La variante di Luneburg
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Partita a scacchi con la morte
Una mattina l’imprenditore tedesco Dieter Frisch viene trovato morto nel parco della sua residenza di campagna, in uno spiazzo a forma di scacchiera al centro esatto di un labirinto. Una fine drammatica che appare in tutto e per tutto un suicidio, eppure, a detta di coloro che lo conoscevano, Dieter Frisch non aveva alcun motivo per togliersi la vita. Sulla sua scrivania nessun messaggio d’addio, solo una strana scacchiera di stoffa grezza su cui le pedine disposte in una precisa posizione di gioco sembrano essere state abbandonate nel mezzo di una partita.
Poco prima di morire, su un treno Monaco-Vienna Frisch incontra un giovane sui vent’anni, Hans Mayer. Scoperta la passione di Frisch per gli scacchi, Hans decide di raccontargli la propria storia di scacchista e poi la storia dell’uomo che gli ha fatto da maestro: Tabori, un personaggio bizzarro, ma dotato di un talento eccezionale per gli scacchi. Forse un incontro casuale, quello tra Frisch e Hans Mayer, o forse una mossa precisa all’interno di una grande partita giocata tra la vita e la morte, tra il bene e il male, tra la giustizia e chi cerca disperatamente di sottrarsi a essa da molto tempo.
Quali terribili segreti si nascondono nel passato di Dieter Frisch? Chi è la persona che ha mandato Hans Mayer a cercarlo per chiudere finalmente una lunga, estenuante partita iniziata quarant’anni prima? Qual è il mistero che si cela dietro la posizione di gioco che Frisch, sulle pagine della sua rivista di scacchi, ha battezzato "la variante di Lüneburg", gettando inconsapevolmente un filo a qualcuno che tenta di rintracciarlo da una vita?
In questo breve romanzo Paolo Maurensig sembra suggerire che l’intera esistenza umana non sia altro che una lunga serie di partite a scacchi giocate con il destino e a volte, quando ci si trova immersi nell’orrore più cupo e profondo, compiere una mossa significa decidere non soltanto della propria vita, ma anche di quella degli altri. Un peso al quale non si può sfuggire e che anche a distanza di tanto tempo richiede un risarcimento, ammesso che quando si parla di vite umane esista un modo di ripagare la perdita. Una sola cosa è certa: per Dieter Frisch l’incontro con Hans Mayer è lo scacco matto in una partita giocata con la morte e che è destinato a perdere.
Moltissime opere letterarie affrontano il tema dell’Olocausto e purtroppo "La variante di Lüneburg" non brilla all’interno di questa vasta produzione. L’impressione generale è quella di un romanzo discreto, che fa abbastanza bene il suo lavoro di intrattenimento, ma non riesce a brillare sotto nessun punto di vista. I personaggi e lo stile sono piatti e non hanno nulla di particolare che resti impresso nella mente di chi legge, mentre la trama, che gioca costantemente con il rimando al mondo degli scacchi, è basata su idee affascinanti, ma è poi sviluppata in modo un po’ monotono, prevedibile e senza guizzi creativi.
"La variante di Lüneburg" può essere una lettura interessante per chi cerca un romanzo sull’Olocausto che non richieda troppo impegno e si legga velocemente, ma se si vuole una storia che lasci con il fiato sospeso o approfondisca in modo adeguato un argomento così difficile e complesso forse è meglio aprire un altro libro.
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Sul filo di una scacchiera
Contare i libri e le opere di narrativa che hanno come argomento centrale nazismo e sterminio ebraico è un'impresa praticamente impossibile, ormai. Nonostante siano passati più o meno ottant'anni è sempre un argomento trattato tantissimo; un'argomento che continua ad attrarre lettori su lettori. Perché? Perché conviviamo con lo spauracchio che questi orrori possano ripresentarsi e, oltretutto, siamo sempre attratti da quello che fatichiamo a comprendere. Sì, perché come degli uomini possano essersi macchiati di tali atrocità resterà sempre e comunque un mistero; un mistero che ci attira molto più del normale perché è scaturito dall'animo di esseri umani che, in teoria, dovevano essere come noi.
In questa moltitudine di opere quelle che riescono a spiccare devono avere dei tratti distintivi; devono avere qualcosa di unico che possa raccontarci qualcosa che non conosciamo già o che lo faccia con una maestria invidiabile. Lontano dalla bellezza senza tempo di opere come "Se questo è un uomo" di Primo Levi, "La variante di Lüneburg" di Paolo Maurensig si distingue dalle altre opere con le quali condivide il tema principale perché mette in collegamento quest'ultimo con qualcosa che non avremmo mai immaginato: il mondo degli scacchi. Sì, gli scacchi sono i veri protagonisti di questo libro e dominano la scena diventando alla fine artefici anche del destino di molti esseri umani.
La storia ha inizio con la morte di un certo Dieter Frisch, un uomo facoltoso amante degli scacchi. Tutte gli indizi sembrano portare alla conclusione che l'uomo si sia suicidato, ma i motivi che possano averlo portato a quest'ignobile risoluzione sembrano essere quanti i suoi nemici: zero assoluto.
Le verità che scopriremo saranno molto diverse e con una struttura che ricorda un po' "Uno studio in rosso" di Conan Doyle ci imbatteremo in una storia spaventosa che ci appare terribilmente reale e verosimile, come se potesse trattarsi di una vera e propria testimonianza. In questa storia Frisch appare piuttosto poco, ma le sue apparizioni sono come dei fulmini a ciel sereno, che faranno luce su un passato e una personalità scabrose e che chiariranno gli eventi che poi avranno luogo nel corso degli anni.
Eventi che hanno un unico denominatore: gli scacchi.
"Gli scacchi, come le arti, sembrano darci la possibilità di sopravvivere alla morte fisica, di avere fama eterna. Cosa non daremmo perché il nostro nome venisse ricordato negli annali del gioco: basterebbe una sola partita, una variante, uno sprazzo di originalità."
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Scacco morto
Lo "scapigliato" Arrigo Boito scriveva nel 1867 il racconto “L'alfier nero”: una partita a scacchi, il nero e il bianco della scacchiera, il nero e il bianco della pelle dei due avversari, due mondi che si scontrano, la notte e il giorno, la luce e il buio, sfondo di una partita, di un duello, quello tra la vita e la morte.
A distanza di più di un secolo Paolo Maurensig, dimostrando una conoscenza del gioco degli scacchi da teorico, cattura l'attenzione del lettore attraverso le pagine de "La Variante di Luneburg".
