Il colibrì
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Avvincente e commovente
"Il colibrì" è un romanzo avvincente e commovente che esplora temi di resilienza, crescita personale e la capacità di trovare bellezza e speranza anche nelle circostanze più difficili. Scritto da Sandro Veronesi, questo libro ci trasporta in un mondo intenso e profondamente umano. La trama segue la vita di Marco Carrera, un uomo la cui esistenza viene sconvolta da un terribile incidente d'auto. Questo evento tragico segna l'inizio di un percorso di rinascita e di scoperta di sé stesso. Come un colibrì che svolazza tra i fiori, Marco affronta le sfide della sua nuova realtà con determinazione e coraggio. L'autore dipinge un ritratto intimo dei pensieri e delle emozioni di Marco, permettendoci di entrare nel suo mondo interiore e di condividere le sue gioie e le sue paure. Il percorso di guarigione di Marco è una testimonianza della forza dell'animo umano di fronte all'adversità, come un colibrì che lotta contro il vento per rimanere in volo.Oltre alla storia di Marco, "Il colibrì" esplora anche il tema delle relazioni umane e delle connessioni che ci legano gli uni agli altri. Gli incontri di Marco con le persone che attraversano la sua vita, come fiori che si aprono ai raggi del sole, aggiungono profondità e significato alla sua storia.
La scrittura di Veronesi è poetica e intensa, catturando l'essenza delle emozioni umane e dei dilemmi interiori. Il romanzo ci invita a riflettere sulla fragilità e sulla forza della vita, sulla capacità di guarire e di trovare un senso nelle esperienze che ci modellano.
"Il colibrì" è una meditazione sulla ricerca di bellezza e significato in mezzo alle difficoltà della vita. Come un colibrì che raccoglie il nettare dai fiori più remoti, il protagonista impara a cogliere le piccole gioie e le opportunità di crescita che si presentano lungo il suo cammino.
In sintesi, "Il colibrì" è un romanzo che tocca il cuore e l'anima, portandoci in un viaggio emozionante attraverso la lotta interiore e la resilienza. La storia di Marco Carrera è un inno alla vita e alla capacità di trovare gioia anche nelle situazioni più difficili.
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Mai una gioia
Marco riceve in dono il suo soprannome: colibrì, dalla madre. Un ritardo della crescita lo accompagna fino all'adolescenza, quando una miracolosa cura sperimentale gli fa recuperare in pochi mesi i centimetri in meno che ha rispetto ai suoi coetanei. La mamma per nulla preoccupata da quello sviluppo lento lo paragona a un uccellino che secondo lei ha in comune con il figlio piccole dimensioni associate a una bellezza fisica fuori dal comune e a un agilità, sia fisica che mentale, straordinarie. In effetti di quell'agilità dovrà fare ampio uso per incassare i numerosi colpi che la vita gli infligge. Uno dietro l'altro senza neppure lasciargli il tempo di riprendere il fiato tra l'uno e l'altro. Forse un po' troppe disgrazie per un solo uomo? A mio avviso sì. Però in questo romanzo che io ho letto come un elogio alla capacità di resistere e di andare avanti, probabilmente ci sta tutto. Non mi è piaciuta un granché la scelta di raccontare la storia spezzettandola in tanti frammenti che ci sono forniti in modo quasi casuale. Salti temporali, personaggi che appaiono all'improvviso e dei quali capiamo il senso solo diverse decine di pagine dopo. Storie solo abbozzate e completate in seguito, oppure che diventano chiare solo quando si incastrano con un altro pezzo del puzzle. Infine parti raccontate alternate a frammenti di lettere e a conversazioni telefoniche messe lì senza nessuna ulteriore spiegazione. Per chi ama i racconti lineari e semplici decisamente questa lettura è impegnativa.
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"Sarai felice, sarai infelice, sarai di nuovo feli
"Da' tempo al tempo, abbi fiducia: t'innamorerai, sarai insicura, dirai di no, sarai sicura, dirai di sì, sarai felice, sarai infelice, sarai di nuovo felice, tutto accadrà quando sarà tempo" (p. 326).
E' così che Marco Carrera, il "colibrì" - questo il soprannome che gli aveva dato sua madre da piccolo per via della sua corporatura minuta -, immagina di rivolgersi alla figlia di sua figlia, Miraijin. Come suo nonno Marco e sua madre Adele, ella ha un piccolo neo tra il mignolo e l'anulare della mano destra, una sorta di "marchio di fabbrica" che ne suggella l'appartenenza al destino della famiglia. Non solo: Miraijin - nome giapponese che vuol dire "uomo del futuro" / "umanità nuova" - è venuta al mondo in una data che è già di per sé una singolare combinazione numerica, il 20 10 2010. E, come se tutto ciò non bastasse, la ragazza, crescendo, acquista un fascino quasi sovrannaturale che sembra sbocciare e manifestarsi insieme ai numerosi talenti di cui, man mano, appare dotata: Miraijin, infatti, ha il dono di riuscire bene in tutto ciò che fa, attratta spontaneamente da ciò verso cui è per propria natura portata. E', in sostanza, proprio l'emblema di quell' "umanità nuova" scritta nel suo nome, una generazione di individui che "penseranno al plurale" e porranno la cultura "al primo posto tra i loro interessi" (p. 332). Insomma, il seme della rinascita universale dopo il vorticoso succedersi di dolori ed eventi negativi che hanno attanagliato la vita di suo nonno Marco Carrera, "il colibrì".
Tuttavia, la forza del romanzo, a mio avviso, non si coglie nell'invito alla speranza che l'Autore, Sandro Veronesi, sembra volerci lasciare come nota finale (dove non si può fare a meno di cogliere un esagerato idealismo ed una perfezione forse un po' distanti dalla realtà). La forza del romanzo è nel titolo, ossia nella metafora del colibrì: questo uccello, infatti, oltre ad avere un corpicino molto gracile, ha bisogno di sbattere le ali circa settanta volte al secondo per mantenersi in volo. Ciò vuol dire che ogni colibrì compie uno sforzo enorme semplicemente per non perdere l'equilibrio o, detto con le parole del libro, "mette tutta l'energia nel restare fermo". Si scopre, allora, che Marco Carrera è come il colibrì non solo per il suo fisico minuto - peraltro poi prodigiosamente cresciuto nel giro di pochi mesi, durante l'adolescenza, grazie ad una cura ormonale -, ma anche e soprattutto perché il suo sforzo principale è, per l'appunto, restare in equilibrio, anche nei momenti più tragici della sua storia personale e familiare. Chi gli sta intorno, spesso, non percepisce minimamente le sue "acrobazie", non vede le sue ali da colibrì impegnate in cento e più sforzi, che si tratti di riorganizzare radicalmente le proprie priorità, di accudire entrambi i genitori gravemente malati, di confrontarsi con lutti improvvisi o di controllare dei sentimenti. Ciononostante, lui, il colibrì - Carrera, non si perde d'animo: accetta la propria sorte e va avanti.
