Il corpo umano Il corpo umano

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Opinione inserita da Arrigo    10 Aprile, 2015

Il corpo umano a brandelli, insieme alla sua mente

Bello. Uno di quei libri che non riesci a smettere. E l'ultimo 40 % (mi sono munito di tavoletta elettronica pure io, e ora non vado più a pagine, ma a percentuali) me lo sono fatto seduto in un bar impossibilitato dal muovermi e credo di aver avuto in più punti anche espressioni che a guardarmi dal fuori si saranno chiesti se stessi male, i proprietari intendo.
Il libro unisce, come già più volte detto da altri, la storia, e la crescita (crescita no, implosione? Sbriciolamento?) , di diversi personaggi dal prima al dopo l'attraverso di una valle in Afghanistan, la valle delle rose, per portare degli sfigati camionisti locali sulla Ring road, unica strada asfaltata e 'sicura' del paese. Una valle che incrinerà per sempre, ma in modo molto diverso, il loro mondo interno, trasformando quelle che prima ritenevano certezze, nella classica polvere.
I pensieri che caratterizzano ogni personaggio sono narrati da un punto di vista esterno, asettico e implacabile, mi hanno ricordato le analisi psicologiche dei maestri scrittori russi, rivisitati però in chiave moderna, più leggera, sostenibile. Più scorrevole.
Una domanda mi tormenta: come si può descrivere una guerra, un'azione militare, senza averla vissuta? Come ha fatto Giordano a scrivere di questo? È stato là? Non credo di volerlo sapere, forse sarebbe anche facile leggendo la sua biografia. Ho sempre creduto, senza averne però le prove, che gli unici libri a lasciarmi dentro scosso, a coinvolgermi veramente, fossero quelli a forte carattere autobiografico, magari non esplicito, non esposto, ma con emozioni descritte dai personaggi vissute almeno in parte in prima persona da chi le scriveva. Ora ho il dubbio, forte, di essermi sempre sbagliato.
In quella valle in qualche modo ci sono finito, non so come, pure io insieme ai protagonisti. E ora che ne esco, chiudendo il tablet (che visione romantica vero?) la mia vita ovviamente è rimasta uguale, a differenza della loro, ma la nausea per la tensione mi è venuta sul serio.
Il tenente Egitto sempre chiuso nel suo mondo interiore (una stanza senza vie d'uscita), il maresciallo ex gigolò René, il soldato sbruffone e troppo sicuro di sé Cederna. Sono stato un po' di tutti loro. E io odio, ho sempre odiato, la guerra.

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DieLuft Opinione inserita da DieLuft    01 Settembre, 2014
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Anatomia del dolore

Mi piacciono i libri di Giordano perché sono veri. Non è obbligatorio che una storia che finisce con una distensione, debba avere per forza un un lieto fine. E di questo l'autore pare esserne pienamente consapevole. Giordano scrive di vita "reale", di emozioni che diventano talmente tanto presenti, da esserne le vere "silenti" protagoniste.
La storia, come nel precedente romanzo, scorre deliziosamente. L'autore non si perde in leziose e noiose descrizioni e preferisce che siano, in un certo senso, le azioni a parlare e a delineare i contorni delle figure e anche dei paesaggi.
Nonostante abbia veramente apprezzato il libro nel suo complesso, non posso dire di sentirmi soddisfatta appieno per la scelta della vicenda. L'aver scelto di focalizzarsi su di un piccola fetta di vita di un contingente italiano in Afghanistan, è il motivo per il quale ho deciso di togliere un voto. Ammetto che è un mio capriccio personale perché ho un'avversione profonda per tutto ciò che riguarda e rappresenta l'Esercito. E questa antipatia è stata rafforzata dalle implicite "frecciatine" che il narratore fa. Le persone comuni vengono spregevolmente definite come "i civili"; tutto ciò che non ha a che fare con pallottole, vestiti mimetici ecc. è declassato a "roba di serie B" (indifferentemente se siano cose o persone). In parole povere, anche se il narratore non è un soldato, la sua voce e la sua mente appartengono all'Arma.
Ciò che mi ha letteralmente creato una sorta di ribrezzo interno è stata l'elevazione della guerra a "rito di passaggio". Essa è per i più giovani la linea di confine tra adolescenza e vita adulta, mentre per i più anziani è motivo per tagliare i ponti con gli errori del passato e ricominciare seguendo "la retta via". Ma caro Paolo Giordano... Con tutto quello che di difficile e doloroso può attraversare una vita, tu "elevi" una cosa così spregevole come una guerra a ciò? Definisci il farsi disintegrare a colpi di bombe come qualcosa di eroico? Vabbè... E infine a coronare il disgusto è arrivato il solito cliquè del soldato donna che è prostituta del gruppo e ovviamente membro più imbranato dell'intera fob. Maschilismo gratuito. Parentesi chiusa.
Concludo dicendo che personalmente, ciò che "ha fatto" questo romanzo, non è la serie di disavventure che accadono al gruppo Charlie, bensì sono gli intermezzi della vita del tenente Egitto e delle sue riflessioni che analizzano il dolore, un po' come se questo fosse un corpo inanime sul tavolo d'obitorio.

