Il visconte dimezzato
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Quando i segni sostituiscono le parole
Il visconte dimezzato è il romanzo dei segni. Attraverso i segni i personaggi del romanzo breve o racconto lungo di Italo Calvino, uscito nel 1952 nella prestigiosa collana I gettoni di Einaudi, diretta da Elio Vittorini, comprendono ciò che sta avvenendo intorno a loro. La vicenda narra di un visconte, Medardo di Terralba (località pensata nell’entroterra ligure), che aderisce alla guerra contro i Turchi. Arriva sul campo di battaglia, viene ferito da un nemico e viene diviso a metà. Grazie a cure fantastiche, riesce a salvarsi e una delle due metà torna a Terralba. Il soggetto della narrazione, dunque, è molto semplice e Calvino lo attinge dalla sua amata letteratura americana e soprattutto dall’autore de L’isola del tesoro, Robert Louis Stevenson, a cui Calvino ha dedicato la tesi di laurea. L’autore, però, immerge questo soggetto nella sua proverbiale dimensione fantastica. Si può, infatti, definire Il visconte dimezzato una fiaba a forte carico realistico. Una volta tornata la prima metà a Terralba saranno proprio i segni che seminerà sul territorio (divide qualsiasi oggetto che trova sulla propria strada) a far accorgere la balia del visconte che è rincasata la metà grama di Medardo. Più che le parole, perciò, sono proprio i segni a far procedere l’intreccio narrativo nelle pagine successive quando farà capolino sulla scena anche la metà buona. Intorno alla figura di Medardo i personaggi si distribuiscono in maniera binaria: comunità laboriosa degli ugonotti e comunità gaudente dei lebbrosi; la già citata balia Sebastiana e la donna contesa dalle due metà del visconte, ovvero Pamela; il carpentiere Mastro Pietrochiodo e il dottor Trelawney. Quest’ultimi meritano un occhio di riguardo, a mio parere. All’inizio entrambi non si dedicano minimamente al bene della comunità umana (uno costruisce forche per uccidere le persone su ordine del visconte gramo, l’altro invece pensa alle rare malattie dei grilli e ai fuochi fatui), poi evolvono e tornano ad occuparsi del bene della società. La divisione del visconte in due metà, una buona e l’altra cattiva, mette in mostra un aspetto centrale del romanzo di Calvino: la bontà assoluta e la cattiveria assoluta sono ugualmente nocive. L’equilibrio ritorna soltanto quando le due parti si riuniscono, compensando bontà e cattiveria. Un ultimo appunto riguarda il narratore. Si tratta del giovane nipote, non riconosciuto a corte, del visconte. Ai tempi della narrazione era un bambino. Nel finale emerge tramite le sue parole l’importanza vitale per ogni uomo di narrare, di perdersi nella fantasticheria della narrazione. Dunque, raccontare è antropologicamente insito nell’uomo e non se ne può fare a meno, ma bisogna poi ricordarsi di tornare sempre alla realtà.
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La metà che crea l'intero
«O Pamela, questo è il bene dell’esser dimezzato: il capire d’ogni persona e cosa al mondo la pena che ognuno e ognuna ha per la propria incompletezza. Io ero intero e non capivo, mi muovevo sordo e incomunicabile tra i dolori e le ferite seminati dovunque, là dove meno da intero uno osa credere. Non io solo, Pamela, sono un essere spaccato e divento, ma tu pure e tutti. Ecco ora io ho una fraternità che prima, da intero, non conoscevo: quella con tutte le mutilazioni e le mancanze del mondo. Se verrai con me, Pamela, imparerai a soffrire dei mali di ciascuno e a curare i tuoi curando i loro.»
Identità. Chi siamo davvero? Come riconoscerci, come delinearci? È forse questo, ma non solo questo, il fulcro di “Il visconte dimezzato”, il lungo racconto a firma Italo Calvino che, attraverso una situazione grottesca e anche divertente, porta il lettore a interrogarsi su molteplici tematiche sottese.
Il suo nome è Medardo di Terralba ed è partito alla volta della Boemia per combattere contro i turchi. Tuttavia qualcosa va storto, il mito e la leggenda parlano di una parte del suo corpo esplosa nel nulla, volatilizzata, tanto che egli torna al suo regno semplicemente dimezzato. Ma attenzione, perché a far ritorno nei luoghi del reame non è la parte buona quanto una parte malvagia dell’uomo. Perché non solo è stato dimezzato il suo corpo ma anche la sua indole, una indole che per questo è stata epurata di ogni bontà e ogni spirito di benevolenza.
Terralba diventa dunque il teatro delle malefatte del Profilo Gramo, del suo tormento ai lebbrosi e agli abitanti ma anche alla sua presa di posizione verso Pamela che dichiara di amare e che per questo vuole sposare senza che ella possa sottrarsi alla sua volontà. Nel mentre il Profilo Buono, nelle vesti di un vagabondo, torna negli stessi luoghi in cui abita l’altra metà e con la sua indole generosa inizia a rattoppare quanto da quell’altro distrutto. Anche in modo troppo amorevole tanto che infatti parte della popolazione tanto non può vedere il malvagio, tanto non tollera il virtuoso. L’unica cosa sulla quale entrambi sono d’accordo è il dato che per poter davvero capire la realtà necessario è esser dimezzati. Soltanto così il quadro che ci circonda potrà davvero assumere la sua forma completa con tutte le sue sfumature e tutte le sue peculiarità.
«Così passavano i giorni a Terralba, e i nostri sentimenti si facevano incolori e ottusi, poiché ci sentivamo come perduti tra malvagità e virtù ugualmente disumane.»
Una storia semplice, in apparenza, una storia che si presenta quasi come una favola ma che al suo interno, sotto tutti i suoi abiti abbraccia temi da sempre cari agli uomini e a quel mito che spesso li fa sentire detentori di verità assolute e definitive, univoche. Eppure, sono proprio quelle imperfezioni e quelle incompletezze che ci rendono capaci di osservare davvero, che ci permettono di capire il mondo, che ci consentono di volgere anche uno sguardo fatto di comprensione e pietà e non esclusivamente di giudizio a quel che abbiamo accanto. È forse questo l’unico modo per non restare disancorati, distaccati dalla realtà e ancorati a fuochi fatui.
Una rilettura a cui torno dopo oltre diciotto anni e che riassaporo con lo stesso spirito del tempo che fu. Perché tutti, alla fine, abbiamo bisogno di sentirci dimezzati per trovare la nostra completezza.
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Sentirsi dimezzati
"Io penso che il divertimento sia una cosa seria", afferma Italo Calvino in un'intervista del 1983. Sta proprio nella straordinaria miscela di divertimento e serietà la magia di questa lettura: la capacità di proporre una riflessione su un tema quantomai importante quale l’identità e la diversità, senza però rinunciare alla piacevolezza e alla buona compagnia che la pagina scritta sa regalare.
