La solitudine dei numeri primi Hot
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Un buon libro
Senza tanti giri di parole: mi è piaciuto.
Se un libro riesce a darmi emeozioni e spunti per dialogare bene, vale la pena leggerlo.
Questo libro mi ha emozionato, a tratti angosciato.
Ho sofferto soprattutto pensando a chi vive realmente le situazioni descritte.
Lo consiglio, semplicemente.
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il piacere della letture
Io ammetto che la lettura non è il mio forte e che quando mi hanno dato da leggere il libro a scuola ho pensato subito che fosse uno di quei libri noiosi che non avrei mai finito di leggere, ma mi sono ricreduta. Devo ammetterlo il libro mi è piaciuto molto, ho finito di leggerlo dopo 3 giorni, lo divoravo pagina dopo pagina, sono quasi diventata dipendente dal racconto.
La storia è diversa dalle altre, infatti, praticamente tutti i libri finiscono con la frase tipica dalla favola "...e vissero tutti felici e contenti." ed è forse questo il problema che le trame sono praticamente tutte identiche e noiose.
L'autore è uscito dallo schema ed è questo il motivo che lo rende un libro speciale.
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premio Strega?
Dimostrazione di quanto può essere facile, a volte, vincere il premio Strega. Dimostrazione di quanto è potente il marketing nell'editoria italiana. Lo stile non è male, ammetto, ma la storia è davvero povera, con i drammi della nostra epoca volutamente esasperat (ci farebbe un bel film Muccino). L'unica pagina che salvo è quella in cui spiega la similitudine tra la solitudine di certe persone ed i numeri primi.
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una delle tante ma...
Il libro è una fotografia della generazione del nuovo millenio...divisa tra il sogno irrealizzabile di una vita sempre desiderata e la realtà di dover convivere con i propri difetti, le proprie colpe e le proprie capacità. L'idea narrativa è apprezzabile e lo stile anche se molto diretto e scarno rende l'idea di quello che la voce nella testa possa dire ad un ragazzo di quell'età. credo che sia una lettura giovanile ma consigliata forse più a chi ai giovani si vuole avvicinare per comprendere le loro paure, fobie e disideri. In linea generale una lettura consigliata anche grazie alla velocità e soorrevolezza di lettura.
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la solitudine dei numeri primi
Leggendo le opinioni degli altri lettori,vedo che il libro ha deluso moltissime persone. Io sono una voce fuori dal coro perchè l'ho trovato piuttosto bello.Le storie dei due protagonisti sono molto tristi e descritte anche con una certa crudezza ma è bello il rapporto che si instaura poi tra i due, nonostante continuino ad essere profondamente feriti da una vita che non hanno voglia di vivere.
nel complesso, il libro è piacevole e scorrevole.
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mi aspettavo di meglio
Lo stile dell' autore è lineare e piacevole e fa sì che la lettura risulti scorrevole. Nonostante questo, dopo una prima parte introduttiva che mi ha permesso di conoscere il passato ed i tratti caratteristici dei due personaggi principali, attendevo con ansia che iniziasse la vera "storia" che purtroppo non è mai arrivata.
Un libro che non credo rifletta la società di oggi, come ho spesso sentito dire, in quanto i due protagonisti sono esageratamente anormali, direi quasi delle caricature. Un libro che ho terminato perchè me lo sono imposta e non perchè volessi scoprirne la fine, e ahimè, nemmeno la fine ha avuto un senso per me.
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Ci risiamo Jack Frusciante
E' un testo adolescenziale. Forse scritto pensando alla sceneggiatura del film che senza dubbio qualcuno penserà di produrre. Intendiamoci, non è male, soltanto che nel mio caso avevo troppe aspettative dovute alla vittoria dello Strega .
Mi viene in mente l'operazione libro+film "Jack frusciante", questo libro però è meno bello (d'altra parte Brizzi non è più riuscito a ripetersi).
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la solitudine dei numeri primi
Un libro piacevole e struggente. Delicato nell'affrontare i sentimenti ma spietato nel descrivere le azioni. Permette al lettore di entrare in scena e di vedere quasi con nitidezza ciò che vivono i protagonisti.
Tutto scorre tra le mani dei protagonisti con la sensazione che non per tutti ciò che sembra ovvio alla massa, lo sia davvero. Mattia ed Alice rispecchiano la realtà di qualcuno, questi numeri primi che citando il libro vorrebbero a volte essere come tutti gli altri ma non ci riescono.
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La solitudine dei numeri primi
Ho terminato da poco il libro di Giordano e, come molto altri, mi aspettavo di leggere un romanzo di introspezione psicologica ma con un intreccio che lo rendesse più interessante. Probabilmente l'autore ha deliberatamente fatto confluire questa storia in una mancanza di iniziativa da parte dei protagonisti proprio per sottolineare la loro estraneità alla vita... è un libro che va letto per quello che è, senza cercare significati nascosti... esistono situazioni in cui le persone sono incapaci di agire proprio perché il tormento che vivono è più grande di qualsiasi forza. Ho avuto la stessa sensazione quando ho letto Una donna spezzata di S. De Beauvoir, in cui la protegonista, a conoscenza dei continui tradimenti del marito, non riesce a reagire... e vive la sua situazione in una passività che mi ha fatto più volte voglia di tirare il libro al muro...
Infine, penso che Giordano sia un bravo scrittore, che questa è solo la sua opera prima e che dobbiamo dargli un pò più di fiducia.
giusy
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La solitudine dei numeri primi
Giordano annega il lettore nelle descrizioni. L'adolescenza è un' età difficile, nessuno lo mette in dubbio, ma nella vita di un ragazzo, di una persona ci sono anche le cose belle. In questo libro non ci sono cose belle nelle vite dei personaggi. Loro non hanno emozioni, ma solo una gran voglia di farsi del male.
Ha vinto il premio strega, non se lo merita. Ma siccome è mia convinzione che il libro tra le righe rispecchia l'anima dell' autore, sicuramente Giordano aveva bisogno di vincere quel premio. Ora saprà che nella vita ci sono anche le cose belle.
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la solitudine dei numeri primi
è una lettura consigliata a chi piace l'introspezione, l'analisi psicologica dei personaggi. la cosa che mi ha colpito di più è stata la trasfigurazione della realtà fatta dai personaggi, soprattutto mattia, il quale vede ogni elemento della realtà coi propri occhi da fisico da un lato e ragazzo colpito da una forte sofferenza dall'altro. è uno dei libri più belli che io abbia letto.
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la solitudine dei numeri primi
... l'incapacità di reagire in modo costruttivo ai traumi dell'infanzia e'assolutamente riscontrabile quotidianamente... riuscire a raccontare tutto questo con semplicità e profondità non e' da tutti... complimenti a PAOLO GIORDANO che ha saputo guardarsi intorno e vedere tutto con un realismo che ti lascia l'amaro in bocca ma non ti prende per il culo.
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la solitudine dei numeri primi
Buona abilità di scrittura, salve qualche dimenticanza dei congiuntivi... Inizio della storia migliore della fine. Protagonisti apatici, freddi e superficiali, incapaci di dare una svolta alle proprie vite, nonostante i traumi subiti...