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Paolo Giordano - La solitudine dei numeri primi
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enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    19 Aprile, 2014
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Guerre nelle guerre

Nel cuore di un’Afghanistan straziato dagli orrori di una guerra insensata, un gruppo di ragazzi vive un’esperienza che inevitabilmente li porta ad abbandonare la bolla dorata della giovinezza per entrare nelle difficoltà e nelle disillusioni della vita adulta. Si tratta dei soldati del terzo plotone della Charlie, quello comandato dal maresciallo René, impegnati in una delle zone più calde del paese, il Gulistan. L’impacciato Ietri, lo spaccone Cederna, il povero Mitrano, l’ingenuo Torsu, la triste Zampieri sono i personaggi che spiccano maggiormente in questa eterogenea accozzaglia di giovani militari, con i loro caratteri differenti, i diversi comportamenti e le più svariate esperienze personali. E poi il rozzo colonnello Ballesio, l’arrogante capitano Masiero e soprattutto il tenente Egitto, medico della base, che dopo un primo semestre di missione ha preferito restare lì nel deserto, in guerra, piuttosto che tornare a casa e affrontare un altrettanto pericoloso conflitto con un pesante passato e un incerto futuro. Per molto tempo la vita nella base scorre lenta e sorniona, il caldo, la nostalgia e la noia sembrano essere i nemici più pericolosi. I rapporti umani sono altalenanti, si passa da momenti di grande comunione e fratellanza a periodi di intolleranza che sfiorano la misantropia, nascono e si rafforzano amicizie da un lato, esplodono e si intensificano contrasti e divergenze dall’altro. Finché un giorno questa uggiosa quotidianità non verrà frantumata da un tragico evento che segnerà per sempre la vita dei protagonisti. Qualche cliché di troppo non guasta il risultato complessivo dell’opera di Giordano che, con grande delicatezza ed una prosa curata e scorrevole, apre una finestra su quello che è lo stile di vita dei militari impegnati nelle missioni militari all’estero, con tutte le difficoltà, i pericoli, le incombenze che sorgono in situazioni di questo genere. Ma soprattutto ci porta nel cuore e nella mente dei protagonisti, ci permette di conoscerne pensieri, gioie e paure, un po’ della loro storia personale, dei progetti, dei sogni, delle speranze e delle loro più intime battaglie. Ci descrive la guerra, non tanto quella che si combatte con fucili, bombe, mortai, ma principalmente quella sostenuta contro se stessi, contro il corpo e lo spirito, i propri fantasmi e le proprie difficoltà, contro famigliari e conoscenti, affetti ed antipatie, contro la vita stessa che troppo spesso non va come dovrebbe andare.

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BettiB Opinione inserita da BettiB    13 Febbraio, 2014
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Solo uomini

Non avevo mai letto un libro concentrato sui militari, su veri militari, e aver iniziato con questo credo sia stata un'ottima mossa, soprattutto perché mi ha fatto venire voglia di saperne di più della vita che gli uomini che si prendono questo incarico conducono nelle basi, sperse in Paesi lontani e pericolosi. E' di questo che parla il libro: una compagnia di militari assegnati all'Afghanistan e le loro vite sospese, scelte mancate, i pensieri più intimi di ognuno di loro, perché dopotutto sono solo uomini!