Uno scritto dal ritmo incalzante, dal taglio meravigliosamente descrittivo, dall’intreccio dal sapore cinematografico.
La metafora rassomiglia a quella dell'ottocentesco Boito, ma risulta assai arricchita dalla storia del Novecento, dal peso sulla coscienza degli uomini del mattatoio nazista.
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STORIE DI VITE E SCACCHI
Gli scacchi mi hanno sempre affascinato e anni fa ogni tanto ci giocavo, le regole di base bene o male le so e devo dire che questo libro, un intreccio di vite che ruotano intorno a tale gioco, mi ha messo una grande voglia di riprovare a muovere qualche pezzo.
Maurensig ci narra la vita di tre persone attraverso pedoni, cavalli ed alfieri, sono racconti che affascinano e mi sono piaciuti i passaggi da una storia all'altra per poi giungere ad una conclusione che mi ha lasciato un po' perplessa, speravo in un riscatto finale più esplicito per così dire.
Il libro resta un gran bel racconto diverso dal solito e lo consiglio a tutti gli amanti non solo degli scacchi ma della lettura in generale.
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Una strada in salita che pero` finisce in discesa
“La Variante di Luneburg” e` un romanzo che si incentra sulla psiche dei due personaggi principali analizzandola con l’ausilio del gioco delli scacchi.
La trama e` a grandi linee divisibile in due ampie sequenze di flashback intervallate dal racconto principale dei giorni precedenti all’omicidio di un imprenditore tedesco: la prima parte e` dal punto di vista di uno dei personaggi, mentre nella seconda subentra la voce narrante principale che si era gia` incontrata all’inizio. L’autore riesce a catturare l’attenzione del lettore fin dalle prime pagine del libro, riuscendo nel fantastico intento di farci vedere il gioco degli scacchi da un nuovo punto di vista, quello di un’attivita` apparentemente innocua che fa da maschera allo “sport piu` violento che esista”. Ci si ritrova catapultati nella mente di un vero maestro che riesce abilmente a spiegare anche le piu` assurde varianti a chi, come me, sa poco o nulla degli scacchi e non ha mai avuto la fortuna di giocarci. Verso la seconda meta` del libro, pero`, il racconto inizia a farsi piu` cupo introducendo i problemi dell’antisemitismo e, infine, culmina nell’orrore dei campi di concentramento. Questa parte mi e` risultata abbastanza noiosa da leggere in quanto, oltre ad essere parecchio scontata in alcuni punti ed inverosimile in altri, non mi ha comunicato alcuna empatia, anzi, nonostante fosse raccontata dal punto di vista di uno dei prigionieri, sembrava vissuta da qualcuno esterno, addirittura completamente estraneo al dolore e alle sofferenze che quelle persone hanno dovuto subire. Nel finale non tutto viene spiegato e, a mio parere, vengono tralasciati alcuni punti importanti che invece si sarebbero dovuti almeno accennare. La conclusione risulta affrettata ed estremamente prevedibile, tant’e` che verso pagina 100 ormai avevo gia` immaginato come sarebbe andato a finire il libro.
Il punto forte di questo racconto sarebbe dovuta essere l’analisi psicologica dei personaggi principali, i quali pero` risultano essere abbastanza stereotipati e prevedibili, piani e carenti di profondita`.
Lo stile, comunque, e` abbastanza piacevole e leggero anche se cala bruscamente verso la fine, risultando pieno di ripetizioni a causa di alcune scene abbastanza noiose ed inutili che si sarebbero potute evitare e sostituire con qualcosa di piu` adatto che avrebbe aiutato a mantenere la bellezza e la misteriosita` della prima parte del racconto.
Consiglierei vivamente questa lettura se non fosse per il finale che mi ha lasciata abbastanza perplessa e a tratti annoiata. Tutto sommato, pero`, si puo` chiudere un occhio in quanto “La Variante di Luneburg” si presenta come un buon libro, una lettura abbastanza piacevole che non mi sento di sconsigliare, ma neanche di consigliare.
Varianti
Il romanzo d’esordio di Mauresing, apparso nel 1993, è esso stesso una variante.
Il titolo sta a nominare una mossa messa a punto in un preciso momento storico e in un preciso luogo da un maestro di scacchi. Rappresenta inoltre un corollario dell’intima essenza del gioco che, fin dal sua nascita, pare sia stato strettamente legato alla perdita della ragione evolvendosi poi in un stretto sodalizio con la morte.
È una variante in sé perché il romanzo gioca sull’impianto narrativo de “ La novella degli scacchi “di Stefan Zweig arricchendosi però di altre citazioni letterarie da “Il mercante di Venezia” in su e di un epilogo storico che la novella dell’austriaco non avrebbe potuto narrare per una questione meramente cronologica. In realtà le numerose somiglianze (gioco come morte, gioco come dipendenza, gioco come riscatto, astensione forzata dal gioco, scacchiera realizzata con materiali di recupero, l’ uso della tecnica del flashback, l’ariano contrapposto all’ebreo...) tendono via via ad assumere una loro originalità ben studiata nell’economia generale del romanzo.
La storia è quella di un omicidio-suicidio in seguito ad una partita a scacchi giocata in differita e nella quale un giocatore ne rappresenta un altro. La Storia è una partita a scacchi e viceversa la partita a scacchi è una storia. Il gioco ammette la patta per concessione , la Storia si nutre di sconfitti e il romanzo mette in equilibrio vinti e vincitori con una vendetta lenta come una mossa delle più studiate.
Il romanzo è gradevole, interessante anche per chi non ha mai giocato, ha il potere di rappresentare i simbolismi connessi a questa pratica, di richiamare grandi nomi e di rappresentare un periodo storico preciso.
L’ho trovato meno incisivo rispetto alla novella di Zweig nella capacità di indagare e rappresentare la psiche umana e frettoloso nell’ultima parte dove avrei gradito una rappresentazione più incisiva a livello emotivo. Complessivamente un buon libro da apprezzare e da conoscere.
