stesso ammaliato dalla tante vicissitudini descritte in questo testo.
Bel testo
x riflettere
(in fondo io la Veladiano la paragono a un Mastronardi o a un Pietro Germi dei giorni nostri,
io così ho percepito i suoi passaggi ideologici)
Saluti
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pezzetti di cielo mi cascano addosso e mi tagliano
Immaginate per un momento di essere brutti,di più: orrendi, di essere a causa di questo handicap segregati in casa, di sentire intorno a voi i bisbigli velenosi
dei compagni di classe (come possono essere crudeli i bambini!), di accorgervi degli sguardi di disgustata meraviglia di chi vi incontra per la prima volta, immaginate tutto questo e comincerete ad entrare nel mondo di Rebecca, la protagonista di questo romanzo.
Siamo a Vicenza , un ricco medico di una facoltosa famiglia, apprezzato professionista in tutta la città, è accanto alla moglie puerpera, la ragazza è distrutta dal dolore, il viso della primogenita è deforme, la donna non lo vuole accettare, una profonda depressione ha scavato macerie nel suo animo angosciato. Il marito non sa come affrontare questa terribile situazione,irrompe nella tragedia la vitalità di sua sorella,zia Erminia è una concertista brillante, una donna indomita (fin troppo!) comincia a decidere lei per tutto e tutti,soprattutto per Rebecca. La bambina deve fare questo e non quest’altro!,la bambina ha talento per la musica, diventerà un'artista... il fratello la lascia fare,mentre la moglie sparisce nel dolore.Rebecca cresce accudita da una tata ,Maddalena, che imparerà ad amarla più di chiunque altro e ,finalmente, stringerà amicizia con un’altra bambina Lucilla che non sembra , al contrario degli altri, riconoscere in lei un “Mostro”.
Romanzo toccante, dove l’autrice con semplicità affronta argomenti dolorosi e analizza emozioni e sentimenti che investono la vita dei personaggi senza cadere mai nel patetico, vista la passione per la musica che fungerà da chiave di volta nell’esistenza di Rebecca, potrei paragonare questo racconto ad un brano musicale,non so se avete mai ascoltato "come sei veramente" di Giovanni Allevi, dove il tema musicale rinasce ogni volta che il silenzio sembra ucciderlo. Rebecca, in ebraico significa :che avvince gli uomini con la sua bellezza,leggendo questo romanzo scoprirete se c'è bellezza nel "monstrum": nel meraviglioso.
di Luigi De Rosa
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abbasso il dociastro
Ad una partenza promettente non corrisponde uno sviluppo all'altezza delle aspettative. L'autrice perde tensione dopo le prime dieci pagine e la temperatura del racconto scende precipitosamente. Molti dettagli narrativi risultano del tutto superflui. Schematico, sembra un'esercitazione scolastica. Trama piuttosto strampalata e personaggi evanescenti.
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La vita accanto
L’utilità che trovo in Qlibri (e uno dei motivi che mi ha avvicinato a questo sito) è quella di poter suddividere il voto in più parti. Perché per questo libro è ciò di cui ho più naturalmente bisogno.
Innanzitutto il libro è ben scritto, composto e misurato in ogni paragrafo, quasi la scelta delle parole fosse stata un punto cardine intorno a cui costruire la storia.
Una ragazza brutta, orrendamente brutta, nata da due genitori tutt’altro che brutti, cosa che fin dall’inizio del romanzo dà una giustificazione (non completamente accettabile, tra l’altro) a una certa repulsione da parte della madre per la figlia e un distacco del padre da tutto ciò che la riguarda.
Quasi trascurata dai genitori, Rebecca, la protagonista, troverà una giustificazione della sua esistenza in altro, nell’arte musicale, grazie alle sue splendidi mani, ma soprattutto grazie alla vicinanza e comprensione della tata Maddalena (una donna le cui parole, con frequenti riferimenti ai testi sacri, riequilibriano nel libro le posizioni estreme di Rebecca verso un Dio talvolta assente). Sarà importante per Rebecca anche l’amicizia con Lucilla, l’unica compagna di scuola che nel tempo le rimane vicino nonostante la sua bruttezza.
Viene da pensare, alla fine, al romanzo come una sorta di paradigma contro un clichè stereotipato di una iconografia a cui, oggi, si rifà il concetto di bellezza e di glamour. Un libro che mette in primo piano la donna e tutte le sue capacità di riscatto, con l’unico uomo (il padre) che passa in sottotono.
Un libro, però, che sotto questa chiave di lettura, fin dalle prime pagine sembra un po’ troppo esplicito, in quanto il rigetto di una società in cui la bruttezza equivale all’emarginazione qui viene trattato senza sconti, senza posizioni intermedie, spingendo il lettore verso un’idea che cristallizza il dualismo bello/brutto, un bello imperante nella società e un brutto inesorabilmente emarginante.
Forse è proprio l’estremizzazione di questi concetti a rendere debole il romanzo.
L’opinione, rigidamente personale, è che lotte così esplicite (in questo caso tra bello e brutto) talvolta rendano prevedibili certe riflessioni. Avrei pensato più a situazioni diverse, intermedie ma non per questo meno incisive, dove, più che l’estrema bruttezza, possono essere più significativi (o determinanti) l’imperfezione o il difetto, a far emergere il disagio di chi, lontano dalla bruttezza totale, come quella di Rebecca, sa di essere stata, in qualche modo, “limitata” nella vita. Ma quest’ultima ripeto, è una mia idea sul tema che esula dal giudizio sul racconto.
Le voci dei personaggi non sono particolarmente caratterizzate, tranne quella di Lucilla, la cui voce con quel suo sil-la-ba-re le parole pare ancora di sentirla. Ecco, forse questa voce è l’unica cosa che, a distanza di tempo, mi è rimasta del romanzo. E questo non depone a favore, se non fosse per quella abile capacità che ha avuto la Veladiano nel mostrare un’estrema cura per la scelta delle parole.
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La vita accanto
Rebecca nasce bruttissima ma dotata di un incredibile talento per il pianoforte... potrà essere questa la chiave del suo riscatto?"La vita accanto" è un romanzo doloroso e delicatissimo, azzeccato a partire dal titolo, che rivela da subito il destino della protagonista, la cui bruttezza e soprattutto famiglia ostacola una vita realmente vissuta, ma solo "intuita" da lontano...Contrariamente a Chicca, a me il libro della Veladiano è piaciuto anche grazie alla non-cronologia del racconto,che lo rendono più "movimentato", non ho trovato il linguaggio affatto ricercato, e penso che quando uno scrittore riesce a far trapelare il disagio e la tristezza come ha fatto la Veladiano la prova possa ritenersi riuscita... Insomma, io lo promuovo!
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la vita accanto
Romanzo che si legge in un paio d'ore, è però troppo frammentato, la scorrevolezza risente del susseguirsi non cronologico dei capitoli, sembra quasi che l'autrice voglia, e questo si nota anche nella sintassi, ostentare ricercatezza e originalità senza però riuscire appieno a dare corpo alle intenzioni. Il soggetto è abbastanza originale e poteva essere meglio sviluppato anche se personalmente sono un po' annoiata dalla letteratura italiana degli ultimi anni che ci regala soprattutto romanzi intimistico-familiari sviluppati in realtà piccolo borghesi.
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