Sembrerebbe una semplice fiaba. Il visconte Medardo di Terralba, partito alla volta della Boemia per combattere i turchi, torna in terra natia con una bizzarra menomazione: solo mezzo corpo è sopravvissuto alla battaglia, e trattasi purtroppo della metà cattiva. Mentre il Profilo Gramo getta gratuito terrore nel borgo e si diverte a dividere in due tutto il creato, fa inaspettatamente ritorno a Terralba anche il Profilo Buono, che comincia a ricucire e rattoppare ciò che l’altro mezzo ha tagliato. Troppo crudele l’uno, troppo amorevole il secondo, che scontro sia. Solo su una cosa Gramo e Buono sono concordi: essere dimezzati è l’unico modo per capire davvero la realtà.
“Ero intero e tutte le cose erano per me naturali e confuse, stupide come l'aria; credevo di veder tutto e non era che la scorza”.
Ecco così che la riflessione si sposta dal piano della favola e abbraccia tutti gli uomini che si credono interi e, in quanto tali, portatori di verità assolute e definitive. Invece, siamo tutti imperfetti e incompleti, e solo la mutilazione - intesa come presa di coscienza delle vulnerabilità, delle diversità e delle miserie umane - consente di osservare il mondo con la pietà e la comprensione di chi sa di portare dentro di sé il buono e il gramo, il giusto e lo sbagliato, il perfetto e il frammentato. Altrimenti, si rischia di restare staccati dall’umanità vera, come la medicina del dottor Trelawney, che non cura le persone, o la tecnica di Mastro Pietrochiodo, che produce macchine perfette solo per impiccare.
“Questo è il bene dell'essere dimezzato: il capire d'ogni persona e cosa al mondo la pena che ognuno e ognuna ha per la propria incompletezza. […] Ecco ora io ho una fraternità che prima, da intero, non conoscevo: quella con tutte le mutilazioni e le mancanze del mondo”.
Forse, se tutti ci sentissimo un po’ più dimezzati, il mondo sarebbe un po’ più completo.
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Due metà d'una visione chiara
“[…] che queste due metà fossero egualmente insopportabili, la buona e la cattiva, era un effetto comico e nello stesso tempo significativo, perché alle volte i buoni sono dei terribili scocciatori."
Questo dice lo stesso Italo Calvino riguardo al primo romanzo della sua “Trilogia degli antenati", e in questa affermazione risiede uno dei temi della storia: la dicotomia tra il bene e il male assoluti che sono entrambi, anche se non egualmente, nocivi e malvisti. Magistrale, in questo senso, è la contrapposizione nelle reazioni dei personaggi di contorno agli incontri con le due metà del visconte; soprattutto quella degli ugonotti.
In questo romanzo troviamo diverse analogie col resto dell'opera calviniana, come ad esempio "Il sentiero dei nidi di ragno" o “Le città invisibili", e forse proprio di queste due opere forma l'unione perfetta. Diviso infatti tra favola (anche se in certi tratti troppo cruda per esserla puramente) e realismo, mette a nudo diversi conflitti dell'animo umano sia riguardo alla super sviscerata dicotomia di cui parlavamo prima (e in questo senso è chiara l'influenza di Stevenson), sia nella concezione equilibrata d'un mondo che si divide (per l'appunto) tra bellezza e tragedia; tra nobili intenti difficili e cattivi propositi nella cui realizzazione siamo non solo maestri, ma artisti.
Del Sentiero prende anche il narratore “fanciullo”, che seppur in maniera meno invadente rispetto a Pin ci accompagna lungo tutto il racconto. Rispetto a quel romanzo, tuttavia, il Visconte ha dei toni fantastici più vicini alle Città (pur non somigliandole per nulla nella struttura); popolata da personaggi macchiettistici portati all'eccesso, che tuttavia ci pongono dinanzi scomode verità: conflitti che proviamo a ignorare ma con cui, ogni giorno, facciamo tacitamente i conti.
Il Visconte torna dalla guerra coi turchi dimezzato, beccandosi in pieno petto una palla di cannone, ma con la sua incompiutezza fisica metterà in vergognoso risalto l'incompiutezza metafisica di ogni essere umano, ed è bellissimo vedere come le sue due metà così diverse, trovino un punto d'incontro proprio su questo punto.
"Il visconte dimezzato" è un libro dimezzato a sua volta, che con questo meccanismo perfetto riesce a metterci davanti a realtà compiute con la facilità che si avrebbe nel comporre un puzzle di due soli pezzi. Direi che quest’opera è degna del miglior Calvino, che si conferma genio forse non abbastanza celebrato della nostra letteratura.
“Allora il buon Medardo disse: - O Pamela, questo è il bene dell'esser dimezzato: il capire d’ogni persona e cosa al mondo la pena che ognuno e ognuna ha per la propria incompletezza. Io ero intero e non capivo, e mi muovevo sordo e incomunicabile tra i dolori e le ferite seminati dovunque, là dove meno da intero uno osa credere. Non io solo, Pamela, sono un essere spaccato e divelto, ma tu pure e tutti. Ecco ora io ho una fraternità che prima, da intero, non conoscevo: quella con tutte le mutilazioni e le mancanze del mondo. Se verrai con me, Pamela, imparerai a soffrire dei mali di ciascuno e a curare i tuoi curando i loro.”
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Ahimè troppo breve
Inutile spendere parole per introdurre un mostro sacro della letteratura italiana. Forse lo è anche ricordare che questo breve racconto è il primo di una trilogia che si conclude con “Il cavaliere inesistente”. Del secondo, “Il barone rampante”, ho un simpatico ricordo poiché, come per molti miei coetanei, è stato per me una piacevole lettura che risale a diversi lustri fa. Regolarmente riaffiora dalla mia memoria Cosimo Piovasco di Rondò.
La storia di Medardo di Terralba è invece una splendida allegoria utilizzata per riflettere sulla convivenza del bene e del male nei cuori e nelle coscienze di ogni essere umano. Divertente e fiabesco ma ahimè brevissimo, ha allietato poche ore di un pomeriggio finalmente nevoso nella città che tanto ha amato il compianto cantastorie.
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Libro filosofico di piacevole lettura
Dietro la fantastica storia narrata nel romanzo di Italo Calvino, “Il visconte Dimezzato”, e ambientata alla fine del 500, si cela l’obbiettivo da parte dell’autore di trasmettere un messaggio contemporaneo. All’inizio del romanzo, prima ancora del duello, ci troviamo di fronte ad un visconte ancora giovane e immaturo, che è fisicamente intero, ma nell’anima incompleto. Egli non conosce né il bene né il male e pertanto è indifferente ad entrambi. In questo modo egli risulta essere un uomo privo di identità, che lascia che i fatti scorrano dinanzi ai propri occhi con la massima freddezza e impassibilità. In questo momento del romanzo, egli appare dunque, come un personaggio privo di sentimenti e di spirito critico, che si lascia travolgere dal moto perpetuo della vita senza alcuna possibilità di intervento. E’ incapace di prendere posizione perché per lui il bene e il male sono la stessa cosa. Non esiste alcun confine, non c’è una linea di frattura.
“Era allora nella prima giovinezza: l'età in cui i sentimenti stanno tutti in uno slancio confuso, non distinti ancora in male e in bene; l'età in cui ogni nuova esperienza, anche macabra e inumana, è tutta trepida e calda d'amore per la vita.