Non un banale inno alla speranza, quindi; ma, piuttosto, una bella riflessione su come, in ogni vita, ci sia un tempo per tutto. Per essere felice, poi infelice e poi di nuovo felice. E così ancora.
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(Il mio) discorso e fuori discorso
Mi vedo costretta a citare il libro e parlare anche io di "discorso" e "fuori discorso".
Nel "discorso" Il Colibrì di Sandro Veronesi è il vincitore del Premio Strega, ed è una storia che parla di resilienza verso i contraccolpi della vita, tema quanto mai attuale. Il protagonista, Marco Carrera, impiega uno sforzo indicibile per rimanere fermo, stabile, in un mondo che è un turbine di stramberie e tragedie. Il Colibrì siamo noi impiegati che non arriviamo a fine mese, noi i divorziati che ci scorniamo, noi amanti nascosti, noi famiglie borghesi così infelici. Siamo noi uomini e donne comuni all'apparenza statici e immobili, ma che impieghiamo uno sforzo immenso per restituire quest'immagine, fasulla, di noi stessi.
[Attenzione, contiene spoiler]
Ora arriva il fuori discorso, che non potrò ripetere in pubblico almeno fino a quando non lascerò decantare il successo de Il Colibrì, perché si sa che in Italia i successi letterari e cinematografici restano intoccabili e incriticabili per almeno due anni dalla loro uscita (si veda La grande bellezza, che al solo dire che non era poi tutta sta bellezza si veniva tacciati di ignoranza).
Allora, il Colibrì è la storia di un medico figlio dell'alta borghesia che a quanto pare ama destabilizzarsi: prima il gioco d'azzardo, poi il matrimonio con una narcisista patologica, e infine anche una specie di amore platonico con una donna, vissuto attraverso un carteggio epistolare stile ottocento, di un melenso mortale.
Non solo, Marco vive il tutto con un'implacabile nonchalance che puzza di insulso. La vita lo colpisce, e lui non vacilla di un passo.
E qui si apre la mia parentesi: quando è successo che i protagonisti dei romanzi e dei film italiani siano diventati figure borghesi, insulse, che accettano la vita passivamente senza mai reagire? Dove sono finiti i coloriti personaggi di De Sica, le simpatiche e strambe creazioni di Fellini?
Perché compro un libro che ha vinto un premio nazionale, e trovo un romanzo (scritto male) che mi parla dei dolori melensi di un qualunque Marco Carrera, che nella vita reale altro non è che un medico ricco che c'ha l'amante?
Forse la risposta giace in quelle frasi sottolineate dai lettori. Come sapete, se comprate un ebook su Kindle, l'e-reader vi evidenzierà le frasi più sottolineate: e lasciatemelo dire...sono davvero insulse.
Malinconica resilienza
Sandro Veronesi torna a vincere il Premio Strega in questo particolarissimo anno 2020 con il romanzo “Il colibrì”.
Attraverso l’alternanza di piani temporali, lettere, email, chat Whatsapp, testi di interventi a convegni, inventari di oggetti e simili, viene raccontata la vita di Marco Carrera. Una vita come tante ma, proprio per questo, diversa da tutte le altre. Una vita attraversata da profondissimi lutti, segnata dall’appartenenza a una famiglia disfunzionale, solcata da un unico amore impossibile, reso eterno proprio dalla sua incapacità di realizzarsi.
Marco appartiene alla ricca borghesia italiana di provincia, figlio di un’architetto e di un ingegnere che sono rimasti insieme per il bene della famiglia, ma che in realtà si sono amati per un tempo brevissimo. Cresciuto a Firenze, Marco deve affrontare la depressione della sorella maggiore che arriva fino all’inevitabile tragedia, l’impossibilità voluta dal destino (o forse anche da qualcun altro) di vivere concretamente la storia d’amore con la donna della sua vita, molti altri dolori e lutti, alcuni dei quali gravissimi, che l’esistenza gli propone regolarmente. Il nostro protagonista affronta tutto in modo molto dignitoso, cercando di non farsi sopraffare dalle tragedie ed opponendo al dolore sempre una sua solida resilienza.
Un romanzo quindi che ci regala una storia malinconica che invita alla riflessione, al porsi domande e interrogativi legati alla sfera personale, al nostro modo di vivere la famiglia, l’amore, gli affetti che ci circondano, le responsabilità che a volte ci soffocano e altre volte ci danno la forza per andare avanti. Un romanzo che ci mette di fronte ad alcuni aspetti della nostra intimità, della nostra sfera personale, ma allo stesso tempo rimane leggero, delicato e lieve. Questo contrasto può essere considerato la sua forza, ma anche, per certi aspetti, la sua debolezza.
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Elogio della rassegnazione
Vado controcorrente. A me non ha lasciato molto. Veronesi non mi ha annoiato, scrive bene certo, non sono però riuscito ad avere una minima empatia con il protagonista ed è strano perchè la sequela di disgrazie che gli capitano dovrebbero renderlo indimenticabile. E allora qualche domanda me la faccio... Credo che Veronesi, come gli è capitato in altri suoi romanzi, forzi la mano, esagerando e andando semplicemente oltre, divenendo quasi surreale e a me le allegorie fantasiose (vedi Coelho) NON piacciono, ma proprio per nulla. Sfido chiunque , genitore o meno, a considerare plausibile la supina rassegnazione (perchè di questo si tratta altro che colibrì...) con cui un padre accetta le stramberie della figlia, l'umana preoccupazione superata in due righe , va bene così e avanti. Il rapporto epistolare con Luisa che è l'emblema di tutte le cose che uno nella vita vorrebbe fare o avere ma non può avere, o non vuole perchè appunto è un colibrì e non un leone... Un uomo fedele a se stesso e ai propri principi nonostante tutto, che accetta la propria vita con i doni e i tormenti che gli porta, va bene ma il suo comportamento a tratti da nonchalance è davvero poco credibile, se ti cade una tegola in testa (di continuo tra l'altro...) cambia strada o fai qualcosa per riparare il tetto , il protagonista non fa nulla di tutto questo, neanche si incavola, non ha nemmeno un attimo di sbrocco da sconforto, sembra quasi disumano. Per non parlare del finale che da sempre è quello che toglie un paio di punti di media ai romanzi di Veronesi, cos'è ? Un inno ad un mondo globale senza frontiere e senza tabù ? Ho cercato un senso in questo finale da romanzo di fantascienza e non l'ho trovato, per favore qualcuno mi illumini. No, decisamente Veronesi non fa per me.