L'ho capito solo dopo parecchie pagine, ma Giordano ha srotolato un filo conduttore dalla prima all'ultima pagina: un collegamento tra l'uomo e il suo corpo, le sensazioni e le conseguenti reazioni del corpo umano. Molto sottile, ma caratteristico.
Un'altra particolarità è che all'inizio i personaggi sono identificati solo con i cognomi, rendendoli impersonali, distaccati, semplici unità di plotone. Con l'avanzare della storia invece cominciano a diventare nomi, persone con delle storie alle spalle, un proprio carattere, propri pensieri... e inizi a conoscerli davvero, e a volergli bene.

Lo stile è molto maschile, con un linguaggio misurato e chirurgico, preciso e quasi schematico. Si sente che a raccontare è un uomo, che parla di uomini e (forse) per uomini. Inoltre il cliché sulla donna sensibile, cedevole di sentimenti, un po' incapace e finta dura è stato un colpo basso; mi aspettavo un po' più di imparzialità.

Non lo rileggerei volentieri più e più volte, ma è stata una bella storia, seria e importante, e sono felice di averlo letto con così costanza da interessarmi davvero alla vita nelle basi. Lo consiglio a chiunque volesse addentrarsi in una lettura seria ma non troppo pesante.

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Pelizzari Opinione inserita da Pelizzari    10 Luglio, 2013
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Vita da soldati

Questo romanzo mi ha conquistato strada facendo, o meglio, "pagine leggendo". C'è tutta una prima parte in cui entriamo in confidenza con un gruppo di giovani soldati, con il maresciallo René e con il tenente medico Egitto, due personaggi-chiave. E' una parte che sembra un pò banale, un pò stilisticamente scialba e fin troppo semplice ma, col senno di poi, capisci che è appositamente scritta in questo modo, lenta e preparatoria, per farci conoscere da vicino questi ragazzi, per farci entrare nelle loro vite come se fossimo loro amici e per preparare il terreno al proseguo della storia. La parte centrale, che è il cuore del romanzo, è il primo culmine delle emozioni, vi si arriva quando i soldati oltrepassano la bolla di sicurezza, consapevoli che tutto può accadere. E tutto accade durante l'assalto nella valle delle rose. Poi... Poi c'è il dopo. Quello che accade dopo, quando tutto è già accaduto. Ed è nella terza parte che secondo me l'autore dà il meglio di sè, come stile, diretto e magmatico, come intimità ed intensità narrativa, sia come focus, non solo il corpo, ma anche la mente umana. E per chi tende a scavare una trincea fra passato e presente l'ultimo capitolo devasta e prende l'anima.

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LolloP Opinione inserita da LolloP    04 Luglio, 2013
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Stereotipi a più non posso...

Ho letto questo libro in quanto mi è stato regalato e la prima cosa che ho pensato è stata : come mai un titolo così curioso? Il corpo umano? Con il senno di poi posso ritenere che l'autore abbia voluto sintetizzare in esso l'idea di una umanità greve, problematica ed in continua lotta con i propri limiti, sia fisici che mentali, idea che dovrebbe fare da sfondo all'intero romanzo.
Dico dovrebbe poichè, a mio avviso, il racconto va da tutt'altra parte.
La trama si occupa delle vicende di un gruppo di commilitoni dell'esercito italiano impegnati in Afghanistan, in una realtà nella quale gli errori di uno solo, così come le vittorie, appartengono a tutti. Ho trovato molto originale questo contesto, non avendo mai letto nulla che raccontasse della vita militare, ma il romanzo non è riuscito affatto a conquistarmi.
I singoli soldati protagonisti del romanzo sono tutti troppo stereotipati. C'è il soldato buono, quello prepotente, la donna in difficoltà e così via, tutti i clichè possibili sono qui presenti. Ciascuno di loro recita la propria parte dalla prima fino all'ultima pagina, senza mai instaurare un reale rapporto di confronto o condivisione con gli altri, si limitano a far avanzare un intreccio che non riesce mai davvero a decollare.
Lo stile dell'autore è sicuramente scorrevole e immediato ma non riesce, da solo, a sostenere una trama davvero piatta. Ho letto varie recensioni positive ma per questa volta non concordo. Banale.