“Quella notte, benchè stanco, Medardo tornò a dormire. Camminava avanti e indietro vicino alla sua tenda e sentiva i richiami delle sentinelle, i cavalli nitrire e il rotto parlare nel sonno di qualche soldato. Guardava in cielo le stelle di Boemia, pensava al nuovo grado, alla battaglia dell’indomani, e alla patria lontana , al suo fruscio di canne nei torrenti. In cuore non aveva né nostalgia, né dubbio,nè apprensione. Ancora per lui le cose erano intere e indiscutibili, e tale era lui stesso. Se avesse potuto prevedere la terribile sorte che l’attendeva, forse avrebbe trovato anch’essa naturale e compiuta, pur in tutto il suo dolore. Tendeva lo sguardo al margine dell’orizzonte notturno, dove sapeva essere il campo dei nemici, e a braccia conserte si stringeva con le mani le spalle, contento d’aver certezza insieme di realtà lontane e diverse, e della propria presenza in mezzo a esse. Sentiva il sangue di quella guerra crudele, sparso per mille rivi sulla terra, giungere fino a lui, e se ne lasciava lambire, senza provare accanimento né pietà. “
Dopo il duello, sembra che che si salvi solo una parte del visconte, quella “malvagia”, che comincia a compiere atrocità e malvagità nei confronti delle persone a lui vicine. Ad un certo punto del romanzo, si scopre che anche l’altra metà del visconte si è salvata. Questa volta si tratta della parte “buona”, che però, pur compiendo atti di carità e benevolenza, si rivela sin troppo “bonacciona” con risultati spesso negativi, e finendo anch’essa per inimicarsi gli abitanti del territorio. In entrambi i casi dunque, l’eccesso, che sia nel bene o nel male, porta solo ad esiti disastrosi. E’ evidente qui il messaggio dell’autore, volto a condannare qualunque forma di eccesso e a premiare invece la compresenza di entrambi gli aspetti per il raggiungimento di una condizione di stabilità ed equilibrio. A riprova di ciò, alla fine del romanzo le due parti si ricongiungeranno, grazie all’intervento del dottor Trewlaney. Si tratta del momento più significativo del romanzo, perchè l’unione dei due mezzi uomini, porterà alla rinascita dell’uomo intero e completo non solo fisicamente,ma anche nell’animo. Il Visconte finalmente dunque, ritornerà intero fisicamente, ma questa volta potrà avvalersi dell’esperienza dell’una e dell’altra parte di sè, del bene e del male ,che gli consentirà di acquisire una visione più profonda e completa della realtà.
“Cos’ mio zio Medardo ritornò uomo intero, né cattivo né buono, un miscuglio di cattiveria e bontà, cioè apparentemente non dissimile da quello ch’era prima di esser diventato. Ma aveva l’esperienza dell’una e dell’altra metà rifuse insieme, perciò doveva essere ben saggio. Ebbe vita felice, molti figli e un giusto governo”.
L’idea che traspare è che il bene e il male siano due entità intrinseche dell’animo umano, di cui l’una ha bisogno dell’altra per completarsi a vicenda. Ecco che in fondo, il bene e il male possono considerarsi due aspetti complementari della stessa realtà, due facce opposte della stessa medaglia. Premessa dunque la necessaria compresenza del bene e del male all’interno di ciascuno di noi , l’obbiettivo dell’uomo diventa quello di riuscire ad equilibrare i due aspetti, in modo che nessuno dei 2 prevalga sull’altro. Ma questa visione si estende anche al mondo, alla realtà che ci circonda: a volte ci capita di proiettarci in un mondo futuro, definito “perfetto” in cui non ci sono le guerre, non ci sono atti crudeli, né malvagità, non ci sono atti di cronaca nera, ma l’uomo in perfetta armonia con sé stesso, con gli altri, e con la realtà che lo circonda. Ma la perfezione in realtà non esiste, e questo mondo a cui noi tanto auspichiamo non è altro che un mondo utopico, in cui esiste solo il bene. Peccato che, la presenza del male, per quanto possa sembrarci strano, è fondamentale e necessaria, tanto quanto la presenza del bene. Noi non saremmo in grado di sviluppare una visione di fondo della realtà se non avessimo la conoscenza del male, e viceversa se non conoscessimo il bene avremmo una visione limitata e parziale della realtà. Allo stesso modo, dal male inspiegabilmente può nascere il bene, così come dal bene può nascere il male. Insomma, il bene e il male sono due aspetti che dominano l’animo umano, e più in generale il mondo, che non potrebbero essere tali senza la loro compresenza. All’inizio il visconte rimane indifferente alle vicende, freddo, assolutamente impassibile e acritico, perché ancora non è a conoscenza né del bene né del male, per cui non è capace di distinguerli. Alla fine del racconto invece, egli ha subito un processo di maturazione e ha acquisito una visione più profonda della realtà: avendo avuto esperienza dell’uno e dell’altro, adesso è capace di capire cos’è il bene e cos’è il male, e agire di conseguenza.
Ciò che però resta come un filo sospeso all’interno del romanzo, è la possibilità reale di raggiungere questa completezza a cui tanto l’uomo aspira, dal momento che "Medardo intero dell’inizio, indeterminato com’è, non ha personalità né volto; del Medardo reintegrato della fine non si sa più nulla; e chi vive nel racconto è solo Medardo in quanto metà di se stesso" Lo stesso Calvino spiega che , quando ha composto quest’opera, lo ha fatto perchè pensava che il tema dell’uomo dimezzato avesse un significato contemporaneo:
“tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l'altra”. Ecco dunque, che l’uomo dimezzato diviene metafora dell’uomo contemporaneo, “Dimidiato, mutilato, incompleto, e nemico a sé stesso.”
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Gli opposti si attraggono. Anzi si incollano!
Da ragazzina, in occasione di un compleanno, ricevetti in regalo “Il principe canarino e altre fiabe” di Italo Calvino; nonostante siano passati parecchi anni, conservo un bel ricordo di quella raccolta, che comprendeva delle versioni rivisitate di fiabe famose come Cenerentola e Barbablù, nonché una sezione dedicata all’analisi dei testi pensata per un pubblico di bambini.
Quando ho acquistato la trilogia de I nostri antenati, pensavo di leggere dei racconti vicine a quelli della mia infanzia. Non potevo essere più in errore: a dispetto dell’ambientazione quasi fiabesca e di alcuni elementi che rimandano alla magia ed al folklore popolare, la storia narrata ne “Il visconte dimezzato” è ricca di violenza e le scene crude non vengono risparmiate al lettore.
Sono rimasta inizialmente perplessa? Lo confesso, un po’ sì. Trovo comunque il volume valido? No, lo reputo originale, evocativo e, ovviamente, validissimo!
La novella segue le (dis)avventure di Medardo di Terralba, nobile cavaliere che si reca in Boemia per combattere al fianco dell’imperatore contro l’esercito turco. Alla sua prima battaglia però il prode viene colpito da una palla di cannone e ciò che i soccorritori riescono a salvare nottetempo è soltanto la metà destra del suo corpo; miracolosamente, il visconte viene curato dai medici del campo e, dotato di stampella, può fare ritorno a casa.
A seguito della disgrazia non solo il suo corpo ne esce dimezzato, ma le ripercussioni più importanti si evidenziano sul suo carattere: una volta tornato nel Genovesato, Medardo fa mostra di un comportamento a dir poco terribile nei confronti degli abitanti del suo castello e, più in generale, di tutti i suoi sudditi. Si spazia dai piccoli dispetti, come tagliare a metà con la spada tutto ciò che gli capita a tiro, ad azioni molto più gravi, come attentare alla vita del suo stesso nipote e far giustiziare degli innocenti per capriccio.