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La famiglia al centro della vita.
Come ogni anno la lettura del premio Strega in pectore è stata rispettata. Quest'anno, come quasi sempre, il libro è bello anche se a mio avviso inarrivabile resta M vincitore dell'anno passato.
In particolare, il Colibrì, ha un ottimo stile grazie alla sapienza dell'autore che mischia piani temporali, lettere, ricordi, rimandi al passato e al futuro che creano un clima di aspettative e curiosità che rendono la lettura super veloce alla rincorsa del sapere cosa succede dopo.
I personaggi tratteggiati sono molto variegati, si ha i lprotagonista che potrebbe essere descritto come un eroe moderno, data la quantità di difficoltà che deve affrontare nella sua vita; c'è la famiglia d'origine del protagonista dove ogni componente ha un suo ruolo e dove alcuni membri sono meglio approfonditi di altri; c'è poi la famiglia attuale fatta di moglie e figlia, che ha un impatto enorme sul romanzo ed è splendidamente raccontata. In tutto il romanzo, inoltre c'è una costante che varia tra malinconia, perseveranza e voglia di vivere che attraversa le epoche, che mette al centro come fulcro il significato di famiglia, che vince sempre nonostante il profondo ed enorme dolore provato e che dà vita alla splendida sequenza finale con il quale si chiude il libro.
A mio parere la parte finale in alcuni capitoli non è piaciuta, salvo quello citato in precedenza, in particolare il rapporto con "l'uomo del futuro" mi è risultato un po' artificiale. Inoltre, in alcuni tratti si perde il filo della sequenza temporale creando qualche confusione nella comprensione della storia.
Tutto sommato un ottimo libro, che merita di essere letto e soprattutto lascia un bel ricordo di una bella lettura.
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Piccolo ma tenace colibrì
«Tu sei un colibrì perché come il colibrì metti tutta la tua energia nel restare fermo. Settanta battiti d’ali al secondo per rimanere dove già sei. Sei formidabile, in questo. Riesci a fermarti nel mondo e nel tempo, riesci fermare il mondo e il tempo intorno a te, certe volte riesci addirittura anche a risalirlo, il tempo, e a ritrovare quello perduto, così come il colibrì è capace di volare all’indietro.»
Marco Carrera è il figlio della borghesia fiorentina. Oggi oftalmologo, sposato, è stato in passato soprannominato dalla madre “colibrì” perché a dispetto di tutti i suoi compagni non era alto quanto la media, al contrario. Per siffatte ragioni viene sottoposto a una cura ormonale che gli consente di riprendere quei centimetri in più che gli mancavano e che quindi gli permettono di diventare un ragazzo come tutti. È quando meno se lo aspetta che la sua vita viene sconvolta: la moglie Marina ha chiesto il divorzio ed è incinta di un altro uomo.
Il mondo di Marco si sgretola. Ogni certezza viene meno, tutto viene rimesso in discussione. Ma come reagisce il nostro protagonista? Esattamente come un colibrì ovvero come l’uccellino più piccolo del mondo ma anche più tenace. Carrera è saldo sulle sue gambe e delle proprie convinzioni. Non vacilla, va avanti per la sua strada, è fedele a se stesso e a quel che è e ai suoi valori.
Ed è attraverso una penna rapida ma decisa, forse un po' confusionaria in alcuni tratti, una narrazione serrata ma intrisa tanto di delicatezza quanto di ironia, tanto di durezza quanto di concretezza, che la storia di Marco diventa la nostra storia in un percorso fatto di disavventure, malattie, perdite, lutti, amori assoluti quali quello per Luisa, di situazioni atte a spezzare.
Un titolo eterogeneo, capace di invitare alla riflessione, che scava nell’intimo e che non teme il dolore. Perché qui, il dolore, è una costante.
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IL POTERE DI RESTARE FERMI
Devo dire la verità, ero restia a leggere questo libro, in particolare modo perché non rientra proprio nello stile di libri che di solito leggo. E invece devo dire che sono rimasta piacevolmente sorpresa di aver trovato un libro di uno scrittore che ancora non conoscevo, così particolare e pieno di svolgimenti.
Questo libro è un inno alla vita e Marco è il protagonista da cui tutti noi dovremmo prendere spunto, farcelo insomma come punto di riferimento.
Nonostante la vita si è accanita su di lui e sulla sua famiglia, nonostante le avversità e le cattive notizie, fino alla fine, Marco è pronto a dare tutto se stesso, mantenendo i suoi ideali, i suoi pensieri, riscoprendosi giorno per giorno, dando un senso alla vita.
"Tu sei un colibrì perché come il colibrì metti tutta la tua energia nel restare fermo", così sta scritto nel dietro del libro, così viene presentato Marco. Trovo che la metafora e la somiglianza, l'idea di paragonarlo a questo bellissimo uccellino, sia praticamente geniale e solo piano piano, leggendo la storia pagina per pagina si capirà il motivo. Dategli tempo, è un libro che va assaporato un pò per volta, come aprire uno scrigno, trovarci dentro un sacco di cose che sembrano messe a caso, ma poi, andando a recuperare la storia di ogni oggetto, si capirà il loro vero senso e valore.
Ecco quindi Marco con una vita piena di dolore, ma tutto il suo dolore non gli ha mai impedito di godere dei momenti, pensando che tutto può essere perfetto, che se solo nella vita si trova un perché la vita diventa solo amore e compatibilità con tutto. Ci vuole così poco alla fine: una giornata come si deve, un bacio, un abbraccio, parole dette al momento giusto o un sorriso.