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ZWEIG
La chiave risolutiva
Meraviglioso! Da dilettante, ma aspirante ad un livello superiore, giocatore di scacchi, per il fascino che il gioco in questione, arte, se trascendiamo dai meri canoni della visione comune, mi ha sempre provocato, ho trovato il libro, nel suo complicato intreccio, sublime. La struttura è quanto mai particolare, con una serie di flashback a ritroso, senza un ritorno circolare né una risoluzione chiara alla suite iniziale. Incredibile. Si potrebbe invero paragonare la costruzione temporale dell'opera all'analisi di una partita di scacchi. La tracciazione ha il suo inizio dal preciso affresco conclusivo, la morte dell'avversario, lo scacco matto finale, senza tuttavia fornirne alcuna spiegazione. Successivamente risale, ed attraverso una focalizzazione di precisione geometrica, tesse e sviluppa il corso degli eventi, analizzando ogni avvenimento come il movimento di pedine invisibili, e le cause che hanno determinato questa, e non avrebbero potuto determinare differente, conclusione. Il mondo é una gigantesca scacchiera dalle infinite possibilità, e La Variante di Lüneburg la chiave risolutiva di quella vita che altro non è stata se non un'incessante partita a scacchi contro la propria nemesi.
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Vincere per vivere
Si può smarrire la ragione a causa di un gioco all'apparenza innocuo? Sin da tempi leggendari il gioco degli scacchi ha appassionato intere generazioni ma, nel contempo, ha, a volte, celato una violenza inaudita e la caduta in un vortice nel quale il tempo si dilata fino ad avere l'impressione di una realtà completamente diversa da quella che i nostri sensi ci fanno percepire. In circostanze estreme la sensazione del potere che si inculca nella vittoria è nettamente è sovrastante l'umiliazione della sconfitta; si può arrivare anche a commettere le più indescrivibili aberrazioni quando la dipendenza da questo gioco è, oramai, irreversibile. Un romanzo che è una gemma e che porta a profonda riflessione.
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L'incognita umana
Dieter Frisch è un distinto signore sessantottenne a cui non manca nulla: imprenditore milionario, proprietario di una villa con annesso parco e riserva di caccia, sposato ad una ricca ereditiera, padre di quattro figli inseriti nell'alta società...
Perché, allora, in un sabato uguale agli altri, si toglie la vita? Perché si spara in bocca, con la pistola regolarmente detenuta, proprio al centro del labirinto della sua villa? E cosa significa quel cencio aperto sul tavolo del suo studio, a raffigurare una malconcia scacchiera sormontata da grezze pedine su cui sono stati malamente disegnati i pezzi degli scacchi? Perché proprio quella, tra decine di scacchiere pregiate che il dottor Frisch colleziona in ragione della sua passione per quel gioco?
Per il suo ammirevole esordio, il goriziano Paolo Maurensig (cinquantenne all'epoca della pubblicazione del libro) sceglie di partire dalla fine. E di ricostruire a ritroso quella storia che rappresenta uno dei migliori esordi nella letteratura italiana recente.
Evitando di tornare sulla trama – ricostruita nelle precedenti recensioni – il punto di forza della storia è nella sua costruzione. E' come se Maurensig abbia adottato lo schema di una equazione a tre incognite (x, y, z):
X è il già descritto dottor Frisch, che ogni venerdì compie il viaggio di ritorno in treno da Monaco, dove ha sede la sua società, a Vienna, dove vive;
Y, in ordine di apparizione, è un ragazzo all'apparenza insignificante, Hans, che un venerdì sera, inaspettatamente, si accomoda nello scompartimento del dottor Frisch, per compiere con lui quel viaggio di ritorno e, alla prima occasione, poter raccontare la storia della propria passione per gli scacchi (tale da determinare i vari alti e bassi della sua giovane vita);
Z è Tabori, il vecchio conoscitore del gioco degli scacchi che emerge, con tutti i suoi misteri, dalla storia narrata da Hans (Y) al dottor Frisch (X).
Per quasi due terzi del libro, “La variante di Luneburg” si svolge nello scompartimento di un treno, chiarendo esattamente il rapporto tra X e Y (il primo è l'appassionato degli scacchi il quale ascolta la storia che sull'argomento ha da raccontare il secondo) e tra Y e Z (il primo è il ragazzo conquistato da quel gioco che trova nel secondo il grande maestro che gliene tramanderà segreti e pericoli, rendendolo un grande interprete dello stesso). A pochi chilometri dall'arrivo del treno a Vienna, il racconto del giovane Hans termina nell'affermazione del dottor Frisch – allo stesso tempo, perentoria e quasi rassegnata – che svela come egli abbia finalmente capito di essere il reale protagonista del racconto, sebbene il ragazzo sia stato accortissimo a non farne mai il nome; il bello è che il lettore non ha minimamente in mano il filo della complessiva storia, giacché il rapporto tra X e Z è rimasto del tutto in ombra.
Nell'ultimo terzo del romanzo, inizia un altro racconto, quella di Tabori (l'incognita Z), che da io onnisciente diviene io narrante, e ricorda di se stesso bambino, e di come il gioco degli scacchi, presente nel suo destino, abbia dannato la sua vita.
Così l'equazione si completa e si chiarisce, e nel termine opposto (quello dopo il segno 'uguale') appare definitivamente il risultato della stessa: “vita” o “morte”, a seconda di come piaccia intenderlo al lettore.
Una struttura narrativa come quella appena illustrata è un vero e proprio gioiello, da far studiare a chi aspira a diventare scrittore. Ed è accompagnata da uno stile che, seppure ridondante nel soffermarsi su determinati stati d'animo, è sicuramente all'altezza del risultato.
Non è, invece, un libro per conoscere gli scacchi: da questo gioco – uno dei più intelligenti (e, a suo modo, cruenti) inventati dall'uomo – Maurensig ha tratto gli aspetti più “teatrali”, allo scopo di accrescere il pathos del romanzo. Semmai va detto che il suo ultimo libro, “L'arcangelo degli scacchi” (biografia romanzata del geniale campione Paul Morphy), contiene un ritratto del gioco più aderente alle sue reali dinamiche.
E' evidente, in ogni caso, che Maurensig conosce il gioco e ne percepisce il fascino... come accade a chiunque (pur quando non sia un giocatore provetto) se ne lasci conquistare.
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L'ultima mossa
Che magia la scrittura. Che meraviglia la lettura. Che incredibile esperienza farsi rapire da una storia e ritrovarsi a riflettere sulla vita.
