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La solitudine dei numeri primi e anche non
Nella sua terza opera, “Il nero e l’argento”, Paolo Giordano ritorna sul tema de “La solitudine dei numeri primi” affrontando il dramma dell’isolamento, delle incompatibilità e dell’inadeguatezza alle quali l’uomo sembra condannato. E compie questa operazione da un’altra prospettiva: non più quella individuale, bensì quella familiare (“Una famiglia alle prime armi è talvolta anche questo: una nebulosa contratta di egocentrismo a rischio di implodere”).
Il nucleo radiografato è composto dal narratore (un ricercatore universitario), dalla moglie Nora e dal figlio Emanuele, ai quali si aggiunge la Signora A.: “Babette, la donna che conosciamo e amiamo, la piattaforma su cui tutti si appoggiano e che non è sorretta da nessuno”. Quando costei si ammala (un tumore che non perdona), gli equilibri familiari subiscono una scossa violenta e affiora così la precarietà dei legami.
Che importanza, ruolo ed essenza di una persona cara talvolta possano dirompere più nell’assenza che in sua presenza è esperienza che personalmente ho sperimentato.
La metafora degli elementi che chimicamente rimangono individuati senza fondersi (“Eravamo, a dispetto delle nostre speranze, insolubili l’uno nell’altro”) non è nuova, ma è efficace: Paolo Giordano la rappresenta nel modo a lui più congeniale, ricorrendo a un linguaggio che mutua espressioni e concetti dalla fisica.
A parer mio questo romanzo soffre di due limiti.
Il primo: l’evoluzione della malattia è una cappa opprimente, una minaccia che getta oscurità sulle pagine del libro e sull’animo di chi legge (specie se ipocondriaco).
Il secondo: questo romanzo, a parer mio, è stilisticamente perfetto, ma è “bello senz’anima”, troppo lucido e rarefatto nel suo essere ottimamente congegnato. La freddezza letteraria calcolata, scientifica, si riflette nella drammatica immagine di Emanuele bambino, che si stende sulla tomba della signora A. e la chiama finalmente per nome...
Bruno Elpis
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Io, nel mio piccolo, cerco di rendere il più possibile la matematica simpatica ,calorosa, legata al mondo affettivo ed emozionale dei bambini. E' grazie a ciò che riesco a farla amare dalla stragrande maggioranza dei miei alunni...Il canale affettivo è l'unica modalità che rende possibile la vera conoscenza...Questo mio modo d'interpretarla mi ha portato ad inevitabili scontri con quelle insegnanti che già nella scuola primaria, pensano che la matematica sia di pochi...cosa per me inaccettabile...Io credo che noi insegnanti abbiamo il dovere di dare fiducia e di credere in tutti. Solo così ogni alunno tirerà fuori il massimo di sè
Grazie, Pia
@ Gracy: quando l'ho incontrato a Milano, con altri blogger, è stato simpatico... :-)
@ Pia: sai che Sepulveda, in "Un'idea di felicità", esprime l'opinione che l'insegnamento sia la professione socialmente più importante? E cita il caso di uno stato dell'America Latina ove lo stipendio di coloro che rivestono cariche politiche non può superare quello dell'insegnante elementare... :-)
Ciao!
P.S. in merito allo stipendio,ti posso dire solo una cosa...io all'insegnamento ho dedicato ore e ore della mia vita...non quantificabili...è un lavoro che ti porti a casa...che non ti lascia un momento...poi , come tutti i lavori...dipende da come viene svolto...per me è stato così...
Grazie Bruno per questa bella chiacchierata..era da tanto...
Pia
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