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Un colibrì e la sua forza
Inizio questo mese la lettura dei dodici libri in finale per il Premio Strega 2020. Inizio per modo di dire, dato che il romanzo di Marta Barone "Città sommersa" l'ho già letto ad inizio anno, anticipando con la mia entusiastica recensione (qui) la candidatura al premio.
Inizio con un libro di cui ho sentito meraviglie, potendo decidere di leggerlo su supporto audiolibro grazie ad Audible, l'ho fatto: "Il Colibrì" di Sandro Veronesi (La nave di Teseo). Il libro è letto da Fabrizio Gifuni, attore che ho avuto modo di apprezzare in varie parti in vari film italiani degli ultimi anni: uno dei migliori attori degli ultimi anni a mio parere.
La storia narra di Marco Carrera, figlio della borghesia fiorentina, bambino con problemi di salute rasenti il nanismo (da qui il soprannome "Colibrì" affibbiatogli dalla madre Letizia), poi guarito. Dottore di oftalmologia, ex marito di Marina, padre di Adele, nonno amorevole e devotissimo, figlio e fratello.
La vita di Marco raccontata dalla sua voce, dalle lettere che per tutta la vita si è scambiato con il suo amore Luisa e da una voce narrante esterna ci racconta di difficoltà continue, perdite immense, dolori, lutti, amore, pazzia, aiuto, voglia di vivere immensa.
Non posso raccontarvi molto di più, perché rischio di fare spoiler non desiderati, che seppur non grandissimi colpi di scena, hanno comunque un posto ben preciso e molto importante nella trama del libro.
Il romanzo è fantastico.
Non so come mai io, in tutti questi anni non abbia mai avuto lo sghiribizzo di leggere qualcosa di Veronesi. Forse il fatto che ho iniziato a leggere narrativa italiana da pochi anni, forse l'atavica antipatia per lo scrittore che ho sempre reputato un po' troppo "autoriferito", ma, sta di fatto che, se proprio vogliamo dirlo, Veronesi è uno degli scrittori più talentuosi dell'ultimo ventennio e lo riconosco, cospargendomi il capo di cenere.
La trama è abbastanza semplice, anche se la costruzione temporale può risultare un po' indigesta per via del continuo saltare avanti e indietro nel tempo, anche di decenni. L'uso dei vari accorgimenti di cui sopra, rende il tutto ancora un pelo più difficoltoso ma non lasciatevi scoraggiare perché, fattoci il callo, la lettura è invogliante e molto coinvolgente. Veronesi scrive benissimo, riesce ad essere colloquiale ma ricercato e non annoia con inutili orpelli da "prof".
La storia raccontata è normale, per quanto possa sembrare anormale e tragica, è quella di una persona che vive in un mondo che non riconosce in quanto tale. Una persona che cerca di farsi andare bene quel mondo e quel destino che gli è stato donato il giorno della sua venuta al mondo. Seguiamo le vicissitudini di Marco Carrera come se fossero le nostre, chi più chi meno abbiamo tutti un momento - o più momenti - tragico in cui ritroviamo noi stessi o ci perdiamo per sempre.
Leggendo (ascoltando) questo romanzo mi sono ritrovata più volte a piangere e credo che, oltre alla storia narrata in sé stessa e la scrittura densa di significati - anche nascosti - di Veronesi, sia intervenuta anche la bravura immensa di Fabrizio Gifuni che recitando la parte del dottor Carrera come solo un attore può fare, ha contribuito a rendere tutto più emozionale. Badate bene, in sé stesso la storia raccontata è triste, ma si ride anche, non risate sguaiate naturalmente, ma risate a denti stretti. E si prova tutta una gamma di sentimenti che vanno dal dolore, all'amore, all'amicizia, alla tristezza, al cinismo, all'arrabbiatura, alla perdizione.
Tutto quello che un romanzo dovrebbe avere insomma e per questo, come avevo già precedentemente affermato, sono -quasi- sicura che questo romanzo finirà nella cinquina finale del Premio Strega. Non so se si merita di vincere, ma secondo me, la cinquina finale è sempre tutta vincitrice.
Per quanto riguarda me, andrò a recuperare i vecchi romanzi di Sandro Veronesi, chiedendo umilmente scusa per il mio comportamento e il mio preventivo e ingiustificato, accanimento nel non voler leggerlo.
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Passato inquietante, presente incerto, quale futur
Una storia dalle molte altre storie ha inizio in un giornata di ottobre del 1999, a Roma, poche parole...” mi dispiace dirglielo, dottor Carrera, ma il suo matrimonio è finito da un pezzo “...
È la storia di Marco Carrera, il colibrì, piccolo, aggraziato, da sempre fermo nello stesso luogo mentre gli avvenimenti gli piombano addosso, una vita indubbiamente fatta di sofferenza e di una indecifrabile resilienza.
Pare la fine e l’ inizio di un flusso di coscienza affannoso ed ansiogeno che stenta a ricomporre i cocci di una vita contorta, imbevuta di un ambiente borghese egocentrico, indifferente ed autocelebrativo, anaffettivo , imbrattato di psicanalisi e di insensatezza.
Una vita a lungo implosa, poi esplosa, costruita su carriera e solidità economica, in cui non ci si è accorti di nulla, di due genitori che non si sono mai amati, della indicibile sofferenza di una sorella, del proprio immobilismo silente e delle colpe indebitamente attribuite al fratello Giacomo, di un amore a distanza più volte perso e ritrovato, imbrattato di un ideale giovanile, di desiderio o semplicemente di gelosia, di un matrimonio ( il proprio), costruito sulla menzogna con strascichi di sofferenza, dell’ amore di una figlia prematuramente scomparsa, di tradimenti o presunti tali, di amicizie devianti e pericolose, di viaggi tortuosi, di tutto quello che non è stato.
Ecco la rappresentazione di sessant’anni anni di vita, si direbbe, l’ inseguimento di un senso all’ interno di una catastrofe annunciata, uno status quo che pare irrimediabile, indirizzato dal caso, dalla famiglia, dalla propria noncuranza.
Ormai, tra lettere, tracce significative, sedute di psicanalisi, delusioni, distacchi, lutti, partenze definitive, non resta che una ricerca per legittimare la propria vita e permettere a Marco, riconosciuto ed estirpato il passato, di vedere il futuro e di acquisire un senso.