Il libro non emoziona,i personaggi sono tutti irritanti e antipatici. A trasmettere un po' di tenerezza è Michela, l'unica realmente fragile e indifesa. Libro non consigliabile. Sinceramente non capisco per quale motivo sia stato premiato.
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la solitudine dei numeri primi
Libro a mio giudizio sopravvalutato, bella la descrizione dei protagonisti adolescenti nelle loro insicurezze ma non troppo convincente l'evolversi nella situazione ed il finale...
Essendo il primo libro dell'autore, peraltro molto giovane, diciamo che ha posto le basi per un futuro da scrittore:
maturando e crescendo lui stesso maturerà anche la sua capacità di approfondimento.
Una cosa che ho trovato veramente azzeccata è il titolo...
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Libro di un autore molto giovane
Il libro' e' stato scritto da Paolo Giordano quando aveva 23 anni. Un'eta' ancora acerba oserei dire che giustifica lo stile un po' spigoloso. Pero' mi sento di dire che Giordano narra molto fedelmente quanto avviene veramente in certi ambienti della borghesia torinese, incluse le scuole.(vivo e lavoro a Torino e conosco benissimo il paese dove e' nato Paolo Giordano perche' ci ho vissuto 17 anni). Trovo il libro lucido e un po' crudele per certi aspetti, ma profondo. Per questo, leggendo altri commenti sul sito, non mi sento di condividerli. Non sta scritto da nessuna parte che i personaggi debbano evolvere. Non c'e' riscatto e non c'e' il lieto fine perche' forse nella vita non ci sono stati. Esistono vite cosi'.
Giordano le ha descritte molto bene.
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La solitudine dei numeri primi
Trovo interessante come, talvolta, un'opera venga valutata, a mio avviso, secondo regole prive di forma. taluno ha dichiarato che quest'opera non sia valida, e per portare valore alla propria tesi ha dichiarato di leggere tanti libri al mese. Magnifico, ma mi permetto di chiarire che se una persona ascolta anche 10 dischi ogni settimana, ma questi sono tutti o di Arisa o di Fabri Fibra, ovvero di artisti privi di valore, l'ascoltatore non ha la capacità di valutare, con una quasi media oggettività, un disco di Patti Smith, ovvero di un'artista di indiscusso valore. A parte questa polemica sterile, il libro è piacevole. scritto sostanzialmente con equilibrio e, nella sua semplicità, elegante. Forse esageratamente ingenuo, ma Paolo Giordano, fino a prova contraria, non è DeLillo.
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La solitudine dei numeri primi.
Il libro parte bene ma poi si perde. Sembra quasi che all'autore sia venuta voglia di finirlo prima. L'idea iniziale è buona ma non viene sviluppata bene in seguito. I salti temporali nella storia sono troppo audaci e sconnessi. I personaggi sembrano incapaci di cercare un riscatto e condannati ad una condizione di sofferenza non giustificata dai loro vissuti personali. Di certo però è un libro che lascia il segno.
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La solitudine dei numeri primi
I primi due capitoli funzionano, come due racconti distinti. Il resto del libro sembra tirato per i capelli all'inverosimile per farne un romanzo. Non c'è adesione da parte dell'autore ai personaggi, che risultano delle caricature di loro stessi. La storia avrebbe potuto essere molto bella, e Giordano avrebbe potuto fare un capolavoro se non avesse ammiccato di continuo al lettore, dicendogli: adesso guarda cosa si fa 'sto tipo, poverino, guarda quanto è cattiva quella, quanto è sfigata quell'altra.
Purtroppo lui non ci crede, e non ci crediamo neanche noi.
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Caso editoriale? Mah....!!
A volte mi chiedo se sono strana io che non condivido l'opinione generale ma.. come si fa a definire un caso editoriale questo libro?
Capisco essere e sentirsi soli, uno stato che in fondo riguarda tutti prima o poi, ma onestamente credo che il tipo di solitudine descritta qui sia semplicemente patologica, qualcosa che un buon psicologo avrebbe decisamente curato, visto il totale distacco da chiunque!
Inoltre, è praticamente senza conclusione, verso gli ultimi capitoli sembra almeno che i protagonisti si decidano a mettersi insieme.. e invece no! Sembra che la sorella sia viva... e invece no! Insomma, si legge ma non è di certo un capolavoro.
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la solitudine dei numeri primi
Io credo che scrivere un libro non debba essere semplice sfoggio di eloquenza. Giordano non scrive male per carità, ma un romanzo deve trasmettere emozioni non essere soltanto un insieme di frasi scritte bene. Questo libro tanto osannato non mi ha dato nulla. I personaggi sono piatti, senza alcuna evoluzione. Non ho provato tristezza, nè struggimento. Non c'è nulla di tutto ciò. Mi chiedo come abbia potuto avere tanto successo.
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La solitudine dei numeri primi
Il fatto che il sedicente scrittore Paolo Giordano scelga come protagonista della vicenda un delinquente paranoico che abbandona la sorella ritardata su una panchina del parco, e che non viene neppure punito dalla legge per questa infamia la dice tutta sulla qualità del suo romanzo...
Per non parlare del comportamento della giuria del Premio Strega: un corto circuito mentale collettivo, o, parafrasando Il padrino di Coppola, un'offerta che non si poteva rifiutare da parte della onnipotente Mondadori di Sua Eminenza.
Sono veramente atterrito. L'unico spiraglio consolante è che i miei (per ora) pochi lettori (ho pubblicato due romanzi storico con l'editore Falzea) un romanzo come quello sicuramente lo eviteranno come una malattia contagiosa.
Un caro saluto a tutti
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La solitudine dei numeri primi
Stile e ritmo anoressici come la protagonista Alice,i personaggi risentono della gioventù e della poca esperienza dell'autore che avevasolo 25 anni; sono infatti eccessivamente statici, privi di una qualunque forma di evoluzione sentimentale e psicologica, fatto incredibile se si tiene conto che il libro vorrebbe abbracciare un ampio arco temporale. Solo i morti rimangono tali; fortunatamente noi vivi evolviamo, in bene o in male poco importa ma non rimaniamo mai gli stessi!. Trama poco interessante e finale scontato...Peggio di così!!!!!
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La solitudine e la fine della parola
La solitudine dei numeri primi è la testimonianza più autentica di come la scrittura si stia “abbassando” e come la parola abbia perso il suo valore profetico e referenziale. Quasi una sorta di sfiducia della e nella parola. Quello che conta è dirlo, e poco importa il come. E ciò non è da inscrivere solo alla caterva dei difetti della odierna editoria o solo al presupposto dell’esigenza di una maggiore diffusione del libro. Insomma, una parola più democratica e poco arzigogolata, che attira un pubblico più numeroso, socialmente e culturalmente più stratificato.
Forse quello che conta al lettore postmoderno è l’intreccio, la capacità di suspence e di curiosità, ingredienti che certo non mancano in questo lungo racconto. Poco conta se un romanzo faccia letteratura o sia solo una parentesi – sebbene fruttuosa – di lettura.