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legiova Opinione inserita da legiova    20 Mag, 2013
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La storia raccontata attraverso le nostre guerre.

ll corpo umano nell’uomo vitruviano o più semplicemente a scuola è la somma anatomica di tante parti che svolgono funzioni complementari.
In guerra i corpi sono frammenti di esplosioni e le sue parti sono soltanto il giusto peso che deve formarsi in una busta che raccoglie i resti dei soldati.
Però la guerra non si combatte solo in Afghanistan ma anche in Italia, in famiglia, quando i figli vengono visti soltanto come progetti che devono trasformarsi in realizzazioni, senza nessuna funzione pedagogica e neppure partecipazione emotiva.
Fortunatamente le guerre passano con tutte le sconfitte del caso per arrivare ad una età in cui la vita non dipende più dalle aspirazioni altrui ma dalle proprie scelte e quella età per l’autore sono i trenta anni.
Paolo Giordano racconta le storie, ma in realtà traccia dei profili psicologici profondi, dove le difficoltà della vita sono almeno pari al desiderio di affrontarli.

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ll corpo umano nell’uomo vitruviano o più semplicemente a scuola è la somma anatomica di tante parti che svolgono funzioni complementari.
In guerra i corpi sono frammenti di esplosioni e le sue parti sono soltanto il giusto peso che deve formarsi in una busta che raccoglie i resti dei soldati.
Però la guerra non si combatte solo in Afghanistan ma anche in Italia, in famiglia, quando i figli vengono visti soltanto come progetti che devono trasformarsi in realizzazioni, senza nessuna funzione pedagogica e neppure partecipazione emotiva.
Fortunatamente le guerre passano con tutte le sconfitte del caso per arrivare ad una età in cui la vita non dipende più dalle aspirazioni altrui ma dalle proprie scelte e quella età per l’autore sono i trenta anni.
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Opinione inserita da Andy Picone    20 Mag, 2013

Piccola delusione

Dopo l'incredibile esordio de "La solitudine dei numeri primi" ci si aspettava di più da Giordano.
Il libro parte bene creando la giusta atmosfera, ma poi si perde. La trama è povera e lascia troppi buchi che il lettore deve riempire con la propria immaginazione.
Il dramma, i sentimenti, le emozioni dei nostri soldati in missione sono ben descritti, ma nessuna delle figure è scavata in profondità a parte, forse, il tenente Egitto. Anche lui però non riceve una collocazione definitiva.
Può essere ci siano troppi personaggi e su nessuno di loro ci si sofferma sufficientemente.
Il libro si legge rapidamente sperando sempre nel colpo d'ala che non arriva mai.

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ChiaraLotus Opinione inserita da ChiaraLotus    15 Marzo, 2013
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Come se fossero i nostri amici

Lo scorso novembre, un ragazzo residente nel paese vicino alla mia città - Tiziano Chieriotti - fu ucciso in Afghanistan durante una delle cosiddette “missioni di pace”.
Mentre i telegiornali decantavano la notizia dell’ennesima strage, su facebook imperversavano commenti qualunquisti “un mercenario, la sua vita non valeva niente” e le solite (pardon!) stronzate figlie di un’Italia ancora poco abituata a trattare come persone chi sceglie un lavoro tanto controverso.
Queste parole vuote e inutili mi facevano imbestialire, poiché mi sentivo profondamente colpita per la vicenda. Ho sempre considerato la vita umana un valore fondamentale. Sono iper-sensibile davanti alle morti di persone giovani.
Proprio nello stesso periodo, mi trovai a leggere questo libro. Era uscito da pochissimo e mi sentii… come dire? Mi sentii capita da Paolo Giordano e dalla sua profonda ed innata capacità di descrivere questi soldati in primo luogo come uomini.
L’autore torinese ha mostrato tutta l’umanità di questi giovani che, invece di andare ad ubriacarsi nelle discoteche, scelgono di rinunciare ad agi e comodità per scivolare in un mondo ostile e perverso. Un mondo destinato a cancellare ogni forma, ogni residuo di dignità.
Spesso i medioman che tanto blaterano concepiscono i giovani soldati come una massa informe. “Il corpo umano” aiuta a vedere oltre il pregiudizio e a comprendere che dietro le divise esistono delle STORIE. Storie vere o verosimili, che meritano di essere raccontate. Ciascuno ha i propri desideri, le proprie motivazioni. Ciascuno ha soprattutto un passato in stand-by rinchiuso nel congelatore nell’attesa di avere finalmente la forza per guardarlo in faccia.
Ho sempre amato i romanzi corali soprattutto per la loro capacità di evidenziare le molteplici sfaccettature dell’umano. E questo libro ci è riuscito benissimo, ponendo l’accento sul conflitto fra i due mondi a cui i ragazzi si sentono di appartenere. Le mogli, i figli e le mamme rimaste a casa vivono nei loro cuori e nel fango buio delle loro tende cercano di ricostruire una parvenza di quotidianità fatta di scherzi camerateschi, visite a prostitute e chat su internet.
Ietri, Cederna, Egitto e gli altri potrebbero essere i nostri fratelli, i nostri amici, i nostri vicini di casa. E leggendo queste pagine è impossibile non sentirli vicini.