Il futuro ha un volto preciso, è un condensato di passato e presente, è Miraijin ( in giapponese uomo del futuro ), sua nipote, superstite a lui affidata, che ha ereditato le esperienze del passato sintetizzandole in un futuro radioso, concentrato di grazia esteriore e bellezza interiore, di forza e perseveranza, di umanità e concretezza, filosofica presenza.
Da sempre Marco ha impersonato il colibrì, perlomeno così definito da altri, concentrando la propria energia nell’ immobilità e nel rimanere dove già e’, ma oggi non è più così.
Ora ha una missione da compiere, allevare l’ uomo nuovo, Miraijin, la sua vita uno scopo come tutte le dolorose vicissitudini che l’ hanno segnata, nulla gli e’ capitato per caso.
Il suo corpo, esploso così rapidamente, ha saltato l’ adolescenza dimostrando una plasticità ed una resilienza che in futuro l’ avrebbero aiutato a sopravvivere.
Marco ha trattenuto un piccolo mondo fragile che senza di lui si sarebbe dissolto, una vita che ha sempre continuato a stare ferma per anni mentre quelle degli altri andavano avanti, per essere improvvisamente sbalzata da un evento eccezionale in un altrove nuovo e sconosciuto.
Tutto, all’ improvviso, diventa chiaro, il dolore ha forgiato il nuovo mondo, i ricordi, il passato, il futuro, e lei, Miraijin, il nuovo, cui affidarsi ed abbandonarsi per sempre, liberato da una sofferenza fisica e morale.
Il romanzo di Sandro Veronesi è un turbine vorticoso di accadimenti, emozioni, sensazioni, citazioni letterarie e musicali, il protagonista un sopravvissuto ad un mondo borghese catastrofico e catastrofista paralizzato da paura, snobismo, cattiveria, vizio, noia, malattie incurabili, disgrazie, giuoco d’azzardo, incanalato in un inevitabile giogo psicoanalitico prevalentemente al femminile che impregna pagine e pagine e coinvolge tutti i protagonisti, chi più e chi meno, terrorizzando il lettore con le ripetute comparse del dottor Carradori, psicologo onnisciente che ha lasciato la professione e da un destino particolarmente iellato e sconfortante che parrebbe condurre all’ autodistruzione.
Ecco però una luce in fondo al tunnel, Miraijin, l’ uomo nuovo, creatura fantascientifica, un po’ Manga, onnicomprensiva, bellissima, una carta assorbente con poteri extrasensoriali, a dissolvere il catastrofismo imperante indirizzando la vita ad un futuro di speranza, radioso, profondamente umano, ribaltando e contravvenendo le innumerevoli storie e spezzoni di storie narrate, e ponendo il lettore di fronte ad un oggettivo dubbio: quale il senso?
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Marco il colibrì
Il protagonista è Marco, oculista, e il libro inizia con una visita inaspettata dello psicanalista della moglie. Il visitatore inizia a svelare situazioni e sotterfugi della vita di entrambe i coniugi e lo scrittore è abile a condurre il lettore nelle impervie pieghe della vita di Marco. Vengono descritti mirabilmente e nei dettagli,tutti i componenti della famiglia di Marco, dai genitori, alla sorella e al fratello. Le pagine più intense sono quelle in cui viene descritta Marina la moglie di Marco e Luisa l'amante. Varie vicissitudini s'intersecano in queste pagine, spicca su tutto l'umanità di Marco e la capacità di far fronte a traversie non da poco, finale spiazzante. Concludo estrapolando un passaggio in cui Luisa descrive Marco come un colibrì
“tu sei un colibrì perché come il colibrì metti tutta la tua energia nel restare fermo. Settanta battiti d’ali al secondo per rimanere dove già sei. Sei formidabile, in questo. Riesci a fermarti nel mondo e nel tempo, riesci fermare il mondo e il tempo intorno a te, certe volte riesci addirittura anche a risalirlo, il tempo, e a ritrovare quello perduto, così come il colibrì è capace di volare all’indietro.”
Bello
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Il coraggio di resistere
Il tempo della vita scorre con un andamento lineare. Il tempo della memoria scorre con andamento irregolare, con bruschi ritorni a un passato ora recente ora remoto. È questo il ritmo della narrazione nell’ultimo romanzo di Sandro Veronesi, “Il colibrì” - ritmo che assomiglia al volo del più piccolo tra i volatili. E non è un caso che il protagonista del racconto sia soprannominato “colibrì” non solo per la sua minuta costituzione nel periodo dell’infanzia, ma anche per la capacità di rimanere fermo nella sua condizione esistenziale, pur con sofferenza e fatica, proprio come fa il colibrì, grazie al battito velocissimo e frequentissimo delle sue ali.
Dolore, sofferenza, qualche gioia scandiscono la vita di Marco Carrera, questo il nome del colibrì di Veronesi. Si, perché la vita di ciascun individuo è fatta di esperienze amare, di perdite, di improvvise assenze e di qualche momento di felicità. La forza di ognuno è data dalla capacità di resistere, di vivere e superare le avversità, le malattie, le delusioni e di concentrarsi sul dono dell’amore, di quello dato più che di quello ricevuto, di rielaborare il tempo passato, grazie a quella memoria che ha scolpito nella nostra mente i momenti più importanti della vita.
Questa resistenza, questo instancabile battito d’ali può fare di ciascun individuo un colibrì, che riuscirà a mettere ordine nel suo caos interiore.
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Marco Carrera, un piccolo uccellino
Sandro Veronesi firma Il colibrì : un libro che è stato definito come il libro dell’anno. Personalmente non mi ha entusiasmato troppo, ma grossi difetti insiti, comunque, non ne vedo. E’ la storia narrata che non mi ha detto gran che, ma è una pura e personale sensazione.
Narra la vicenda di Marco Carrera, della sua esistenza, del suo vissuto, di come:
“quante persone sono seppellite dentro di noi.”
Da ragazzo la famiglia gli ha imposto il nome, appunto, di colibrì, per
“rimarcare che insieme alla piccolezza , in comune con quel prezioso uccellino, Marco aveva anche la bellezza e la velocità fisica. Notevole in effetti che gli tornava buona negli sport e mentale.”
In realtà lui era affetto da:
“una forma di ipoevolutismo strutturale moderato dovuto a insufficiente produzione di ormone della crescita.”
E così la sua vita sarà sempre un alternarsi continuo di dolore e di gioia, cercando sempre di rimanere ben saldo. Senza mai riuscirci del tutto. Allora sarà forse l’ultima nata, Miraiij, a fornirgli
“la ragione per continuare la vita.”