Non stupisce quindi che il vincitore del premio Strega 2008 sia più uno scienziato che un umanista o, meglio ancora, più un matematico che un letterato. E questo parossismo di successo, celebrato dal connubio tra critica e mercato, in uno scrittore non tradizionalmente riconducibile alle humanae litterae non è certo una novità ma solo la continuazione della parabola novecentesca, iniziata già con le avanguardie e che ha visto tra i protagonisti di una rivoluzione copernicana uomini provenienti da una cultura più scientifica come Montale, Quasimodo et similia.
Paolo Giordano ha però il merito di non ammiccare ad alcuna velleità. Il suo scopo pare essere solo quello di fotografare una storia per quella che è, senza l’artificiosità del linguaggio, senza intervenire con spossamenti contenutistici di alcun genere.
L’arco temporale del romanzo è abbastanza ampio: va dal 1983 al 2007. Il racconto è lineare, intervallato da lunghi vuoti per non incidere sull’economia. Ed è questa la sua forza, la sua capacità di attirare l’attenzione, nonostante la storia, pur nella sua originalità, non abbia alcunché di fenomenale. Non fa gridare al miracolo. Procede lentamente, senza mai lasciarsi andare ad improvvise accelerazione. E ciononostante risulta avvincente, incuriosisce e svela “timidamente” il problema della comunicazione. Forse la scelta di un linguaggio così scarno ed essenziale, anoressico, si spiega e trova una sua giustificazione proprio in questo tema, in queste transazioni comunicative mancate, erroneamente gestite e spesso incrociate.
Alice e Mattia vivono all’ombra della loro problematicità e portano addosso il peso e lo sguardo severo di una società che non riconosce nella diversità l’unicità dell’essere e il suo potenziale. Tuttavia, se quella di Alice è una diversità di natura fisica (un incidente in montagna l’ha resa zoppa), quella di Mattia nasce da una psicosi e da un senso di colpa: l’avere abbandonato la sorella disabile in un parco, pur di non averla tra i piedi ad un festa di compleanno.
Ed è proprio questa Michela, smaterializzatasi nel nulla e mai riemersa dal fiume in cui forse è annegata violando così il principio di Archimede (nome dell’omonimo capitolo in cui è raccontata la vicenda) a rappresentare la mano invisibile dell’economia del romanzo, a guidare suo malgrado le azioni dei giovani: tutto ruota ed è al contempo riconducibile alla messa in discussione di questo principio. Sensazioni, emozioni e sentimenti collimano in una sorta di sincope, in cui il reale sfugge a qualsiasi logica comportamentale
Mattia, nonostante la giovane età, si assume tutta la responsabilità del fatto e questa lettera scarlatta diventa principio di autodeterminazione.
Alice e Mattia si conoscono durante una festa di compleanno (il topos ritorna: ciò che si è perduto sembra ritornare sotto mentite spoglie, come transfert, come proiezione): si riconoscono e scoprono nella loro diversità alienante il collante per una discreta e quanto mai silenziosa e a tratti anonima amicizia. L’amore sembra fuori dalla loro gettata: troppo simili per risultare complementari, troppo speculari per fondersi in un altro diverso da sé.
Il titolo ed il senso del romanzo sono spiegati dallo stesso autore nel ventunesimo capitolo: “I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi. Se ne stanno al loro posto nell'infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari e per questo Mattia li trovava meravigliosi… In un corso del primo anno Mattia aveva studiato che tra i numeri primi ce ne sono alcuni ancora più speciali. I matematici li chiamano primi gemelli: sono coppie di numeri primi che se ne stanno vicini, anzi quasi vicini, perché fra di loro vi è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi per davvero. Numeri come l'11 e il 13, come il 17 e il 19, il 41 e il 43. Se si ha la pazienza di andare avanti a contare, si scopre che queste coppie via via si diradano.”
Anche in età adulta è ancora una volta la presenza di Michela a fungere da catalizzatore. Alice crede di riconoscere in una ragazza down la sorella mai ritrovata di Mattia. Il ragazzo, che nel frattempo si è trasferito in Germania dopo la laurea in matematica, pur sconoscendo il motivo, si precipita subito in Italia.
Diversità e incomunicabilità sembrano essere i due assi cartesiani su cui Giordano dipana la sua storia, spesso con freddezza scientifica, con l’inconfutabilità delle formule matematiche.
Il libro va letto senza pretese, meglio se si riesce a dimenticare l’alone mediatico e la ridondanza dello Strega. Che, probabilmente, creano aspettative così altisonanti da lasciare l’amaro in bocca alla sua conclusione.
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bello da far riflettere
Ho letto il libro alcuni mesi fa il libro, ma ancora oggi mi sono rimasti in mente i due personaggi e le loro storie, reali e piene di patos. Sicuramente vorremmo leggere nella storia triste un lieto fine, ma questo non sempre accade. Io consiglio la lettura a tutti i genitori, che possono in questo modo aprirsi ad un mondo nuovo, quello dell'incomprensione e della devastante solitudine dei ragazzi. Come può cambiare una vita in un momento, come puoi riprenderla in mano se hai capito cosa è successo. Bello. Proprio bello.
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Primi in solitudine
Leggetelo adesso, che la macchina del marketing si è un po’ affievolita, che i premi sono già stati dati, che l’autore Paolo Giordano ha già una voce su Wikipedia quasi più dettagliata di Ivan Turgenev, quello di “Padri e figli”, un libro che ha segnato un solco nella storia della letteratura, mentre Giordano continua a scrivere racconti su “Oggi”.
Leggetelo adesso, adesso che potete apprezzare meglio lo stile asciutto di questo scrittore che comunque a soli 26 anni costruisce una storia che vi resterà attaccata per qualche giorno e che è capace di farvi sentire la sorda disperazione dei due protagonisti anche con il libro chiuso sul comodino.
La storia la conoscete. Due numeri primi, due bambini infelici, due adolescenti soli, due adulti fragili.
Alice è costretta a realizzare i desideri del padre, che come molti genitori si aspettano che i loro figli siano campioni di qualcosa. Lui la vuole promessa dello sci agonistico, lei trasforma l’insicurezza in incontinenza sulle piste. Finché una mattina tra tante decide di perdersi e di lasciarsi andare lungo una discesa coperta di nebbia. Cade finalmente, in maniera rovinosa, e rimane zoppa, con una vistosa cicatrice. Sarà la sua salvezza e la sua vendetta nei confronti del padre. Ma non servirà a salvarla da se stessa.
Mattia ha una sorellina gemella disabile, messa incautamente dai genitori che non vogliono accettare la diversità della figlia nella sua stessa classe elementare. Quale emozione più delicata da gestire per un bambino di otto anni? Quale peso sulle sue spalle? Ed per questo che, invitato ad una festicciola di compagni, lascia la sorellina ad attenderlo su una panchina del parco, da sola, vicino a un laghetto. Quando tornerà a tarda sera a riprenderla, Michela è sparita e con essa una parte di Mattia.