Voglio però prima di tutto sgombrare il campo ad equivoci che potrebbero scoraggiare qualcuno a prendere in considerazione la lettura di questo breve, ma intenso romanzo: io non sono un giocatore di scacchi, ma la cosa credetemi ha davvero poca importanza. La potenza della storia non per questo viene meno, anzi, mi ha colpito in pieno, iniziando con una apertura decisa, continuando con un gioco costantemente sul filo di lana ed infine chiudendo con uno scacco matto su cui c’è poco da discutere. Mi ha battuto, steso, lasciato attonito.
Si tratta di un racconto pieno di pathos in cui due uomini si confrontano in una partita a scacchi lunga tutta la loro vita, fino alla inevitabile resa dei conti. Una partita che attraversa l’Europa della Seconda Guerra Mondiale e che siamo invitati a ripercorrere salendo su un treno che da un punto di vista meramente geografico ci porterà da Monaco a Vienna, ma che in realtà ci farà fare un viaggio di ben altro tipo.
Il gioco degli scacchi è un’arte, si tramanda di generazione in generazione e dopo le prime partite può diventare una vera e propria ossessione, un modo di vivere o di estraniarsi, un modo di relazionarsi con il prossimo umiliandolo od onorandolo, un modo di salvare una vita o di distruggerla volgendo il pollice su o il pollice giù. Terribile.
Un romanzo che fa indubbiamente riflettere, sia per l’ossessività che può generare il gioco in sé, sia per la drammaticità ed il cinismo che emergono dalle pagine sull'Olocausto.
Leggendolo mi sono tornati in mente un libro ed un film. Il primo è “Le braci” di Marai per la struttura del racconto ed il confronto/scontro tra i due protagonisti. Il secondo è “La vita è bella” per la metafora che Benigni usa per condannare l’assurda (totale mancanza di qualsivoglia) logica che muoveva i nazisti: quando il dottore, amico di Benigni con cui giocava agli indovinelli prima dello scoppio della guerra, lo ritrova nel campo di concentramento in cui è ufficiale nazista, la sua unica preoccupazione è di risolvere un indovinello per cui ha bisogno dell’aiuto di Benigni. Non gli passa neppure per l’anticamera del cervello il pensiero che è il suo amico ad avere bisogno di lui, non lo sfiora neppure da lontano il sentimento di solidarietà per lo stato disumano in cui si trova e che è solo la follia della Guerra ad averli posti su due piani diversi. Sono due uomini, hanno pari dignità ed invece la Guerra ha deciso che uno è l’Essere umano con la “E” maiuscola, mentre l’altro non è niente.
Come spesso accade per tutte le sue forme (scrittura, pittura, cinema, ecc., fate voi), la forza dell’arte rende immediata e potente l’immagine di qualsiasi cosa, anche la più brutta che sia mai stata concepita.
Non sono uno scacchista, ma questo romanzo mi ha colpito lo stesso…forse perché in fin dei conti sono solo un essere umano con la “e” minuscola.
Leggetelo, non vi lascerà indifferenti.
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Soffro di graforrea, perdonatemi.
La lettura di questo libro mi ha sorpreso più della scoperta dell’esistenza dei soffioni boraciferi…per dire.
Mi è capitato più volte di sentirne parlare e lo collocavo nella libreria mentale alla sezione “Libri da leggere, con calma, ce ne sono altri più belli”.
E’ stato amore a prima riga.
Da piccola giocavo a scacchi. Ho fatto qualche torneo, niente di speciale. Mi piaceva molto giocare e il mio Maestro diceva ai miei genitori che ero molto brava.
Non sono molto scaltra nella vita ma gli scacchi a me, già all’età di nove anni, non me la contavano giusta. Percepivo il loro pericolo. Attiravano troppo la mia attenzione e, notavo ai tornei, l’attenzione di troppa gente che non mi sembrava tanto a posto.
Ho avuto la conferma della mia sensazione in due occasioni in particolare.
Durante un torneo, in cui ero nella categoria “pulcini” avevo già sconfitto il mio avversario così, siccome c’era uno dei “cadetti” liberi mi hanno chiesto di scontrarmi con questo “ragazzo più grande” (due anni in più, mica Matusalemme!). La gente aveva preso la nostra sfida come chissà quale evento, attiravamo l’interesse della folla (crescendo, l’avevo soprannominata la partita Kasparov-Karpov de noiartri) manco ci fosse il Papa a distribuire grazie. Giocavo e mi chiedevo: “Ma questi qui? Ma che problemi hanno? Devo dire a mamma e papà che qua c’è gente pazza, e di vestirmi magari un po’ meglio in queste occasioni perché questi squadrano più della mia squadra geometrica” (ai tempi mi sembrava una battuta divertente). Vinsi, ma perché il tipo era veramente incapace, non perché io avessi fatto una partita brillante. La cosa provocò molto scalpore al momento. Si complimentarono tutti e io, incapace di sostenere tutta quell’attenzione per una cosa da niente, me ne andai a casa con la sola voglia di sentire il racconto dell‘uscita di mia sorella con le sue amiche, allontanando il più possibile il mondo scacchistico.
La volta successiva mi scontrai con la campionessa italiana. Avevamo un punto di differenza. Per vincere a lei bastava una patta.
C’era una tensione pazzesca nell’aria che la ricordo tuttora. Il mio Maestro, che era anche il suo, tifava chiaramente per me ed era inquieto.
Si guardavano tutti di sottecchi, come a voler nascondere chissà quale segreto.
Non mi è mai piaciuta la competizione, soprattutto nei bambini, e trovavo quella situazione assurda. Durante la partita, in cui io giocavo coi neri, mi guardavo in giro affascinata e perplessa, tanto che mia madre (erano tutti accanto alla nostra scacchiera) mi diceva spesso di non distrarmi. Il mio Maestro mi lanciava sguardi assassini, mi sembrava di sentirlo: “Francesca, concentrazione, diamine!”
Ricordo che lì capii ciò che gli scacchi potevano diventare. Guardavo quei volti in tensione per due bambine che giocavano a scacchi. Cavoli, stavamo GIOCANDO.
La mia avversaria mi chiese la patta. Gliela concessi, sapendo che sarei arrivata seconda ai campionati.
Non avrei dovuto, mi dico spesso, ma fu lo sguardo dei miei genitori quello che mi preoccupò maggiormente. Erano agitati, impazienti, seri, e i loro occhi erano diventati tetri come quelli degli altri. Quella situazione ci faceva male.
Ho smesso di fare tornei ma invece che giocare al Sega Master System come tutti gli altri bambini io giocavo a scacchi, da sola. E MI PIACEVA.