Lei che è:
“Morettina, mulatta, ha i lineamenti giapponesi, i capelli ricci e gli occhi azzurri. Come se le razze si riunissero dentro di lei.”
Diventa il futuro su cui porre basi più solide, per costruire finalmente:
“L’Uomo Nuovo”.
In questo romanzo c’è tanto, lento dolore. Ci sono tanti personaggi, e continui salti temporali tra gli anni ’70 ed oggi. Salti che non ho gradito troppo, perché interrompono la narrazione e riprendere il filo del discorso è stata per me fonte di difficoltà.
Lo stile narrativo è, comunque, di qualità e di ottimo spessore. E’ nei contenuti, nelle vicende narrate così slegate, inframmezzate da continui flash-back, che perde di qualità narrativa.
Un libro carico di dolore, di sofferenza, di patimento. Troppo.
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Un messaggio di speranza per un futuro migliore.
Sandro Veronesi sa descrivere magistralmente gli umani difetti e le umane virtù, che analizza e scandaglia con la precisione del bisturi tagliente di un abile chirurgo. Compone nel suo romanzo un complesso puzzle, fatto da tessere caratterizzanti momenti di vita od episodi singoli, esposti non necessariamente in ordine cronologico, di un uomo, Marco Carrera, di professione oculista, un uomo che, pagina dopo pagina, emerge come paradigma di una eroica “normalità”, fatta di tenacia, costanza, resistenza incondizionata ad ogni avversità, ma anche capacità di riflettere e di arretrare consapevolmente quando occorra. E’ lui, il “colibrì” del titolo, soprannome affibbiatogli dalla madre per la difficoltà di crescita nell’infanzia, rimediata poi da una terapia ormonale nell’età adolescenziale dagli effetti sorprendenti. Ed in effetti Marco è come un colibrì, un uccellino tenace e quasi immobile per il vorticoso battere d’ali ma anche capace, unico della specie, a volare all’indietro. Il romanzo è la storia di Marco. Una storia segnata da momenti felici (non molti) e da sventure: la separazione da una moglie inquieta e in cerca di nuove esperienze quasi sempre fallimentari, il rapporto precario con il fratello Giacomo che si trasferirà all’estero rompendo i rapporti con la famiglia, il suicidio della sorella Irene, la tragica morte per un incidente in montagna dell’amatissima figlia Adele, i continui dissapori tra i genitori (lei, Letizia di nome ma non di fatto, lui, Probo, di nome e di fatto – “nomen omen” precisa Veronesi) che moriranno entrambi dopo lunghe sofferenze, la scoperta tardiva di un cancro al pancreas che tormenterà i suoi ultimi mesi di vita. Marco sembra, nonostante tutto, appagato dalla vita. E’ disperatamente innamorato di una ragazza, Luisa, alla quale continuerà a scrivere lettere appassionate per tutta la vita, coltiva una bella amicizia con uno psicoanalista che gli risolverà molti problemi, si impegna nella vendita dei beni immobiliari dei genitori (mobili antichi, preziose suppellettili, grandi plastici ferroviari del padre ingegnere, una preziosa collezione dei romanzi di fantascienza “Urania”), ha una certa predilezione per il gioco d’azzardo che lo porterà a frequentare una bisca di dubbia fama dove accadrà qualcosa di mai accaduto in precedenza… Ma Il vero motivo della sua apparente serenità, alla fin fine, è uno solo. Adele, la sua adorata Adele, una bellissima ragazza serena e piena di vita ha fatto in tempo a dargli, prima dell’incidente mortale, una nipote, una straordinaria bambina, figlia di padre ignoto, una creatura alla quale viene dato un nome giapponese, Miraijin, che significa “l’uomo (la donna nel caso specifico) del futuro”. In effetti è una vera meraviglia, una sorta di prodotto genetico multirazziale, riassumendo nelle sue fattezze straordinarie il meglio di ogni razza. E la piccola, crescendo, dimostrerà le sue potenziali capacità diventando nel tempo non solo un esempio ma addirittura un leader riconosciuto per le speranze di una nuova generazione.
Voglio infine sottolineare due momenti in cui il romanzo raggiunge vette di vera, grande letteratura. Il primo è costituito dalle pagine commoventi in cui Marco presagisce disperato e impotente l’inattesa fine dell’unica sua figlia, la seconda è la rappresentazione spettacolare, quasi fosse un tragico set teatrale, della preventivata morte del protagonista, assistito e confortato dai parenti rimastigli: distrutto dal cancro, vorrà porre fine alle sofferenze, coadiuvato con la sedazione profonda e la successiva iniezione letale.
Un grande autore per un grande romanzo: Marco Carrera, a mio parere, si delinea già come uno dei personaggi meglio riusciti di questi primi anni nella letteratura del terzo millennio.
In appendice, una lunga serie di note su luoghi, citazioni, film ed autori riportati nel romanzo.
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Le cose sono innocenti, Giacomo
Il colibrì è il nomignolo che Sandro Veronesi escogita per il protagonista Marco Carrera, tanto per le sue caratteristiche fisiche di ragazzo (“Lei è stato molto più basso dei suoi coetanei al punto che sa madre lo aveva soprannominato il colibrì?”), quanto per l’energia che Marco spende a mantenersi fermo di fronte alle disgrazie della vita (“Perché proprio io, rinunciare a tutti questi soldi? Perché proprio io, scampare a un disastro aereo? Perché proprio io, perdere una sorella in quel modo? Perché proprio a me un divorzio così terribile? Perché proprio io, porre materialmente fine alla vita di mio padre? Perché proprio io, seppellire una figlia di ventidue anni?”).
Con teorie del tutto personali (“Era un equilibrio – l’unico possibile. La teoria dell’occhio del ciclone”), nell’idiosincrasia per la psicanalisi e in un substrato d’infelicità che promana dai genitori (“L’infelicità loro due l’avevano sempre prodotta, autonomamente, come certi organismi fanno con il colesterolo”), Il colibrì inventaria i reperti familiari (“Si tratta di tutto ciò che resta di una vita e di una famiglia che non ci sono più… Le cose sono innocenti, Giacomo”), ripercorre la collezione delle pubblicazioni Urania del padre, ne conserva i voluminosi plastici e assicura i ricordi della madre, affronta l’insolito disturbo psicologico della figlia, che pensa di avere un filo sulla schiena (secondo Il colibrì è semplice suggestione della scherma, per lo psicanalista è carenza nel legame con il padre), resiste alla tendenza ludopatica, pratica l’eutanasia al padre, si occupa di una nipotina orfana dagli occhi alogeni… e molto altro!