Forse il romanzo è già tutto qui, forse il resto della storia dei due protagonisti può dirsi scontato o prevedibile, a volte scritto non poi così bene. E’ un libro fatto di nuove ricadute, e di impressionanti silenzi.
Però vi troverete a sfogliare le pagine con curiosità, sperando dentro voi stessi che almeno l’unione di due solitudini così assolute salverà entrambi. Invece il finale è un po’ come la vita, a volte adorabile, a volte crudele, a volte semplicemente reale.
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la soliudine de numeri tristi..
Romanzo triste, molto triste, raccontato in maniera "ermetica" ma essenziale, da uno scrittore giovanissimo, che senza girarci troppo con mielose parole ha descritto l'infelicità dei due protagonisti principali e di tutti gli altri protagonisti secondari, genitori inclusi. Triste l'inizio e triste il finale, di mezzo ci sta la storia, toccante fino in fondo, da sciogliere il cuore e qualche lacrima, e non esiste via di mezzo, perchè questo romanzo o si ama o si odia.
Famiglie benestanti, un pò troppo superficiali non concretizzano che al povero Mattia serviva un neuropsichiatra infantile prima ed uno psicologo dopo, quanto ad Alice, prima il padre poi la madre non capiscono il suo disturbo anoressico, in ultimo il giovane e bello oncologo Fabio si accorge del problema solo dopo tre anni di matrimonio. Ebbene malgrado tutto, questa tristezza l'ho amata, la storia è ben scritta, la lettura è fluida e a tratti i protagonisti si intrecciano e si sfiorano in punta di piedi per poi respingersi, come i poli opposti di una calamita, come solitari numeri primi statici e malinconici.
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La solitudine dei numeri primi
È l’evento che ne marchia in modo indelebile l’infanzia ad accomunare Alice e Mattia nella diversità, oppure è la natura stessa a creare un pretesto per giustificare la loro estraneità?
L’interrogativo per la verità non sembra appassionare più di tanto il giovane autore del romanzo, preoccupato piuttosto, nelle prime pagine, di descrivere le cause oggettive che hanno prodotto in entrambi gli adolescenti un comune senso di disagio nei confronti di tutti gli altri. I fatti sono eloquenti, ancorché distanti tra loro e con conseguenze diverse. La zoppia di Alice nasce incidentalmente dall’incapacità di trattenere feci e urina ed ha un corrispettivo fisico nella violenza che Mattia impone ripetutamente a se stesso in virtù del tremendo rimorso che lo accompagna costantemente. Mentre Alice tenta di colmare il proprio complesso d’inferiorità e di farsi accettare dagli altri, anche a costo di sopportare le angherie di amiche cosiddette normali, Michele cerca scampo in un’intelligenza di gran lunga superiore alla media che lo porta naturalmente a vivere la propria diversità rispetto agli altri. Alla radice di eventi tanto differenti e che pure ne hanno così pesantemente caratterizzato l’infanzia, Alice e Mattia hanno tuttavia in comune il medesimo malessere nei confronti dei genitori. L’incomprensione degli uni nell’imporre scelte non condivise quanto addirittura penose, fa da contrappunto all’incapacità degli altri di riconoscere la diversa sensibilità dei propri figli: Mattia intellettualmente superdotato e Michela sua sorella gemella, mentalmente ritardata.
Forte è la tentazione di spiegare le scelte di Alice e Mattia col linguaggio della psicoanalisi, non paghi di una facile lettura psicologica che veda unicamente nella ribellione la risposta agli inadeguati comportamenti parentali. Gli argomenti di una simile indagine non mancano nel libro di Paolo Giordano: l’amore-odio che Alice nutre verso il padre, allorché per esempio la ragazza s’intrattiene sul water per espellere anche l’ultima goccia di urina dalla vescica, mentre il padre bussa alla porta del bagno, oppure la foto che, divenuta più grande, la ragazza vuole a tutti i costi nell’abito da sposa di sua madre accanto a Mattia in veste di marito-padre o ancora una mai veramente superata concezione della nascita legata alla teoria della cloaca che la induce quasi a non mangiare per timore, ormai sposata, di restare incinta e più in generale quella particolare attrazione-repulsione che esercita su di lei lo sporco, sia che si presenti nella sudicia caramella che l’amica-nemica Viola la costringe a leccare o nell’incidente occorsole nel bagno di Fabio, suo futuro marito, dove questa volta troviamo il vomito a rinnovarle l’angoscia e il doloroso ricordo del passato. E per quanto riguarda Mattia, benché il lettore conosca chiaramente di che egli voglia punirsi, esercitando violenza su se stesso, resta il dubbio che la componente narcisistica della sua personalità, alimentata dalla mancanza di affetto parentale, sia la vera causa della pulsione di morte che in passato l’ha portato inconsciamente a distruggere quella parte di sé mentalmente non all’altezza dell’altra e che oggi lo induce a comportamenti autodistruttivi.
Da matematico e direi anche da vero narratore, tuttavia, Paolo Giordano, non si pone questioni filosofiche né improbabili indagini psicoanalitiche. Elenca fatti, avanza ipotesi circa la diversità di Alice e Mattia, ma poi risolve il tutto con la certezza dei numeri. Una risposta filosofica, suo malgrado, una modalità scanzonata per dirci quello che pensa veramente. Alice e Matteo segnati da un destino che li accomuna, li avvicina e li tiene distanti, sono in realtà come i numeri primi, numeri naturali cioè maggiori di uno, divisibili solamente per 1 e per se stessi e, per giunta sono numeri primi gemelli, cioè numeri primi separati da un unico numero (per esempio: 3 e 5, 11 e 13, 17 e 19, 41 e 43 etc…), vicini ma mai abbastanza per toccarsi davvero. Sarei curioso di sapere se, nello scrivere questo suo primo, ottimo romanzo, Paolo Giordano sia stato sfiorato dalla tentazione di fare di Alice e Mattia il 2 e il 3, cioè i soli numeri primi gemelli che si toccano davvero!
(Dal blog: lo zibaldone di Sergio Magaldi)
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L'apoteosi del Nulla... Purtroppo
Inizio col dire che “La solitudine dei numeri primi” non è un libro da dispezzare totalmente, o per lo meno non è così mediocre da poter essere paragonato alla stregua di Moccia o di ‘Melissa P.’, come ho potuto leggere in alcuni commenti. Questo romanzo non sarà l’apoteosi della letteratura, ma comunque è da prendere per il semplice fatto di poterlo analizzare una volta terminato.
Io l’ho iniziato e finito in una nottata di lettura no-stop, perchè da come si presentavano le prime pagine la storia mi aveva davvero catturata, ed ero presa dalla smania di sapere come l’autore avesse evoluto l’idea di base.
Partiamo proprio da questa, l’idea di base: originale e accattivante. Due ragazzi, anzi bambini, segnati entrambi da esperienze dolorose e troppo gravi da poter essere sostenute per la loro giovane età. In un qualunque giorno la loro vita subirà una svolta radicale, ed è proprio questo a incuriosirti e a spingerti a leggerlo, oltre al titolo, devo ammettere, ben congegnato per attrarre il lettore.