Sono passati molti anni e ancora adesso mi capita, di notte, di fare tardi con la mia scacchiera elettronica. Gli scacchi sono incantesimi, ci giochi e non te ne liberi più.
Tutte queste parole per portarvi a credere che davvero questo gioco ti cambia, ti fa uscire di senno se gli dedichi la vita. L’ho passato io nel piccolo, piccolissimo, figuriamoci a livelli superiori.
Il fatto che in questo libro alcune vite dipendano da una partita a scacchi è da brividi ma dannatamente vero. In un modo o nell’altro è così.
Mi permetto di dire che però, se dovessi scegliere tra il non conoscere affatto il gioco o l’uscirne pazza sceglierei senza ombra di dubbio la seconda, non si può vivere e non provare il brivido di una partita, non si può non fermarsi a riflettere su quanto questo gioco sia simile alla vita umana: pedoni, alfieri, cavalli, Re e Regine (che rappresentano i ruoli che si possono avere nella vita) interagiscono ognuno col proprio “carattere” ma alla fine della partita tornano insieme nella stessa scatola. Un po’ come noi uomini, esiste un’unica fine per tutti. Anche per chi, per cause maledettamente ingiuste detiene il potere.
Anche per persone che, credendosi nel giusto, nascondendosi dietro la propria fittizia superiorità calpestano la vita umana. Un’unica fine gente, proprio per tutti. Non si è superiori a nessuno. MAI.
S parla anche di Olocausto in questo libro, e io non me la sento di parlarne perché è una cosa che mi lascia senza fiato. Le ultime pagine le ho lette piangendo.
Leggetelo, fa bene all’anima.
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Partita con la morte
Un uomo trovato morto, ucciso da un colpo di pistola, due persone che si fronteggiano, una scacchiera, un lungo viaggio che riporterà indietro le lancette del tempo. Questi sono gli elementi dello splendido romanzo d'esordio, con il quale lo scrittore Maurensig si fece conoscere al mondo letterario.
Le pedine sono allora eserciti schierati, pronti a darsi battaglia, in un gioco sanguinoso dove non vengono fatti prigionieri. Chi viene preso viene inesorabilmente eliminato per sempre dal terreno di scontro. D'altronde i colori bianchi e neri contrapposti non possono forse rappresentare l'eterna battaglia tra il bene e il male, tra il giusto e l'ingiusto? E soprattutto qual'è la sottile linea di demarcazione? La sete di vendetta ad ogni costo, come ragione d'esistere, mettendo in gioco o coinvolgendo la vita di altre persone, portandoli ad un passo dal baratro, non è forse male?
L'intreccio indissolubile tra un gioco come gli scacchi e la vita. Gli scacchi quindi non solo proiezione mentale dei giocatori ma essi stessi figure partecipi degli eventi terreni. Il Re diventa un leader, un “Führer” capace di muovere gli eserciti, la regina e i pezzi “pesanti” diventano i suoi generali spietati, pronti a tutto per la vittoria finale, i pedoni i suoi soldati, ciecamente obbedienti, pronti anche al sacrificio. 64 caselle che generano passioni o elementi contrastanti: gioia e dolore, conforto e sconforto, vita e morte, fantasia e razionalità. Come un ping pong, queste emozioni non restano immobili, si spostano, rimbalzano, librano nell'aria impermeando il teatro dello scontro, si alternano ora da una parte ora dall'altra parte della scacchiera. Come accade nella nostra esistenza.
“Cosa sogna un pedone? Cambiare natura. Raggiungere l’ottava traversa. Non rassegnarsi all’infelicità del proprio stato. La chiave di tutto era nell’ansia di una metamorfosi, nel sogno dei pedoni di diventare regine. (Fabio Stassi – la rivincita di Capablanca)”
Non è questa una formidabile metafora della nostra vita, quella del cercare di elevarsi, di migliorare, progredire, raggiungere con sacrifici un'agognata meta?
Interessanti e devo ammettere a tratti inquietanti e veritiere, le emozioni e l'analisi psicologica degli scacchisti o perlomeno di quelli che ne fanno ragion di vita fino allo stremo, trasformando il gioco in ossessione, il divertimento in patalogia con conseguenze pesanti, come un buco nero capace di inghiottire tutto. Buffa la figura del Strumpfel Lump, anche se forse accentra in una figura sola caratteristiche che ho notato in più giocatori diversi.
Maurensig ci porta nel mondo complesso degli scacchi con uno stile elegante ed un uso di parole a tratti ricercato. Il suo pregio maggiore è che però lo fa in maniera semplice, accessibile a tutti, anche a non giocatori. Ciò non toglie comunque che uno scacchista potrà apprezzarlo al meglio, in tutte le sue sfumature più o meno velate.
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La variante dei gialli
Bene. La prima cosa che mi viene da dire è che questo libro mi ha lasciato piuttosto contraddetta e con sentimenti contrastanti: se da un lato riconosco la bellezza intrinseca dell'opera, soggettivamente non mi ha fatto fare salti di felicità.
Cercherò di darne chiare spiegazioni.
Innanzi tutto la trama da copertina: totalmente fuorviante. Sì c'è un morto e in fondo si scopre anche il motivo, ma in tutto il libro non c'è traccia di indagini o investigazioni.
Uno dei personaggi muore e subito inizia il racconto che torna indietro nel tempo, di circa qualche ora. L'imprenditore è un maestro di scacchi che si diletta anche a scrivere articoli per riviste specializzate. Ama rivolgere particolari critiche a chi utilizza la variante che da titolo all'opera: la variante di Luneburg.
Mezza giornata prima della sua morte, l'imprenditore è in treno e sta tornando verso Vienna, nelle ore che li separano dalla meta finale, lui e il suo compagno di viaggio abituale, si dilettano in una partita di scacchi.
Quel giorno, un particolare turba la loro routine: un giovane decide di sedersi nel loro scompartimento. Non solo, ma da alcune occhiate ed espressioni, appare subito chiaro che anch'egli è appassionato di questo gioco e, per di più, ad un certo momento, dichiara di amare la variante di Luneburg e di averla usata moltissimo per vincere le partite. Dopo un po' di reticenza, il giovane viene invitato a raccontare la sua storia.
Facciamo così la conoscenza del quarto e ultimo personaggio della storia: il misterioso Tabori.
Costui aveva attirato tempo addietro, l'attenzione del giovane, poichè era chiaramente un maestro di scacchi ma non giocava mai. Alla fine, la passione per il gioco aveva spinto il giovane a chiedere all'uomo di insegnargli a giocare.