Spontaneamente – forse in modalità apotropaica - mi sono affezionato a questo protagonista sfortunato, così casto nell’infedeltà alla moglie e così perseguitato dalla vita: la sua filosofia è affascinante e merita affetto sincero.
La narrazione – mai pietistica e sottilmente ironica - è coinvolgente: patisce soltanto il voluto disordine cronologico con il quale gli eventi sono raccontati, rallenta nell’epistolario tra colibrì e amante, ha uno sbalzo vaneggiante nel futuro disegnato per la nipotina.
Giudizio finale – citazioni da Woody Allen:
1) Lo psichiatra è un tizio che vi fa un sacco di domande costose che vostra moglie vi fa gratis.
2) Il sesso senza amore è un'esperienza vuota, ma tra le esperienze vuote è una delle migliori.
Bruno Elpis
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Consigliato altresì a chi apprezza i film di Woody Allen.
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Una preghiera per tutte le navi in mare
Si parla di Il Colibrì, ultima fatica di Sandro Veronesi, come del miglior romanzo del 2019. E in effetti è uno di quei libri che ti incollano alle sue pagine e che verrebbe voglia di riprendere da capo appena letta l’ultima riga.
Il protagonista della storia è Marco Carrera, oculista fiorentino trasferitosi a Roma. Veronesi riesce nell’impresa di dar vita a un personaggio indimenticabile, un eroe dei nostri tempi, raccontandone le drammatiche vicende dalla giovinezza alla vecchiaia con un’ironia e una tenerezza che fanno fin da subito affezionare a questa figura. È lui, Marco Carrera, il colibrì, perché conduce la sua esistenza comportandosi come questo animale che è capace di battere le ali con estrema rapidità con il solo scopo di restare fermo in aria. È ciò che riesce a fare anche Marco Carrera: star fermo, saldo, immobile. In un mondo che fa del cambiamento continuo un valore da perseguire a tutti i costi, Marco ha il dono di non spostarsi, mentre la vita attorno a lui è una tempesta: il suo matrimonio fallito per via di una moglie che si rivela lontana anni luce da quello che appariva all’inizio del loro rapporto, una storia d’amore impossibile durata cinquant’anni con Luisa, donna conosciuta da ragazzo mentre era in vacanza, una famiglia di origine con problemi giganteschi, più o meno nascosti, la strana e preziosa amicizia con lo psicanalista della ex-moglie, il rapporto struggente con la figlia Adele e con la nipote Miraijin, nome giapponese che significa “uomo del futuro” e che diventa il simbolo dell’umanità nuova che verrà. Personaggi imperfetti, che riescono a fare tanto del male gli uni agli altri, ma anche capaci di un’umanità che tutte le ferite della vita non riescono a cancellare.
Le vicende del romanzo abbracciano un periodo che va dagli anni Sessanta al 2030, ma vengono raccontate secondo una cronologia tutt’altro che lineare, con un continuo andare avanti e indietro nel tempo, regalando una sequenza di avvenimenti, conversazioni, lettere, riflessioni disposti in modo caotico. Un po’ come le tessere di un puzzle che vengono tirate fuori casualmente dalla scatola, ma che pian piano vanno a incastrarsi tra loro per dar forma ad un’immagine sensata. Anche in questo libro il senso di una vita emerge, piano piano, ma non perché ad un certo punto tutto diventa chiaro. Al contrario, ciò che viene fuori è il grande mistero della storia di un uomo, sempre sul punto di perdersi, eppure capace di abbracciarla e amarla la sua vita, nonostante tutto.
Il Colibrì è un romanzo postmoderno, perché il protagonista è smarrito nell’esistenza, senza nessun dio da seguire o ideale da difendere, ma non è un romanzo nichilista, perché il tema di una possibile redenzione è sempre sullo sfondo, nonostante il controverso finale. Su tutto sembra dominare un destino che, a dispetto di quanto succede ai personaggi del libro, non si riesce a definire crudele. Non è un libro cristiano, come non lo è il suo autore, ma, proprio come il suo autore (che alcuni anni fa ha scritto un suo personale commento al Vangelo di Marco) sembra rivelare la grande nostalgia di un Dio che sappia abbandonare il cielo e venire ad abitare tra le nostre misere esistenze. Non è un libro su Dio, ma nelle ultime pagine si invita a pregare «per tutte le navi in mare» e – sarà un caso? – le parole che chiudono il romanzo sono proprio “buon Dio”.
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Un colibrì davanti alla vastità
Devo essere sincera: la letteratura italiana odierna non mi attrae particolarmente, così come accade con il cinema italiano attuale, anche la letteratura soffre a volte dello stesso male, un autoriferirsi che la priva della universalità propria che ogni opera dovrebbe avere per diventare grande cinema e grande letteratura. In questo romanzo di Veronesi, le tematiche sono universali, poiché l'autore esplora drammi dell'esistenza quali la perdita, il lutto, l'amore, la morte, la malattia in ogni sfumatura, in ogni recesso angolo del cervello e il dolore che ne deriva. E lo fa da sessantenne qual è, quindi con quel carico di dolori e lutti propri di quella età. Essere coevi di Veronesi aiuta a comprenderne la portata, perché il racconto si sviluppa in maniera discontinua dagli anni sessanta ai giorni nostri con un epilogo futuribile dove a mio avviso Veronesi perde un po' il lume e si addentra in una dissertazione su "ciò che l'uomo dovrebbe essere" difficile da digerire, o quanto meno una cosa che in letteratura è vietatissima: porre la propria visione del mondo come panacea di tutti i mali. Credo che la letteratura debba principalmente descrivere, ai lettori sta il compito di trarre conclusioni. Se invece si desidera divulgare la propria opinione, meglio scrivere un saggio, un pamphlet. Questo non toglie al romanzo una certa bellezza, momenti di commozione che invitano a proseguire la lettura in modo compulsivo. L'impianto è particolarissimo, libero da qualsiasi schema, interessante soprattutto per via del fatto che la scrittura sta perdendo la struttura coesa che le è stata propria per avventurarsi nella dimensione breve, atomizzata dei social. Un aspetto da analizzare veramente intrigante. In ultimo, lo scrittore, nella postfazione elenca trascrizioni più che citazioni, di alcuni brani a lui cari, niente meno che Pirandello e Fenoglio. In ogni caso, un libro da leggere, da regalare e che non lascia indifferenti.