L’idea di base quindi l’ho trovata davvero buona, ma quando nel romanzo ritroviamo i due protagonisti cresciuti, lì inizia quel ‘non so che’ che ti fa storcere il naso.
Io ammiro Paolo Giordano per aver pubblicato un libro a soli 25 anni, non è da tutti, ma allo stesso tempo ammetto che poteva fare di meglio; per me non ha saputo sviluppare a pieno la trama che aveva in mente, partorendo un romanzo discreto, quasi buono, ma di sicuro non eccellente e sublime come i media ci hanno voluto far credere bombardandoci con elogi superiori al reale merito.
Infatti il libro inizia bene e procede discretamente fino alla fine dell’adolescenza dei protagonisti. Poi abbiamo un gran salto temporale che, essendo franchi, non mi è piaciuto per niente. Ritroviamo Alice e Mattia alle prese con il loro futuro dopo essersi lasciati in un modo insulso, quasi da bambini di prima elementare. Sinceramente leggere della loro nuova vita non mi ha soddisfatta, perchè ho notato come loro siano sempre gli stessi, mossi neanche di una virgola; evoluti fisicamente ma non emotivamente e psicologicamente.
E assai deludente è la fine, il modo in cui lui torna da lei per lasciarsi di nuovo in una maniera banale e senza senso. Un finale aperto che secondo la mia opinione delude il lettore, come ha deluso me. Insomma, ti lascia l’amaro in bocca.
Per me Giordano ha voluto chiudere troppo presto baracca e burattini, lasciando il lettore confuso e con troppe domande in sospeso. Tipo: la ragazza che Alice incontra era davvero la sorella scomparsa di Mattia? Lei lo fa tornare appositamente per questo motivo, ma alla fine non gli dice nulla. ‘Perchè?’ Ci viene da chiederci. Non ha senso. Non dico che l’autore non sapesse più che pesci pigliare, ma forse ha avuto troppa fretta di concludere, non accorgendosi della maniera semplicistica con cui ha risolto le cose, dopo 300 pagine nient’altro che semplici.
Nelle ultime due pagine infatti sembra che i protagonisti maturino di colpo assumendo nuove consapevolezze. Quindi abbiamo un’Alice che decide di contare d’ora innanzi solo sulle proprie forze e un Mattia che ci lascia un po’ spaesati. Giordano infatti decide di lasciarlo in bilico, senza dirici se stagnerà nei suoi problemi o cercherà finalmente la felicità. Non si capisce dalla fine, quando lui trova il biglietto di Nadia nella tasca. Che farà insomma? La chiamerà per dare una svolta alla sua esistenza incompleta o perpetuerà a voler essere un solitario? Troverà la pace in se stesso oppure accetterà il tormento che lo divora dall’infanzia convivendoci?
Troppe domande, poche risposte.
Tralasciando la trama, vorrei analizzare più dettagliatamente i personaggi, partendo dai due protagonisti. Secondo me il più riuscito fra i due è Mattia. Mi piace e mi affascina la sua psicologia contorta, la sua mente somigliante ad un labirinto inespugnabile, ma allo stesso tempo trovo tutto ciò in alcuni tratti troppo calcato e caricato dall’autore, che sembra volerlo fare annegare in un mare nero di desolazione.
Aliceal contrario è un personaggio un po’ insipido, perchè racchiude in sè un’accozzaglia di stereotipi: l’anoressica, l’emarginata a scuola, l’invalida, la ragazza dal rapporto paterno conflittuale e dalla madre malata. Insomma: un vaso di pandora contenente tutti i mali della gioventù moltiplicati per 100.
Tralasciando ciò, possiamo però dire che l’accoppiamento dei due come protagonisti non è male, anche se poteva essere perfezionata, soprattutto dal punto di vista psicologico. Infatti non posso credere che quando li ritroviamo nel futuro siano tali e quali a prima. Non è immaginabile né realistico, soprattutto perchè le loro vite sono cambiate radicalmente, hanno imboccato strade diverse e si presuppone che ciò porti a nuove esperienze e nuove consapevolezze che però paiono inesistenti.
Trovo altrettanto incredibile che entrambi non riescano a trovare almeno un po’ di pace interiore, continuando ad imitare gli atteggiamenti giovanili, come l’autolesionismo e l’anoressia. Mattia è l’eterno infelice, insoddisfatto, che si rifugia in un mondo di numeri per non affrontare quello reale; Alice sembra la solita bambina che nasconde e butta il cibo, e non riesce ad apprezzare quello che ha intorno, come la bellezza del matrimonio, l’amore e un marito premuroso, tutto ciò c’è di più bello per una donna.
Come ho già fatto notare, solo nelle ultimissime pagine sembra che questi due personaggi subiscano una svolta. Alice impara a camminare da sola, senza contare su nessuno, nè su Mattia nè sul marito. C’è solo lei e una nuova e inspigabile forza che sembra nascere dal nulla più assoluto, dato che tre righe prima era immersa in un lago di disperazione in cui sembrava affogare.
Mattia d’altra parte comincia ad alzare la testa e guardarsi intorno, ma come ho già detto prima, dal finale aperto non si capisce cosa voglia realmente fare: se voglia accettare il suo essere e darsi pace una volta per tutte, se perpetuare nell’autolesionismo e continuare la solita vita, o cambiare e cercare stabilità e felicità.
Sinceramente, non lo so, ma preferisco immaginare che alla fine riesca a trovare in sè stesso un po’ di serenità.
Una delle poche cose che apprezzo dei protagonisti è la metafora che li associa a numeri primi, “vicini ma mai abbastanza per toccarsi davvero”. La trovo intensa e suggestiva, anche se sarebbe stato meglio se alla fine entrambi fossero riusciti a superare i loro ostacoli, per spezzare finalmente la lontananza che lega quei numeri gemelli e dare a loro stessi (e anche ai lettori) un po’ di speranza dopo 300 pagine di solitudine, incompletezza, tristezza e di disarmante e asfissiante negatività.
Passando agli altri personaggi, mi è piaciuta la figura dell’amico gay, forse un po’ scontata, ma il suo personaggio mi attraeva emotivamente. L’autore però, dopo averlo presentato come l’elemento chiave dell’adolescenza di mattia e viceversa, e averlo psico-analizzato minuziosamente, avrebbe dovuto dargli un po’ più di rilevanza nella parte che racconta del loro futuro. Invece dopo essersene scordato per un bel po’ di pagine, ci ha accontentato facendo su di lui una digressione sommaria e insipida, soltanto per farci sapere che fine abbia fatto, se sia vivo o morto.
Altri personaggi sono i genitori di Alice e Mattia. Tutti e quattro rappresentati come l’emblema dell’incomunicabilità tra genitori e figli; non ce n’è uno che si salva da questo disfacimento. Giusto forse il padre di Mattia, che cerca di colmare il vuoto che la moglie ha nella vita del figlio, instaurando con quest’ultimo una sorta di legame sfilacciato che comunque non riesce ad avvicinarli del tutto, perchè c’è sempre quella barriera invisibile e inspiegabile che li separa.