Stranamente aveva accettato.
L'istruzione del giovane da parte di Tabori occupa buona parte della prima metà del libro, tra raffinate spiegazioni del gioco (comprensibili, tuttavia, anche dai non conoscitori) e appassionati commenti sugli stati d'animo che la scacchiera procura al giovane.
La prima parte si conclude con Hans che, dopo aver perso il maestro, lo ritrova e si ritrova a compiere per lui un'ultima mossa.
La seconda parte del libro è il racconto di Tabori stesso, che inizia dalla sua infanzia, fino all'incontro con quello che sarà il suo rivale negli scacchi e nella vita, con cui si troverà ad affrontare una partita ... mortale.
Il finale ... fornisce diverse motivazioni, ma non risposte, lasciando al lettore, quella che preferisce.
Come è comprensibile da questo sporadico riassunto, se cercate un giallo o un thriller secondo canoni, lasciatelo nella libreria. Della morte dell'imprenditore si parla solo all'inizio e senza indagini o spegazioni di sorta.
I punti focali del romanzo sono due:
- nella prima parte la passione del giovane per gli scacchi, i sentimenti che suscita in lui, quell'atteggiamento rapito e annientante che è possibile vedere in molti grandi maestri. Qualcosa che va oltre il semplice interesse hobbistico, il diletto o la professionalità lavorativa. Persone come Hans vedono negli scacchi tutto il loro mondo e niente conta più. Trovo che l'autore sia stato molto bravo a coinvolgere il lettore in un mondo molto esclusivista, utilizzando spiegazioni semplici sugli scacchi e descrizioni lucide e forti per quanto riguarda i sentimenti;
- nella seconda parte, permane l'aspetto passionale. Senza fare spoiler arriverà un momento in cui, per il personaggio precipitato all'inferno, Tabori, il pensiero di partite virtuali giocate nella propria mente, sarà tutto ciò che lo tiene a galla. Ma subentra qualcosa di più materiale e reale e una partita di scacchi diviene una partita per la vita, per molte vite. E' interessante vedere il contrasto tra i due personaggi della seconda parte: accomunati dalla stessa grande passione, dalla stessa bravura, dallo stesso genio scacchistico eppure, proprio come nel gioco, ai due antipodi, come bianchi e neri, attacco e difesa, buoni e cattivi.
Mi è venuto da pensare che uno dei due fosse dal 'lato sbagliato' della scacchiera. Quale? Anche questo è interessante, perchè a seconda del punto di vista che si sceglie, cambia il soggetto svantaggiato. Il nero? perchè a causa del suo gioco ha pagato con la vita? Il bianco che è stato costretto a giocare, suo malgrado, per una posta terribile? Di nuovo il nero che, sedotto dalle idee dell'epoca si è ritrovato a ricoprire un ruolo che ha pagato caro? O ancora il bianco che si lascia trascinare dalla sete di vendetta?
Per quanto riguarda i personaggi, gli unici due di cui conosciamo pensieri e sentimenti sono i due narratori, Hans nella prima parte, Tabori nella seconda. Su quanto siano approfonditi c'è bisogno di una riflessione. Se da un lato, infatti, ad una lettura più attenta, essi non parlano altro che di scacchi e di questa loro passione, dall'altro, essa viene sempre descritta come così totale e assorbente da non lasciare spazio ad altro. Dei due personaggi quindi, conosciamo poco di più, perchè c'è poco di più. Hans approfondisce solo la parte di racconto riguardante l'incontro con Tabori e il suo apprendimento; Tabori si dilunga un po' di più, iniziando dall'infanzia per poi proseguire con le prime partite, l'incontro con il rivale, fino a che la storia non si mette nel mezzo dividendoli e facendoli reincontrare in un luogo che assume i contorni di un non luogo. Gli altri due, l'imprenditore e il suo compagno, sono solo leggermente tratteggiati, almeno nei momenti in cui intervengono in prima persona.
Passando all'aspetto più meramente stilistico, direi che ho apprezzato il modo di scrivere dell'autore, elegante, preciso, semplice ma con una parvenza di elaborazione e una notevole poetica nelle immagini utilizzate. L'io narrante è molto ben utilizzato in quanto non crea anticipazioni limitandosi a raccontare ciò che il protagonista potrebbe, giustamente, sapere: il suo passato, senza creare attesa o aspettative con commenti 'fuori tempo'. Anche il linguaggio è adattato egregiamente in quanto rispetta il lessico del racconto orale senza cadere troppo nelle regole del racconto scritto. I termini sono semplici e comprensibili, di registro medio, tendente all'elevato, ma senza apparente ricerca terminologica.
Passando alla lunghezza, l'ho trovato decisamente corto, per gusto personale, avrei preferito alcuni approfondimenti in certi punti e qualche spiegazione in più. Contrariamente a come avviene troppo spesso ultimamente, qualche pagina in più non avrebbe stonato. inoltre non ho apprezzato le tempistiche dei racconti, lenta per i nove decimi del libro per poi far capire tutto nelle ultime pagine. Avrei preferito più sintesi in alcuni momenti e più spazio alla 'partita' che ha dato il via a tutto e si ricollega con l'inizio del libro.
Giudizio finale complessivo: Bene come dicevo all'inizio, oggettivamente riconosco il valore dell'opera, soprattutto nella seconda parte, quando emergono i motivi dell'omicidio/ suicidio e la genialità di condurre una partita così a lungo, ma, soggettivamente, non mi è piaciuta. Non è questione di apprezzare o meno, non mi è proprio piaciuta, sto parlando di mero gusto personale. Non mi è piaciuta perchè avrei preferito che il lato investigativo fosse presente, se non approfondito, non mi è piaciuta la tempistica dei racconti, non mi è piaciuta perchè non c'erano accenni in copertina, ad un periodo storico di cui non amo leggere. Anche in questo caso dietro c'è solo il gusto personale, non mi piacciono gli antichi egizi, non mi piace il XVIII secolo, non mi piace la Seconda guerra mondiale. Probabilmente avrei letto il libro ugualmente, ma avrei preferito saperlo.
Voto: 7/10
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Checkmate, Mr. Eko
Sempre più circondato da grossi libri pieni di pagine, quasi sopraffatto da questi pesantissimi ceppi suddivisi in centinaia di fogli, blocchi pesanti pieni di tante storie o di una sola lunga storia, bloccati sul comodino soprattutto perché difficili da trasportare, sento il bisogno di fare una pausa.