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maria68 Opinione inserita da maria68    14 Marzo, 2013
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Ietri, Camporesi, Simoncelli....

"È vero quello che dicono delle rose?"
"Che cosa dicono?"
"Che in primavera la valle si riempie di rose"
"Io non nè ho mai viste Colonnello"
Ballesio sospira "lo immaginavo. Perché le rose dovrebbero crescere in un posto tanto orribile?"  

Purtroppo alcuni di loro non vedranno mai delle rose nè li nè altrove, la loro vita si spezzerà ben presto. Giordano riesce con il suo stile semplice e mai banale a catapultarmi sin dalle prime pagine in Afghanistan all'interno della fob ice dove si trovano i ragazzi del 3º plotone della 'charlie' per una missione di supporto alla popolazione.
Subito, entro in empatia con loro, inizio a conoscerli, sono ragazzi semplici che potrei incontrare ovunque, mi confidano le loro fobie, la loro solitudine, le loro fragilità che alcuni riescono a celare solo in apparenza. Certo è un gruppo eterogeneo e non tutti mi stanno simpatici, ma sono diventati miei "amici"; la forza del libro è proprio aver dato un'anima a questi soldati.
Questi giovani soldati sebbene addestrati a eludere il nemico, non saranno mai pronti a superare i traumi che qualsiasi guerra lascerà in eredità.
Devo confidarvi che mi sono trovata accanto alla mamma del più giovane, appena ventenne, e con lei ho condiviso il suo immenso dolore, che le farà pronunciare parole apparentemente senza senso ma che nascondono il non voler accettare l'ineluttabile sorte.
Ah, questa Morte! come si può immaginare che loro, così giovani, possano accettarla se nemmeno gli adulti riescono a farlo. Ma, Dio solo sa se ci proveranno e anche a dimenticare.... perché questa tragedia è troppa pesante da gestire. Certo è che quell'esperienza bellica li ha segnati a vita ed è proprio attraverso questo dolore infinito che sono diventati adulti.
È un libro meraviglioso, da leggere e rileggere. Lo consiglio soprattutto ai giovani che spesso si dilettano a giocare alla guerra senza considerare che non si tratta semplicemente di un gioco ma tutt'altro, per chi la fa' ma anche per coloro che la subiscono e la cui unica colpa è abitare in quei luoghi martoriati.
E allora prima di congedarmi li saluto mettendomi sull'attenti e portando loro quel rispetto che molte volte gli viene negato.

Ps. è di proposito che non ho menzionato i loro nomi perché gelosamente li custodisco ancora per un po' dentro di me.

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ant Opinione inserita da ant    26 Gennaio, 2013
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Vissuto di guerra e familiare

E' un romanzo coinvolgente,scorrevole,attraente e interessante, tutte note di merito x l'autore, ma...a mio avviso sullo stesso tema la Fallaci col suo "Insciallah" fu più profonda e cerebrale.
Da quello che scrivo s'intuisce che la trama e il plot del romanzo siano incentrati nel mondo militare(il riferimento a Insciallah), infatti è così, a differenza però del libro della Fallaci che parlava di un gruppo di militari italiani in missione in Libano; nel libro di Giordano si parla di un gruppo di soldati italiani in Afghanistan .
Si vede che Giordano ha vissuto a stretto contatto con i militari in quell'area ed il libro è ben sviluppato su due fronti:
1)Le descrizioni psicologiche di ogni componente del gruppo e le vicissitudini da affrontare in territorio afgano
2)Il vissuto familiare che ognuno dei militari presenti, chi più chi meno, vorrebbe dimenticare.
Su tutti i protagonisti della narrazione spicca la figura del tenente medico Alessandro Egitto(ritratto anche in copertina), personaggio complesso, molto provato psicologicamente, molto sensibile che fa da tramite e da collante fra i vari componenti della spedizione.
Un finale strambo chiude il libro che lascia al lettore un senso d'incompiuto.
Cmq buona prova x Giordano che si conferma scrittore molto capace