Personaggi di contorno sono i compagni di scuola, i soliti bulli prevaricatori che incarnano la malignità giovanile. C’è del vero in quello che Giordano scrive: purtroppo oggi a scuola esistono realmente coalizioni all’interno delle classi e i capi di queste, che ti includono e ti escludono a loro piacimento, facendoti passare le pene dell’inferno se non sei come vogliono loro. Ma in tutta franchezza trovo questo elemento di contorno pesante e non indispensabile. Ti opprime ancor di più in quelle pagine già intrinseche di negatività a non finire.
Infine, tirando le somme, direi che il romanzo non è scritto male, ma neanche in maniera così egregia. Normale, niente di che.
Il contenuto è discreto, perchè come ho già ribadito c’è una bella idea di partenza, che poteva essere sviluppata molto meglio, dal punto di vista dei personaggi e della trama in sè per sè in cui essi si muovono.
Concludendo, la piacevolezza della lettura, durante e alla fine, è scarsa, perchè il mio grado di soddisfazione al termine del romanzo era pari a quello che ha Mattia della sua vita, se posso usare un paragone strettamente collegato. Più che altro delusione per un finale aperto e imprecisato, frettoloso e non approfondito quanto avrebbe dovuto essere. Mi ha lasciato davvero l’amaro in bocca.
Se dovessi giudicarlo con i numeri da 1 a 10, gli darei 5, esattamente la metà, perchè “La solitudine dei numeri primi” mi ha lasciato in bilico tra l’odio e l’amore nei confronti di questo romanzo.
Comunque tutto ciò è un parere personale e non sconsiglio la lettura di questo libro, anzi; è un romanzo che nonostante le pecche da me citate, ti porta a valutare le situazioni e le persone, dato che all’interno vi ritroviamo molti luoghi comuni.
Se lo si vuol leggere è per curiosità, per vedere cosa ci sia scritto e poterlo infine giudicare esprimendo un’opinione sincera.
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UNA STORIA TRISTE
E' stato un libro abbastanza deludente. Interessante l'idea di intervallare i capitoli con la storia di Alice e con quella di Mattia alternativamente. Coinvolgente l'analisi delle solitudini ma è un libro che lascia con un senso di incompletezza. Non ha un finale. Fosse stato anche drammatico o doloroso ma Giordano un finale lo doveva dare. Per me rimane un'opera incompiuta. Quando sono arrivata all'ultima pagina misono sentita sospesa e non mi è piaciuto per niente. Non regalo mai i miei libri, ma di questo me ne sono privata, e nemmeno a malincuore.
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Per Adolescenti
Da professoressa delle medie do un mio parere: il libro è assolutamente inadeguato al sucesso...
Un libro per adolescenti,di livello poco più alto di quelli di Moccia,scontato,dove la drammaticità viene usata per far commuovere i giovani,con grandi frasi ad effetto (come quella sui primi gemelli) che servono solo a nascondere la mancanza di contenuto.
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POETICO E DELICATO
L'autore riesce a dare un anima a qualsiasi cosa, oggetti o persone durante la narrazione con uno stile delicato ed al contempo chiaro e preciso.
Lo stile è assolutamente perfetto!
L'abilità dello scrittore nella sostanza è quella di riuscire a trattare un tema delicato quello della "diversità"dei protagonisti con una giusta misura senza eccessi ..
Mi ha un pò deluso la fine pero'.. Ma il divario tra i numeri primi allora esiste davvero?
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Una cretinata
Una cretinata. E lo posso dire forte. Sono arrivato alla fine a stento tanto per avere il diritto di giudizio. Giordano non scrive male ma la storia è vuota. I due personaggi principali sono estremamente patetici. Non consiglierei questo libro a nessuno. Per me è stata una clamorosissima perdita di tempo e di soldi.
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la leggerezza del nulla
ho trovato questo libro un'opera assolutamente sopravvalutata. Lo stile (forse volutamente) scarno non è funzionale ad imprimere un andamento ritmico alla storia. Il racconto si dipana in tanti frammenti che sfiorano, a volte con buona intuizione,aspetti intimistici dei personaggi, ma non decollano mai in una compiuta analisi. Tutto rimane sospeso in un susseguirsi di singole scene a cui manca quasi sempre un doveroso approfondimento. Persone che si affacciano nel racconto con la leggerenzza del nulla per poi a volte non farvi più ritorno, mentre magari in te susciterebbero una qualche forma di curiosità in più. E' a mio avviso un libro che una donna avrebbe scritto con un approccio meglio strutturato, alcune scene che vorresti meglio dettagliate psicologicamente rimangono invece a mezz'aria, descritte con laconica sciatteria. L'episodio della caramella ha avuto ad es. un prologo giustamente insistito nei particolari per poi concludersi con una Alice che la ingoia senza tante storie e tu che hai avvertito lo schifo preparatorio rimani così, un po' deluso dalla mancanza assoluta di sentimenti e reazioni.
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Originale, triste ma avvincente
un libro molto originale,una storia d'amore tutta particolare che racconta alcune problematiche giovanili molto attuali...si legge di filato,anche grazie a uno stile scorrevole e chiaro.Chi si aspettava un lieto fine rimane deluso,ma a mio parere ha più senso ed è più coerente con la trama un esito triste ma che rispecchia in pieno le personalità dei due "numeri primi"
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stupendo
ciao,sono antonella,una ragazza 14enne,frequento il primo anno al liceo classico... questa estate ho letto questo libro che mi ha consigliato una mia amica...se devo dire la verità è uno dei libri che mi è rimasto più a cuore. ho letto gli altri commenti e quasi tutti sono rimasti delusi per il finale inaspettato, tutti avrebbero voluto un lieto fine come in ogni storia. anche io mi aspettavo un lieto fine, però secondo me il mitico GIORDANO ci vuole lasciare un pò in sospeso e secondo me questo romanzo ancora non avrà una fine... almeno lo spero!!! Mi è piaciuto molto il paragone dei numeri primi con alice e mattia... è un romanzo davvero fantastico.. faccio i miei complimenti al prof. paolo giordano... continua così!!! davvero grande...