Di una menta fresca mentre attraverso a piedi il deserto del Mojave, di un pomeriggio libero, preso per girare per le vie del centro. Fermarmi a guardare, poi riprendere a camminare, respirare.
Per un lettore una pausa è anche la possibilità di leggere un libro composto da poche pagine. Bastano pochi giorni per immergersi in un mondo nuovo, l’autore ha poco tempo per stupirti, sa che la tua esperienza sarà breve, deve renderla il più possibile intensa.
La variante di Luneburg ha fatto proprio al caso mio.
Costruito come un giallo e raccontato da differenti punti di vista, Maurensig ci racconta in realtà molto di più, dell’importanza della posta in gioco e delle nostre azioni che da essa scaturiscono, della eterna sfida tra il bene e il male, che spesso albergano in noi stessi, ma anche della bellezza tragica del gioco degli scacchi, che come una bellissima sirena ammaliatrice ti irretisce fino a portarti alla pazzia.
Proprio gli scacchi, soprattutto per me, che non li ho mai sopportati. Gioco che ho sempre liquidato come “noioso e complicato”, sfida impari con la mia pazienza, dove prima di ogni mossa devi assicurarti che la cordicella del paracadute funzioni, oppure attendere la mossa dell’avversario, sperando che si distragga per soffiargli la regina.
No, gli scacchi non li ho mai capiti o forse mi sono sempre rifiutato di farlo, e ho fatto male, perché dentro questo gioco universale è invece molto facile trovare la metafora della nostra vita, se riusciamo a viverla con raziocinio e pazienza, con la giusta attenzione, rendendola distinguibile dalle altre, e soprattutto se riusciamo con il nostro stile ad introdurre la giusta variante.
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Due uomini e una scacchiera
La variante di Luneburg è un romanzo breve, ma profondo e meditativo.
Spesso viene erroneamente definito come un giallo, fagocitando nel lettore delle aspettative per un genere letterario di cui questo romanzo non può esserne il rappresentante.
Le caratteristiche sono altre, il messaggio che vuole trasmettere è altro.
Nelle primissime pagine si narra di una morte misteriosa, ma si percepisce fin da subito che l'autore vuole portarti altrove.
Ti ritrovi catapultato nel mondo degli scacchi, rimanendo alquanto destabilizzato perché Maurensig scopre le sue carte molto lentamente, o sarebbe meglio dire, studia con calma e arguzia le mosse.
A questo punto non bisogna compiere lo sbaglio di dubitare del costrutto narrativo e di tentare di correre per mettere tutti i tasselli al loro posto.
Dobbiamo stare seduti accanto ai due maestri del gioco, attenti alle loro mosse e alle loro parole.
I protagonisti sono loro, due scacchisti opposti in tutto, nel gioco e nella vita.
Il collegamento che si crea tra il gioco degli scacchi e il senso della vita è straordinario; l'errore e la sconfitta del gioco sinonimi di dolore e morte, l'antagonismo, il tema del dualismo.
C'è tanto in queste pagine; filosofia, psicologia, emozioni, sensazioni, attese, paure.
Dalla scacchiera con le sue regole, avvolta da un'atmosfera magica, alla vita reale, quella cruda e tragica, alle pagine più bieche della storia ossia al periodo nazista.
Maurensig costruisce una vera e propria tela di ragno, formidabile, catturandoti piano piano per svelare le reali intenzioni ed il senso dell'intera vicenda solo fine.
Egli utilizza una stratificazione di voci per raccontare la sua storia, partendo dal presente e andando alla ricerca delle verità di un passato complesso e indelebile nella memoria dei protagonisti.
Bellissimi questi due cuori opposti, mossi da un odio inesauribile, si attraggono e si respingono, si studiano, si osservano. C'è lo specchiarsi dell'uno nell'altro, due destini incatenati, vicini e lontani, come il bene e il male, la vincita e la sconfitta, la gioia e la sofferenza.
E' un romanzo dai significati molteplici, anche se talvolta non è immediato ma richiede attenzione e capacità di analisi da parte del pubblico; lo stile dell'autore non è complesso ma si presta ad una lettura gradevole anche nei passaggi maggiormente descrittivi delle fasi del gioco e delle tecniche utilizzate.
Un racconto per tutti, perché si parla della vita e dell'uomo.
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La variante Luneburg
Quale sarà la prossima mossa e quale quella del mio avversario e quale ancora la mia successiva sulla scacchiera...questo è l'atteggiamento che ho avuto durante la lettura del libro.
L'inizio è scandito da una morte inaspettata, omicidio o suicidio, e chi sa rispondere? Si avanza nella lettura come in una studiata partita a scacchi, sarà questo gioco il comune denominatore della trama.
Il contenuto è elevatissimo, si parla di scacchi, di lager tedeschi, dell'eterno conflitto tra il bene ed il male, alla fine il male è odiosamente vincitore perchè ricordate che in conclusione di una guerra non ci sono mai vincitori né vinti, si perde tutti...come in una partita a scacchi durante la quale gli avversari si disintegrano a vicenda, con mosse a volte anche prevedibili ma sicuramente distruttive che però portano ad una "patta".
Purtroppo il ritmo è decisamente lento, troppo riflessivo e questo ne fa decadere la votazione in piacevolezza, seppure la voglia di scoprire chi viaggia in quel treno con il protagonista e cosa ha da raccontargli invoglia il lettore con lo sfogliare delle pagine.
Alla fine sarà una mossa di scacchi quella componente che ci condurra alla verità, letale, come un veleno iniettato in vena, sotto forma di liquido di contrasto, che è possibile osservare mentre giunge al cervello portandoti a capire che la fine è giunta.
Sono un po' deluso perchè im aspettavo un altro tipo di libro giallo ma anche "La variante Luneburg" andava letto.
Buona lettura a tutti.
Syd
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Un tempo per ogni cosa
Un morto, un treno in movimento.
Due persone, anzi tre, nello scompartimento.
Strano… di solito gli occupanti sono sempre e solo due, e giocano immancabilmente a scacchi. Sempre. L'uno contro l'altro. Due vite che giocano, per ammazzare il tempo fino alla fermata giusta. Da anni.
Il gioco degli scacchi come il gioco della vita? Se si, allora, potremmo essere tutti pedine sulla stessa scacchiera: chi re, regina, alfiere, cavallo, torre, pedone.