La situazione sembra disperata per gli abitanti di Terralba, ma due eventi giungono a smuovere le acque: il malvagio visconte (sopranominato il Gramo) si invaghisce della popolana Pamela e, nel frattempo, giunge a sorpresa la metà sinistra dell’uomo, anch’essa salvatasi incredibilmente grazie all’aiuto di un paio di eremiti erranti. Avendo in sé il cuore del visconte originale, la seconda metà (nota con l’appellativo di Buono) è estremamente altruista e si prodiga per aiutare gli altri tanto quanto il suo doppio si impegna per tormentarli. Dopo qualche tempo, i villici iniziano a disprezzare il Buono tanto quanto il Gramo, perché il suo buon cuore portato all’estremo sfocia in un pedante perbenismo che irrita chi gli sta vicino, a partire da Pamela.
Dal canto suo la fanciulla, inizialmente presentata come un clone della sua omonima, protagonista nella “Pamela” di Samuel Richardson, si mostra poi nient’affatto passiva e parecchio insolente.
Oltre ai tre protagonisti, sono di scena diversi personaggi secondari dalla caratterizzazione ben delineata e, quasi sempre, sopra le righe; la natura compatta della novella non togli spazio a nessuno, anzi di alcuni personaggi apprendiamo anche la storia grazie a brevi antefatti.
Tra i miei favoriti spiccano indubbiamente il giovane narratore, nipote del visconte, che spesso compare in scena a sorpresa così da rendere credibile la narrazione anche quando non sembra presente, perché potrebbe sempre assistere agli eventi di nascosto dagli adulti; e poi il dottor Trelawney, omonimo di un suo collega, personaggi de “L’isola del tesoro” di Robert Louis Stevenson, con il quale ha in comune solo il titolo di medico perché si rivela davvero ignorante in medicina ed interessato piuttosto a svaghi meno concreti.
Altra citazione alle opere di Stevenson è la stessa divisione di Medardo in due personaggi distinti che rappresentano i poli opposti di un carattere umano, come era per il dottor Jekyll e il signor Hyde.
Lo stile narrativo è inusitato e ricco di espressioni ricercate che ben si accostano all’ambientazione della storia. Reputo geniale anche il frequente accostamento tra una scena al limite del grottesco, con violenze e delitti di cui non si lesinano i dettagli, e altre quasi comiche, Il lettore si trova così diviso al apri del protagonista tra il terrore e l’ilarità.
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Alienazione
Poche pagine di un racconto surreale, capace di infondere un profondo senso di straniamento inspirabile ad ampie boccate fin dal principio della lettura: sfuggono gli appigli e i riferimenti spazio-temporali sono labili e diafani.
Una cannonata turca sul campo di battaglia dimezza il Visconte Medardo di Terralba, minandone la comunione interna tra bene e male, compromettendone l’imperturbabile equilibrio, simbolicamente mettendo a nudo l’estrema fragilità umana nella sua perenne e insolubile incompletezza.
Attorno al duplice Medardo, di ritorno al suo castello, sorgono, quasi come riverberi della dicotomia materializzata nella figura del suddetto visconte, tante altre maschere e allegorie ispirate a stridenti contrasti tra realtà antitetiche.
Con il “Visconte dimezzato” porto finalmente a conclusione la “trilogia araldica” di Calvino, personalmente iniziata ormai tanti anni fa con la lettura del “Barone rampante”. La chiudo però con disincanto, perché, ahimè, la cannonata di Medardo non ha fatto breccia nel mio immaginario e non sarei sincero se negassi il fatto che soltanto “Il cavaliere inesistente” a suo tempo mi diede grande soddisfazione.
Tuttavia nutrivo grandi aspettative per questo libro, cronologicamente il primo ad esser stato concepito, in un momento in cui probabilmente l’autore stesso non aveva in progetto di sviluppare una trilogia.
Ho sofferto la semplicità e l’asciuttezza della narrazione, come se la bidimensionalità del visconte avesse contagiato tutto il racconto, restituendomi prospettive troppo sfuggenti.
Forse, come spesso non a torto si dice, l’età, così come le fasi della vita, sono determinanti influenti nel giudizio riguardo un libro, eppure oggi chiudendo questo racconto, sono amareggiato dal non aver tratto le preziose percezioni rivelatrici a cui la penna di Calvino mi aveva abituato in passato.
E se, come per stessa ammissione dell’autore, il libro fu scritto per divertire e riflettere (splendida la presentazione iniziale a questo proposito), non posso dire personalmente che il risultato abbia funzionato con me, specialmente alla luce del fatto che resteranno sempre vive nella mia memoria, come metro di giudizio, le inestimabili pagine di Marcovaldo, per cui sempre sarò riconoscente.
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Il visconte dimezzato
Lieve per dimensioni e tono, il romanzo si presta però a letture con diversi livelli di approfondimento in una sorta di millefoglie letteraria in cui sta uno dei suoi maggiori pregi. Ci si può limitare a godere della favola bella e sorridente che fa volare l’immaginazione in un Seicento d’invenzione diviso tra guerre stupide e tranquilla vita rurale nell’entroterra ligure e si snoda attraverso una serie di peripezie che conducono all’immancabile lieto fine. Oppure interrogarsi sui significati più profondi che l’autore ha dato a molti dei passaggi o caratterizzazioni e su cui è stato molto esplicito (pure troppo) nell’introduzione e in alcune interviste: ovviamente il tema del doppio, con Medardo tagliato a metà da una palla di cannone sia nel fisico sia nello spirito tra bene e male, ma anche le figure dell’ingegnoso falegname e del dottore (la scienza e la tecnica al servizio del potere) ovvero il gruppo dei lebbrosi in cui Calvino identifica gli intellettuali per finire con gli ugonotti in cui si riflettono le rigidità della borghesia produttiva. In entrambi i casi, l’efficacia di queste cento pagine scarse non è neppure da mettere in discussione: il tocco brioso dello scrittore trascina sin da subito il lettore in un mondo di fantasia popolato di personaggi magari disegnati con pochi tocchi eppure indimenticabili a partire dal ragazzino che narra in prima persona e con l’apice di Pamela e della sua famiglia da cartone animato. Insomma, se è dell’autore il fin il divertimento, come lo stesso ha indicato per questo lavoro, bisogna dire che la missione è pienamente compiuta.
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Tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti..
Siamo negli anni '50 e Calvino decide di iniziare il suo romanzo come se fosse una fiaba, ma al posto del "C'era una volta.." decide di partire con "C'era una guerra".
Infatti tutto comincia quando il visconte Medardo di Terralba decide di combattere contro i Turchi al servizio dell'Imperatore e ne ricava:
"Gli spararono una cannonata in pieno petto. Medardo di Terralba saltò in aria...a farla breve, se n'era salvato solo metà".
Il visconte "era vivo e dimezzato", una parte cattiva e l'altra buona; due parti contrapposte che in ognuno di noi esistono e coesistono ma che separate possano davvero dire la loro.
"Io ero intero e non capivo, e mi muovevo sordo".