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libri con storie attraenti sia di carattere psicologico che personali
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Opinione inserita da lorenzo brady    16 Gennaio, 2013

il corpo umano non riesce a coinvolgere del tutto

Per essere subito chiari, c'è da sottolineare che si tratta di una cosa completamente diversa dal primo romanzo...e quando dico diversa, mi riferisco a tutto...forse lo stile è quello de 'La solitudine dei numeri primi', e questo fa capire che in questi cinque anni l'autore non è riuscito a migliorare il proprio stile narrativo. La storia è molto interessante, e forse Giordano era partito per fare qualcosa più coinvolgente per quando riguarda la sintonia tra le relazioni umane, la guerra e i contrasti interiori dei vari personaggi, ma un'impresa del genere poteva essere solo alla portata di un certo James Joyce, per intenderci, perciò in questo contesto va assolto. La cosa, invece, che non ho digerito è che si giunge al dunque strisciando e allungandosi su concetti che, al mio modesto parere, appesantiscono l'opera. Se il libro procedesse con lo stesso ritmo fresco e travolgente della prima metà, allora il suo valore sarebbe stato ancora più incisivo... mi è parso che a un certo punto Giordano non sapesse dove voleva andare a parare... ma forse è stata solo una mia sensazione. Tuttavia il libro è bello e interessante, il motivo per cui lo consiglierei a chi ama i contrasti psicologici tra le persone che combattono con la solitudine e per la sopravvivenza, in tutti i sensi... su questo a Paolo Giordano non c'è nulla da obbiettare; lui ne è maestro...

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a che ama le forte emozioni che vengono scaturite dal contrasto psicologico
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Bruno Elpis Opinione inserita da Bruno Elpis    03 Dicembre, 2012
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"Il corpo umano" di P. Giordano - Commento di Brun

Alla sua seconda prova, Paolo Giordano – dopo il successo roboante de “La solitudine dei numeri primi” – si cimenta in un romanzo per niente facile, su temi estremi come il senso della vita e del futuro per una generazione costretta a vivere in un’epoca troppo difficile; e la guerra, intesa in senso storico e personale.

Accanto alle figure del maresciallo René e del tenente Alessandro Egitto (“Esistono persone portate per l’azione, per comportarsi da protagoniste – lui è solo uno spettatore, prudente e scrupoloso: un eterno secondogenito”), impegnato in un dramma familiare (“Imparai ad accettare lo squilibrio di amore dei miei come uno svantaggio inevitabile, giusto perfino”; “… Il terremoto silenzioso … aveva spaccato in due la nostra famiglia e lasciato me al centro, come un torsolo macilento”), vi sono i ragazzi del terzo plotone della “Charlie”.
La Zampieri, unica ragazza, “guida i Lince con padronanza e un po’ di necessaria spregiudicatezza”; “nessuno la sceglie sul serio. Si fanno il suo corpo segando via la testa.”
Ietri, detto “verginella” perché non ha ancora avuto esperienze sessuali, è un ragazzone ancora alla scoperta del mondo, con un cuore grosso così.
Cederna è lo spaccone del gruppo. Comprendiamo fino in fondo la sua personalità una prima volta, quando grida tutta la sua rabbia allo psicologo incaricato di gestire lo stress post traumatico. E poi quando recita ad alta voce le sue considerazioni su “l’evoluzione della specie” (quella dei trentenni).
Mitrano è lo zimbello della compagnia: “Ha imparato a proprie spese che di Cederna non c’è da fidarsi. ? colpa sua se è diventato lo zimbello della fob … Lo sfotte in continuazione, in mensa gli ruba il cibo dal piatto, lo mastica e poi glielo rimette maciullato nel vassoio, lo chiama mongoloide e mezza sega.”
Torsu è sardo e chatta con Tersicore89; Salvatore Camporesi è risucchiato dai suoi affetti familiari …
Il lettore conosce i profili dei soldati tra episodi di nonnismo, rapporti coltivati via web o per e-mail, dopo la terribile intossicazione alimentare descritta nei suoi devastanti effetti, le fughe nel bunker e le guardie in garrita, fino alla pericolosa missione ne “la valle delle rose”.