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senza speranze
E’ la storia della cattiveria e su come sanno essere cattivi i numeri primi. Da due famiglie tristi nascono e sono da queste martoriate due anime che da una parte per la velleità del padre per farla diventare qualcuno, magari quello che non è riuscito a se stesso, dall’altra per la cecità di non vedere la differenza del diverso in famiglia e del disagio procurato all’altro figlio (cosa di cui a volte peccano i genitori che hanno da gestire qualche disagio in famiglia) costruiscono in modo indelebile la storia triste di due esseri umani che come i numeri primi gemelli, malgrado sembrano tra loro attratti, non si potranno congiungersi mai, anche se la soluzione potrebbe essere l’unica valida (la somma di due numeri primi fa sempre un numero pari quindi divisibile per due). Le unioni con altri esseri/numeri ricreano altrettanti situazioni insostenibili e votati alla separazione. Sembra che, consapevolmente della loro natura, si beano della propria solitudine. Un “continuamo a farci del male” e l’unica forma per sottrarsi è quella di farsi male, anche fisicamente, ancora di piu. In lui con la ricerca del dolore fisico e del sangue, in lei con l’anoressia. Persino l’autore riesce ad essere cattivo con il lettore. Dopo averlo tediato con questa tristezze gli fa balenare una improbabile eccezionale e sbalorditiva soluzione. Una speranza di positività. Macchè non solo la smarrisce ma nega al personaggio persino la fase dell’indagine. Come per dire il male non sta nelle cose che ci circondano e da queste siamo modificate. Il male è già dentro di noi e nulla vale sperimentare altre soluzioni. Diciamo una “Botta de Vita”. Sti cazzi.
La lettura è comunque semplice e sciolta. Anche se frettolosamente si giunge alla fine con l’amaro in bocca.
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solo a torino
L'incomunicablità è un tema sempre molto trattato da libri e cinema.Eppure la solitudine dei due personaggi è figlia più che della loro generazione, della città che li vede vivere:Torino.Solo chi conosce quella città capisce l'alone di tristezza che la circonda.E non perchè il capoluogo piemontese è una citta "operaia" come in molti si affrettano a liquidarla. Torino non ha la malinconia struggente di Venezia ma porta con se una patina di silenzi che solo chi ha attraversato i suoi viali può aver respirato.
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Il dolore
E' un libro avvincente centrato sulla storia di due persone entrambe segnate da episodi tragici avvenuti nell'infanzia. Il loro rifiuto di vivere, che si traduce in gesti di autodistruzione che li portano ad isolarsi dal mondo circostante e anche dai loro genitori, è la caratteristica che li unisce e che li unirà nonostante le loro paure che, nel corso della storia, riusciranno a dividerli.
Lo stile è nitido, pulito, rigoroso. I personaggi sono affascinanti e la storia può essere quella di chiunque abbia avuto una sofferenza che ha superato il suo limite di accettazione e allontanandolo dalla normalità.
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La solitudine dei numeri primi
Sinceramente questo libro mi ha un pò delusa: è scarno, scritto in modo molto semplice, descrive poco sia i luoghi che gli stati d'animo dei personaggi, è più un susseguirsi di eventi ed un lasciarli interpretare...
La suspence si accende solo dopo la metà abbondante del libro, prima l'ho trovato un pò lento, statico.
Bella veramente solo la metafora dei numeri primi, il paragone con Mattia ed Alice: due realtà che in comune hanno solo la sofferenza interiore.
Voto 5,5/10
P.S. il fatto poi che abbia vinto il Premio Strega 2008 non significa che debba essere per forza un ottimo libro, come il fatto che l’autore abbia frequentato la rinomata e costosa Scuola Holden di scrittura creativa non ne fa di lui un pefretto scrittore.... forse troppa pubblicità: tanto fumo ma poco arrosto!
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Asettico
Dopo aver letto molte recensioni esaltanti mi sono detta:" perchè non comprarlo?". Il mio approccio al libro è stato molto positivo e ricco di grandi speranze...in definitiva? Una delusione. Non è un libro scritto male, la storia non è pessima, ma non ha ritmo e non c'è davvero nulla che brilli. Lo definirei un libro asettico, senza infamia nè lode, uno di quelli che non ti lascia in bocca nè l'amaro nè il dolce. Una lettura davvero fine a se stessa.
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L'età dell'innocenza
Da ragazza desideravo danzare sulle punte, poi, si sa, l'università, il lavoro, i bambini... Alla non trascurabile età di trentotto anni ho pensato di rispolverare la mia passione adolescenziale, e il fatto che accanto a me alla sbarra faccia il plié una bella ragazza di diciotto anni non suscita in me invidia o frustrazione, piuttosto, direi, ammirazione. Ammiro Giulia perché nei suoi occhi estremamente mobili, che al più si concedono un po' di tregua sulla loro stessa immagine riflessa allo specchio, c'è la luce che forse i miei non hanno mai avuto. Gli occhi di Giulia tradiscono la sua consapevolezza di essere onnipotente e di considerare il tempo un alleato per la realizzazione di progetti dorati. Lei, fascia rosa e pantajazz Dimensione Danza, non sa cosa siano la sconfitta, l'insuccesso, l'abbandono e la morte. Terminata la lezione scioglierà i capelli ondulati, indosserà le Nike e uscirà con le amiche; forse, prima di dormire, chatterà su Facebook. Giulia è un'adolescente, così i suoi occhi sanno anche fermarsi e riempirsi di lacrime perché Marco l'ha tradita, ma il suo è un dolore lieve, di quelli che lasciano solo il ricordo su un diario rosa pastello. Ecco, io non ero come Giulia, avevo però amiche come lei. Per questo motivo, leggendo il libro di Paolo Giordano, mi sono sentita a mio agio, quasi rassicurata dalla lettura di ansie ineffabili. Certo, una sensazione voyeuristica mi ha pervasa pagina dopo pagina, perché, ormai, quelle ansie non mi appartengono più. Sono adulta, e ho imparato a domarle, o forse sono troppo stanca per consentire loro di solidificarsi ancora. In effetti anche l'autore appare distaccato, a tratti direi cinico, al punto da non proteggere pietosamente i suoi personaggi. Se è vero che gli eventi scatenanti della vicenda sono preservati dalla pruderie del lettore, talvolta sono insignificanti dettagli ad annichilire. La vicenda è sostanzialmente nota a tutti e questo è il genere di libro per il quale non si può scrivere un epilogo, così come non si possono conoscere tutti i numeri primi. C'è una sottesa calma fin dalle prime righe, nonostante il dramma (perché in fondo il dramma è unico), capace di inchiodare il lettore, di imbrigliarlo in una storia nella quale troverà uno, o due, o troppi motivi di immedesimazione. Nomi diversi da dare a persone che ci hanno segnati, a coercizioni più o meno palesi che abbiamo subito, a silenzi e incapacità che ci hanno immobilizzato. Alice e Mattia crescono e non hanno, credo, rimpianti, sono abili nell'arte di rassegnarsi alla diversità, paradossalmente sono incapaci di piegarsi all'istinto di sopravvivenza civile, comunemente definito logica (o buonsenso): mi sembrano liquidi per la capacità che hanno di assumere la forma cui la loro sensibilità li ha condannati. Liquidi sono pure i personaggi minori: non vi è mai veemenza, o almeno convinzione, nei loro approcci con la solitudine e il senso di estraneità dei protagonisti. Spesso, se il lettore è a suo modo un punto isolato, uno che non solo non ha un primo gemello, ma neppure un lontano cugino, sguazza in fratture, immobilità, imbarazzo e, sorpresa, ritiene i due antieroi prodi rivoluzionari, capaci come sono di anelare alla libertà, impermeabili alle convenzioni. Intendiamoci, la loro accezione di libertà, lasciando spazio esclusivamente all'empatia verso un unico essere umano, li isola. Ma non è forse quello che fa, con meno clamore, ciascuno di noi, legando indissolubilmente la propria esistenza a quanti per ragioni di sangue o casuali ci gravitano intorno? Direi, anzi, che è più triste il domani di chi, incapace di usare l'abito da sposa come travestimento in un tedioso pomeriggio domenicale o di inseguire imponenti teorie matematiche, compie scelte definitive, consacrando la vita a persone o passioni casuali, anziché elettivamente affini. Alice, Mattia e i loro nomi un po' infantili e conformi stigmatizzano la condizione di genio, di invalido, di anoressico, di autolesionista, concedendo al senso di colpa e alla paura ruoli da comprimari.