La storia/fiaba ci viene raccontata dal nipote del visconte in cento pagine. L'intento di Carlino ovviamente è molto importante e direi anche filosofico, vi lascio con una frase, dell'autore, che rappresenta quello che ci voleva trasmettere:
"Avevo questa immagine di un uomo tagliato in due ed ho pensato che questo tema dell'uomo tagliato in due, dell'uomo dimezzato, fosse un tema significativo, avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l'altra".
Ovviamente lo consiglio, il testo come avrete capito è un pò fantasioso ma molto divertente e anche riflessivo. A volte il cattivo è troppo cattivo, ma anche il buono che è troppo buono può nuocere.
Buona lettura!
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Il visc onte di Terralba
Il visconte dimezzato è una favola allegorica scritta da Italo Calvino nel 1952, appartenente al filone fantastico e riunita insieme a “Il Barone rampante” e “Il Cavaliere inesistente”, nel 1960, nella raccolta “I nostri antenati”.
La vicenda ci porta in una terra dimenticata (la Boemia) e in un’epoca lontana, (che è quel ‘600 fitto di guerre di imperi di diverse religioni) dove il Visconte Medardo di Terralba insieme al suo fido scudiero di appresta a combattere la sua battaglia contro i Turchi, ma viene colpito in pieno da una palla di cannone che gli divide il corpo in due esatte metà, una delle quali verrà data per dispersa, mentre l’altra, con la chirurgia e tanta fantasia dell’autore, verrà salvata dalla morte ovvia.
Il vero protagonista della vicenda, e narratore di essa è però il piccolo nipote di Medardo, del quale mai sapremo il nome, che vive giorni felici in compagnia di fumettistici personaggi, a caccia di fuochi fatui e di ‘cose da ragazzini’, nel paese di Terralba, dove il mezzo corpo del Visconte vi fa ritorno. Ma ben presto nel villaggio una serie di sventure si abbattono tra i suoi abitanti, e tutte hanno come firma oggetti dimezzati, una losca figura dal mantello nero, e tanta cattiveria. Solo l’arrivo della metà “buona” del Visconte, data per dispersa, riuscirà a dare di nuovo un equilibrio alla situazione, che culminerà in uno scontro all’ultimo sangue ed un finale tanto fantasioso quanto poetico.
L’intento di Calvino, a differenza di quanto si possa pensare ad una prima lettura, non è una semplicistica scissione tra bene e male con quest’ultimo che, come nelle migliori fiabe, ne esce sconfitto, bensì un’allusione alle componenti contrastanti della personalità umana, e l’idea di base che si può trarre una più profonda conoscenza della realtà solo attraverso la scissione.
La scrittura usata da Calvino in questo racconto, ricorda molto quella dei poemi cavallereschi, a partire dall’ Orlando furioso, o anche al Don Chischotte, o meglio La Gerusalemme Liberata (che tra l’altro, come in un cameo, comparirà durante il primo incontro/scontro tra i due “mezzi visconti”), il che comporta un immersione ancora maggiore in quest’opera che, come detto è solo del 1952, ma che sembra saltar fuori proprio dal XVII secolo.
I personaggi, soprattutto quelli di contorno, sono l’elemento cardine su cui gira tutto il racconto, che, è meglio specificarlo, non punta dritto per dritto sino alla conclusione, ma si concede le sue pause narrative, si stagna, si ammira allo specchio e si compiace tal volta, con dei virtuosismi che ho ritrovato anche in altre opere dello stesso autore. Ma tutto ciò sarebbe stato vacuo senza lo spessore dei personaggi di contorno; e così che il racconto prende colore con la stramba figura del dottor Trelawney, malato del tressette e del vino “cancarone”, che è poi tutt’altro che dottore, sempre alla ricerca di fuochi fatui, o ancora Pamela, rozza contadina sempre accompagnata da un’anatra e una capra, che non mancherà di rendersi protagonista, o ancora Galateo il lebbroso e il suo paese di lebbrosi, Pratofungo, nel quale verrà cacciata pure Sebastiana, balia di generazioni di Terralba.
Di grande effetto mi è sembrata la descrizione (e la morte) nei primissimi capitoli del padre di Medardo, Aiolfo e della sua passione per l’ornitologia, e senza dubbio il finale che non voglio svelare, ma che è una perla di stile sopraffino.
Il Visconte dimezzato è una fiaba di grandissimo spessore, non è immediato capirne il significato che passa in secondo piano rispetto alla narrazione fantastica, che insieme ai personaggi di ottima caratterizzazione, riesce a donarci un piacevole racconto che ci strapperà un sorriso nel finale, tra i sui risvolti, i suoi addii, e i suoi fuochi fatui.
“Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane.”
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Ognuno è "diviso"
Inconsueto e geniale. Il modo in cui Calvino decide di trattare un tema tanto profondo, quanto delicato: l'incompletezza dell'uomo. Quale migliore metafora per esprimerla se non la figura di un uomo letteralmente diviso a metà? E' così che appare Medardo, visconte di Terralba, che, centrato da una palla di cannone, viene diviso in due metà, una "cattiva", l'altra "buona". Da un lato la prima crea scompiglio e devastazione ovunque passi, dall'altro quella buona cerca di rimediare ai misfatti della controparte, eccedendo in generosità e affetto.
Ecco, il problema che pone Calvino è quantomai attuale e ambiguo, tutti noi come Medardo siamo "divisi". Nel nostro essere una delle "parti" tende a prevalere sull'altra, il nostro obbiettivo dev'essere quello di trovare un equilibrio tra le idee e le emozioni che ci animano. Da un lato eccedere nel "male", porta a conseguenze evidentemente negative, dall' altro eccedere in direzione opposta, contrariamente a quanto si possa pensare, non dà migliori risultati... Solo riuscendo a conciliare le proprie metà, le sfaccettature della propria persona, si può essere interi. Ma la “divisione” dell’uomo va anche oltre la concezione delle due metà, l’uomo è diviso nelle scelte, nelle decisioni quotidiane e fugge l’insicurezza rifugiandosi nella monotonia, nelle banalità, si finisce per preferire la certezza dell'ignoranza, ai rischi che può portare la conoscenza, l'andare oltre le cose.
Di questo libro ricorderò sicuramente il messaggio, che si legge tra le righe delle pagine, di non limitarsi alla propria incompletezza, di non vedere ciò che ci si presenta catalogandolo come “bene” o” male”, non limitarsi ad un punto di vista, ma di valutarlo nella sua interezza, senza preconcetti e pregiudizi, e cercare ciascuno nelle proprie azioni di trovare un equilibrio, perché eccedere, sia nel "bene" che nel "male", ci rende incompleti.
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Metà acronimo, metà no.
I nostri antenati sarebbero
L’origine genetica delle turbe dell’uomo contemporaneo. Il
Visconte Medardo di Terralba,
In Boemia durante la guerra con i Turchi,
Si smembra in due parti sotto il
Colpo di un cannone. Un vero
Orrore! Viene ritrovata e fasciata la parte destra, mentre
Non si trova più la sinistra. Il nobile, mela divisa in due!,
Torna a Terralba, ma quella che ritorna
E’ la parte malvagia: per la crudeltà è chiamato il Gramo.