Il luogo

E’ la base: “… poche baracche piene di fessure, alcune profonde buche nel terreno di dubbia utilità, immondizia, matasse di filo spinato e pezzi diveicoli sparpagliati ovunque, le docce imbastite con sacchi di nylon bucherellati …”
“Non c’è niente alla base ICE, soltanto povere. Polvere gialla e appiccicosa, tanto da affondarci con gli anfibi fino alle caviglie.”

La guerra

Non è soltanto quella tra le due fazioni contrapposte.
“Le canne dei fucili scintillano al sole e le due casse di munizioni mettono a più d’uno la voglia di caricare l’arma e uscire dalla base per sparare a casaccio a quanti più afghani capitino a tiro.”
“Lo sa cosa fanno i talebani ai prigionieri …? Li crocifiggono … ti massacrano con un bastone … oppure ti appendono a testa in giù finché tutto il sangue non scende nel cervello e lo fa scoppiare …”
E’ anche e soprattutto conflitto interiore:
“… lui stesso non esiste più in quanto essere umano. Si è trasformato in qualcosa di astratto, un agglomerato di pura allerta, di pura reazione e di pazienza.”
Fino all’ecatombe: “La carcassa del mezzo (il Lince) che brucia ancora in alcune parti, le pecore decapitate maciullate e il primo caporalmaggiore … con il cadavere di quell’altro addosso.”

Paolo Giordano ha scritto un romanzo intenso, sicuramente meno ‘universale’ del primo, ma altrettanto interessante: destinato a muovere l’animo di chi lo penetra.

Bruno Elpis

Ho incontrato Paolo Giordano a Milano. Trovate il réportage sul mio sito, a questo link:
http://www.brunoelpis.it/recensioni/408-paolo-giordano-incontra-i-blogger-a-milano-per-presentare-il-corpo-umano

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LuigiDeRosa Opinione inserita da LuigiDeRosa    26 Novembre, 2012
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Uomini soli

Il romazo di Paolo Giordano si apre con l'incontro casuale di due ex colleghi il tenente Alessandro Egitto,medico, e il maresciallo Antonio Renè, entrambi sopravvissuti ad un attentato talebano quando prestavano servizio nella base militare italiana in Gulistan. I due uomini, nonostante abbiano diviso quella terribile esperienza sono freddi,distaccati, nell'anima e nel corpo, quasi a voler cacciare dalla mente i fantasmi passati e impedire che le ferite appena rimarginate si riaprano. FOB è un acronimo, sta per "forward operating base", così dai militari vengono chiamate le basi in Afghanistan, le potremmo descrivere come recinzioni di fil di ferro costruite in mezzo al niente,circondate da sabbia , montagne e odio, quello degli Afghani che dopo decenni di guerre non sanno più o non vogliono più riconoscere amici o nemici: sono tutti invasori. D'un tratto mentre stai in casa tua con tua moglie,i tuoi figli e le tue capre, ti vedi piombare in casa un manipolo di saldati che ti punta i fucili in faccia perchè sta cercando i talebani, quelli che vanno distribuendo IED , ancora un acronimo per "improvised explosive device", sono ordigni realizzati in maniera improvvisata, sono quelli che fanno saltare in aria i soldati, i bambini e la gioia di essere al mondo.
La guerra descritta da Giordano è quella che ti cambia dentro, che incide come un bisturi nelle carni,lascia ferite che non si rimargineranno più. Ciò che colpisce in questo romanzo è l'ordinarietà dei personaggi, non ci sono i rambo americani ma neanche i terroristi assetati di sangue dei film holliwoodiani, ci sono i ragazzi che s'incontrano per strada, il figlio del vicino, l'ex compagno di scuola, il fidanzato, il marito,l'autore ci "veste" delle loro paure,delle loro debolezze, del loro corpo,indossiamo una divisa ed andiamo in Afghanistan in mezzo a ciò che di più stupido mente umana possa aver partorito:la guerra.Tempo fa lessi un articolo di cronaca, un Lince era saltato in aria a causa di un ordigno improvvisato, i militari italini che erano nel blindato tutti morti, adesso so che cosa ne è stato dei loro sogni e dei loro corpi.
di Luigi De Rosa