Giulia, invece, è eterna, non è stanca, sorride al futuro.
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un doveroso appunto
Ho già,di persona, mosso un appunto a Giordano.
nel suo libro, sovente,i protagonisti usano l'espressione "mi ha fatto invece che mi ha detto" "gli ho fatto invece che gli ho detto".
Lui mi ha risposto che queste espressioni,nel linguaggio comune,si usano; gli ho risposto che non tutto quello che si usa nel parlare comune sia corretto. Per un certo periodo era entrato nel parlare comune " a gratis": è evident ch nessuna persona colta avrebbe scritto " a gratis"
lo stesso dicasi per "mi ha fatto per mi ha detto
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La solitudine dei numeri primi
Arrivati ad un punto, dopo belle premesse ed ottimi spunti, ci si accorge che il vuoto inizia ad insinuarsi tra le pagine. Leggi Giordano e ti accorgi che una sorta di MocciaVirus si annida tra le pagine. Una scrittura banale e provocatoriamente vuota. Il libro perde di interesse dopo 40 pagine ed inizi a chiederti chi te ne aveva parlato bene. Ti rendi conto che nessuno te ne ha parlato bene a parte la tv. E per l'ennesima volta ti dici che la tv ed i libri son due cose a parte. E ti riprometti di seguire il tuo istinto la prossima volta che sei in libreria, perchè le solite minestrine riscaldate ti danno ormai noia...
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la solitudine dei numeri primi
è un libro che non avrei mai comprato leggendo la recensione ed invece...mi è stato regalato, inizio a leggerlo, ad appassionarmi al punto che anche quando ero impegnata nelle mie occupazioni quotidiane aspettavo la sera per continuarlo. si incontrano due ragazzi come tanti, che hanno problemi come pochi, ma che li affrontano in un modo che risulta essere comune a molti. è la storia appassionata di due persone fatte l'una per l'altra, incapaci tuttavia di rendersi conto di questa realtà.ciascuno dei due affronta nel silenzio le proprie preoccupazioni, le proprie ansie ed i propri timori. ciascuno dei due si rende conto che ha bisogno dell'altro eppure c'è totale assenza di comunicazione,timore di ammettere a sè stessi la verità. la fine del libro è poco idilliaca, distrugge ogni speranza di un "vissero felice e contenti"...questa è la vita!!!
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LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI
Un titolo che promette senza mantenere. Tante aspettative disattese in una storia poco dinamica e un finale altrettanto banale, come se l'autore non sapesse più cosa scrivere o come concludere. Lo sconsiglio, considereto il successo - eccessivo - mediatico che ha avuto.
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Ma come ha fatto a vincere dei premi?
Quando me lo hanno regalato ero contento ...quel titolo mi aveva "preso" sin dalla prima stampa e quindi mi ci sono buttato subito a leggerlo ...e dopo averlo letto l'ho chiuso, gli ho urlato una parolaccia contro e l'ho buttato via ...ma come fa un libro del genere a vincere premi letterari e scalare la classifica dei best seller? La storia, i personaggi, i luoghi ...tutto insulso ...devo ammetterlo sono rimasto veramente deluso ...tra un libro del genere ed Harry Potter vince alla grande quest'ultimo!!
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Non so!
Non so se sia bello o brutto, se sia scritto bene o male, insomma non mi lascia pienamente soddisfatto. Lo ho trovato a volte ripetitivo nella descrizione dei comportamenti di Mattia ma sicuramente l'intento dell'autore era proprio quello di spiegare il comportamento umano al verificarsi di determinati problemi nella vita e come alcuni eventi la modifichino in negativo.
Ecco l'aspetto che più mi piace è la descrizione dell'interiorità di due persone difficili.
Lo stile lascia secondo me un po' a desiderare e sicuramente non era da Strega.
Sicuramente ne faranno un film vedrete.
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Un libro scarso
Questo libro mi è stato regalato e per rispetto ho dovuto leggerlo. Avrei preferito non farlo, ma tant'è, perciò dico anche quello che penso.
STILE: Giordano non ha personalità nella scrittura. Questo romanzo poteva scriverlo aanche un calcolatore elettronico ed avrebbe trasmesso, almeno dal punto di vista stilistico, più emozioni.
STRUTTURA E CONTENUTO: Giordano non sa far muovere i suoi personaggi. Ne inserisce alcuni che scompaiono senza un perché, vengono ripresi per poche pagine e poi magicamente rispariscono nel nulla!Inoltre, sa l'ellissi senza nozione di causa e rimane sempre a livelli concettuali molto bassi. Forse ha qualche intuizione, ma non riesce a percorrerla. Questo perché non ha tecnica narratologica. Infatti è un fisico.
LA STORIA: la storia potrebbe anche essere carina, ma lui la rovina perché non sa far muovere i suoi personaggi. Saranno pure soli, ma la sua compagnia non giova.
Mi dispiace: dove starà andando la letteratura italiana, quando il premio strega è vinto da una casa editrice e non da uno scrittore? Peggio di San Remo.
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La solitudine dei numeri primi.....
Ritengo questo romanzo molto denso di significati psicologici; mi è piaciuta l'estrema scorrevolezza con cui si susseguono le vicende dei due ragazzi così cmplicati nelle loro menti. Ho anche apprezzato l'emotività che pervade tutta la storia. Certo avrei preferito che Mattia alla fine si fosse 'svegliato', avesse preso l'iniziativa con Alice capendo che nel mondo è necessario vivere con completezza i propri sentimenti, qualunque cosa questo comporti.
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Il mistero della psicologia umana
Niente sembra messo li per caso, ogni cosa, ogni elemento viene per distruggere e per ricostruire la vita di questi due protagonisti. Il luogo in cui è ambientato il racconto non viene mai nominato con precisione, è come se Paolo Giordano attraverso vari indizi vorrebbe che fosse il lettore a scoprire i luoghi del racconto. Il tempo del racconto è segmentato in: infanzia, adolescenza ed età adulta dei protagonisti con precisa datazione. Paolo Giordano ha dichiarato in un intervista che continuerà con il suo lavoro ma credo che debba ancora perfezionare il suo modo di scrivere prima di ricominciare, il premio Strega era davvero esagerato per un libro di questo genere. Lo consiglio a chi è appassionato di psicologia o a chi sta per intraprendere la propria strada verso questa scienza della mente umana.
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