Diversamente, la parte sinistra compie opere di bene e si
Innamora di Pamela, proprio come la
Metà malvagia. Il finale è rocambolesco tra fiori d’arancio
E vede la ricongiunzione dei due mezzi Medardi, entrambi
Zii dimidiati del narratore, uno
Zelante cacciatore di fuochi fatui nel cimitero.
Amabile metafora dell’incompletezza dell’uomo dilacerato
Tra il bene e il male, è un divertente modo per illustrare
O visualizzare le inconciliabili forze che agitano l’uomo.
"Quando ho cominciato a scrivere Il visconte dimezzato, volevo soprattutto scrivere una storia divertente per divertire me stesso e possibilmente per divertire gli altri; avevo questa immagine di un uomo tagliato in due ed ho pensato che questo tema dell'uomo tagliato in due, dell'uomo dimezzato, fosse un tema significativo, avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l'altra." (Italo Calvino)
Bruno Elpis
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Opere cavalleresche e picaresche.
Consigliato a TUTTI.
L'incompletezza umana
Un uomo tagliato a metà da un colpo di cannone. Muore? No, raddoppia. Infatti le due parti del corpo, perfettamente conservate, mostrano diversi caratteri. La prima mostra un’indole crudele, la seconda un’indole buona. E direi che, prese singolarmente, sono entrambe parti insopportabili. Il libro stesso riporta che malvagità e virtù sono ugualmente disumane. Romanzo surreale che, in modo davvero molto originale, mostra l’eterno tema del bene e del male, che si mescolano in ognuno di noi, offrendo al lettore riflessioni profonde sulla personalità umana. Il libro è anche divertente e scorrevole, comico ed a tratti pungente.
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Che fate ancora lì? Correte a leggere Calvino! ;)
Molte cose mi commuovono, e se in gioventù potevo vantare un cuore di ghiaccio ora posso affermare che il ghiaccio si scioglie spessissimo per scendere senza controllo dai miei occhi, come acqua piovana a sud dell’equatore nella stagione delle piogge.
Tre cose però mi emozionano più delle altre, e sono tutte e tre in qualche modo collegate: la vita di Cesare Pavese, la bontà di Gianni Rodari e il viso di Italo Calvino. Tre persone meravigliose, amiche.
Ho una foto di Calvino, stropicciata, che guardo senza ritegno, e se mai dovesse esistere il Santo Graal, ai miei occhi sarebbe senza dubbio meno confortante e sacro di questa foto.
Io Calvino lo sento dentro, ogni sua parola è un tatuaggio all’anima, è uno schiaffo dato da un padre al proprio padre, una cosa fortissima. E ogni volta che leggo, o rileggo, un suo libro ringrazio silenziosa il creato per averci donato un Essere del genere.
Vi rendete conto? Abbiamo avuto Calvino. E’ per questo che spero ancora nel genere umano.
Il Visconte Dimezzato si legge in un’ora, un’ora che, però, una volta assimilata, diventa eterna.
E chi se lo scorda più il Visconte Medardo di Terralba?
E, soprattutto, SIAMO tutti il Visconte Medardo di Terralba. Ok, non abbiamo combattuto contro i Turchi (almeno non io, non so voi) e il nostro corpo non è stato diviso in due da una cannonata ma, diamine, è chiaro che in ognuno di noi, giornalmente, ci sia una battaglia tra il bene e il male.
In tutte le cose, nelle stupidaggini, a cominciare dalla mattina quando vi alzate e vi accorgete che c’è una sola mela e il latte basta solo per una persona. Che decidete? L’altruismo o il menefreghismo?
Io normalmente non ho neanche il tempo di pensare che, dalla fame che ho, ingurgito ogni tipo di cosa anche contemporaneamente, senza preoccuparmi affatto di cosa mangerà il mio compagno. Ma io mi giustifico dicendo che la mia parte destra la mattina si sveglia prima della sinistra, e quindi che se la prenda con Calvino, non con me. Lui ride, ma lo so che la sua parte destra vorrebbe, quantomeno, tirare un calcio negli stinchi alla mia.
D’altro canto anche la parte buona può fare danno. Mettiamo il caso che io, mossa dalla pietà e dalla gentilezza, assicuri al mio compagno ogni mattina tutti i tipi di prelibatezze zuccherose e lo obbligassi a mangiarne abbondantemente (senza lasciare alcuna briciola, sapete: la fame del mondo), lo porterei al diabete nel giro di qualche mese.
La parte buona di ognuno di noi può essere anche molto banale e pesante.
Non c’è preferenza tra le due parti, ci deve essere una giusta proporzione, ma non cantiamo vittoria, perché tante volte neanche un uomo intero può bastare.
Anche i personaggi secondari hanno molto da dire, e, ascoltandoli bene, ci faranno riflettere su quale sia il modo giusto di prendere la vita.
Quando morì Gianni Rodari, Calvino scrisse: “Rodari è morto, il mondo si è impoverito”. E’ vero ma quando, dopo cinque anni, morì lui, tutta l’Italia mise il lutto, e il mondo diventò, se possibile, ancora più povero.
La sua esistenza, però, mi rende fiera e quando tutto va male, nel silenzio più fino, si sente la mia voce che, magari sussurrando, esclama: “Oh ragazzi, dai, fa niente. Noi abbiamo avuto Calvino!”.
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"Alle volte uno si crede incompleto...
...ed è soltanto giovane" (I.Calvino)
Questo romanzo di Calvino mi ha spiazzata. Meno di cento pagine dense di una storia narrata con il ritmo incalzante e il tono surreale delle fiabe, pregne però di un significato importante, tutt’altro che semplice o superficiale.
Il visconte Medardo di Terralba partecipa alle crociate contro i Turchi. Dopo molto tempo ritornerà alla terra natia, completamente sfigurato, o forse, per meglio dire, completamente “ dimezzato”. Del suo corpo, lacerato da una cannonata, è tornata infatti la sola parte destra.
In seguito al suo ritorno Medardo si macchia, inaspettatamente, di continui atti di malvagità gratuita; non sono risparmiati né l’anziano padre né la vecchia balia del visconte, fino a che il terrore va disseminandosi in tutto il circondario. Qualcosa deve essere profondamente cambiato nella natura del nobile di Terralba... Come può verificarsi un cambiamento talmente improvviso, drammatico e inspiegabile, nella natura di un uomo ritenuto " normale"….ma stiamo parlando propriamente di un uomo o forse solo di una sua parte?
Già, perché dopo qualche tempo, fa la sua comparsa un “altro” visconte, speculare e opposto al primo. Il nuovo arrivato, infatti , è un uomo di grandi mitezza e delicatezza d’animo, capace di atti di estrema generosità verso tutti. Ci si aspetterebbe, a rigor di logica, che la metà buona del visconte debba portare solo armonia e serenità nel paese, ma la goffaggine e l’intempestività del “Medardo buono” provocheranno invece tutta una serie involontariadi guai e perfino l'uccisione di alcuni gendarmi venuti a soccorrerlo.
Calvino , con un linguaggio preciso, nitido e scorrevole, costruisce un racconto sicuramente suggestivo, gradevole e giocoso, come era nelle sue intenzioni, esplicitate prima della pubblicazione. Tuttavia, a mio parere, i contenuti non sono immediatamente accessibili, almeno non lo sono stati per me.