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Opinione inserita da marta    21 Novembre, 2012

emozione in discesa

Dopo "La solitudine dei numeri primi" che mi è piaciuto molto, ho comprato subito il nuovo libro di Giordano e per i due terzi del libro sono rimasta incatenata alla lettura. Poi è cominciata la discesa....c'era la voglia di andare avanti per vedere dove lo scrittore voleva andare a finire. Devo dire che non è finito da nessuna parte e il finale lungo e senza un filo logico mi ha lasciata senza parole. Mi dispiace molto perché nella prima parte è riuscito a descrivere situazioni ed emozioni in maniera reale e non avrei mai pensato di provare una grande delusione sul finale....se ci sono voluti cinque anni per scrivere questo libro!!!!

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Opinione inserita da Alessandro    11 Novembre, 2012

l'incantesimo non si ripete

A me sinceramente non è piaciuto. Ho molto amato il suo romanzo d'esordio ma qui, almeno per me, l'incantesimo non si è ripetuto. Forse si sono evoluti i miei gusti non so. Per aver impiegato 5 anni a scrivere quest' Opera seconda il risultato è deludente. Il suo stile non si è affatto evoluto anzi piuttosto il contrario. Il libro presenta troppi spunti mal sviluppati e troppi personaggi mal caratterizzati. Secondo me non ha saputo costruire una trama sapiente. Mi è sembrato che cercasse di replicare il risultato della "solitudine" ma utilizzando uno stile ripetitivo e superato. Cerca di prendere alla pancia con la crudezza della vita dei soldati in Afghanistan ma l'esito è incerto, claudicante, la storia non spicca mai il volo perdendosi nei mille rigagnoli della narrazione (troppi). Poi, sinceramente, non sempre mi è sembrato scritto in modo pregevole. Insomma per me molto al di sotto delle aspettative.

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giulia89 Opinione inserita da giulia89    23 Ottobre, 2012
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IL RUMORE DEI PENSIERI

Premetto che sono un'amante della scrittura di Giordano, così dura, realistica, senza mezzi termini. Questo romanzo mi ha affascinato fin dalle prime pagine, poter entrare nella mente di giovani soldati costretti in Afghanistan, con le sfaccettature di decine di caratteri diversi, mi ha tenuta incollata alle pagine.
S'intrecciano i caratteri e le emozioni di Cederna spavaldo e arrogante, Ietri il più giovane con soli 20 anni, Zampieri l'unica donna, Mitrano vittima degli scherzi di tutti, Torsu che vuole solo qualcuno che gli voglia bene, Egitto il medico, Camporesi che ha un figlio che non si ricorda quasi più di lui e Renè, il maresciallo buono che incoraggia i suoi ragazzi anche quando sbagliano.
E' un affresco della gioventù dei nostri giorni, ognuno con i suoi problemi, le sue paure che in un luogo come la Fob bengono decisamente amplificate.
Ognuno con il suo modo di pensare allo schifo di posto in cui si trovano e alle faccende in sospeso in Italia.
All'inizio ci sono scherzi e risate, ma poi la guerra è guerra e al rientro in Italia ognuno reagisce in modo diverso e più o meno contestabile, stravolgendo la vita che avevano condotto prima degli "episodi della valle".
E' un romanzo che cerca di mostrarci cose che noi civili probabilmente non immaginiamo neanche lontanamente; cerca di farci capire quello che possono provare centinaia di ragazzi di fronte allo strazio della guerra.
Spesso e volentieri diciamo che il soldato è un mestiere e alcuni lo scelgono come invece altri scelgono di fare il cameriere, l'architetto, il falegname. Ma al di là del lavoro che ognuno svodlge, prima di tutto siamo uomini, e di fronte alla violenza, alla morte, alle difficoltà, reagiamo come tali anche se alcuni sono stati addestrati per fare i soldati e per quanto mi riguarda, è questo il messaggio che il libro mi ha trasmesso.

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