E, sempre accettando questa teoria, rileveremmo immediatamente che questi sei pezzi sono del tutto insufficienti per rappresentare l'intero genere umano: la natura dimostra una fantasia illimitata nel continuare a creare i suoi "pezzi", i suoi uomini, le sue donne.
Ad esempio, sulla scacchiera, mancano i Mostri. Mancano gli Eroi. Mancano i Deboli, i Perseguitati. Mancano anche i sentimenti, come la Giustizia, come la Vendetta.
Ne mancano, di pezzi, sulla scacchiera bianca e nera…
E… cosa succederebbe se, nella vita reale, si volesse portare a termine, a tutti i costi, un "gioco" iniziato anni prima: cosa mettere come posta in gioco?
E anche: dove sta la sottile linea di demarcazione tra giustizia e vendetta?
Un libro avvincente, veloce, con una trama che non perde un colpo e uno stile pulito e impeccabile, per una storia che fa riflettere sul lato oscuro delle persone, sull'esito delle decisioni prese.
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Bianchi o Neri ? Vita o Morte ?
Un unica costante 32 pezzi e 64 caselle
numero di variabili che incidono sulla costante 10^{10^{50}}
Il libro è sicuramente per tutti, anche se non si conoscono le varianti e le aperture o i grandi nomi del passato si apprezza a pieno perchè la storia è originale l'autore non è prolisso e l'aurea di mistero che riesce a imprimere alla storia è sicuramente coinvolgente.
Io sinceramente da assiuduo giocatore l'ho trovato molto rappresentativo sia del ambiente che della "personalità" del giocatore, l'autore ha secondo me espresso a dovere la passione con cui affrontano il gioco gli appasionati.
Ho divorato il tutto in un pomeriggio plumebo, e ho trovato la lettura molto piacevole e scorrevole, Paolo Maurensig scrive in modo elegante e avvincente.
Unica nota negativa( ma qui lo dico e qui lo nego) sta forse nel fatto che avrebbe potuto esssre leggermente piu descrittivo sulle partite, in modo particolare su quelle che gioca nella parte finale del racconto.
I contenuti per quanto non sia un tomo di ennemila pagine sono di spessore e come sempre gli scacchi toccano un po tutte le discipline classiche e scentifiche e forse è per questo che il contenuto lo trovo di valore non solo per i temi tratti con evidenza .
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Scacco matto, Maurensig!
Un romanzo di una lucidità agghiacciante, come forse deve essere lucida e gelida una partita di scacchi. Nel gioco degli scacchi i giocatori possono rimanere sconosciuti e distanti, possono giocare dietro a un vetro che li faccia rimanere separati, possono essere un umano e una macchina. Non interessa l'espressione del viso, la sofferenza, la gioia della conquista, il dolore della posizione persa. Si punta tutto alla conquista della scacchiera, allo scacco matto finale che decreterà il vincitore.
Ma Maurensing ha commesso un errore madornale. Ha parlato della Shoà, ipotizzando che un uomo chiuso in un campo di concentramento possa ancora avere spazio nella sua testa per il gioco degli scacchi. No. La fame occupa ogni anfratto, ogni pensiero, ogni scintilla di lucidità.
Non è pensabile, non ci sono spazi di azione per chi soffre la fame.
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Scacco matto
Immaginate che la vita sia una scacchiera e noi gli scacchi. E da ogni singola mossa dipende non solo la nostra vita, ma anche quella degli altri. E allora che fare? Lasciare vincere l’avversario o batterlo? Qual è la mossa più giusta, per avere salva la vita? Forse la mossa azzardata, la Variante di Luneburg per l’appunto, che non solo ci salverà ma ci consentirà anche di pareggiare i conti con il destino. Pedine nere contro pedine bianche, un’eterna lotta tra il bene e il male, in un’alternanza di vittorie e di sconfitte.
Il romanzo di Paolo Maurensig, scritto nel 1993, ha come filo conduttore il gioco degli scacchi, metafora di vita e, anche per chi non capisce niente del gioco, come me, può apprezzarne la lettura, che a volte riprende i toni del thriller e ci narra anche gli orrori del nazismo senza mai indulgere in pietismi o manierismi di genere. Scorrevole, appassionante a volte fantasioso il romanzo è scritto magistralmente e merita il successo che ha avuto.
“Quand’ero bambino avevo la facoltà di scoprire il grado d'influenza che il gioco esercitava sull’individuo che mi stava dinanzi, solo fissandolo qui, in mezzo alla fronte.” dice Tabori, il maestro di scacchi, che si definisce “un uomo che ha giocato all’inferno”; forse anche Paolo Maurensig ha capito che il libro avrebbe appassionato i lettori, anche senza guardarli in mezzo alla fronte.
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Gli scacchi sono un gioco violento
Lessi questo libro nei primi anni 90, poco dopo che era uscito, e io ero fresco di entusiasmo perchè la mia nuova passione, gli scacchi appunto, mi stavano dando parecchie soddisfazioni e numerosi tornei.
E' un libro dalla struttura narrativa complessa, con una trama che fonde, amalgamandoli perfettamente, elementi eterogenei come il nazismo, gli scacchi, il tema del doppio (la Qlippah ebraica).
L’inizio del libro è un giallo, quasi una cronaca giudiziaria, con le scarne notizie su una strana morte e la comparsa del particolare della scacchiera, la chiave di volta dell’intera vicenda, il mattone su cui poggia tutto il romanzo, ma via via si trasforma in biografia, flashback, romanzo storico. Fino al colpo di scena finale.
Non proprio una lettura leggerissima, ma per chi ha voglia di cimentarsi con un libro originale che contiene parecchi spunti di riflessione, è imperdibile.
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La variante di Luneburg
Libro di esordio di Paolo Mauresing, scrittore noto per il più celebrato e famoso (anche grazie al film) "Canone inverso".
Chi ama il gioco degli scacchi non può assolutamente perdere questo libro. Ovviamente consigliatissimo anche a coloro che non conoscono la scacchiera. La naturale tensione psicologica del gioco viene amplificata e intrisa di una crudezza e violenza inaspettate. Meravigliosa l'atmosfera cupa che pervade l'opera. Maestoso l'incedere implacabile del racconto che riesuma i peggiori fantasmi del secolo scorso. Altissima e struggente la tensione emotiva nell'episodio del "gioco della quaglia".
Da leggere tutto in una notte.
Non consigliato a chi predilige una lettura leggera e spensierata.
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