Credo che , dietro all’immagine delle due metà che solo unite possono vivere vi sia una volontà di sottolineare l’importanza dell’uomo nella sua interezza, pur fragile, e nella sua unicità. La mania attuale di etichettare rigidamente tutto, pregi , difetti, passioni, amori e così via è riduttiva, perché siamo soggetti sempre in divenire, non catalogabili come pezzi d’inventario. Talvolta anche gli stessi pregi possono racchiudere in sé difetti e piccole imperfezioni possono accompagnarsi ad altre qualità…
Possiamo apprezzare un uomo efficientissimo e perfezionista fino all’ossessione sul lavoro, ma che ne sarà di tali qualità nella vita privata?
A mio avviso, con quest'opera importante, celata sotto l'estetica di una fiaba, l'autore ci invita riflettere sulla complessità e sulla ambivalenza della natura umana, al di là di luoghi comuni e di comode ma frettolose generalizzazioni"preconfezionate".
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UNA GRANDE METAFORA
Questo libro è molto piacevole da leggere e, pur nella sua semplicità, la storia presenta una grande metafora di vita: ognuno di noi è "diviso a metà", ovvero, penso che Calvino voglia fare capire che in noi vi è sempre una parte buona e una cattiva, in realtà una indispensabile all'altra, e stranamente conciliabili.
Un importante messaggio in una storia all'apparenza banale.
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Bizzarro questo visconte
il visconte dimezzato è la storia del Visconte Medardo di Terralba che durante una battaglia viene colpito da un colpo di cannone e viene letteralmente diviso in due.
Quando il Visconte torna in patria inizia a seminare distruzione e cattiveria gratuita, demolendo campi e case, uccidendo animali e persone.
Quando un giorno, fa capolino l'altra metà del Visconte, emblema della bontà e della compassione. Entrambi si innamoreranno di Pamela, una bella pastorella e li ci sarà un susseguirsi di fatti che renderanno interessante la vicenda.
Naturalmente anche questo libro di Calvino mi è piaciuto molto grazie alla particolarità dei suoi racconti surreali e intriganti e sempre pieni di significato.
La sua scrittura è scorrevole e fa si che questo testo lo si possa leggere anche in una giornata.
Mi ha fatto riflettere molto e devo ammettere che la frase "A volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane." e "in questo mondo pieno di responsabilità e di fuochi fatui" riecheggiano nella mia mente quasi fossero i punti chiave della storia.
Calvino ha scritto questa storia "new age" per iniziarci allo Yin e Yang dove non esiste bene senza male e viceversa.
Motivo per cui l'umano è portato a soffrire ed essere un'anima in pena finchè non accetterà anche gli opposti del carattere che ama tanto.
Credo volesse dare questo messaggio in cui esaltando un lato di noi non ci può essere equilibrio, oltre al fatto che se non ci affidiamo a noi in primis rimarremo per sempre delusi perchè le persone vanno e vengono come fuochi fatui.
Una bella storia da leggere.
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Piacevolmente impegnato
Dopo essere stato colpito in pieno da una palla di cannone durante una battaglia con i saraceni, il visconte Medardo di Terralba si ritrova il corpo diviso letteralmente in due precise metà distinte e separate. Nella metà destra, ribattezzata il Gramo, si concentra tutta la malvagità del visconte, in quella sinistra, detta invece il Buono, tutta la sua bontà. Tornati in patria i due imperverseranno per le proprie terre esasperando la gente con gli eccessi di terribile cattiveria l'uno e di esacerbante bontà l'altro, senza che mai uno dei due abbia la meglio. Soltanto quando si metterà di mezzo l'amore la situazione troverà finalmente una soluzione. Una contrapposizione bellissima tra il bene e il male che Calvino affronta con il suo solito stile semplice e pimpante e una massiccia dose di simpatia, abbinando magistralmente profonde riflessioni a situazioni quasi grottesche e giungendo ad un pensiero finale: nella lotta tra il bene e il male non c'è mai un vero e proprio vincitore, la vera soluzione si trova soltanto con un adeguato equilibrio. Niente eccessi quindi, ma le giuste dosi di bontà e di fermezza da amministrare con saggezza. Una forte critica alla società moderna poi Calvino la manifesta attraverso vari personaggi che girano attorno al visconte, ognuno dei quali rappresenta una determinata categoria di persone con i relativi difetti. Abbiamo ad esempio mastro Pietrochiodo, che incarna una scienza che spesso invece che benessere tende a portare un progresso distruttivo; il vecchio Ezechiele, portavoce dell’ipocrisia di chi predica buone intenzioni ma ai fini pratici pensa solo ai propri interessi; il dottor Trelawney, rappresentante di una medicina che spesso si occupa di fatti marginali invece di dedicarsi alla cura dei reali problemi della gente. Argomenti quindi di costante attualità, che abbinati alla simpatia della storia fanno di questo libro un romanzo piacevolmente impegnato e consigliato a tutti.
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Tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti tutti
è il primo libro che leggo di Calvino,autore che avevo già sentito nominare molte altre volte.Così vado in biblioteca,tiro giù dallo scaffale un'edizione del "Visconte dimezzato" e torno a casa , iniziando la lettura già ben predisposto dalla trama che ho trovato interessante e che è stata il motivo principale per il quale ho deciso di leggere questo libro.Il libro narra le vicende del visconte Medardo di Terralba diviso in due metà una buona fin quasi alla nausea e l'altra estremante cattiva.Meno di un centinaio di pagine che però riescono a trasmettere al lettore il messaggio che l'autore voleva dare.Letto in un paio di giorni proprio perché oltre che breve e anche coinvolgente per l'ironia che con cui Calvino scrive il libro.Una storia alquanto strana che però ho trovato originale,ben costruita che dire.... perfetta nel suo insieme.Il finale come già detto da altri utenti e un po' scontato ma è il modo con cui , come già detto ci arriva è da ammirare.
Bravissimo Calvino !!!
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Calvino o dell'acume
Leggere Calvino, e rileggerlo, è come tuffarsi in un gran mare d'intelligenza, per la quale ti puoi illudere che venga da te, che sia dentro di te, tanto bene l'autore la sa innesacare con la sua intelligenza, anche con la sua ironia, non sempre bonaria. Rara è questa sua mescolanza di fantasia e di realismo, tenuti insieme dall'intelligenza, appunto, dall'acume e dall'erudizione usata con sapienza e non esibendola. Grande Italo.
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...dottor Jekyll e Mr. Hyde!
Bellissimo, unico,originale...superlativo!
primo libro della "trilogia araldica" insieme al Cavaliere Inesistente e il Barone Rampante.
Quando ho scoperto che Calvino si era dedicato anche anche a questo genere l'ho trovato buffo per un autore così classico;
poi ho pensato che se un autore del suo calibro si fosse messo a scrivere un genere così "fuori dalle righe", non poteva essere una cosa tanto banale. Cito Calvino: "Quando ho cominciato a scrivere Il visconte dimezzato, volevo soprattutto scrivere una storia divertente per divertire me stesso e possibilmente per divertire gli altri; ho pensato che questo tema dell'uomo tagliato in due, dell'uomo dimezzato,avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l'altra."