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La forza della vita
“Il colibrì” di Sandro Veronesi è un romanzo semplice e complesso come può essere semplice e complessa la vita. Infatti è proprio la vita la chiave di volta del racconto, quella del protagonista Marco Carrera ma anche quella di coloro che gli sono intorno, la sua famiglia, le donne, le amicizie, una carrellata di personaggi umanamente e magnificamente descritti. Semplice ma potente, coinvolgente la prosa di Veronesi, semplice lo scorrere di un’esistenza dall’infanzia alla morte; complesso ma intrigante seguire questa esistenza senza riferimenti cronologici ma viaggiando avanti (fino ad un prossimo futuro a noi molto vicino) e indietro in un tempo fluido. Il romanzo è diviso in 46 sezioni ognuna con un titolo e un anno di riferimento (grossomodo dal 1960 al 2030); queste sezioni sono lettere cartacee, email, sms, racconti in prima o terza persona. Marco Carrera è il colibrì, così lo aveva ribattezzato da bambino la sua creativa madre architetto per via della sua altezza molto al di sotto della media -”lei aveva coniato per il suo bambino il più rassicurante dei soprannomi, colibrì, per rimarcare che, insieme alla piccolezza, in comune con quel grazioso uccellino Marco aveva anche la bellezza, per l’appunto, e la velocità”-. Il dono di Marco, la sua forza è la resilienza che viene interpretata da Luisa, la donna amata, come il restare fermi come fa appunto il colibrì col suo velocissimo battito d’ali ma a mio avviso non è questa l’interpretazione: Marco vive tutta la sua vita, anche i dolori più grandi, non sottraendosi a nulla, affrontando coraggiosamente tutto da solo quindi non rimane fermo, cerca soltanto di costruire dei capisaldi per non perdersi .”Il fatto è che dietro al movimento è facile capire che c’è un motivo, mentre è più difficile capire che ce n’è uno anche dietro l’immobilità....ci vogliono coraggio ed energia anche per restare fermi”-. Questo romanzo mi è rimasto dentro, appena finito ho dovuto riprendere fiato, farlo sedimentare prima di elaborarlo, è stata una lettura che per certi versi mi ha fatto soffrire. Sicuramente agghiacciante è “Eccola, scende (2012)” una delle mail inviate da Marco a Luisa, dove in poche righe, in un Oggetto: Aiuto, scopriamo il più grande lutto, il più grande dolore che possa capitare in una vita inserito in un contesto ordinario come può esserlo una mail. E nonostante tutto Marco va avanti, e dà ancora una volta a sé stesso uno scopo: allevare Miraijin “l’uomo nuovo”, la speranza nel futuro, che sarà in realtà una splendida donna. Veronesi in questo libro parla di noi, dei dolori, dei lutti, delle scelte dolorose che la vita ci impone, parla del coraggio, della forza che ci vuole per restare saldi quando tutto intorno frana. E’ per questo motivo che “Il colibrì” è un romanzo complesso, perché è doloroso. Anche la fine diventa vita in “Le invasioni barbariche (2030)”, c’è la pacificazione in Marco e intorno a lui, il tempo ripara tutto se speso bene. A noi lettori Veronesi lascia il compito di paragonare la fine del padre e quella del figlio, il carico di sofferenza della prima e la serenità della seconda. Tocca tematiche molto forti ed attuali Veronesi ma lo fa meravigliosamente a modo suo, con la sua scrittura piena di rimandi, di ricordi, di canzoni e ci trascina, ci prende, ci illumina. Volutamente non ho scritto della trama né dei personaggi perché per assaporare questo romanzo vanno scoperti poco a poco, con il tempo fluido anacronologico, come è successo a me.
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Il colibrì, una storia di amore e di resistenza
Il colibrì è un libro carico di ricerca di senso, passando attraverso la descrizione dell'intera vicenda terrena di un uomo e degli affetti che gli ruotano intorno. L'autore, nella rappresentazione di drammi interiori che potrebbero indurre chiunque al cinismo ed alla resa, esprime invece un incrollabile amore per la vita con le sue innumerevoli crepe e con la sua imprevedibile capacità di sorprenderci sempre, nel bene e nel male. L'autore raggiunge, con indulgenza e profonda consapevolezza, le molteplici sfumature dell'animo umano. Attraversa le tenebre, ma cerca e raggiunge la luce. La descrizione della malattia, sempre indecente nel suo effettivo manifestarsi, nella devastazione che produce in chi la patisce ed in chi la vive in quanto affidatario del compito di assistere, è estremamente realistica. I sentimenti basilari sono tracciati perfettamente. L'amore, asimmetrico, rincorso, negato, mai corrisposto come meriterebbe, pervade tutta la narrazione Il vuoto della perdita è rappresentato senza inutile pietismo, lasciando percepire chiaramente l'irreversibilità della condizione.. sia che si tratti di perdita fisica sia che si tratti di perdita sentimentale. Nonostante il dolore descritto in tante declinazioni, il libro trasmette un messaggio positivo di umana speranza, legata al ricordo di noi e di chi ci portiamo dentro e che dentro di noi continuano a vivere. Nelle situazioni estreme dell'esistenza resta solo la bellezza dei sentimenti vissuti in modo autentico che riscattano le sofferenze e le rinunce di una vita intera. La prosa è elegante e scorrevole. La lettura è piacevole e la trama avvincente. Il colibrì è un libro intenso, profondo, necessario.
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Il colibri
Avevo letto ed apprezzato "Caos calmo" e aspettavo con fiducia l'ultima opera di Veronesi che però mi ha delusa. Il contenuto mi è apparso velleitario e troppo manifestamente proteso a giustificare la metafora del colibrì. Gli sbalzi temporali affaticano inutilmente la lettura mentre le lunghe e mono- stilistiche lettere, che Marco è Luisa si scambiano nel vortice della loro vita piena di impegni, viaggi, dolori, città di incontri ed altro, mi davano l'impressione della funzione che il buon don Lisander dava ai cori delle tragedie. Tragedie ottocentesche.
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