L'originalità è che il racconto si basa sulla storia di un uomo diviso fisicamente in due metà alle quali, ovviamente, viene associata anche una suddivisione di animo (il buono e il malvagio). La convivenza separata delle due metà genera una serie di situazioni contrastanti che, alla fine, fa giungere il lettore alla conclusione che entrambe le metà del visconte sono ugualmente insopportabili, sia nel bene che nel male. Perciò, non solo è sbagliato comportarsi unicamente in un certo modo, ma anche vedere le cose sempre da un solo punto di vista. Il finale è scontato, ma è attaverso le considerazioni con le quali l'autore ci arriva che piace tanto ed è il succo della storia.
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Il visconte dimezzato
Calvino è un genio! esordisco così perché ogni libro che leggo di Calvino non stanca mai e riesce a rinnovare il suo stile geniale, sì perché ciò che mi piace di più di questo scrittore non sono tanto le trame ma il modo in cui scrive, che è sempre nuovo e mai banale.
In questo piccolo racconto Calvino ci narra le vicende di un cavaliere o come dice il titolo di un visconte, che per una seria coincidenze riesce a vivere con metà corpo e nonostante dei passaggi veramente esilaranti, lo scrittore riesce ad inserirci anche una morale esplicita e una implicita. Per tutto il libro il lettore è accompagnato da un bambino, lontano parente del visconte, questo particolare punto di vista ci porta ad osservare quasi sempre da lontano senza far realmente parte del libro.
Promosso a pieni voti!
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Il visconte dimezzato.
Ecco a voi le vicende del Visconte di Terralba ferito in guerra divenne "dimezzato"!
Calvino in questo piccolo e intenso racconto si addentra nella psicosi umana, facendoci ridere con una storia un pò strampalata, dove c'è l'uomo dimezzato cattivo e l'altro buono.
Il cattivo è terribile, orrendo, vendicativo e il buono è caritatevole, dolce, arrendevole nessuna delle due metà è quella giusta solo riunendosi insieme possono tornare ad una "certa" normalità ma mai alla "perfezione", come ognuno di noi!
Proviamo a pensarci e vorrei vedere chi dice che Calvino in questa sottile analisi del "noi interiore" non si è sbagliato!
"Non c'è notte di luna in cui negli animi malvagi le idee perverse non s'aggroviglino come nidiate di serpenti, e in cui negli animi caritatevoli non sboccino gigli di rinuncia e dedizione. Così tra i dirupi di Terralba le due metà di Medardo vagavano tormentate da rovelli opposti."
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Incompletezza e giovinezza
“A volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane.”.
Il primo della trilogia degli antenati, in ordine di pubblicazione, è “Il visconte dimezzato”, fiaba dolce, un elogio/elegia della maturità e dell’esperienza.
Debito riconosciuto al Mr. Hyde di Stevenson, Calvino costruisce una storia fantastica in cui Il visconte Medardo di Terralba, dopo aver partecipato alla guerra contro i turchi e colpito da una cannonata, ritorna diviso in due metà.
Lo stesso uomo che raccoglie, nella metà destra, la predisposizione al male, e nella sinistra la predisposizione al bene.
Si penserà che la scelta tra le due metà non offre dubbi, invece sia la malvagità che la virtù sono, in senso assoluto, innaturali e disumane.
(che barba un uomo buono buonissimo, che orrore un uomo cattivo cattivissimo).
Conoscere, quasi potessimo sezionarli, il lato positivo e quello negativo del nostro essere, accettare l’imperfezione come elemento fondante dell’umanità, è ciò che può permetterci di percepire la pienezza e l’equilibrio nell’esistenza.
A volte però.
A volte non viene fuori un amalgama, ma un miscuglio.
E non tutti i visconti dimezzati riescono a riattaccarsi bene.
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Il doppio
La prima edizione del Visconte dimezzato usci nel febbraio del 1952 per i tipi di Einaudi e già pochi mesi dopo Calvino diede conto di questa sua stranissima opera in una lettera inviata a Carlo Salinari.
Scrive, fra l’altro “Quando ho cominciato a scrivere Il visconte dimezzato, volevo soprattutto scrivere una storia divertente per divertire me stesso, e possibilmente per divertire gli altri; avevo questa immagine di un uomo tagliato in due ed ho pensato che questo tema dell’uomo tagliato in due fosse un tema significativo, avesse un significato contemporaneo: tutti ci sentiamo in qualche modo incompleti, tutti realizziamo una parte di noi stessi e non l’altra…”.
Per quanto questo romanzo possa essere soggetto a diverse interpretazioni, stante il senso metaforico di non poche parti della trama, sembrerebbe, di primo acchito, che il puro divertimento sia stato il motivo principale per scriverlo e del resto, nel prosieguo della lettera di cui sopra, alcune righe dopo si può leggere “Non sono solo io a pensarla così, ad esempio anche uno scrittore molto attento ai contenuti come Bertolt Brecht diceva che la prima funzione di un’opera teatrale era il divertimento. Io penso che il divertimento sia una cosa seria.”.
Mi ha colpito questo quasi ossimoro “penso che il divertimento sia una cosa seria”, anche perché vi si potrebbe leggere un altro significato di questo romanzo, forse il vero intendimento dell’autore, che sembra dirci che siamo uomini imperfetti, che non riusciremo mai a trovare in noi il perfetto equilibrio, e quindi è inutile angustiarci, ma conviene riderci su, stemperare questa amara consapevolezza di insuccesso con una dose di provvidenziale autoironia.
La vicenda, in effetti, oltre a essere paradossale, ha in questa sua credibile incredibilità il pregio di assicurare un sorriso non fine a se stesso, ma che si smorza con una riflessione sul nostro stato. In ognuno di noi vivono due anime, o meglio due parti, una buona e una cattiva, che si mescolano, che a volte vedono prevalere l’una piuttosto che l’altra, in una sorta di eterno dissidio fra l’aspirazione al bene e la tentazione del male.
Questa storia del visconte Medardo di Torralba, diviso perfettamente in due parti (la destra e la sinistra) da una cannonata turca ha quasi un sapore goliardico, una vena di fresca e incosciente gioventù che permea le righe e che in sordina finisce con il coinvolgere e addirittura travolgere il lettore.
Eppure, se ci si sofferma ogni tanto a riflettere, non è difficile vedere nell’esasperazione non solo anatomica, ma anche psicologica dei due visconti, l’uomo moderno, ancor più schiavo che in passato della sua illusione di completezza, con una coesistenza in ognuno di bene e di male che sfumano fra di loro, in quell’eterno conflitto che spesso inconsapevolmente sosteniamo ogni giorno.
Ed è uno stupore continuo nel verificare come Calvino riesca a trattare concetti complessi con una scrittura fluida, che scivola quasi sul foglio, accompagnata da quell’ironia che riesce a stemperare la crudeltà di certi immagini, in un mondo dove si impicca senza colpe e dove pur esistono località dal nome altamente evocativo e sognante come Pratofungo.
Il visconte dimezzato è il primo dei tre romanzi della Trilogia degli antenati, quasi un’introduzione, uno stuzzicante antipasto di qualcosa di molto più corposo come Il barone rampante e Il cavaliere inesistente.
Ne raccomando, per quanto ovvio, la lettura.
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